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Autore: mairileni    10/11/2013    5 recensioni
Chi diceva di sapere, chi diceva di aver visto.
Le vittime ora erano quattro, le indagini andavano male, la gente cominciava a mormorare.
Lo chiamavano Jack.
Jack lo Squartatore.
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy, Tom Kirk
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Ciao, EFP! (*o*)/
 
Come state? ♥♥♥
Alors, non so bene da cosa nasca questa one-shot, so solo che mi ha sempre affascinato l’argomento, e quindi, niente. Ecco qui ^_^
Perdonatemi se l’ho prima pubblicata, poi cancellata, ma c’era un grosso errore all’inizio, quindi mi scuso con l’autrice che ho “superato” nella pagina, leggete la sua storia! Cooomunque, mi sono divertita da morire a scriverla e mi ci sono impegnata molto, quindi spero vi piaccia. Sarà una one-shot un po’ lunga, ma non potevo fare altrimenti, anche perché ho un’altra storia in corso – non mi sono dimenticata, per vostra sfortuna *ride*! A proposito per chi segue “The Dramatist”, dopo questa breve interruzione l’aggiornamento tornerà ad essere regolare.
 
Mi scuso già in anticipo se ci saranno degli errori dal punto di vista storico dei fatti, ho fatto molte ricerche ma potrei anche aver commesso qualche sbaglio.
Vorrei ringraziare i recensori di The Dramatist, perché nonostante io sia stata assente per un (bel) po’ dal sito sono comunque tantissime! Un grazie particolare a Wellesandra (e non Wallesandra, perdono (||| • _•)!), che ha voluto recensire i capitoli di una mia vecchia long uno a uno, nonostante la storia fosse già stata conclusa. Recensori così sono il sogno di ogni autrice. In più, grazie a te, mia Wellsie, la storia è adesso prima nella classifica del maggior numero di recensioni positive per capitolo! Io… asdfghjkl. Grazie. Cercherò di risponderti quanto prima! <3
 
DISCLAIMER: il seguente scritto non ha pretese di verità né sui personaggi realmente esistenti, né sugli argomenti, né sulle situazioni di cui tratta. Non scrivo a scopo di lucro e i Muse non mi appartengono.
 
Mamma mia, che disclaimer serioso *_*
 
Buona lettura, musers! Ci vediamo giù! (*v*)/ ♥♥♥


pwo_
 
 
 
 
 
 
 
 
 

FROM HELL

 
 
 
 
1
 
 
 
ERA il 30 di agosto del 1888, Matthew James Bellamy stava sul divano di casa sua, a Londra, numero 4 di Greenfiel Street. Fumava da una lunga pipa di legno scuro, le gambe distese e incrociate, l’odore antico della stoffa a cullarlo. L’autunno era iniziato presto, quell’anno, e già era gelido, pensava, concedendosi una lunga boccata — di tanto in tanto gli occhi scattavano in alto per controllare quella crepa sul soffitto. Una crepa enorme, che minacciava di fargli crollare la casa addosso da un momento all'altro — minacciava, minacciava, ma non lo faceva mai.
Un anno vuoto, quel 1888.
 
 
Era capitato più volte che Matthew pensasse seriamente di lasciare il suo lavoro di investigatore a Scotland Yard, un po’ per la stupidità di certi elementi con cui era costretto a rapportarsi in centrale, un po’ perché fare l'investigatore sembrava un lavoro molto più affascinante quando fantasticava a riguardo, da bambino.
Tirò ancora dalla pipa – gli piaceva la pipa, perché dentro, oltre al tabacco, potevi metterci un sacco di altre cose più divertenti.
Oh, sì, era stufo di lavorare a casi insulsi, di ritrovarsi in ufficio a bere il tè fissando il vuoto, di “no, signora, non è traffico illecito di suppellettili, è un trasloco”.
Oh, sì.
 
 
Non avrebbe mai lasciato quel lavoro, risolse infine, come ogni volta. Per niente al mondo.
Doveva solo aspettare la sua occasione, così sarebbe stato promosso e poi... be’, e poi avrebbe comandato lui. E quando sei tu a comandare, allora è una pacchia.
La luce del sole comparve quasi all'improvviso, rischiarando la stanza con la sua luce grigia e tremendamente londinese.
 
 
 
Dio, è già mattino.
 
 
 
Un’altra notte in bianco.
Passarono solo pochi minuti — o forse ore, ma non hai grande cognizione del tempo quando hai passato tutta la notte sveglio a fumare e in corpo hai più catrame che sangue —, e qualcuno bussò alla porta.
 
 
 
«Chi è?»
 
«Matthew, siete in casa? Sono io, Dominic!»
 
 
Era la voce acuta di Dominic James Howard, il suo collaboratore e unico amico da poter essere definito tale, assieme al suo medico, Christopher Wolstenholme. Un ragazzo per bene, di buona famiglia, entrato in polizia solo grazie una catena di parentele. “Il raccomandato”, lo chiamava Matthew — ma lo faceva con affetto, perché in fondo quell’Howard si dava anche molto da fare, e dopo tanto anni di servizio aveva anche acquisito una certa capacità, nel suo lavoro.
 
 
 
«Oh, Dominic! Entrate, entrate!»
 
 
 
Dominic abbassò la maniglia, la porta d’ingresso di casa Bellamy si aprì senza opporre altra resistenza se non quella delle assi del parquet, che per l’umidità si erano gonfiate – la porta strisciò contro di esse. Trovò l’amico sul suo divano, immerso nella nube di fumo provocata dalla pipa.
 


«Matthew, la vostra porta era aperta!»
 
«Buongiorno, amico mio. Sì, dite bene, la mia porta era aperta! Perché tanto stupore?»
 
 
 
Matthew James Bellamy non era mai stato un grande filantropo, né seguiva regolarmente l’etichetta – la conosceva bene, l’etichetta, ma era troppo pigro per vivere secondo i dogmi che essa dettava, come invece andava di gran moda fare nell’entourage della borghesia inglese di quel periodo. Fu per questo che non si scomodò ad abbandonare la sua comoda posizione sdraiata per accogliere l’amico (a dire il vero, non girò nemmeno la testa per permettergli di entrare nel suo campo visivo; aspettò che fosse lui a farlo). Howard a questo era abituato, e si piazzò su una sedia nell’angolo della sala, per riprendere fiato.
L’aria di Londra è gelida, e quando corri e hai il fiatone ti entra nei polmoni come un pugno, e non c’è 30 agosto che tenga.
Era iniziato presto, l’autunno.
 
 
 
«Non temete che qualche malintenzionato possa entrarvi in casa?» chiese, allentando l’abbraccio della sciarpa sul collo.
 
Bellamy si ruppe in una breve risata. «Oh, Dominic, vi sfido a trovare qualche ladro interessato a commettere reato in casa mia – prendete fiato, prendete fiato, avete corso, non è vero?» Fece una pausa per tirare dalla sua pipa. «E poi, male che vada, se mai venisse un ladro potrebbe rubarmi solo quelle stampe che tengo nell’ingresso, e a quel punto mi risparmierebbe un lungo viaggio per il robivecchi! E poi, ho perso le chiavi, e tuttora non saprei dirvi dove le ho cacciate.»
 
«E non… non potete farvene fare di nuove?»
 
«Se non ho voglia di andare al robivecchi secondo voi potrei mai avere voglia di arrivare fino al ferramenta?»
 
«Oh, già… sentite…»
 
«Qual buon vento vi porta qui?»
 
«Per l’appunto. Odio dovervi disturbare a quest’ora del mattino, ma… c’è stato un…»
 
«Non accetterò altri casi noiosi, Dominic, sia chiaro. Ho chiuso con i casi noiosi.»
 
«Non è un caso noioso, Matthew, non questa volta. Si tratta di un omicidio.»
 
 
 
Matthew scattò a sedere, gli occhi che brillavano.
 
 
 
«Un… un omicidio, dite?»
 
«Un omicidio.»
 
«Ha! Ma è grandioso, amico mio!» Scattò immediatamente in piedi, strinse con le mani le spalle gracili dell’amico. «Un omicidio! E dove, ditemi, dove?»
 
«Immaginavo che avreste reagito così. Si tratta di una donna, una prostituta. In Buck’s Row, vicino al cortile del circolo de-»
 
«Degli ebrei! Chiaro! Chiaro, chiarissimo!» Prese il suo cappotto dall’attaccapanni, si avvolse nella prima sciarpa che gli capitò a tiro. «Che aspettate, amico mio? Portatemi da lei!»
 
 
 
Questi annuì, l’aria ancora stravolta, il fiatone, seppur leggero, ancora chiaramente udibile. Si alzò dal suo sgabello, seguì l’amico fuori dall’appartamento.
 
 
 
«Quindi accetterete il caso» constatò Howard, mentre correvano per le scale.
 
«Diamine se lo accetterò!»
 
«Grazie a Dio.»
 
«Macché grazie a Dio, Howard! Grazie a voi! E muovetevi, per carità, che i cadaveri marciscono!»
 
 
 
Howard lasciò correre quella considerazione macabra e dissacrante, scosse la testa e sorrise.
 
 
 
 
 
 
2
 
 
 
ARRIVARONO in Buck’s Row alle dieci meno dieci.
 
 
Si fece loro incontro Leroy Becker, il medico legale di Scotland Yard, un quarantenne pacato con la capacità di infondere una grande serenità nel prossimo, la parlata lenta e cadenzata. Un uomo simpatico e affabile, uno dei pochi uomini di Scotland Yard che, secondo Bellamy, non meritavano di essere impiccati e poi gettati in una fossa comune.
Decisamente, Matthew James Bellamy non era un filantropo.
 
 
In una pozza di sangue giaceva il corpo di una donna sui quaranta, l’acconciatura semiraccolta, i boccoli tinti di un arancione che un tempo doveva essere stato acceso.
Le puttane si tingono i capelli.
Il viso, le braccia e le gambe erano le uniche parti vagamente identificabili del suo corpo, dal seno in giù un groviglio di interiora e sangue.
Edward Carlile, un ragazzino dei poco più di vent’anni che solitamente lavorava in ufficio, arrivò in quel momento, il cappotto elegante e i capelli in piega. Vide il cadavere e si allontanò, pallido in volto.
Poco dopo lo intravidero mentre vomitava contro un muro, e “chi l’ha fatto venire?”, volle sapere Bellamy, accucciandosi vicino al corpo, e “io gliel’avevo detto di non venire”, fece Howard.
 
 
 
«Questo è ciò che resta di Mary Ann Nichols – dovrebbe essere questo il nome della donna –, quarantatre anni, una prostituta veterana di Whitechapel. L’ha ritrovata un cocchiere, e l’ha riconosciuta subito.»
 
«Avete già parlato con lui?»
 
«Sì, è ancora sotto shock, ma è un uomo di quasi settant’anni, non pensò che il signor Bend avrà il cattivo gusto di sospettare di lui per un omicidio così brutale.»
 
«Troppa forza, troppa forza.»
 
«Esattamente.»
 
«Cos’altro avete trovato, di interessante?»  chiese Bellamy, senza distogliere l’attenzione dal corpo.
 
«Poco» rispose Becker. «Qualche scheggia di vetro – poca roba –, un fermacapelli rotto, una barretta di metallo... nient’altro, se la memoria non mi inganna. I polsi, come vedete, sono segnati di rosso, come fossero stati legati, dal tipo di segni dedurrei da una piccola catena. Il naso è rotto. A prima vista oserei dirvi che la vittima è stata prima sgozzata e poi sventrata. I tagli sul ventre sono precisi. Cercate un medico, un macellaio, o un veterinario.»
 
Bellamy non commentò, continuò a frugare tra i risvolti degli abiti della vittima per qualche secondo. «Trovati» esclamò infine.
 
«Cosa avete trovato, Matthew?»
 
 
 
Bellamy sventolò trionfante un piccolo sacchettino di pelle chiuso da uno spago, dopodiché fece tintinnare le poche monete che erano al suo interno.
 
 
 
«Non le sono stati rubati i soldi» disse, tra sé e sé. «Signori, ci troviamo di fronte a un assassino seriale!» notificò, teatralmente.
 
«Un… assassino seriale?» chiese titubante il vecchio medico.
 
«Un assassino seriale, dite bene!»
 
«Come…?»
 
«Qual è la cosa più evidente che avete notato, signor Becker?»
 
«Be’, direi… i segni sui polsi?»
 
«Più grande, signor Becker!»
 
«Il naso rotto?»
 
«E andiamo, signor Becker! Cosa manca a questa donna?»
 
«Be’… è stata effettuata una…»
 
«Una?» incalzò Bellamy, un sorrisino eccitato in volto.
 
«Una completa asportazione dell’utero.»
 
«Santo cielo» sfiatò Howard.
 
«Ma… che nesso c’è tra questo fatto e la vostra affermazione?»
 
«Signor Becker» cominciò, sorridendo verso di lui, «Dominic» aggiunse, rivolgendosi a Howard. «Quello con cui avremo a che fare è un freddo assassino seriale, e! un macabro collezionista.»
 
 
 
Vi fu qualche secondo di silenzio, che fu interrotto dalla voce tesa di Howard.
 
 
 
«Perché non un cliente insoddisfatto, un maniaco sessuale o un qualche personaggio con un nome da difendere?»
 
«Un maniaco sessuale? Questa donna non è stata stuprata, Dominic, che senso avrebbe violentare una donna, poi rivestirla, poi ucciderla?»
 
«Un pazzo! Un pazzo lo farebbe!»
 
«Stiamo parlando di rimozione dell’utero, amico mio. Non è qualcosa alla portata di tutti. E… un personaggio importante, avete detto? Con una prostituta di Whitechapel? Ci troviamo nel quartiere più squallido di Londra, Dominic, i personaggi con un nome da difendere, come li chiamate voi, non sanno nemmeno cosa sia, Whitechapel. E be’, un cliente insoddisfatto… mi riporta a ciò che vi ho appena detto. Un cliente insoddisfatto e in grado di effettuare questo genere di operazione? Macellai, veterinari, medici… sono tutti troppo, troppo per un quartiere come questo, Per una prostituta come questa.»
 
«Non saprei, Matthew» s’intromise Becker, scuotendo la testa. «Ciò che dite non fa una piega, ma…»
 
«Mi darete ragione alla prossima vittima, signor Becker. Abbiate fiducia in me.»
 
«Spero che non ci sia, una prossima vittima. E di fiducia ne ho già moltissima, voi lo sapete.»
 
 
 
Bellamy fremeva, scalpitava, si sentiva pieno di energia.
Un assassino, gente, un assassino seriale!
 
 
 
«Fatto sta che per prima cosa dovrò svolgere un’autopsia ben fatta sul corpo» fece ancora Becker. «Vi informerò non appena saprò qualcosa di più. Ma dirò nuovamente ciò che ho già detto: la precisione nell’operazione effettuata dall’assassino non è comune. Cercate un veterinario, un medico, o un macellaio, anche.»
 
 
 
Gente, gente, gente!
 
 
 
«Sarà fatto» trillò Bellamy. «Quell’altro ha finito di vomitare, Dominic?»
 
Howard allungò il collo oltre all’angolo della via. «Pare di sì.»
 
 
 
«Bene. Bene. Benissimo» sussurrò Bellamy, e accese ancora la sua pipa.
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
«TRENTA ore di veglia, dite?»
 
«Trenta ore e ventidue minuti.»
 
«Trenta ore e ventidue minuti, sì.» Il dottor Christopher Anthony Wolstenholme si grattò la testa, perplesso. «Matthew, temo che la vostra insonnia sia peggiorata ulteriormente.»
 
«Mh. Immaginavo.»
 
 
 
Bellamy fece dondolare i piedi dal letto su cui era seduto. Christopher Wolstenholme era sempre stato un suo caro amico, fin dall’infanzia, e lui si recava sempre lì, nel suo studio medico, per ricevere qualche consiglio obiettivo per risolvere la sua grave forma di insonnia.
E con “si recava sempre lì” si intende sempre.
Sempre.
Matthew James Bellamy era ipocondriaco, ed era sempre lì.
Sempre.
 
 
 
«Vedete, Matthew, troppe ore di veglia potrebbero provocarvi spiacevoli effetti indesiderati… intendo dire…» Prese a cercare qualcosa nel mobile antistante il lettino. «Allucinazioni, nausea, vomito… morte, nei casi peggiori. Del resto trenta ore di… intendo dire, trenta ore e ventidue minuti di veglia…»
 
«Trenta ore e ventisei minuti.»
 
«Ventisei, certo.» Sospirò. «Sapete, alcuni miei colleghi tentano di curare l’insonnia attraverso sedute ipnotiche, o tisane dai presunti effetti miracolosi. Non fatevi ingannare da quegli avvoltoi, amico mio.»
 
«Non c’è pericolo.»
 
«Ne sono certo.»
 
«Aggiungete degli infusi di valeriana a ciò che già prendete. Siete stanco, il vostro corpo cederà a breve. Non è risolutivo, ma vi aiuterà a rilassarvi più velocemente.»
 
 
 
Vi fu una breve pausa in cui nessuno parlava, e il grosso orologio a pendolo che Wolstenhome teneva in studio, accanto alla sua scrivania, segnò ufficialmente il ventottesimo minuto della trentesima ora di veglia di Bellamy.
Ma lui aveva altro a cui pensare, stava lavorando ad un caso, aveva un assassino seriale, a cui pensare. E un macabro collezionista.
Gente, gente, gente!
 
 
 
«Potrebbe dipendere anche dallo stress apportatovi da questo caso scottante, amico mio, non vi biasimo. Mia moglie non esce più di casa, io stesso ho categoricamente vietato a mia madre di uscire per andare ai suoi circoli, la sera.»
 
«Fate bene, Christopher. Ammetto di non aver mai avuto a che fare con un caso tanto macabro e interessante al tempo stesso. E non vi nascondo che se riuscissi anche solo a riposarmi per cinque ore, avrei anche la mente più lucida per affrontarlo.»
 
«Provate con ciò che vi ho dato. Male non può farvi, e nel caso nemmeno questo fosse il rimedio adatto a voi, ho già qualcos’altro che potrebbe fare più al caso vostro.»
 
 
 
Si salutarono, Bellamy ringraziò, e Wolstenholme fu solo “non c’è di che” e “spero che migliorerete”. Quando Bellamy tornò a casa era già abbondantemente in corso la sua trentunesima ora di veglia.
 
 
 
4
 
 
 
COME Bellamy aveva sagacemente previsto, a Mary Ann Nichols, prima vittima, seguì Annie Chapman, sua amica e… collega. La trovarono al 29 di Hanbury Street.
Ancora il quartiere di Whitechapel, ancora la pelle bianca del collo tranciata da una lama poco affilata, ancora il ventre aperto da una lama, al contrario, affilatissima.
Bellamy aveva già il suo primo sospettato – ci metteva attenzione, lui, a sceglierli. Thomas Kirk, macellaio di Whitechapel il cui negozio si trovava, guarda te alle volte la fatalità, a metà strada tra i luoghi di ritrovamento delle due vittime. Lo avrebbero interrogato, lui e Howard, che tuttavia non era della stessa idea dell’amico; “un macellaio che sappia tagliare la carne non è necessariamente capace di rimuovere chirurgicamente un organo dal ventre di una donna”, aveva detto, e Bellamy aveva risposto che “in una macelleria non noteresti mai la presenza, tra interiora di ogni genere, di un organo umano”. Lui non aveva saputo rispondere – “già”, aveva solo detto.
Erano arrivati, ormai.
 
 
 
«Osservate le carni, Dominic» sussurrò Bellamy, prima di entrare nella bottega di Thomas Kirk.
 
 
 
Entrarono prima ancora che Howard potesse anche solo pensare ad una risposta; Bellamy fece qualche domanda al macellaio, ma mantenne un profilo basso. Veleggiava da un estremo all’altro del vecchio banco, ascoltava pazientemente le risposte che si sentiva dare.
Ormai era convinto di essere sulla pista giusta, camminava piano e il rumore dei suoi tacchi sulle assi del pavimento era ritmato e regolare.
Siamo vicinissimi al nostro uomo.
Gente, gente, gente!
Howard restava in disparte. Osservava le carni, osservava le carni e non notava nulla di strano. Inizialmente pensò che forse il suo amico sospettava di una strana forma di cannibalismo, e inorridì.
Ma l’unica cosa che veniva asportata nelle donne era l’utero, che senso avrebbe avuto?
Continuava a non capire.
 
 
Bellamy, evidentemente, aveva concluso. Ringraziò, uscì, Howard lo seguì a ruota, cercando di riflettere ancora più velocemente di prima. Non ne veniva a capo, ma sapeva che sarebbe stato interrogato a riguardo, e anche nel giro di pochi secondi.
 
 
 
«Allora, avete notato nulla?» chiese appunto Bellamy, non appena ebbero voltato l’angolo.
 
«Sinceramente…»
 
«Ho capito. Ve lo spiegherò io in due parole; vi ricorderete che le nostre vittime, finora, hanno alcuni fattori che le accomunano. Naso rotto, completa asportazione dell’utero, gola tagliata fino alle vertebre del collo… e segni rossi. Vero, che abbiamo anche notato dei segni rossi sui polsi?»
 
«Mh, sì, il dottor Becker ha detto che potrebbero essere dovuti a delle sottili catene con cui l’assassino avrebbe legato loro le mani.»
 
«Esattamente. E che tipo di catene usa il signor Kirk per tenere le carni appese al soffitto?»
 
«Delle cat…» Si voltò verso Bellamy, sbalordito. «Non posso crederci! Come ho fatto a non accorgermene?»
 
«Non rimproveratevi troppo! Questo caso vi sta mettendo addosso più stress del dovuto, e lo capisco.»
 
«D-dobbiamo trovare il modo di ottenere un mandato d’arresto!»
 
«Purtroppo non ha precedenti, e il suo alibi è inattaccabile. Se davvero è lui il nostro uomo, ci sta fregando alla grande! E in più c’è un’altra cosa che non mi convince.»
 
«Sarebbe?»
 
«Thomas Kirk è mancino.»
 
«Ma il nostro assassino è mancino! I tagli sono molto più profondi nella parte sinistra del collo delle vittime!»
 
«Idiozie, Dominic, l’assassino attacca le sue vittime da dietro. Il taglio» mimò la cosa con le braccia, lentamente, «il taglio, dico, è stato praticato da dietro; l’assassino salta loro addosso, le vittime cadono in avanti sotto il suo peso e si rompono il naso. Perché altrimenti, avrebbero tutte il naso rotto?»
 
«Be’, potrebbe averle picchiate, e…»
 
«Oh,  Dominic. Voi avete preso un abbaglio. Che senso avrebbe sgozzare e sventrare una donna e poi… prenderla a pugni sul naso?»
 
«Come ho già detto, un pazzo lo farebbe.»
 
«No, Howard. Al nostro uomo piacciono le lame.» Pausa. «Le lame» ripeté tra sé e sé, a bassa voce.
 
 
 
Gente, gente, gente!
 
 
 
 
 
 
5
 
 
 
L'INSONNIA di Matthew peggiorava. Kirk era inattaccabile — alibi, testimoni, mancanza di prove e precedenti. Nella settimana successiva era arrivato alle quarantadue ore di veglia, dopodiché era svenuto, ma grazie al cielo la cosa era successa nello studio di Christopher Wolstenholme, con cui passava ormai più ore che con le sue stesse pareti di casa.
 
 
 
«Avete comprato gli occhiali nuovi, Christopher.»
 
«Già.»
 
«Sono molto eleganti, sapete?»
 
 
 
Ormai non ne parlavano nemmeno più.
Bellamy si sentiva spacciato, la cura non si trovava, l’assassino non si trovava. Passava le giornate a studiare nomi su nomi, a cercare di intrecciare fatti e dedurre conclusioni.
L’insonnia se lo stava divorando vivo.
 
 
 
 
 
 
6
 
 
 
[Un mese dopo]
 
 
 
«ECCONE un’altra.»
 
 
 
Richard Bend, sui quarantacinque, peluria grigia sul mento e capelli radi, inforcò i suoi piccoli occhiali da vista e passò alla lettura della successiva. Le indagini erano crollate, i sospettati fornivano alibi di ferro. Era l’epoca dei circoli, che andavano talmente di moda che ormai anche le persone più umili partecipavano a qualche sottospecie di circolo. E, nei circoli, tante persone possono testimoniare.
Era un punto morto.
Scotland Yard era assediata giorno e notte da giornalisti provenienti da ogni città inglese, la voce si era sparsa, la polizia riceveva ogni giorno decine di lettere d’ogni tipo.
Chi diceva di sapere, chi diceva di aver visto.
Le vittime ora erano quattro, le indagini andavano male, la gente cominciava a mormorare.
Lo chiamavano Jack.
Jack lo Squartatore.
 
 
Tra le lettere che arrivavano in centrale, c’erano quelle di chi sosteneva di essere lui, di essere Jack. Erano diventati tutti squartatori, in Inghilterra, ma quasi nessuna veniva tenuta in conto. Solo una aveva colpito particolarmente il commissario Bend. Era un uomo che parlava dei delitti in modo fin troppo preciso. Un fanatico, evidentemente. Nello spazio del mittente, anziché l’indirizzo, aveva scritto “from hell”. Dall’inferno. Sullivan, della sezione nonsoché, come la chiamava Bellamy, aveva eseguito un’accurata analisi della grafia utilizzata in quella lettera. Ne aveva tratto un profilo psicologico dell’assassino che a molti, in centrale, aveva convinto. Per Bellamy, invece, Sullivan e il suo profilo psicologico potevano gentilmente prendere la porta e andarsene a… be’, capito, no?
La gente, la polizia, tutti cercavano qualcosa che li convincesse. Convinzione, convinzione, convinzione. Anche gli insonni si facevano convincere da idiozie come l’ipnosi, pur di credere in qualcosa.
 
 
 
«Matthew, perché non andate a riposarvi? Avete la faccia stravolta» disse Bend, sbattendo sulla scrivania un’altra borsa piena zeppa di lettere. «Per stare qui a cercare di elemosinare qualche prova da sconosciuti che scrivono lettere alla polizia per passare il tempo...» Si appoggiò al ripiano, le occhiaie profonde, lo sguardo perso nel nulla. «Riposatevi, Matthew. Abbiamo bisogno di voi, ma abbiamo bisogno di un voi lucido, specialmente adesso. Ammetto di non essermi mai sentito così impotente di fronte ad una serie di omicidi.»
 
«Non è necessario, signor Bend. E arriveremo a una…»
 
«No, Bellamy. Questo è un ordine. Andate, e riposatevi. Tornate non prima di domani sera, la vostra insonnia vi sta mangiando da dentro.»
 
 
 
Effettivamente ne aveva bisogno. La grinta con cui aveva dato inizio alle sue indagini era scomparsa, ogni sua teoria gli crollava rovinosamente davanti agli occhi. Non gli avrebbe fatto male un po’ di riposo. Dopo essere passato da Christopher, chiaramente.
 
 
Era tardi, ma conosceva bene gli orari; lo avrebbe certamente trovato in studio, tutto preso da qualche noiosa carta da firmare. Salì i quattro piani di scale, il fiatone gli venne alla seconda rampa.
Cominciava la sua ventinovesima ora di veglia.
La porta dello studio era aperta, la spinse, entrò gridando un saluto.
Non trovò Christopher Wolstenholme, ma questi, se non c’era, logicamente chiudeva sempre a chiave la porta del suo studio. Non era normale.
La finestra era aperta, così si avvicinò ad essa, fece per chiuderla e fu investito da un’improvvisa folata di vento.
Una tenda si alzò, gli schiaffeggiò la faccia.
Una tenda, invece, rimase ferma dov’era.
Matthew sgranò gli occhi.
 
 
“Avete comprato gli occhiali nuovi, Christopher.”
 
 
“Cercate un medico, un macellaio, o un veterinario.”
 
 
“Quello con cui avremo a che fare è un freddo assassino seriale, e! un macabro collezionista.”
 
 
Jack, Jack lo squartatore.
Gente, gente, gente!
 
 
E Bellamy si era già fiondato in strada, per cercare di salvare la quinta vittima di Jack lo Squartatore.
 
 
 
 
 
 
6
 
 
 
MATTHEW James Bellamy aveva risolto il caso, però, purtroppo, la quinta donna, la quinta vittima, era già morta, nella sua squallida stanza in Whitechapel. L’uomo era stato catturato.
 
 
Bellamy chiese di poter parlare con lui, e fu accontentato.
La cella in cui l’avevano sbattuto era buia, e puzzava di marcio e minestrone – il minestrone del penitenziario.
Restò in un angolo della cella, l’assassino, Jack, accucciato all’angolo opposto. Fuori, due guardie a controllare il tutto.
 
 
 
«Perché lo avete fatto, Christopher?»
 
«…»
 
 
«Non influirà sulla vostra condanna. Ho bisogno di saperlo. Perché lo avete fatto?»
 
«Quelle donne… venivano tutte da me, perché… perché dovevano abortire. Una dietro l’altra, una dietro l’altra. Si prostituivano, rimanevano incinte, e poi cosa facevano? Uccidevano i loro figli. E io permettevo loro di farlo gratuitamente.» Pausa. «Mia moglie non può avere figli, Matthew. Io non posso avere figli da lei. Perché loro sì?!»
 
 
 
Aveva alzato un po’ la voce, le guardie avevano sussultato, Bellamy le aveva bloccate con un gesto della mano.
 
 
 
«Quando mia moglie ha perso il nostro ultimo bambino... sono impazzito. Sono andato a Whitechapel, ho ucciso la prima che ho trovato, e non riuscivo più a fermarmi. Rimuovevo i loro organi, li riempivo di sassi e poi li gettavo nel Tamigi. Ero impazzito. Ero impazzito, e... come avete fatto? Come avete fatto a sapere che ero io?»
 
«... Ho solo sbagliato a non sospettare di voi fin dall’inizio, Christopher. Non vi avevo nemmeno tenuto in considerazione. Ero venuto nel vostro studio, per farmi dare qualcosa di più forte per questa insonnia che mi sta uccidendo, avevate lasciato lo studio aperto. E poi, quando sono entrato, una folata di vento ha spostato solo una delle due tende: avevate tolto la catenina dal fondo, quella che si usa per tenere le tende tese. Quella che voi avete usato per legare le vostre vittime. Le sgozzavate, ma non morivano subito, vero? Si agitavano.» Pausa. «E gli occhiali. Avevate comprato gli occhiali nuovi, perché i primi vi si erano rotti quando avete ucciso la prima vittima. Una barretta metallica, dei vetri... non sono stato capace di ricollegare.»
 
«Voi... voi avete capito perché l'ho fatto, vero?»
 
«Sì, ma questo non vi giustifica.»
 
«Lo so.»
 
 
 
Bellamy uscì dalla cella, cominciava la sua trentaquattresima ora di veglia.
Respirò forte l’aria fredda dell’8 novembre, salutò i suoi colleghi e si diresse verso casa.
L’autunno era cominciato presto, quell’anno. 
Tirò forte dalla sua pipa. 
Avrò bisogno di un nuovo medico, pensò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ehehe. Accidenti, che finale imprevedibile (#sarcasmo).
 
Ma non importa, scriverla è stata un piacere. Per quanto riguarda il movente di Chris,mi sono ispirata al manga Kuroshitsuji di Yana Toboso (dovreste assolutamente leggerlo, è meraviglioso), ma colpevole, modalità di indagine, tende, occhiali, personaggi e tutto il resto sono stati creati da me ^_^
 
Non vorrei mai aver urtato la sensibilità di qualcuno, ho cercato di andarci il più leggera possibile *_* Avvisatemi se il rating vi sembra debba essere alzato!
 
Grazie grazie grazie di aver letto; spero vi sia piaciuta, ma se vi va ditemi che ne pensate!
 
Un bacio e, per chi mi legge, noi ci vediamo con il capitolo 3 di “The Dramatist”!
 
A presto, 
 
pwo_
   
 
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