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Autore: ferao    07/11/2013    2 recensioni
La verità era che Ed le aveva mentito. Sempre.
Le aveva detto di essere la cosa più importante della sua vita. Le aveva detto che non l’avrebbe mai più fatta piangere, se non di gioia. Le aveva detto che le sue mani erano fatte per curare, per guarire, per aiutare.
Ma la verità era che Ed aveva sempre mentito.
[warning: death!fic]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Winry Rockbell | Coppie: Edward/Winry
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note:
Salve! Sono Ferao, e questa è la mia prima pubblicazione in Fullmetal Alchemist. La storia è nata da questo meme qua (se volete chiedermi qualche storia, non dovete far altro che scriverlo nei commenti al post seguendo le istruzioni!) ed è stata scritta per l'adorabile Finn che ha chiesto una death!fic Ed/Winry. Ciò che state per leggere, quindi, è una death!fic.
Sorry not sorry.
Il titolo viene da questa canzone dei Lacrimosa e significa "Tutte bugie". La canzone NON ha ispirato la storia, che è uscita da sé, ma il titolo mi ronzava in testa e l'ho rubacchiato. Grazie, Lacrimosa.
Ultima cosa: siccome non ho ancora guardato l'anime del 2003, mi baso essenzialmente su Brotherhood e sul manga che ho leggiucchiato qua e là. 
Spero che il mio debutto in questa sezione non sia troppo spiacevole. Buona lettura ^^







Alles Lüge



La verità era che Ed le aveva mentito. Sempre.
Le aveva detto di essere la cosa più importante della sua vita. Le aveva detto che non l’avrebbe mai più fatta piangere, se non di gioia. Le aveva detto che le sue mani erano fatte per curare, per guarire, per aiutare.
Ma la verità era che Ed aveva sempre mentito.
 
Non era la cosa più importante della sua vita: se così fosse stato non sarebbe uscito, quella sera, proprio quando a Resembool era stata emanata l’allerta per il terremoto. Erano secoli che nel loro paese non si verificava un evento sismico e nessuno sapeva come gestirlo; si sapeva solo che era necessario restare uniti, insieme, con le proprie famiglie ed i propri cari.
E Winry era cara ad Ed, e così i loro figli, ma lui amava anche suo fratello; non appena aveva sentito che la casa di Al era crollata, Edward non aveva aspettato notizie né aveva chiamato l’ospedale più vicino: si era gettato addosso il cappotto ed era corso fuori. "Torno presto," le aveva gridato sulla soglia, "prendo mio fratello e torno".
Un’altra bugia da aggiungere a tutte le altre.
 
Dal meraviglioso giorno in cui aveva visto tornare Edward e Alphonse a casa, Winry non aveva più pianto, mai. Sua nonna le aveva intimato di non piangere al suo funerale e lei, nipote obbediente, l’aveva accontentata; quando aveva partorito si era lasciata andare ad urla disumane, spaventando a morte il povero Ed, ma nessuna lacrima. Non aveva più ragione di piangere: aveva il suo uomo, la sua vita, la sua famiglia, era felice. Era proprio come lui le aveva detto: “Non piangerai mai più”.
Bugia. Era passata meno di mezz’ora da quando Ed si era chiuso la porta alle spalle, che la seconda scossa della serata era giunta, più forte, più violenta. Winry aveva preso i bambini ed era corsa nella tenda che lei e suo marito avevano apprestato per quella notte, lontano dalla casa, e solo allora la donna si era chiesta cosa diavolo pensasse di fare Ed. Con la stessa, fredda lucidità che applicava nel dedicarsi ai meccanismi degli automail, Winry si era detta che, se Al e May fossero stati fuori casa, non avrebbero corso alcun pericolo, mentre se si fossero trovati all’interno… solo un Alchimista li avrebbe potuti aiutare. Ma Ed non era più un Alchimista, da anni.
Cosa pensa di fare?
Forse non aveva pensato a niente, forse aveva solo sentito che suo fratello aveva bisogno di lui. Forse pensava di poter scavare con le nude mani tra le macerie di una casa crollata, sperando chissà cosa, chissà come.
Cosa pensi di fare?
La scossa fu lunga, più del previsto. I bambini si strinsero a lei, spaventati, e Winry li cullò e li consolò, ma una parte di lei sentiva montare la disperazione. Il suo Edward era lì fuori, da qualche parte, senza la sua Alchimia ad aiutarlo nell’affrontare le forze della natura. Era solo.
Sentì qualcosa pizzicarle gli occhi, ma rifiutò di piangere. La scossa era cessata, tutto sembrava tornato tranquillo. Anche Ed sarebbe tornato, presto.
Invece, quasi due ore più tardi, quando vennero a bussare alla porta, Winry ebbe la certezza che fosse tutto finito. Finito, finito. Le guardie cittadine le parlarono a lungo di come la scossa avesse spazzato via metà paese, di come non tutti fossero riusciti a scappare, che il suo parente Alphonse Elric era arrivato vivo all’ospedale ma lo stesso non si poteva dire della sua povera moglie incinta, May Chang. E che, beh, avevano trovato un corpo a pochi passi dalla casa del signor Elric e volevano che lei andasse a riconoscerlo.
Fu allora, non dopo, che Winry crollò. Non davanti al cadavere di Ed, non vedendo il suo viso incrostato di sangue e le sue membra rotte per sempre. Fu lì, in casa sua, di fronte a due guardie imbarazzate e spiacenti, che si lasciò andare dopo anni di pace, di gioia, di amore.
Fino a quel momento non aveva avuto nulla per cui piangere, nulla. Credeva che sarebbe stato così per sempre, che finalmente quei giorni fossero finiti, e invece… invece non era cambiato niente: Edward aveva di nuovo fatto una cosa avventata e lei ne stava pagando le conseguenze.
È tutta colpa tua, pensò, mentre si accasciava a terra e scoppiava in lacrime. È tutta colpa tua se sto piangendo, stronzo. Mi hai detto una bugia.
 
“Hai mani fatte per guarire”, le diceva. “Per aiutare. Per fare cose belle”. Le accarezzava i palmi seguendone le linee, le baciava le dita una per una. “Tu sai aggiustare, rimettere a posto. L’hai sempre saputo fare molto meglio di me, e devi continuare”.
Gli aveva dato retta. Aveva continuato la sua attività di meccanico, e a tempo perso era diventata la levatrice del paese dopo che quella precedente era andata in pensione. Aveva aggiustato, guarito, dato la vita, aiutato. L’aveva fatto perché Edward la riteneva capace di tanto, per la luce nel suo sguardo ogni volta che la vedeva arrabattarsi tra pinze e cacciaviti o sui testi di medicina. “Hai mani fatte per curare”, le aveva detto, e lei ci aveva creduto e aveva reso quello lo scopo della sua vita.
Ma non era vero, pensò Winry davanti al cadavere. Non era vero. Perché due mani fatte per guarire avrebbero fatto sparire i lividi e le ferite dal viso di Ed, gli avrebbero rimesso in sesto le ossa rotte, il cranio sfondato dal muro di una casa. Due mani fatte per aggiustare avrebbero preso quei pezzi e li avrebbero riassemblati, rendendo loro la forma originaria. Due mani che facevano cose belle non si sarebbero limitate a stringere convulsamente gli ultimi abiti portati da Edward Elric, ad aggrapparsi a lui come se da ciò dipendesse l’esistenza dell’intero universo. In quel momento, Winry comprese perfettamente cosa aveva spinto Ed, Al e la maestra Izumi a mandare al diavolo le leggi dell’Alchimia per riavere ciò che amavano: anche lei, se solo avesse saputo come – e se avesse saputo che fosse possibile – l’avrebbe fatto. Avrebbe sacrificato gambe, braccia, mani solo per riavere Ed per un minuto, per salutarlo, per dirgli addio una volta per tutte.
Per non avere di fronte agli occhi l’immagine della porta chiusa dietro alle sue spalle, e nient’altro.
Invece Winry non poteva. Le sue mani si limitarono a tenere stretto il cappotto di Edward finché gli addetti dell’ospedale non la condussero fuori, quasi di peso. Vuota e impotente.
Sono inutile, Ed. Non sono fatta per guarire. Mi hai fatta piangere di nuovo. Mi hai mentito.
Mi hai sempre mentito.
Continuò a fissarsi le mani per un tempo interminabile. Le sue mani, vuote e impotenti come lei.
Ed le aveva sempre mentito, sempre. Ma senza quelle menzogne, Winry non sapeva più vivere.
 
 



 
   
 
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