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Autore: SugarVenomKing    10/11/2013    2 recensioni
"La morte è bianca, così come il gelo che ghiaccia senza pietà tutto ciò che trova davanti a se".
La sinestesia di Tylar permetteva lui di vedere colori in ogni singola cosa, parola o persona.
L'anima di Shane era nera, come poteva Tylar percepire in lui un'aura così oscura? cosa aveva di sbagliato una persona così fottutamente perfetta?
Shane era perfetto.
Tyler non capiva, non capiva più niente.
Genere: Azione, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo, Violenza
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 Settembre è rosso.




Mollò la presa. Ma nonostante ciò, non riuscivo comunque a respirare.
Per un tratto mi sembrò che il mondo si fosse fermato, mi sembrò che i fiocchi di neve intorno a me cadessero lenti... I miei occhi, ancora increduli e pieni di spavento, continuavano a fissare i suoi, mostruosamente neri come la pece.
Capii che la mia morte era cinquanta metri sotto di me, o forse, che mi aveva già sopraggiunto.
Fu il momento più lungo di tutta la mia breve vita.
Iniziò la caduta. La sensazione che provavo era la stessa sensazione che si ha quando si precipita nei sogni per poi risvegliarsi di soprassalto; ma quello non era un sogno, quella era la realtà e mi ci volle poco per capirlo.
Precipitavo.
Mille ricordi mi correvano davanti agli occhi come una pellicola di un vecchio film senza audio.
Si interruppero.





I suoi gatti erano immobili nel giardino, come se lo stessero ancora aspettando; l'unica cosa che muovevano era la testolina per seguire con lo sguardo le foglie rosse e secche nel cortile che venivano lievemente spinte dal mite vento di settembre.
La casa del signor Thompson era vuota. Le ricerche continuavano ormai da giorni senza alcun esito. Ma dove diamine poteva essersi cacciato un ottantenne moribondo come quello? Da quando era morta sua moglie non usciva più da quella vecchia casa. Ogni tanto lo si vedeva dar da mangiare ai suoi gattini o affacciato alla finestra ad osservare il nulla, ma mai nessuno l'aveva più visto per le strade o in chiesa, nella quale era solito andare con sua moglie tutte le domeniche.
«Tylar, eccomi!», mi urlò Jane da lontano, «scusa il ritardo ma non trovavo Mr. Dalton, quel birbante si caccia sempre in postacci impensabili!», disse scocciata.
«Tranquilla...», farfugliai pensieroso.
«Che guardi?»
«Non pensi che quei gattini siano adorabili?»
«Santo cielo, ma sono fantastici!», esclamò dopo aver lanciato un urlo di felicità e stupore che spaventò le povere bestiole. «Ce lo vedi lui con un vestitino rosa a pois rossi?», mi domandò con in braccio un micio nero.
«Metti che sia un maschietto... non trovi che si sentirebbe in imbarazzo con un vestitino da donna?»
«No... penso di no».
Jane Claythorne era mia amica fin dall'asilo; eravamo inseparabili. Ha sempre adorato giocare con le bambole, tanto da farle diventare la sua ossessione. Aveva appena compiuto quindici anni e ancora ci teneva tantissimo. Non amava giocarci ma cambiarle spesso abito e metterle sempre in un ordine diverso in camera sua: Le facevano compagnia.
«Mia nonna ha fatto dei biscotti alla cannella deliziosi, passiamo di là a mangiarne un po'?», mi chiese sorridendo innocentemente e sbattendo velocemente le palpebre.
«Lo sai che adoro la cannella, non me le devi fare queste domande, sai già quale è la mia risposta!», risposi scherzosamente saltando giù dal muretto sul quale ero seduto.
Nel tragitto mi parlò per tutto il tempo di Mr. Dalton, Mrs. Francis e di tutte le sue altre bambole con le loro nuove ipotetiche storie sentimentali. Non la stavo a sentire. Preferivo far finta di ascoltare e godermi la brezza autunnale tra i capelli. Guardavo in alto, e sopra di me vedevo le foglie che cadevano e gli alberi che già avevano mutato il loro colore, assumendo tonalità calde. Rosso, settembre era rosso come le folte chiome di quegli alberi; forse era proprio per questo che la mia sinestesia collegava il mese di settembre a quel colore.
Arrivammo a casa della nonna di Jane, Rose Wildfire, una simpatica vecchietta un po' grassottella che da sempre viveva in una deliziosa casa rosa confetto affacciata sulla scogliera. I suoi biscotti erano i più buoni di tutta Owls Head ed erano molte le volte che io e Jane andavamo da lei a fare merenda; le faceva piacere avere qualcuno che scambiasse quattro chiacchiere con lei una volta ogni tanto.
«Siete pronti?», ci chiese mentre portava in tavola i biscotti ancora caldi.
«Per cosa nonna?», domandò Jane.
«Ma come per cosa? Per la scuola, no?! Siete pronti per il secondo anno?»
«Sì, ho già preparato tutto; compiti, libri, quaderni e tanta, tanta voglia di rivedere i miei compagni... soprattutto Stacy!»
«E tu Tylar? Sei pronto per cominciare un nuovo anno?»
Quando sentii il mio nome smisi di guardare fuori dalla finestra e misi i miei pensieri un attimo da parte.
«Beh.. sì, cioè...», non avevo la benché minima voglia che iniziasse un altro stupido anno di scuola.
«Nonna! Tylar sta gustando i biscotti... Lascialo mangiare in pace!»
«Ma ho solo chiesto se...»
«Non si preoccupi», interruppi. «Ero immerso nei miei pensieri e non mi aspettavo una domanda così tosta», risi. «E poi i suoi biscotti sono così buoni che sfiderei chiunque a non perdere la testa al primo morso», dissi tentando di cambiare argomento.
«Grazie tesoro», rispose con una faccia compiaciuta.
Quando io e Jane uscimmo dalla casa di Rose tornammo indietro passando ancora sotto gli alberi rossi. L'aria cominciava ad essere più fredda, il sole tramontava velocemente ed il cielo era violaceo; l'estate se n'era andata, dovevo cominciare a prepararmi mentalmente per l'arrivo del solito, triste inverno.
Pensavo, quando inaspettatamente calpestai qualcosa; era un portafoglio in pelle nera con una cerniera d'oro. Sembrava uno di quei portafogli appartenenti a uomini ricchi o aventi dei titoli importanti. Lo raccolsi e me lo misi in tasca dicendo a Jane che l'avrei restituito il più presto possibile, per evitare noiose polemiche da parte sua, che da sempre era stata "la brava ragazza" e che mai si sarebbe permessa di commettere atti impuri.
Ma quando la salutai e la vidi entrare in casa mi girai e tirai fuori il portafoglio.
Ero combattuto. Non sapevo se tenerlo o consegnarlo. Poi decisi. Prima l'avrei aperto e se ci fosse stato scritto un recapito telefonico o un indirizzo l'avrei consegnato, altrimenti, se non ci fosse stato scritto nulla sarebbe diventato mio.
Lo aprii.
Notai subito che all'interno della tasca contenente le banconote vi erano due piccole scritte bianche: "Lynch, Lighthouse Road 1" e un numero telefonico. Avevo perso, mi toccava tornare indietro, ma fortunatamente, non avevo molta strada da fare poichè quella via non distava molto dalla mia e di Jane, la South Shore Drive.
Il cielo si faceva sempre più scuro; erano solo le sei di sera e già sembrava notte.
Arrivato nella Lighthouse Road, la via boschiva che portava direttamente al faro, la vidi: era una villetta di un azzurro spento, posata su una bassa collinetta circondata da pini che ostacolavano molto la visione della casa; un sentiero asfaltato conduceva all'entrata.
Lo seguii, ma quando mi trovai davanti alla porta d'ingresso notai che nessuno era in casa e che tutte le luci erano spente. L'unica cosa che mi faceva capire che lì ci viveva qualcuno, oltre al cognome sul campanello, era la Rolls-Royce parcheggiata nel garage aperto, dentro al quale si potevano anche vedere tantissimi scatoloni accumulati e in disordine, come se la famiglia si fosse appena trasferita.
Non sapevo cosa fare, ma di certo non potevo stare lì ad aspettare per chissà quanto tempo che tornassero, era buio, e una cittadella sperduta ed immersa nel verde come Owls Head di notte, se si era da soli, incuteva molta paura.
Decisi di tornare a casa con il portafoglio, sarei passato a consegnarlo il giorno dopo nella tarda mattina.
Facevo la strada di ritorno per la seconda volta, per le strade non c'era anima viva e nella mia testa continuava a girare e rigirare la solita domanda: Dove poteva essere andata una famiglia al completo senza auto con quel buio?.
  
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