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Autore: silencio    21/04/2008    2 recensioni
Il Soglio s’innalzava alto ed imponente nella sala del trono, circondato dalle tenebre che nemmeno la stentata luce delle torce riusciva a illuminare. E sulla sommità, solenne ed impassibile, stava lo scanno del Re-stregone, rigettando come una nube la sua ombra di terrore e potere su chiunque si trovasse ai suoi piedi, inerte e tremante. Nelle terre del nord si svolge lo scontro conclusivo, quello che segnerà la vittoria definitiva della luce sulle tenebre. I popoli liberi lottano contro le Tenebre ed il loro crudele signore, il Re-stregone. Piccolo esperimento narrativo. Prima one-shot che scrivo
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, questo piccolo raccontino, anzi, conclusione, è un esperimento scrittoreo (o perlomeno credo che così lo si possa definire... in effetti non so nemmeno io che cosa è). Questa è la mia prima one-shot. L'ho scritto tempo fa in un momento di ispirazione ed ultimamente, rileggendolo ho deciso di migliorarlo e pubblicarlo. Ammetto di essermi basato molto su alcune scene tratte dal Signore degli Anelli di Tolkien, medesima cosa vale per il linguaggio usato (mi piacciono molto sia le ambientazioni che le espressioni che utilizzava il professore). Per chi avesse letto le mie storie precedenti (e che giuro desidero completare ma forze esterne... "scuola"... me ne impediscono l'attuazione) noterà che qualche nome o evento ivi accennato viene qui esposto; in effetti è una storia avvenuta negli anni più antichi di Erinn, il mondo di mia creazione. Potrete notare anche l'utilizzo di alcuni linguaggi di uso comune, o quasi, ad Erinn, di mia invenzione naturalmente. Spero possa essere di vostro gradimento e, non rinuncio a dire, che gradirei le vostre recensioni, anche negative, a me interessa sempre il parere altrui.

Beh, non voglio dilungarmi quindi vi auguro una buona lettura.

Saluti.

 

Silencio

 

 

 

IL SIGNORE DELLA FORTEZZA

 

 

 

 

 

Il Soglio s’innalzava alto ed imponente nella sala del trono, circondato dalle tenebre che nemmeno la stentata luce delle torce riusciva a illuminare. Anzi, esse non facevano che donare alla nerastra pietra riflessi dardeggianti come di fiamme, dimodoché la visione risultasse ancor più terrifica.

Per nove gradini neri e lucidi come il marmo si elevava il basamento, circondato alla fonda da sottili padelle di pece ardente. Pareva composta da un unico pezzo, tratto da un singolare ed enorme blocco di pietra, ma inesperta doveva essere stata la mano dello scultore poiché la superficie, sebbene lucida, presentava delle deformità che col materiale scuro, l’ombra circostante ed il colore delle fiamme, le conferivano un aspetto sinistro e malvagio.

E sulla sommità, solenne ed impassibile, stava lo scanno del Re-stregone, rigettando come una nube la sua ombra di terrore e potere su chiunque si trovasse ai suoi piedi, inerte e tremante. Esso era nero e della stessa pietra di cui la torre intera e ciò che la ornava era composta. Squadrato e levigato, ben intagliato nella pietra; il suo schienale si elevava su, fino a perdersi nella tetraggine della volta.

Austero e crudele era quel seggio, simbolo di un potere talmente assoluto quanto tirannico; incuteva terrore e raccapriccio al solo vederlo. E per questo esso era stato costruito: per mostrare a chiunque avesse messo piede nella fortezza, sfidando dunque il Potere Oscuro, la grandezza e la forza di cui colui che vi sedeva era dotato.

Gwathiann tremante sollevò pian piano lo sguardo osservando da prima la lunga scalinata e poi il seggio, quasi interamente divorato dalle tenebre. E lì, assiso sullo scanno, giaceva il Signore della Fortezza, servitore del Potere Oscuro e signore del Nord, e lo fissava nelle ombre con sguardo truce e baluginante di malvagità.

-Vieni avanti!- imperò Egli, con voce calma e terribile. Impassibile.

Il principe elfico non poté resistere al richiamo di quella voce crudele, il suo corpo obbedì come un fantoccio nelle mani del burattinaio. Tremante fece tre passi avanti; il suono di questi rimbombò cupamente nella vasta sala coprendo ogni altro rumore o voce.

Allora le torce parvero rinvigorirsi di nuovo fuoco e la luce scarlatta delle fiamme illuminò l’intera figura del Re-stregone; Gwathiann non poté fare a meno di tremare…

Egli non era un uomo, ma ciò che di un uomo rimaneva: lunghi erano i suoi capelli bianchi, non argentei, ma dello stesso biancore della neve gelida, gli scendevano penduli sulle spalle e sul petto. Sul capo posava una corona regale, orrida e nera come la notte. I suoi abiti erano grigi e neri, ricchi di simboli e sottili fili d’oro o argento, di preziose sete e di lino. Il suo mantello era scarlatto, spiccava su quella coltre di nero come una macchia di sangue. Le braccia erano possenti e la sua statura alta lo faceva apparire come una montagna, antico ed imponente come essa, il collo era taurino e le mani forti, le dita lunghe, sottili ed esangui, somigliavano in modo tremendo a due bianchi ragni. Nell’anulare della mano destra portava un grosso anello d’oro simile ad un serpente, con una pietra verde e brillante incastonata al centro, ove dovevasi trovare la testa del rettile.

Il suo volto non aveva età, e non lo si poteva nemmeno definire d’uomo talmente era orrido. Le fattezze erano umane, la mascella squadrata e lunga, il mento nobile; ma gl’occhi completamente neri erano incavati, abbruttiti da occhiaie e rughe profonde. Il viso era scarno e la pelle mortalmente pallida, l’espressione crudele e severa, la bocca piccola e contratta, le labbra violacee come quelle d’un cadavere, il naso ridotto quasi a due misere fessure; parea che il suo cranio fosse stato ricoperto di semplice pelle e non da muscoli e da carne.

Il suo sguardo, quei due abissi infernali, era terribile. Alcuna creatura al mondo avrebbe potuto sostenerlo senza rischiare d’impazzire. Ti fissavano con la stessa intensità con cui un leone fissa la preda prima di sbranarla, ed allo stesso modo della preda, il fissato non vedeva che la morte rispecchiata negli occhi del Re. Penetravano come lance gelide, ti svuotavano lasciandoti come guscio vuoto, un verme nudo e cieco, sottomesso alla volontà dello Stregone, riducendoti suo schiavo. Questo era forse, uno dei peggiori poteri di cui il Re-stregone disponeva, la sua arma più potente, in grado di soggiogare anche lo spirito più ardito alla sua volontà.

In quel momento, gl’occhi del Signore della Fortezza stavano puntati su Gwathiann che, tremante, cercava di resisteregli.

-Povero sciocco- disse il Re-stregone. –Come speri di respingermi Elfo? Non sai forse che questo è il mio regno? Non sai che i miei poteri qui sono grandi più che altrove? Come speri di resistermi?-.

Veleno erano le sue parole. Assassine silenziose che penetravano nell’animo, stillate dalla malvagità e da tutto l’odio che il Re poteva provare. E annullavano ogni speranza ed ogni conforto nel cuore dell’uomo, con lentezza e malignità, così da causare nello sventurato una morte lenta e dolorosa, un indolente scivolare nell’oblio e nella disperazione assoluta, regno incontrastato del Potere Oscuro. Chi mai poteva opporsi al Re-stregone? Chi mai poteva resistere a tanta malvagità?

-Sei un debole ed uno sciocco- continuò il Re. –il mio potere è grande, la mia ombra immanente e terrifica. Io sono il Re del nord, Signore della Fortezza. Alcun uomo può vincermi; il mio trono è di roccia viva e solida, non può essere rovesciato né ridotto in polvere. Sta attento a non sfidare il mio potere, torna sui tuoi passi e sottomettiti a me se non vuoi finire nelle regioni dell’Ombra ove sarai ridotto a misera creatura ed il tuo spirito consumato verrà poi esposto alla presenza di Colui che è la Disperazione, il Flagello di Questo Mondo-. In ciò che diceva v’era del vero, una verità agghiacciante. Le sue parole erano giuste: come aveva sperato Gwathiann, di poter sconfiggere un nemico di sì fatta grandezza? Era stato uno sciocco incauto e per questo suo eccesso di spavalderia insensata rischiava ora la dannazione eterna. Non vi era scampo nel regno di Gulduroth… solo la Morte!

Il principe cadde inginocchio abbattuto, perdente. Le forze scivolarono pian piano dal corpo di lui, e con esse tutte le speranze. La disperazione sorse nel suo animo divorandogli il cuore come la nebbia divora le montagne. Piangendo, Gwathiann si coprì il viso con le mani, tremando alla maniera di un fanciullo sperduto. Il Re-stregone lo fissò soddisfatto; aveva vinto ancora lui.

-Tolath Gwathiann! I-ndû chalannim! Alzati Gwathiann, l’ombra deve cadere!- sorse un grido, argentino e squillante come buccine. E l’ombra parve diradarsi, il suo eco trafisse la disperazione, e la speranza come fioca luce si riaccese in petto all’Elfo sottomesso.

Sulla soglia del grande cancello di pietra, ritto e lucente, spada sguainata e scudo imbracciato, apparve la figura di Finvara, re dell’ovest. L’elmo mandava bagliori ardenti e la corazza splendeva d’oro e d’argento. La sua lama era vigorosa e pronta, vincente. Le tenebre innanzi a lui cedettero il passo e si rifugiarono impaurite attorno al trono ed al loro Signore. Ed Egli fremette di rabbia e per la prima volta il suo sguardo gelido fu velato dal dubbio. Stette immobile ed in attesa.

-Alzati!- disse Finvara al principe. –Alzati se non vuoi soccombere. Non cedere alle sue stregonerie, esse ti confondono. Non cedere ed alzati! Troppo allungo hai atteso questo momento e solo pochi sono giunti ove tu sei adesso. Sguaina la tua spada forgiata proprio per quest’ora, ed affronta il Re-stregone-. E la sua voce risuonava fiera ed indomita, priva di paura.

-Come osi entrare nei miei domini, re dell’oriente, signore elfico? Anche tu voi perire? Ti credevo più saggio di questo misero verme- proferì crudele il Re-stregone con voce dura.  

-Taci schiavo dell’Ombra! È questa l’ora in cui tutto si compie ed il tuo terrore avrà fine. L’ora dell’alba e della fine del Nord! Taci adesso e non lanciare più alcuna delle tue stregonerie su di noi, la luce è con me- rispose Finvara levando la spada verso l’alto. La lama vibrò per qualche secondo ed una luce argentea la percorse tutta.

Ed allora il Re-stregone, per la prima volta, parve intimorirsi. Le ombre si schiarirono e la sua figura sembrò rimpicciolirsi e perdere parte del suo potere. La luce s’accrebbe nella vasta sala e l’aria divenne più salubre e leggera.

-La speranza risorge!- gridò in re dell’ovest ed una nuova alba, la più luminosa mai apparsa dall’inizio dei tempi, sorse in quel momento oltre le spalle del sovrano, annullando il potere ed il terrore di Gulduroth, rischiarandone le terre.

Ma non era né un misero uomo né un folletto il Signore della Fortezza. Egli era possente, ed anche se la luce risplendeva nel suo castello Egli ancora disponeva di enormi poteri. Il Re-stregone, non era stato spodestato e sedeva ancora sul trono. Egli non aveva giocato tutte le sue carte.

Furente balzò in piedi. Gli occhi suoi dardeggiavano d’odio e le tenebre si infittirono attorno alla sua figura che tornò ad essere alta e possente. Con rapido gesto afferrò il bastone magico posato accanto al trono la cui punta s’accese di un pallido biancore.

-Povero sciocco, non riconosci la morte quando la vedi? Sei entrato nei miei domini come sovrano… ne uscirai come spettro ramingo-. La torre allora vibrò sino alle radici, i fuochi si accesero ed urla di terrore si levarono nell’aria tetra e fredda mentre il Potere del Nord veniva scatenato in una sola volta. Il Signore della Fortezza pronunziò stregonerie in lingua ignota al mondo da millenni, ma che empiva i cuori di paura. Eppure Finvara, senza basire, rispose con canti e magie del suo popolo. Invocò la luce e tutte le stelle, ogni astro celeste ed ogni cosa di questo mondo. Chiamò il potere di Eilu e lo esortò in quell’ora buia chiedendogli ausilio e fortezza.

Le tenebre divennero dense come il fumo d’un incendio, ma la luce di Finvara le trapassava con strali dorate e con voce argentina sedava egli il potere del Re-stregone. Ma questi non desisté ed aumentò il suo potere, sicché l’intera torre ne fu scossa e le regioni del nord sconvolte. Le nubi s’ammassarono intorno alla vetta della Fortezza e su tutta Gulduroth schiantando sulle sue aride terre lampi e folgori vermiglie. Il vento si levò a spazzare quelle contrade spoglie, ed ogni sua infima creatura strisciò nelle caverne e nelle profondità nelle quali era stata generata, presa da timore per lo sconquassamento che stava avvenendo ed il potere scatenato.

Nel profondo dell’Abisso, il Signore Oscuro levò gli occhi dardeggianti rivolgendoli alla battaglia, ed attese l’ora in cui si sarebbe levato il vincitore dello scontro. Ma non stette immobile giacché infuse rancore, odio, potenza, terrore e paura nelle magie del suo Servo in modo che questi fosse il vincitore e l’odiato Finvara il perdente. E fu guerra al nord, come non se ne erano mai viste. Né spada né lancia venne mostrata, ne scudo imbracciato a dardo tirato. Alcun guerriero scese in campo, nessun esercito apparve giacché ogni soldato, sia libero che schiavo, aveva combattuto. Quella era non la battaglia degli Uomini, ma delle Razze. Gli Antichi Immortali contro il Potere del Nord e Colui che lo rappresentava. Ed essa fu ben più grande e terribile di qualunque battaglia, tale che persino le montagne del nord gemettero e caracollarono. Molte regioni al nord mutarono forma, così grande fu il potere ivi scatenato.

Il Re-stregone e Finvara si batterono con incanti e negromanzie sotto lo sguardo impotente di Gwathiann. Il giovane principe non giaceva più steso al suolo ma ora stava in piedi, ben saldo sulle gambe forti, attento a seguire lo scontro. La disperazione era svanita dal suo cuore, ma una pesante ansietà era crollata sul suo animo come un macigno. Pregava in quel momento con tutto se stesso che Eilu li soccorresse. “Ora o mai più” disse tra se “oggi deve terminare tutto. Per la pace di Erinn”.

Ma accadde allora che il Potere Oscuro sorse in tutta la sua grandezza calando sulla Fortezza come una nube maligna. Lo Spirito di Ahriman sorse nel Re-stregone ed Egli, al culmine della sua forza, levò il bastone verso l’alto: -Yat ni balam rajahun! Che il Potere regni!-.

Una luce rossa esplose nella sala del trono, le colonne tremarono, il pavimento si crepò ed il portone con un botto ed uno schianto saltò per aria ricadendo al suolo con fragore. Gwathiann venne sbalzato con violenza ed andò a sbattere contro la base d’una delle colonne alla sinistra del trono. Finvara cadde bocconi, la spada gli sfuggì di mano e ricadde accanto a lui inerte mentre la sua armatura lucente si offuscava ed ogni luce veniva spenta.

L’eco di passi echeggiò dolente tra le mura squassate della sala mentre il Signore della Fortezza scendeva i nove gradini che elevavano il suo scranno. La sua figura era divenuta d’un tratto più terribile di prima, se mai ciò potesse essere possibile. Sul suo volto apparve uno sghembo sorriso malvagio mentre i suoi occhi neri luccicavano di fiamma. Aveva vinto ancora, e questa volta sarebbe stato definitivamente.

Piano si avvicinò a Finvara che languiva chino al suolo, lo sguardo vitreo ed il corpo sfiancato. La sua chioma rossa era madida e spenta, la fierezza aveva abbandonato il suo corpo. Era adesso come un verme nel fango, un topo miserabile tra le grinfie vincitrici del gatto famelico.

-Ebbene, sembra ch’io abbia vinto alla fine- sibilò il Re. – il Potere di Ahriman ha sconfitto quello degl’Elfi e, credo, anche quello di Eilu stesso. Non osi più guardarmi con spavalderia n’è vero? Non levi più lo sguardo con fierezza; lo abbassi invece come uno che è caduto da grande altezza ed è piombato nel fango. Io ho vinto… rassegnati a me e perisci- e sollevò allora la spada di Finvara che più non brillava ma pareva morta. La levò sul capo del sovrano e disse –Ecco, con la stessa arma che tu mi hai rivolto contro, ora troverai la morte. Inchinati miserabile davanti al Fato, davanti a me-.

Gwathiann che da lontano osservava, stava rannicchiato e impaurito ai piedi della colonna. Principe dell’est! Cavaliere, sorgi e combatti! gridava il suo cuore, ma egli non lo ascoltava poiché troppa era la paura; pochi istanti prima aveva avvertito dentro di se tutto il potere che il re Finvara stava evocando, e si era sentito forte e capace di affrontare il Re-stregone. Ma quando il Potere del Nord venne scagliato contro il sire elfico abbattendolo, ogni speranza di vittoria lo aveva abbandonato ed egli era caduto nuovamente inginocchio, rifugiandosi codardamente dietro il pilastro. Sebbene il volto del Nemico non era rivolto verso di lui, Gwathiann era incapace a muoversi. Come sperava di sconfiggerlo?

Poi, vedendo il suo signore inerme al suolo qualcosa si risvegliò in lui. –No, non poteva morire così! Egli era il re dell’ovest, antico generale delle truppe di Dana Airlenn. Quella non era la sua ora, non era la fine che un valoroso signore doveva fare; non poteva soccombere come un miserabile. NO!- urlò dentro di lui una voce.

-Sia questo il giorno in cui io, Signore del Nord, vinco!- disse a gran voce il Re-stregone. Si curvò su Finvara sovrastandolo come una nube, i suoi occhi scintillarono e la follia si dipinse sulle labbra con un sorriso. Con un sibilo di vittoria calò la lama.

Un urlo terribile tuonò rimbombando per tutta la sala e la Fortezza. Gwathiann con uno scatto aveva afferrato la sua spada e, con agile balzo, era giunto alle spalle del Re-stregone  colpendolo alla spalla, là dove i tendini possenti si attaccavano alla scapola, lacerando il manto scarlatto e la veste di bisso e seta che subito si tinsero di rosso. La spada di Finvara cadde trillando a terra, ed il Negromante si accasciò barcollante sul suo bastone. Colto alla sprovvista ed infuriato si volse indietro, verso di colui che aveva osato colpirlo.

-Misero vermiciattolo, come hai osato colpirmi alle spalle? Elfo maledetto, a te tocca morir prima del tuo signore dunque- strillò furioso. Levò il braccio, afferrò il collo del giovane elfo e lo sollevò dal suolo fissandolo furioso negl’occhi. In quel momento il cuore di Gwathiann perse un battito; “Ecco, sono finito. Questa è la fine che spetta a chiunque osa contrastare il Re-stregone” si disse, mentre gli occhi si empivano di lacrime. “A nulla è servito il sacrificio di coloro che mi hanno seguito in questa folle impresa… sono uno stolto e merito tutto questo!”.

-Che la tua sfrontatezza divenga il tuo castigo, giovane Elfo. Guardami! Hai l’onore di contemplare il mio volto… il volto della morte!- disse il Re-stregone con follia. Levò la lama e con rapido gesto colpì il ventre del giovane. Un fiotto di sangue ne uscì andando a macchiare il lucido pavimento e l’abito scuro dello stregone.

Gwathiann getto un grido dolente mentre il Negromante, tra risa maligne, lo scagliava lontano da se con ripugnanza.

E quella fu l’ora della vittoria. L’Ombra parve stabilire così il dominio su Erinn, e le nubi coprirono tutta la terra mentre un gelido vento, appestato di morte, spazzava il mondo e la folle risata, vittoriosa, del Re-stregone echeggiava nella torre.

Finvara signore, levò dolente lo sguardo sulla figura maestosa del Re e, con le ultime forse, disse in un sussurro –Oh, grande Eilu, le tenebre hanno vinto… ti prego, per il potere degli Antichi, salvaci!-. In quelle parole tutto il suo animo infuse, il suo potere e la vita stessa, così che giungessero sino al cielo, là dove sedeva il Signore del Mondo. Ed Egli ascoltò quel grido, che in se recava tutte le preghiere dei popoli.

Vi fu un terremoto allora. La luce esplose in seno alla torre, nella sala del trono, ed il Potere del Nord vacillò, gemette e precipitò in pochi istanti. D’improvviso, senza aspettarselo, il Re-stregone si ritrovò privato d’ogni suo potere. Ahriman era fuggito via. Le tenebre si diradarono, il vento cessò di soffiare e le ombre si ritrassero nelle profondità. Il trono si spaccò, le colonne si frantumarono e molte torri della fortezza rovinarono al suolo. Il bastone del Negromante si frantumò in mille pezzi e l’anello scivolò delle sue dita così come tutto il suo immenso potere.

Sorpreso, nella più totale confusione, il Re-stregone indietreggiò urlando, incredulo di fronte a ciò che stava verificandosi. Innanzi alla luce che adesso splendeva fervida come il sole, Egli si sentì misero ed impotente, un re senza corona. La paura allora sorse in lui, che tremò, certo che la fine era adesso giunta.

E nell’aria parvero risonare le parole di Hunduval Belegor, il mago corrotto. “Ciò che ha un inizio ha anche una fine… la tua avidità porta in seno la disfatta; con le tue mani apri la porta alla distruzione!”.

-NO!- gridò impazzito Eorwin, figlio di re Fèlarfen, Re-stregone e Signore del Nord. Tutto era finito. Egli stesso aveva segnato il suo destino, lo stesso giorno nel quale ne aveva stabilito il principio. Con suo pugno aveva firmato la propria condanna, e adesso giungeva l’ora di pagare.

-Questa è la conclusione-.

Il Re-stregone si volse, fissando truce Fionvara che, con fierezza, puntava sul suo viso la lama della spada. -Rassegnati, e cedi il passo. Le tue tenebre e la tirannia del nord sono finite!-.

E fu allora che, con gran fracasso ed un acceso vociferare, preoccupato e stupito al tempo, Huor Generale del Consiglio Bianco, irruppe nella torre, seguitato da una schiera di soldati dalle armature scintillanti. Sul volto del comandante spiccava un sorriso vincitore.

Fattosi vicino, contemplò con la sua sfacciata arroganza il Signore della Fortezza, sfidandone lo sguardo. Il riso si allungò sulle labbra e gli occhi brillarono di sadica rivincita, lasciando intuire a chi possedeva lungimiranza, cosa sarebbe accaduto di lì in avanti.

-Ecco il miserabile- disse. –Colui che costrinse per anni tutto il mio popolo in schiavitù-. E detto ciò sputò ai piedi dello stregone. –Mio signore- disse rivolgendosi a Finavara. –Permettete a noi di prendere questo miserabile, a noi l’onere della vendetta-.

Ma Finvara replicò, leggendo il suo sguardo: -Non cedere al desiderio di vendetta, Huor figlio di Hurin. Ella non può che dare frutti velenosi-.

Ma Huor non lo ascoltò, avanzando nuovamente la richiesta di vendetta.

-A noi spetta di diritto condannare il tiranno. Più di tutti il mio popolo ha sofferto; questa è l’ora di pagarne il debito-.

-Fa come vuoi- disse Finvara, comprendendo che nulla mai avrebbe convinto il generale nel desistere dal suo intento e conoscendone bene il cuore. –Sia tuttavia eseguita in fretta la sentenza, in modo che non gli si lasci la possibilità di insorgere-.

-So già quel che va fatto!- rispose Huor contrariato, ed afferrate delle catene, con mal garbo cinse i polsi ed i piedi del Re-stregone. Ne tappò la bocca con un bavaglio, chiuse il suo collo in un giogo e con varie catene, spesse come dita, lo legò dimodoché Egli non potesse sfuggire. Poi lo affidò ai suoi soldati. –Conducetelo fuori, alla vista degli eserciti. Sia lui ad essere umiliato adesso!- ed aggiunse. –Date fuoco alla torre. Che non resti in piedi pietra su pietra!-. ed essi eseguirono.

E fu quello il giorno più noto in tutti i secoli a venire, ricordato come La Battaglia del Potere, poiché mai si videro poteri sì grandi in tutta Erinn, sino al giorno della battaglia finale contro le Tenebre.

In quell’ora tutto il mondo fu liberato dall’ombre della morte, dalla paura e dall’oppressione. E sorsero canti di letizia nelle campagne, ed in ogni villaggio, città e paese degli Uomini, vi fu festa poiché il Re-stregone era stato abbattuto per sempre. Anche nella Capitale vennero organizzati festeggiamenti la cui grandezza viene rammentata tutt’oggi. Diedero fondo a tutte le provviste di cibi e bevande che possedevano, il vino scorse a fiumi ed ogni giullare e menestrello cantò la gloria di quel momento.

Solo nelle case degli Elfi non vi furono né feste né canti, poiché essi conoscevano bene la natura delle cose ed i futuri avvenimenti. Sentivano in cuor loro che le tenebre non si erano davvero arrestate, ma tramavano nell’ombra una vendetta tremenda, e come era stato per il Re-stregone, anche per gli uomini che cantavano vittoria, afferrati orami dal solo desiderio di vendetta, tale trionfo si sarebbe rivolto loro contro.    

Finvara pensò tutte queste cose nel suo cuore e mentre i soldati conducevano via il Negromante, si avvicinò con passo tremante a Gwathiann steso scompostamente più in là. E non vedendolo muoversi temette il peggio. In quel momento il suo animo già provato si empì di amarezza ed una morsa ne afferrò l’animo; un eroe, un principe della sua razza era caduto. Sebbene quella fosse stata una grande vittoria per la razza Umana, per il suo popolo non era che la conclusione di un ennesimo scontro, il frutto amaro del sangue degli Elfi.

Si chinò con sguardo vitreo sul corpo immoto del principe. Sul folto del re povano leggersi solo dolore e costernazione e rimase immobile per un attimo a fissarlo.

I capelli dorati dell’Elfo era sporchi e luridi di sangue e fango, l’armatura macchiata e spenta. Il pallore del suo viso non parve lasciare dubbi: era morto. Avvicinò tremante una mano, ne accarezzò una guancia e scoppiò in pianto. Era freddo come la morte.

Con mano tremante afferrò quella del principe e la strinse mormorando: -Gloria e onore a te Gwathiann figlio di Induion, principe del nord e cavaliere del Sole nascente. Malvagia fu la mano che ti uccise, elfica la lama. Riposa in pace tra i nostri antenati, là dove la luce di Eilu regna e splende imperitura, e le tenebre non trovano posto. Riposa e vivi la seconda vita-.

E fu allora che i suoi acuti occhi videro un movimento delle palpebre, lieve ed impercettibile ma reale. Rapido come la folgore Finvara estrasse il pugnale legato alla sua cintura, accostò la lama alle labbra di Gwathiann e meraviglia! La lama si appannò. Il principe del nord era dunque vivo, ferito, forse in fin di vita, ma viveva ancora.

Con gioia grande si alzò di scatto e a gran voce chiamò a se i soldati, in cerca di aiuto.

-Aiuto uomini del nord, mi occorre aiuto. Il principe non è morto ma giace ferito. Un medico! Chiamatemi un medico o un mago!- sollevato con delicatezza estrema il corpo del giovane Elfo, corse fuori dalla torre, dove ora il sole brillava solenne nel cielo, re vittorioso sembrava cantare a gloria della luce che, ancora una volta, aveva trionfato sul gelido buio della morte e delle tenebre.

 

 

 

Dopo la cattura, il Re-stregone venne esposto ai popoli liberi i quali non poterono provare che orrore, sdegno e rabbia nei confronti di colui che da eroe del mondo ne era divenuto il Tiranno e peggiore tra le minacce. Eorwin, un tempo detto “il magnifico”, fu canzonato, deriso ed insultato da coloro che lo avevano vinto. Il Consiglio lo condannò a morte, benché molti elfi, sollecitati dalle parole di Finvara, si opposero a tale sentenza, proponendo tosto l’esilio e la carcerazione nella torre dei ghiacci, dalla quale si narrava nessuno potesse uscire indenne. Ma tanto fu l’odio degli Uomini che a nulla valsero le parole dei Luminosi, e al fine, il Re-stregone fu consegnato nelle mani di colui che più di tutti desiderava vendicarsi: Huor.

Egli lo condusse nella sua città natale, a nord dei Monti Blu, ed ivi lo sottopose a torture strazianti dicendo che solo così egli avrebbe potuto ripagare tutte le sofferenze che aveva inflitto al popolo del nord. Per timore che il Negromante potesse esercitare ancora potere sulla gente, gli fece cucire gli occhi con filo metallico, ne lacerò le vesti esponendolo nudo alla derisione del popolo, e lo sottopose ad innumerevoli supplizi. E dopo un mese di torture, lo condannò a morire sul rogo, arso vivo. Per l’occasione venne montato un’enorme pira in cima alla collina sovrastante il villaggio, dentro le rovine di un antico tempio. Si dice che mai fu visto da quelle parti un simile rogo, talmente grande da poter essere facilmente visto da diversi chilometri di distanza.

Il giorno prescelto, il tredicesimo giorno del mese quarto dopo la caduta della Tirannide, il Re-stregone fu condotto al patibolo, per essere in fine giustiziato.

E mentre lo conducevano alla pira, d’innanzi a tutto il popolo radunato, il Re-stregone disse ciò: -Di onta mi hai empito, Huor figlio di Hurin. Non tua è stato la vittoria, ma di altri, eppure ne hai rubato il merito come un vile ladro quale sei. Nessun merito per te, nessun merito per te! lucente era la tua armatura quando mi catturasti, alcuna goccia di sangue l’aveva macchiata, ciò perché non un nemico hai abbattuto. Vile e sporco ladro. Tu ora mi condanni, ma non sei migliore di me. Nella tua stoltezza hai chiuso gli occhi, la bramosia della vendetta ti ha reso cieco; dovevi ascoltare coloro che sono più saggi di te… ma ora è tardi per rimediare. E ti dico, ora che la mia vita sta per concludersi ai vostri occhi: non oggi io morrò! Non saranno misere fiamme a distruggermi! Ahriman le comanda, ed egli salverà il suo servo dalla rovina, lo ha giurato egli stesso. E come sarò sciolto da queste catene, io arriverò e la mia vendetta calerà su te e su tutta la tua dinastia. Non avrò pace sino a che l’ultimo dei tuoi discendenti non macchierà la mia lama del suo sangue. Morte a voi tutti! Oggi stesso perderete ciò che avete di più caro! Morte! Morte! Morte!-.

E fragorosa come quella di un drago fu la risata del Negromante, tanto crudele da far rizzare i peli in testa ai presenti e raggelar loro il cuore.

Huor, all’udire ciò, si accese di rabbia maggiore e senza indugiare oltre, con malagrazia, afferrò il Re-stregone per le corde, lo strinse all’asse della pira e con risa di scherno accese il fuoco. e le fiamme si levarono alte nel cielo divorando immantinente il patibolo avvolgendo la maestosa figura del Re-stregone che, contrariamente al volere di Huor, nemmeno dopo le torture e le umiliazioni subite perse la sua maestà e possanza. E tra le fiamme sorse non un grido ma una risata di sdegno e divertimento, quasi il Negromante deridesse la stoltezza di coloro che lo avevano condannato, certo che le sue parole avrebbero trovato presto compimento.

Per tre giorni e due notti il rogo arse, senza sosta, quasi che il fuoco stentasse a spegnersi ed il legno a consumarsi. E, al sopraggiungere della terza notte, mentre al villaggio i festeggiamenti per la vittoria continuavano imperterriti, lo stesso giorno in cui Huor venne eletto signore del suo villaggio e di tutte le terre circostanti, un vento si levò dal nord, gelido e possente. Ed egli sospinse le fiamme che subito accesero l’intera campagna, poiché l’era era divenuta secca per la calura di quei giorni. In breve tempo l’incendio raggiunse immani proporzioni e scese con rapidità impressionante la china del colle arrivando al villaggio. Scoppiò così un grande incendio e molte case furono distrutte. I figli ed i giovani del villaggio quella sera di festa s’erano radunati tutti nella piazza ai piedi del colle ove Huor teneva il suo discorso e non vedendo arrivare le fiamme, non ebbero il tempo di fuggire. Quella notte il paese pianse i suoi figli, e moti si batterono il petto e caddero bocconi a terra gemendo disperati, sapendo che quella era la vendetta dello stregone re. Anche Huor perì tra le fiamme, tentando di salvare alcuni giovani. E si narra che mentre le fiamme si levavano sin quasi a lambire il cielo notturno, tra le urla, si udì nel vento la risata del Negromante che vittorioso dall’aldilà contemplava l’avverarsi della sua maledizione.           

Spento che fu l’incendio, alcuni abitanti del villaggio, i più temerari, corsero sul colle in cerca dei resti del Re-stregone, con l’intenzione di distruggerli e spargerne le polveri lontano in modo da allontanarne la malia. Ma come giunsero sul luogo, non trovarono che il rogo spento, intatto come il giorno in cui l’avevano costruito. Del corpo del Negromante non vi fu traccia.

Fu così che, da quel momento, proprio come avevano temuto i saggi Elfi, ebbero vita i cinque cavalieri neri, i Non-Morti, spiriti errabondi soggiogati al potere di Ahriman spirito del male, ed il loro capo divenne da quel momento, come lo era stato in vita, colui che venne chiamato il Negromante, l’Innominabile, l’antico Re-stregone. Ed egli un giorno trovò la fine, in un campo di battaglia, il giorno in cui Ahriman stesso cadde… ma questa è un’altra storia…

 

     

       

      

  

 

          

 

   
 
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