08/11/2013
5 recensioniTuché.
Il Sole non era ancora sorto su Atene, ma la luce dell’Aurora lasciava già distinguere i contorni delle cose dal nero della Notte.Mentre l’esercito sfilava fiero davanti alla porta della mia casa, cercavo disperatamente un soldato dai capelli ricci, gli occhi verdi e due fossette ai lati della bocca.
Mi aveva giurato su Marte che sarebbe tornato dalla guerra e che mi avrebbe preso come sua legittima sposa; chissà se il Fato ci sarebbe stato propizio. Non ero una giovincella stupida, che crede alle promesse degli innamorati, no… sapevo perfettamente che la guerra non è uno scherzo. In guerra si muore, come mio padre.
Passò davanti a me, rivolgendomi uno sguardo pieno d’amore, uno sguardo d’addio. Aveva paura il mio soldato, lo capivo; sperai con tutta me stessa di poterlo veder tornare un giorno al tramonto, con l’armatura insanguinata, la pelle bianca coperta dai graffi, i riccioli incrostati del sangue del nemico, gli occhi verdi scintillanti come i prati in primavera e le sue labbra carnose pronte per baciare le mie.
Ricambiai il suo sguardo con gli occhi già umidi.
Passò oltre ed andò incontro al suo destino.
Rientrai in casa e pensai alla proposta di mia madre: sposare Pericle, un ragazzo destinato a fare grandi cose. Chi era quel povero soldato in confronto? Nessuno.
Ma quei suoi occhi, quella sua voce cavernosa e sensuale… ormai Eros aveva scoccato la sua freccia contro di me.
Chi ero io per andare contro il volere degli dei? Nessuno.
Spazio autrice: una cavolata, scritta in cinque minuti, in una notte insonne.