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Autore: TheOnlyWay    10/11/2013    6 recensioni
«E vivi nella cabina blu?»
«Quella è la mia astronave.»
«Sei un alieno?»
«Piccola, dolce Lily. Sei molto intelligente, per avere solo otto anni e un solo cervello. Su Zirgo i bambini ne hanno tre e non sono per niente simpatici e poi parlano in continuo e una volta raggiunta la maturità gli spuntano tante teste a seconda di quanti cervelli sono riusciti a mantenere. Ma ora, dimmi, chi è il tuo burbero maestro di piano?»
Il Dottore porse la mano a Lily, che l’afferrò dopo qualche secondo di indugio: la mamma diceva che non bisognava fidarsi degli sconosciuti, ma lui era così simpatico! Lo condusse fino alla sua camera, come da lui richiesto, e lo osservò mentre puntava uno strano oggetto dalla punta scintillante verso tutti i suoi giocattoli.
«Quello che cos’è?»
«Un Cacciavite Sonico.»
«E a che serve?»
«Serve a… be’, sonicizzare. Senti? Fa bzzz. Sonicizza.»
«E che vuol dire?»
«Che sonicizza, ovvio. Bella bambola, scommetto che si chiama Lorraine.»
«Come fai a saperlo?»
«Me l’ha detto lei.»
Genere: Comico, Fluff, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 11
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Martina, 
grazie.


 
*




LA MELODIA DELLE ANIME PERDUTE





«Perciò è così che funziona, Dottore? Tu non intervieni mai, a meno che un bambino pianga?»
 
 

 
 
Coventry,
Whitmore Park,
18 Aprile 1987
 
 
 
 
 
«Da capo, un’altra volta..»
L’ordine venne impartito con un tono di voce talmente categorico che Lily non trovò nemmeno il coraggio di replicare.
Non le piaceva il maestro Zimmermann. Odiava la sua voce roca, i suoi occhialini tondi e i suoi baffi bianchi. E, soprattutto, odiava il suo bastone. Non che lo usasse contro di lei, o che l’avesse mai sfiorata, ma se lo portava sempre appresso come un cane fedele e inoltre la testa di cavallo sul pomello le dava una brutta sensazione. A volte, aveva come l’impressione che gli occhi vuoti dell’animale la fissassero, sondando dentro di lei alla ricerca di qualcosa di oscuro. Ma era solo del legno intagliato, vero? Non avrebbe potuto farle del male.
Lily ricominciò a suonare dal principio e le note basse della sinfonia riempirono il grande studio vuoto. Si impegnò più che poté, nella speranza che il maestro Zimmermann potesse ritenersi soddisfatto e le concedesse il permesso di ritirarsi nella sua cameretta. Aveva un gran voglia di giocare con le bambole e quel vestitino rosa era tanto grazioso, alla sua Melody sarebbe piaciuto senz’altro e…
«Sei un’incapace, signorina! Hai sbagliato di nuovo. Da capo, un’altra volta.»
Lily tirò su col naso e si strofinò gli occhi con i pugni. Perché doveva sempre sbagliare tutto? Alla mamma non sarebbe mai successo, lei non sbagliava mai. E se il maestro Zimmermann gliel’avesse detto? L’avrebbe sgridata anche la mamma?
«Sono stanca, maestro. Possiamo provare di nuovo domani, per favore?» tentò, con voce flebile. Il maestro strinse gli occhi neri fino a che non assomigliarono a due fessure e pestò il pavimento con la punta del bastone. Lily sussultò, chiese scusa e ricominciò a suonare.
Gli occhi del cavallo seguirono ogni suo movimento.
 
Quella notte Lily non riuscì a dormire. Si rigirò nel letto per ore, stringendo al petto Bunny – il coniglio di pezza che la mamma le aveva regalato per il suo quarto compleanno – e cercando di scacciare dalle mente gli occhi lucidi e neri del cavallo.
Si raggomitolò sotto le coperte, con gli occhi azzurri spalancati e all’erta e il fiato corto per la paura. Non sapeva nemmeno quando avesse cominciato ad essere terrorizzata dal buio, ma ogni ombra si era trasformata in un mostro e persino gli occhi cerulei di Lorraine, la bambola di porcellana, sembravano vuoti e pronti a trascinarla nell’abisso.
Perciò nascose la testa sotto il cuscino, concentrandosi unicamente sul proprio respiro affannoso e sul calore familiare e confortante di Bunny. Le sarebbe piaciuto correre nel lettone dalla mamma, ma lei avrebbe detto che ormai era troppo grande per fare i capricci e l’avrebbe rispedita in cameretta, dove Lorraine l’avrebbe fissata ancora, e ancora, togliendole il respiro.
A Lily sfuggì un singhiozzo, poi un altro e, prima ancora che riuscisse a pensare di trattenersi, scoppiò a piangere. Nessuno sarebbe venuto ad aiutarla, però. Non la mamma, non il papà, che ormai non c’era più. Era sola, stava piangendo e Bunny era la sua unica consolazione.
Poi lo sentì: il rumore strano, sordo, come di qualcuno che veniva strangolato. Si alzò dal letto e, a piedi scalzi, raggiunse la finestra. Scostò le tende di pizzo bianco e si arrampicò sul davanzale.
Fuori, proprio accanto all’ingresso di Withmore Park, era appena comparsa una cabina telefonica blu. Lily era certa di non averla mai vista prima, così come era assolutamente sicura che fino al giorno prima, in quel punto preciso, non ci fosse assolutamente niente.
Rimase a guardare, fino a che dalla cabina uscì un uomo – giovane, come era il suo papà l’ultima volta in cui l’aveva visto – dall’aspetto un po’ bizzarro. Lo osservò mentre saltava a piè pari sul marciapiede, diverse volte e storceva il naso, evidentemente insoddisfatto. Lily pensò che aveva l’aria simpatica, non come il maestro Zimmerman. E, al solo ricordo dell’augusto insegnante di pianoforte, le sfuggì un singulto.
Improvvisamente, l’uomo della cabina telefonica puntò lo sguardo verso il grande edificio che si affacciava sulla strada.  Lily avrebbe giurato che stesse guardando proprio lei, nonostante il buio fosse piuttosto fitto. Quando l’uomo sorrise – sì, stava guardando lei – Lily si abbassò e, gattonando, tornò a letto.
Si avvolse nelle lenzuola, strinse Bunny al petto e aspettò che la notte passasse.
 
A Lily sarebbe piaciuto raccontare a qualcuno del buffo signore che aveva visto quella notte, ma nessuno sembrava disposto ad ascoltarla. Aveva provato prima con la mamma, la mattina, mentre facevano colazione.
«Mamma, posso raccontarti una cosa?»
«Tesoro, la mamma va di fretta, oggi. Dopo me lo dici, va bene?»
«Sì.» Lily aveva annuito mestamente, poi aveva inzuppato un biscotto nel latte caldo e aveva finito di fare colazione in solitudine, perché la mamma si era alzata un istante dopo, le aveva lasciato un bacio sui capelli biondi ed era salita al piano di sopra a prepararsi.
Ci aveva provato una seconda volta, con Abigail, la governante, ma anche lei l’aveva liquidata in un batter d’occhio, dicendole che la pagavano per lavorare e non per chiacchierare.
«Me lo dici un’altra volta, Lily. Ora non posso parlare: gli argenti non si lucidano da soli.»
«Sì.»
Di nuovo, Lily se ne era andata, delusa. Perché nessuno voleva ascoltare quello che aveva da dire? E perché nessuno faceva cenno alla cabina blu?
Era ancora lì. Lily aveva controllato quella mattina, non appena era sorto il sole. La luce filtrava dalle tende e illuminava la stanza di riflessi dorati che rendevano ogni cosa molto meno inquietante di quanto le era sembrata quella notte. Lorraine era tornata la sua bambola preferita con gli occhi celesti, Melody aveva il suo vestitino rosa e ogni cosa era al suo posto, persino il cavallo a dondolo nell’angolo della stanza.
Lily si era chiesta per un attimo per quale motivo avesse avuto tanta paura, poi si era ricordata della luce verde che era filtrata attraverso la fessura della porta e un brivido di puro terrore le aveva percorso la spina dorsale: stava succedendo qualcosa, in casa sua, e nessuno notava niente.
Com’era possibile? Perché la mamma non vedeva? Per quanto tempo ancora avrebbe dovuto piangere di notte, affinché qualcuno si accorgesse che qualcosa non andava?
Affacciata alla finestra, Lily aveva chiesto al cielo di mandarle un aiuto. Andava bene qualsiasi cosa, lei non si sarebbe lamentata: Babbo Natale, Peter Pan, persino un dottore.
Poi la porta della cabina telefonica si era aperta e – di nuovo – lo strano signore era uscito fuori. Quella volta, però, aveva guardato direttamente verso Lily, che si era ritratta con uno scatto repentino. Era persino inciampata nel tappeto. Poi aveva sbirciato di nuovo, e lui era ancora lì, con un sorriso divertito sul volto simpatico e un braccio a mezz’aria, per salutarla.
Lily aveva accennato un timido “ciao ciao” con la mano, poi la mamma le aveva intimato di scendere a fare colazione e lei aveva deciso che doveva assolutamente raccontarle tutto.
Il terzo rifiuto l’aveva ricevuto con l’arrivo di Dorothea, la ragazza che le faceva da baby-sitter il sabato mattina, quando non c’era scuola. Lily l’aveva presa per mano e l’aveva trascinata fino alla cameretta.
«Ecco, vedi lì? Nella cabina? C’è un signore buffo!»
«Non ho tempo per queste sciocchezze, Lily. Non c’è nessun signore buffo, levatelo dalla testa. E vai a fare i compiti, io ho delle faccende da sbrigare.»
Lily aveva sbuffato, frustrata, e si era piantata di fronte alla finestra: avrebbe aspettato che il signore fosse uscito di nuovo, poi avrebbe dimostrato a tutti che aveva ragione.
 
«Lily ha fatto qualche progresso, maestro Zimmermann?»
Lily incassò la testa tra le spalle e si agitò nervosamente sul divano, accanto alla mamma. Sentiva i palmi delle mani un po’ sudati e aveva come l’impressione di essersi seduta su un porcospino. Non riusciva a stare ferma: era così nervosa che avrebbe voluto stringersi al braccio della mamma e supplicarla di mandare via il maestro. Ma la mamma si sarebbe arrabbiata, se l’avesse fatto, così Lily si sforzò di mantenere la calma e guardò il maestro Zimmermann in attesa di una sua risposta.
L’uomo, che stringeva tra le mani il suo immancabile bastone, strinse lo sguardo e sospirò. Poi, proprio mentre Lily pensava avrebbe detto che lei era le peggiore allieva che gli fosse mai capitata, sorrise, mettendo in mostra una dentatura perfetta e una fossetta all’angolo sinistro della bocca.
«Ancora poco, signora Chambers, e Lily sarà perfetta. Ogni nota andrà al posto giusto.»
Lily rabbrividì: quell’espressione soddisfatta e quella frase apparentemente positiva non le piacevano proprio per niente. Il giorno prima le aveva dato dell’incapace, perché di fronte alla  mamma diceva il contrario? Lily gli adulti proprio non li capiva.
Il suo sguardo si soffermò per un momento sul bastone e, proprio come il giorno prima, ebbe l’impressione che gli occhi del cavallo sembrassero più vivi che mai. Erano così lucidi e così reali, che ci si poteva aspettare che battessero le palpebre da un momento all’altro.
E fu precisamente ciò che successe.
Lily grido e scattò in piedi, correndo al riparo nell’angolo più remoto della stanza. La madre la guardò con aria prima perplessa, poi preoccupata.
«Lily, tesoro, cosa succede?»
«Il cavallo, mamma! Il cavallo ha sbattuto le ciglia!» singhiozzò Lily, isterica. Il professore sorrise tra sé e sé e la signora Chambers si passò una mano sulla fronte, senza sapere bene come comportarsi. Lily sembrava davvero terrorizzata.
«Forse ha la febbre: sarà meglio chiamare il dottore.» nel momento esatto in cui ebbe finito di pronunciare la frase, il campanello suonò.
Lily riuscì a sentire i passi di Abigail percorrere velocemente il corridoio principale e fermarsi in prossimità dell’ingresso. Il campanello, nel frattempo, suonò altre quattro volte.
«Sì, salve. Sono il… Ispettore Capo della Lega dei Maestri di Pianoforte. Ma che cosa…? Sì, Ispettore Capo. Ho bisogno di parlare con… ehm, qualcuno. Sì, grazie. Bel maglione.»
Ancora dei passi, le proteste appena accennate di Abigail, dopodiché il signore buffo entrò nella stanza e si diresse verso Lily senza degnare i presenti di una sola occhiata. Lei lo guardò con sorpresa perché quello era, senza alcun dubbio!, l’uomo della cabina blu.
«E lei chi è?» domandò la signora Chambers, basita.
«Dopo. Ora ho da fare.» l’uomo sventolò la mano, poi si fletté sulle ginocchia e si portò allo stesso livello di Lily, così da poterla guardare dritto negli occhi.
«Come ti chiami?»
«Lily.»
«Bellissimo nome, Lily. Senti come suona bene? Li-ly. E’ musicale, davvero. Lily. Bene. Cosa ti fa piangere, mia piccola, dolce, Lily?» domandò, sondandola alla ricerca, forse, di qualche ferita. Lily tirò su col naso, si strofinò gli occhi con la manica del vestitino porpora e sussurrò qualcosa a voce talmente bassa che l’uomo dovette inchinarsi ancora di più e chiederle di ripeterle.
«Il cavallo.» bisbigliò Lily. «Il cavallo sul bastone.»
«Cos’ha fatto?»
«Lui ha… si è mosso, signore. Il cavallo ha sbattuto le ciglia.»
«Inquietante, non trovi?»
Lily annuì, un po’ più tranquilla: forse il cielo aveva ascoltato le sue preghiere e le aveva mandato un aiuto. Certo, non era Babbo Natale e nemmeno Peter Pan – le sarebbe tanto piaciuto volare con lui – ma sembrava simpatico. E sembrava giovane, anche se i suoi occhi non lo erano affatto. L’uomo si alzò e si avvicinò al maestro Zimmermann, che sfoggiava un colorito non proprio sano e un’espressione decisamente ostile. Gli girò intorno, un paio di volte, picchiettò sulla sua fronte con il dito indice e storse il naso. Poi, con un movimento apparentemente casuale, colpì il bastone con la punta del piede. E Zimmermann scattò.
«Si allontani immediatamente da me, signore! Chi accidenti è lei, si può sapere?» sbraitò. La signora Chambers si lasciò sfuggire un gemito di protesta che venne tranquillamente ignorato e Lily si alzò in piedi: vedere che il signore buffo non temeva il maestro Zimmermann la faceva sentire un po’ più coraggiosa.
«Era piuttosto lungo… com’era? Ah, sì! Ispettore Capo della Lega dei Maestri di Pianoforte. Vedi? C’è scritto proprio qui.» mostrò un tesserino e Zimmermann arricciò il labbro superiore, contrariato. Poi fece un passo indietro.
«Tornerò per la lezione pomeridiana. E tu, Lily, sarai perfetta.» ammonì. Poi uscì dalla stanza, con un diavolo per capello e qualche borbottio incomprensibile. La signora Chambers lo seguì per scusarsi.
Lily tirò un sospiro di sollievo e si avvicinò al suo nuovo amico.
«Tu chi sei?» domandò, curiosa.
«Sono il Dottore.»
«Dottore chi
«Il Dottore.»
Lily aggrottò le sopracciglia, confusa. Il Dottore non era un nome. Lily invece sì. Anche Catherine era un nome, quello della mamma. Abigail, Dorothea, Justin. Ma Dottore cosa voleva dire? E poi che Dottore era, lui? Uno di quelli buoni, anche se Lily non era del tutto certa che  potesse esistere un dottore buono. Erano tutto spaventosi, con i camici bianchi e quegli strumenti argentati. Però, in effetti, questo dottore non era vestito come tutti gli altri. Aveva il cravattino, e le bretelle e una giacca chiara con le toppe sui gomiti. E i dottori non vestivano così.
«E vivi nella cabina blu?»
«Quella è la mia astronave.»
«Sei un alieno?»
«Piccola, dolce Lily. Sei molto intelligente, per avere solo otto anni e un solo cervello. Su Zirgo i bambini ne hanno tre e non sono per niente simpatici e poi parlano in continuo e una volta raggiunta la maturità gli spuntano tante teste a seconda di quanti cervelli sono riusciti a mantenere. Ma ora, dimmi, chi è il tuo burbero maestro di piano?»
Il Dottore porse la mano a Lily, che l’afferrò dopo qualche secondo di indugio: la mamma diceva che non bisognava fidarsi degli sconosciuti, ma lui era così simpatico! Lo condusse fino alla sua camera, come da lui richiesto, e lo osservò mentre puntava uno strano oggetto dalla punta scintillante verso tutti i suoi giocattoli.
«Quello che cos’è?»
«Un Cacciavite Sonico.»
«E a che serve?»
«Serve a… be’, sonicizzare. Senti? Fa bzzz. Sonicizza.»
«E che vuol dire?»
«Che sonicizza, ovvio. Bella bambola, scommetto che si chiama Lorraine.»
«Come fai a saperlo?»
«Me l’ha detto lei.»
Lily si arrampicò sul letto e si strinse le ginocchia contro il petto, improvvisamente pensierosa. Se il Dottore era lì, era perché il cielo l’aveva ascoltata? O lui era davvero l’Ispettore Capo del… com’era? Faticò a ricordare il nome per intero e spostò la sua attenzione sulle mosse del Dottore, che ripose il Cacciavite Sonico nella tasca della giacca e si lanciò sul letto accanto a lei.
«Dicevamo: l’’uomo coi baffi, chi è?»
«Il maestro Zimmermann. Lui mi insegna a suonare il pianoforte.»
«Giusto, ovvio. Cosa suoni, Lily? Beethoven?»
Lily scosse la testa, poi fece spallucce.
«Non so chi è il compositore, Dottore. Però è una melodia triste.» spiegò, concentrata. Non sapeva trovare le parole adatte per descrivere il modo in cui si sentiva ogni volta che suonava quel brano: sapeva solo che le veniva una gran voglia di piangere.
«Ti dispiacerebbe suonarla per me?»
«Poi dovrò suonarla di nuovo per il maestro Zimmermann?»
«Non se non vuoi, Lily. Penso di aver capito cosa c’è che non va. E sai cosa ci servirebbe adesso?»
«Cosa?»
«Un piano.»
«Ce l’ho, Dottore. E’ di là, nel salotto.»
«Non quel tipo di piano, ingenua Lily. Sì, be’, ci servirà anche quello, ma dopo. Io intendevo un piano piano. Di quelli che ci tirano fuori dai guai.»
«Siamo nei guai?»
«Assolutamente sì! Non lo trovi fantastico?»
 
Il piano, Lily lo capì subito, nonostante i suoi otto anni e il suo solo cervello, non avrebbe mai funzionato. E per una ragione molto semplice: i piedi del Dottore sbucavano dall’orlo inferiore della tenda. Se il maestro Zimmermann avesse guardato verso la finestra, si sarebbe accorto subito della presenza di qualcuno che gli sarebbe risultato oltremodo sgradito.
Lily ci provò, a farlo notare al Dottore, ma lui si puntò il dito davanti alle labbra e sibilò un “sssh” piuttosto eloquente.
«I miei piani non falliscono mai, Lily. Quasi mai. Cioè, più o meno. Ma tu non preoccuparti, andrà tutto bene.»
«Dottore…»
«Ci siamo.»
Lily alzò gli occhi al cielo, si pettinò nervosamente i capelli con le dita e prese un paio di respiri profondi. Pochi secondi dopo, il rumore dei passi irregolari del maestro Zimmermann riecheggiarono per il corridoio. Quando varcò la soglia della camera, si diresse senza indugi al pianoforte e diede le spalle alla finestra. Lily tirò un sospiro di sollievo: forse il Dottore aveva ragione, sarebbe andato tutto bene.
«Il tempo sta finendo. Cominciamo, Lily.»
Il maestro Zimmermann diede un colpetto col bastone e Lily ebbe per un attimo l’impressione che gli occhi del cavallo l’avessero fissata. Ne ebbe più paura che mai, ma il Dottore era lì e lei non era più sola. Non poteva succederle niente.
Si sedette sullo sgabello, sfiorò i tasti con delicatezza, poi cominciò a suonare, mettendoci più impegno di quanto avesse mai fatto prima. L’aria si riempì di note basse e struggenti, una melodia lenta e ipnotica. Il maestro Zimmermann chiuse gli occhi, estasiato: finalmente era perfetta. Ogni nota aveva la giusta intensità e la musica era così corposa che sembrava avere vita.
Gli occhi del cavallo si aprirono del tutto e una luce verde esplose improvvisamente. Nel punto in cui posava il bastone, si aprì un crepa.
Lily incespicò sui tasti e il maestro ringhiò in una lingua che lei non riconobbe, ma che la fece rabbrividire. Provò a smettere di suonare, ma scoprì di non riuscirci. Le sue mani sembravano animate di vita propria, senza alcun controllo.
«Dottore…» gemette, terrorizzata. Le sfuggì un singhiozzo e tentò di nuovo di allontanare le mani dalla tastiera, ma non ottenne alcun risultato: la canzone andò avanti e la crepa sul pavimento si allargò un po’ di più e cominciò a vorticare su se stessa, espandendosi. La luce verde si fece più intensa e le tende cominciarono a svolazzare. Lily si voltò per guardare il Dottore, ma lui era già al suo fianco e puntava il Cacciavite Sonico verso il pianoforte.
«Tranquilla, Lily. Va tutto bene.»
«Gli adulti lo dicono sempre, quando va tutto male!» singhiozzò lei, disperata. All’improvviso si sentiva tanto stanca, così esausta che chiuse gli occhi e per un attimo tutto divenne buio. Ma durò solo un istante, perché il Dottore le punzecchiò un fianco con il dito.
«Resta sveglia.»
«Ma sono così stanca!»
«È la canzone, Lily. Ti sta togliendo le energie, ma non avere paura.»
Il Dottore si sporse per lasciarle un bacio sulla fronte e Lily tirò su col naso e annuì: doveva farsi coraggio e ascoltare il Dottore. Se lui diceva che sarebbe andato tutto bene, forse sarebbe stato così. Doveva fidarsi.
Il maestro Zimmermann rise, con quella voce gutturale che non gli apparteneva e che dava i brividi e rivolse al Dottore un’occhiata di sfida.
«Non puoi più fermarmi, Signore del Tempo! Il varco è quasi aperto.»
Il vortice continuava ad ampliarsi e ormai aveva raggiunto il diametro di un metro. Ogni cosa nella stanza sembrava convergere verso di lui, come se non vedesse l’ora di essere risucchiata. Il Dottore si passò le mani tra i capelli, gettò un’occhiata a Lily, che nel frattempo continuava a suonare, e calcolò che prima della fine della canzone mancavano più o meno quaranta battute.
Perciò aveva circa due minuti per decidere come agire. Non che ci fossero poi chissà quante alternative, in fin dei conti: o chiudeva il varco – in qualche brillante modo che ancora non conosceva – o lasciava che l’intera abitazione, il quartiere e la città venissero risucchiati in una dimensione inospitale. E Lily sarebbe morta, perché la canzone l’avrebbe privata di tutta la sua forza vitale.
«Pensa, Dottore, pensa.»
Il maestro Zimmermann sorrise: «Rassegnati, Dottore. Io tornerò nel mio mondo, e voi verrete con me.»
«Il tuo pianeta è morto, Zimmermann. Sei l’ultimo della tua specie.»
«Come te, Signore del Tempo?»
«Posso portarti su un altro pianeta, ma lascia andare la bambina, blocca il vortice e chiudi il varco.» urlò il Dottore. Voleva evitare azioni troppo drastiche e voleva permettere a quell’uomo – alieno, come lui – di prendere una decisione, nella speranza che fosse quella giusta.
«Se Barion è morto non mi resta nient’altro. E vi trascinerò tutti con me!» un altro colpo col bastone e il varco si allargò. Il divano venne attirato al suo interno, i mobili di tutta la stanza oscillarono pericolosamente e lo sgabello e il pianoforte cominciarono a scivolare verso il bordo.
Lily gemette e sgranò gli occhi, mentre lo sgabello si inclinava un po’ e lei perdeva l’equilibrio e…
«Il cavallo sta piangendo! Ma certo! Lily, finisci la canzone! È l’unico modo per chiudere il varco.»
Il Dottore puntò il Cacciavite Sonico contro il cavallo e la luce verde tremolò e si indebolì. Il maestro Zimmermann ringhiò, perse la presa sul bastone e venne catturato dal vortice. Urlò, agitò le braccia e le gambe e infine si aggrappò al bordo del varco per evitare di venire attirato al suo interno. Tutta la rabbia e l’odio erano spariti di fronte alla possibilità di morire in modo definitivo.
«Dottore! Aiutami! Ti prego!»
Il Dottore allungò un braccio per afferrare l’uomo e tirarlo fuori, ma la canzone terminò. La luce verde sparì e il varco si chiuse, bloccando Zimmermann al suo interno.
Il cavallo chiuse gli occhi per l’ultima volta.
 
Quando Lily si risvegliò, era ormai sera. Era nel suo letto, coperta fino al collo, con Bunny accanto. La mamma le accarezzava i capelli con dolcezza e ogni tanto le sussurrava qualche parolina gentile. Era da tanto che non lo faceva.
«Ben svegliata, tesoro. Come ti senti?»
«Bene. Ma dov’è il Dottore?»
«Chi?»
«Il signore buffo, mamma, quello con il nome lunghissimo. Ispettore Capo di…»
«Ah, il signor Smith. Si sta occupando del disordine in salotto, dice che ci vorrà un attimo.»
«E il maestro Zimmermann?»
«Il signor Smith l’ha licenziato, ha detto che non era un buon insegnante. Un vero peccato, a me sembrava un uomo per bene.» mormorò Catherine, contrita. Non che non si fidasse dell’Ispettore Capo, ma in tutta quella vicenda c’era qualcosa che non tornava. Ad esempio, la sparizione del divano: come poteva un pezzo d’arredamento così grande svanire nel nella? Il signor Smith aveva blaterato qualcosa a proposito di tarme, insetti spaziali divoratori e autodistruzione, ma lei non ci aveva capito niente. La sola cosa che contava era che Lily stesse bene.
Lasciò un bacio sulla fronte della bambina e le sussurrò che andava a preparare un bel te caldo per rimetterla in sesto, dopodiché uscì dalla stanza.
Rimasta sola, Lily si tirò su e si osservò le mani pallide e paffute: sembravano normali, anche se lei ricordava alla perfezione di non essere riuscita a controllarle, poco fa. Mosse le dita cercando di capire se fosse rimasto un barlume di quella strana energia che l’aveva attraversata, ma non sentì niente. Era tutto finito.
Il Dottore entrò in camera qualche minuto dopo, con passo svelto e un’espressione assolutamente estasiata.
«Piccola, meravigliosa Lily Chambers. Tu, mia dolce bambina, hai salvato Coventry.»
Le prese il viso tra le mani e le piazzò un bacio sui capelli biondi, poi glieli scompigliò con veemenza. Lily rise e storse il naso, lasciò Bunny in un angolo e abbracciò il Dottore, nascondendo la testa nell’incavo tra il suo collo e la sua spalla.
Il Dottore sorrise imbarazzato e le accarezzò la schiena.
«Grazie, Dottore.»
«E’ tutto merito tuo, Lily. Io non ho fatto niente.»
«Sei arrivato quando piangevo.»
«Be’, quello è il TARDIS, ha un certo sesto senso per queste cose. Sente un bambino piangere e puff!, mi ci porta.»
Lily annuì, con il viso tondo estremamente serio e l’aria concentrata. Aveva tante domande per la testa e c’erano tante cose che non capiva.
«Il maestro Zimmermann era un alieno come te?»
Il Dottore confermò con un cenno del capo.
«Ed era solo? Per questo voleva anche noi?»
Un altro cenno di assenso, un'altra domanda.
«E il cavallo? Perché apriva gli occhi?Era magico?»
«In un certo senso sì.» il Dottore si alzò in piedi e cominciò a passeggiare avanti e indietro per la stanza. Di tanto in tanto si passava la mano tra i capelli e sospirava frustrato. Come spiegare ad una bambina quanto successo senza rischiare di terrorizzarla un’altra volta?
«Immagina una… un’anima, ecco. Uno spirito buono, intrappolato nel legno e tenuto sotto controllo per tanto tempo da una persona-»
«Un alieno?»
«Sì, giusto, un alieno non proprio buono. È rimasto solo tanto a lungo e il suo cuore si è oscurato.» il Dottore sorrise tristemente e tornò a sedersi accanto a Lily, che gli si strinse accanto.
«Cosa succede dopo?»
«Lo spirito buono viene controllato dall’alieno cattivo, ma è ancora abbastanza forte da impedirgli di aprire un varco. Ma c’è una bambina, molto coraggiosa e con il cuore più buono che esista, che può convincere lo spirito buono ad aprire questo passaggio.»
«Con la canzone?»
«La musica apre il nostro cuore, Lily. Amplifica le sensazioni, rende tutto più vivo. Così lo spirito nel legno riprende a vivere, ma diventa più forte anche l’alieno e il risultato è quello che è successo. Certo, avrei potuto rompere il bastone ed ogni cosa si sarebbe interrotta. Oppure il varco avrebbe inghiottito il pianeta. Oppure non saprei. In ogni caso, tu sei stata molto coraggiosa.»
«Ma non capisco una cosa: il cavallo è buono, giusto? Allora perché non ha detto al maestro Zimmermann che potevano stare insieme? Non erano più soli, se stavano insieme.»
Il Dottore sorrise.
«Voi bambini con un solo cervello vedete sempre le cose più semplici di quelle che sono. Forse è per questo che su Zirgo sono tanto saputelli. Tre cervelli e un solo cuore, nessun equilibrio. Un sacco di problemi, sai? Una testa che dice di fare una cosa, l’altra che non vuole e la terza che dice di avere sonno. Non pensi che sia complicato?»
«Anche tu hai tre cervelli?» domandò Lily, in risposta. Il Dottore sgranò gli occhi verdi e scosse la testa, oltraggiato.
«Ho un solo cervello, signorina, e funziona perfettamente. E poi ho due cuori. E due sistemi cardiovascolari.»
«Allora è per questo che sei tanto buono, Dottore. Hai due cuori.»
«Brillante, Lily Chambers. Davvero brillante.»
Il Dottore sorrise un’altra volta, lasciò un’altra carezza sulla testa di Lily e le rimboccò le coperte.
«Ora dormi un po’.»
«Tu cosa fai?»
«Mi assicurerò che tutto sia in ordine, poi tornerò a casa.»
«Nella cabina blu?»
«Esatto.»
«E ci vedremo di nuovo?»
«Un giorno, forse.»
«Buonanotte, Dottore.»
«Sogni d’oro, Lily Chambers.»
 

 
*


Pensai spesso al Dottore, dopo quella notte. Lo rividi nei miei sogni, a volte mi sembrava di individuarlo in mezzo alla gente, per strada. Sentivo un bambino piangere e pensavo “stai tranquillo, piccolo, tanto arriva il Dottore.”, e sorridevo, perché sapevo che le cose si sarebbero messe a posto: lui arrivava sempre.
Cercavo la sua presenza tra le stelle, o speravo di intravvedere una cabina telefonica blu agli angoli delle strade. Ogni tanto controllavo il bastone con il cavallo, per assicurarmi che lo spirito buono fosse in pace: non aprì più gli occhi, non mi guardò nemmeno una volta. La mia vita tornò normale, niente più insegnanti di piano, perché l’Ispettore Capo della Lega dei Maestri di Pianoforte non aveva consigliato nessuno e mamma sperava tanto che sarebbe tornato. Le piaceva il cravattino, disse.
Mi alzavo di notte, per controllare fuori dalla finestra e cercare lo sguardo amichevole e il sorriso infantile di un uomo che parlava come un bambino, ma aveva la storia negli occhi.
Non lo vidi più e, dopo un po’, persi la speranza. Il tempo scorreva veloce e, piano, il ricordo del signore buffo sbiadì nella mia memoria. Persi il suono della sua voce, il calore delle sue mani e la gentilezza nel suo sguardo. Non ci pensai più, semplicemente. Come se non fosse mai esistito.
Poi, nel bel mezzo di una gelida notte di Dicembre, lo sentii. Quel rumore strano, come un rantolo. Risvegliò il ricordo di un tempo lontano e mi spinse ad alzarmi. A piedi nudi, raggiunsi la finestra, scostai le tende e guardai giù.
La neve aveva attecchito al suolo ed ogni cosa era ricoperta di bianco. Era tutto soffuso ed ovattato, sotto la luce morbida della luna. E poi lo vidi: saltava sul marciapiede e storceva il naso, insoddisfatto. Controllò l’orologio, si sistemò il cravattino e sollevò lo sguardo dritto verso di me. Alzò il braccio, e sorrise.
 



 
*




C'è nessuno? 
Se siete arrivati alla fine di quest'incredibilmente lunga one shot, vi ringrazio. E' la prima storia che pubblico nel fandom di Doctor Who e sono un po' emozionata, perchè, be', si tratta del mio telefilm preferito in assoluto e soprattutto di uno dei personaggi migliori di sempre. 
Comunque, questa one shot è nata circa due sere fa: continuavo a pensare alla frase di Amy (quella che ho riportato in alto) e ho deciso che dovevo assolutamente scriverci su. E poi Eleven mi sembrava particolarmente adatto. E' un po' bambino anche lui, in fondo. 
Niente, la storia dei bambini di Zirgo, del bastone e del maestro Zimmermann sono una mia pura invenzione e spero che via abbiano fatto sorridere un po'. 
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate, sarebbe molto importante, per me, avere un vostro parere. Altrimenti, grazie anche solo per aver letto.
Con affetto,
Fede. 


 
   
 
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