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Autore: ProudlyUsuratonkachi    23/04/2008    5 recensioni
Alla fine, lei c’era sempre.
C’era quando ero caduto per la prima volta dalla bici, il primo giorno di scuola, la prima volta che avevo pianto per i miei genitori.
C’era quando avevo avuto paura di prendere in mano la mia vita e decidere cosa farne.
Quindici anni insieme, vivendo quasi in simbiosi, respirando la stessa aria, più che amici, ma non innamorati.
[Regalo di compleanno per _ayachan_]
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Bene, diciamo che questo dovrebbe essere il regalo di compleanno per _ayachan_, altresì nota come Susanna.

Diciamo anche che, come la suddetta non ha fatto altro che ricordarmi per gli ultimi tre giorni, mi sono ridotta all'ultimo momento a dover pensare a qualcosa di intelligente e soprattutto decente da mettere insieme.

E, perchè no, diciamo pure che ho combinato un disastro.

Davvero, se riuscirete a trovare un solo aspetto positivo in questa schifezza vi crederò o molto pazzi o molto saggi.

Anche se, sicuro, sono più propensa alla prima opzione.

Tuttavia il mio tesoruccio ha voluto il regalo ed è stata accontentata (nel vero senso della parola, cioè: accontentanti.)

Mi scuso profondamente con tutti voi che leggerete questo scempio, ma se non l'avessi postato a quest'ora non starei neanche qua a scrivere...la Susi sa essere mooolto persuasiva -.-

Comunque, bando alle ciance.

Ormai non posso far altro che lasciarvi -purtroppo- alla lettura, e salutare la mia "ggioia" con un grandissimo

 

TANTI AUGURI!!!!!!

 

(ti voglio bene)

 

 

 

 

 

My Promise

 

 

 

 

 Le insegne luminose della città spiccavano sul cielo ormai nero, e il vociare delle persone che ancora si affrettavano per le strade di Tokyo mi giungeva alle orecchie come un rumore distante, ovattato.
Diedi l'ennesimo calcio ad una povera lattina ormai ridotta ad un grumo metallico e sbuffai, il fiato che si condensava in una minuscola nuvoletta chiara. Un paio di occhi orlati da una fitta rete di ciglia al rimmel saettò con apprezzamento verso il mio volto, costringendomi ad abbassare lo sguardo sull'ammasso rosso che continuavo a torturare con i piedi. Superai in fretta la ragazza che mi osservava ormai con palese interesse, sentendo, con una punta di fastidio, quegli occhi scandagliarmi dalla testa fino ai piedi. Normalmente quel genere di attenzioni mi esaltava, e magari, se almeno il mio umore non si fosse rintanato sotto le mie scarpe, avrei anche risposto.
Ma in quel momento, decisamente, non avevo bisogno di questo.
Non erano le distrazioni che mi interessavano.
Avevo imparato sulla mia pelle quanto potesse essere deleterio illudersi di poter dimenticare tutto con una sbronza o una buona compagnia, e ripetere l'esperienza era un'ipotesi che non presi nemmeno in considerazione.

Va bene, forse all'inizio l'idea di imbucarmi nel bar più squallido della città per ubriacarmi in santa pace non mi era sembrata tanto male, ma, dopo averne valutato i pro e i contro, l'opzione "tornare a casa" era di sicuro più allettante, anche se non meno pericolosa.
Spinta da un calcio fin troppo potente, la lattina rotolò frenetica lungo il marciapiede, terminando la sua corsa tra le zampe di un cane, che iniziò a ringhiare nella mia direzione.
No, non era proprio giornata.
Mi piazzai sul ciglio del marciapiede, nella speranza di riuscire a scorgere almeno un taxi, visto che di camminare ancora i miei piedi non volevano neanche saperne.
Come se qualcuno dall’alto mi avesse finalmente ascoltato, un fulmine giallo mi schizzò davanti, frenando in uno stridio continuo, fino a fermarsi ad un paio di metri da me.
Mi fiondai verso la portiera, atterrando sul sedile morbido del taxi, mentre il padrone del cane rimaneva con un palmo di naso, la mano ancora protesa a mezz’aria verso l’auto. L’autista mi squadrò divertito e mi salutò con un cenno della mano, sorridendo un sorriso parecchio sdentato.
Gli diedi velocemente l’indirizzo e poggiai la fronte sul vetro un po’ appannato dell’auto, sperando che quell’ometto rachitico non appartenesse alla categoria degli autisti “ora-mi-faccio-i-fatti-tuoi”.

- Brutta giornata, eh? -

Come non detto.

Per un nanosecondo mi illusi che sarebbe bastato grugnire eloquentemente per interrompere l’ormai ben nota serie di domande impiccione, ma il motivo per cui il vecchio avesse aperto bocca e ispirato così tanta aria era parecchio chiaro.

- Allora, giovanotto, come ti chiami? – esclamò lui, premendo il piede sull’acceleratore in modo decisamente inquietante.

In un primo momento ponderai l’ipotesi di continuare ad ignorarlo bellamente, ma, come diceva un vecchio saggio: chiedere è lecito, rispondere è educazione.

 - Naruto Uzumaki – risposi, cercando di far trasparire dal mio tono tutto il desiderio di non essere disturbato ancora.

Ma, avrei dovuto capirlo da subito, quel vecchio era la persona meno perspicace che avessi mai incontrato.

- Che nome particolare! E dimmi, Naruto, studi? Mi sembri un tipo serio, uno di quelli socialmente impegnati! Allora? Vai all’università? -

- Sì, Medicina – risposi, ormai rassegnato a dover intavolare almeno una parvenza di conversazione.

Lui si espresse in un fischio di apprezzamento, subito seguito da una frenata suicida ad un semaforo rosso.

- Oh, che scelta impegnativa! E dimmi, come va con le donne? Il camice, a quanto io sappia, attira parecchio, o almeno era così ai miei tempi… - chiese, mentre il suo sguardo si esprimeva nella sua migliore espressione sognante, forse perso in qualche bel ricordo.

Io risposi con un’alzata di spalle, incrociando il suo sguardo incredibilmente penetrante e vispo – me ne accorgevo solo in quel momento – attraverso lo specchietto anteriore dell’auto, mentre quest’ultima evitava per un soffio un palo della luce.

 Questo mi ammazza.

 - Ah, anche io ero così alla tua età! Sempre a fare il bel tenebroso, sai alle ragazze piaceva…Ma credevo che adesso andassero di moda i dolci e comprensivi, mia nipote dice di volerne uno così. Certo, lei ha ancora dieci anni, ma si sa, si comincia fin da piccoli, e lei ha le idee chiare, oh sì! Si chiama Fujiko, una bimbetta deliziosa ti dico -

 Bel tenebroso?!

 - Immagino – risposi, laconico, continuando a fissare il paesaggio urbano che sfrecciava davanti ai miei occhi.

 - Capisco che questo è il tempo degli amori, quanti anni avrai? diciannove? venti?, ma ti posso assicurare che è solo un periodo, non vale la pena deprimersi così tanto per una sola donna. Dai retta a me, che di anni ne ho il triplo dei tuoi e di esperienza anche di più.-

 Ora la smette, ora la smette, ora la smet…

 - Comunque non devi abbatterti! Sei un così bel ragazzo, con questi colori così chiari, quasi medico…alle ragazze d’oggi gli stranieri piacciono, sai? I mezzosangue soprattutto, e tu mi sembri uno di quelli, o mi sbaglio?-

 - Non è per una ragazza – sbuffai, aggrappandomi saldamente alla maniglia della portiera dopo una curva particolarmente violenta.

  - Oh, capisco, allora deve essere per…-

Riconobbi il bar in cui Sakura faceva colazione ogni giorno, e che distava solo pochi metri da casa nostra, e colsi l’occasione.

 - Scendo qui – lo interruppi, piazzando sul sedile anteriore un mazzetto di yen.

Balzai fuori dall’abitacolo, ansioso di levarmi quell’autista fin troppo logorroico dai piedi, e una folata d'aria fredda mi investì in pieno.
Mi strinsi nella felpa leggera, tremando per il vento gelido che si insediava tra le pieghe dei vestiti, mentre l’auto, e autista annesso, sgommava via sull’asfalto, forse anche lei un po’ contrariata come il vecchio che la guidava.

Che giornata di merda.

Senza sorprendermi più di tanto, mi accorsi di essere stanco.
I miei piedi avevano camminato ormai da tutto il pomeriggio, ed ora, come se fossero un’entità avulsa dal resto del mio corpo, cercavano in tutti i modi di indicarmi la strada di casa.
Percorsi fiaccamente il vialetto che si allungava sul lato destro del bar, osservando un branco di gatti marciare minacciosamente con il pelo ritto contro un piccolo pechinese, che aveva tutta l’aria di essersi smarrito.
Mi sfuggì un piccolo sorriso e, quasi senza rendermene conto, mi ritrovai davanti al portone del mio palazzo.

Espirai rumorosamente, frugando nelle tasche alla ricerca delle chiavi e, una volta trovata quella giusta, spalancai uno dei battenti, i miei passi che rimbombavano nel piccolo androne deserto.
Salii di corsa le scale ma, arrivato davanti all’ormai familiare targhetta dorata che recitava “Haruno – Uzumaki”, mi bloccai.
Che ore erano? Tardi, di sicuro.
Sakura dormiva? O stava ancora studiando?
Ma, soprattutto, come l’avrebbe presa?
Ah, ma di cosa mi preoccupavo?
Era solo un esame rimandato, maledizione!

Sì, rimandato per la terza volta.
Mi passai una mano sugli occhi, sospirando. Non era solo un semplice esame.
Pensai, con un brivido che non aveva nulla a che fare con il freddo, a ciò che mi avrebbe aspettato una volta aperta quella porta.
Ricordavo la delusione dei suoi occhi quando per la prima volta le avevo detto che avevo fallito, il mal celato rimprovero che traspariva dalla piega dura delle sue labbra, cementate in un sorriso condiscendente.
Ricordavo di essermi sentito uno straccio, sotto quello sguardo penetrante che faceva di tutto per sembrare indulgente.
E da quel momento avevo deciso che non sarebbe più successo.

Invece l’avrei delusa ancora e, anche se la sua risatina teneramente rassegnata mi avrebbe rassicurato, sapevo che, dentro, mi sarei sentito ancora una nullità.

Sospirai pesantemente, trattenendo l’impulso di schiantare un pugno sulla porta. Poggiai la fronte contro il legno duro e freddo, le chiavi in mano, la mano incerta.

Che situazione.

Come ero arrivato a ridurmi in quel modo?
Io, che tanto millantavo di voler compiere meraviglie, di riuscire a diventare il miglior medico della nazione, per un misero esame rischiavo di compromettere tutto. La mia vita, le mie passioni, e lei.
Alla fine, lei c’era sempre.
C’era quando ero caduto per la prima volta dalla bici, il primo giorno di scuola, la prima volta che avevo pianto per i miei genitori.
C’era quando avevo avuto paura di prendere in mano la mia vita e decidere cosa farne.
Quindici anni insieme, vivendo quasi in simbiosi, respirando la stessa aria, più che amici, ma non innamorati.
Già, non innamorati.
Vivere con la donna che si ama e non poter sperare di ottenere più della sua amicizia non è granché, giusto?
Forse ero solo un ingrato, forse avrei dovuto accontentarmi di questo.
Vederla crescere, rivolgere i suoi sorrisi più belli a me, e solo a me, capire che lei si fidava al punto tale da accettare di vivere sotto lo stesso tetto, come due fratelli, avrebbe dovuto bastarmi.

Ma l’uomo, si sa, più ha e più desidera.

E io avevo desiderato a tal punto da seguirla anche nella sua passione per la medicina, facendola mia, nostra, e i progetti, le risate, e le notti in bianco passate a studiare. Pensare alla specializzazione da scegliere come un gioco che gioco non era, passare un esame dopo l’altro, lei, affannarsi dietro alla mole di libri da studiare, io.
Sopportare tutto, anche gli uomini che mi presentava e che odiavo con tutto me stesso, e non deluderla, mai.
La regola che mi ero imposto per non rischiare di allontanarla.
Avevo fallito.
Ma, in qualche modo, avrei dovuto affrontare la situazione.

Con un movimento secco, infilai la chiave nella toppa e aprii la porta con un’insolita calma, facendo scorrere lo sguardo sull’ingresso buio.
Il rumore dei miei passi ruppe il silenzio in cui la casa era immersa, mentre, seguendo un percorso che conoscevo a memoria, mi dirigevo verso il piccolo soggiorno, illuminato fiocamente dalla luce giallastra di una lampada.

Inciampai su qualcosa di duro, un libro forse, e mi sfuggì un piccolo sorriso alla vista di Sakura che, senza molta grazia, dormiva completamente spalmata sul divano, un libro aperto sulla pancia. Mi avvicinai in silenzio, chinandomi all’altezza del suo viso, rilassato in un’espressione pacifica. Socchiusi gli occhi, beandomi della vista dei suoi lineamenti delicati, le sue ciglia chiare appena frementi nel sonno, il naso appena spruzzato di lentiggini, le labbra distese in un sorriso beato. Allungai la mano, passando le dita attraverso i suoi capelli corti, e avvicinai le labbra al suo orecchio, posandole un bacio sulla tempia calda.

 - Sono tornato – sussurrai, scuotendole delicato una spalla.

Sorrisi ai suoi mugugni contrariati, continuando ad accarezzarle i capelli. Lei schiuse una palpebra, scoprendo lo scintillio verde e assonnato del suo occhio sinistro che, come attirato da una calamita, corse a cercare il mio viso. E si svegliò completamente.

 - Tu! TU! – si tirò su a sedere di scatto, arrabbiata come non l’avevo mai vista – Brutto… idiota!-

Il rumore dello schiaffo risuonò nella stanza, mentre nella mia testa, che per miracolo stava ancora attaccata al collo, rimbombava un’eco indefinita, accompagnata dal ritmico pulsare della mia guancia arrossata.

 - I-io…Sakura-chan…-

 - Si può sapere dove ti eri cacciato??? Sono ore, e ripeto, ORE, che provo a rintracciarti, ma no! Sua Signoria aveva il cellulare spento! – abbaiò, mentre i suoi capelli, già arruffati dalla dormita, sembravano drizzarsi sulla sua testa come elettrizzati.

Incassai la testa nelle spalle, osservandola camminare freneticamente per tutta la lunghezza del tappeto su cui eravamo, in silenzio. Sapevo che se avessi detto anche una  sola parola sbagliata, Sakura sarebbe stata capace di far saltare qualcosa in aria.
Improvvisamente si avvicinò, e di istinto scansai la testa, temendo che volesse replicare la scena di prima.
Invece sentì le sue braccia circondarmi con forza, e la sua fronte alta che si posava sul mio petto, sfregandosi ritmicamente sulla stoffa della mia felpa.

Mi sfuggì un sospiro, e ricambiai l’abbraccio.

 - Sono morta di paura - sussurrò Sakura, stringendomi i capelli in una morsa ferrea, facendomi anche un po’ male.

 - Scusa -

 - Non farlo mai più –

 - Ok – mugolai, ispirando a pieni polmoni l’odore di sonno che emanavano i suoi capelli.

 - E non mi annusare, non sei mica un cane – ridacchiò, mentre uno scappellotto si abbatteva sulla mia nuca, sciogliendosi poi in una carezza lenta.

 - Non mi hai neanche salutato - lagnai, la voce che saliva ovattata dal groviglio di braccia in cui mi ero imboscato.

  - Non te lo meriti –

  - Che devo fare per essere perdonato?-

 Tese il collo per guardarmi negli occhi, le braccia ancora incatenate alle mie spalle. Adoravo quei momenti, quando lei mi stringeva così, senza malizia, e mi guardava con quegli occhi limpidi e brillanti, sorridendo dolcemente. Le mie dita, quasi inconsciamente, si strinsero di più sui suoi fianchi.

 - Dirmi dove sei stato, per esempio -

Lo disse con un tono piatto, disteso, ma non mi sfuggì la nota di impazienza e curiosità che le aveva incrinato la voce.
Mi staccai gentilmente dall’abbraccio, mentre le sue mani ricadevano con pesantezza lungo i fianchi.

 - Mah, un po’ qua, un po’ là… diciamo che ho girato per tutta la città come un vagabondo depresso, chiedendomi cosa diavolo avessi fatto di male per meritarmi la terza bocciatura allo stesso maledetto esame, che probabilmente mi impedirà di laurearmi… A parte questo, nulla di che – mormorai, sedendomi con un tonfo sordo sul divano.

Stava cercando il mio sguardo, lo sentivo dal modo in cui il suo respiro si era fatto improvvisamente più veloce. Ma, da gran vigliacco qual ero, tenni i miei occhi fissi sulla trama scura del tappeto, cercando nel frattempo di sprofondare quanto più possibile nei cuscini morbidi del sofà.

 - Io…mi dispiace Naruto, insomma…non è la fine del mondo, giusto? -

Alzai leggermente lo sguardo sulle sue mani intrecciate e tremanti, ma rimasi in silenzio.
Risposi con un’alzata di spalle, che sembrò rattristarla ancora di più. Mi gettai sul sedile del divano, trattenendo un ululato di dolore quando lo spigolo aguzzo di uno dei libri nuovi di Sakura mi trafisse la schiena.

Lei sospirò.

 - Naruto, cosa ti succede? -

Rimasi a fissare il soffitto, interdetto. Gettai il tomo sul tappeto, guadagnandomi un’occhiata contrariata di Sakura, e posai un braccio sugli occhi, un sorriso amaro sulle labbra.

 - Mi hanno appena bocciato per la terza volta, Sakura, cosa vuoi che mi stia succedendo?-

 - Non… non parlavo di questo. Sei…diverso, ultimamente - si interruppe, accovacciandosi vicino al bracciolo del divano – Non…

 - Cosa? –

Sentii che aspirava aria a vuoto, come se volesse dire qualcosa ma non ne avesse il coraggio. Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, io fissando il vuoto, lei, ne ero sicuro, torturandosi le unghie con i denti.
Poi, finalmente, parlò.

 - Sono settimane che sparisci la mattina per poi tornare quasi a notte inoltrata. Sei taciturno, non mangi quasi più, non ci sei, non ci sei mai... Quand'è stata l'ultima volta in cui hai sorriso, eh, Naruto? Una volta ridevi anche per le idiozie più grandi, adesso se riesco a strapparti una smorfia è già tanto...Dov'è finito il Naruto che conoscevo? Io... io, davvero, non so più che fare - la sentì balbettare, mentre una strana sensazione di vuoto mi stringeva lo stomaco.

 Come potevo dirle che non sapevo neanche io quale fosse il vero problema?
Forse ero solo stanco, forse il carico di responsabilità che mi ero assunto volontariamente cominciava a diventare pesante.
Forse il problema era davvero lei, ma, davvero, questo non avrei potuto dirglielo.
Avrei dovuto tenerlo per me.
Sopportare tutto, non deluderla e rispettarla: questa la legge, questa la promessa.
Ma in quel momento, con ancora le sue parole tremanti nelle orecchie, mi accorsi di averla già infranta da tempo.
Mi alzai di scatto dal mio giaciglio, mentre gli occhi di lei si sgranavano per la sorpresa. Mi inginocchiai sul tappeto, accanto alle sue gambe, e, proprio come aveva fatto lei poco prima, la strinsi in un abbraccio, forte, possessivo.

  - Scusa - mormorai, di nuovo, tra i suoi capelli, sentendola rigida tra le mie braccia. - Scusa.-

 E capii, mentre lo dicevo, che non mi stavo scusando per quello che lei mi aveva detto prima, ma perchè, con il mio comportamento, l'avevo delusa.

 Scusa, perchè non riesco ad essere l'uomo che vorresti.
Scusa, perchè con i miei silenzi immotivati ti faccio soffrire.
Scusa, perchè ti amo e so che non dovrei.

 Avvertii il suo sorriso stiracchiato contro la mia spalla, e le sue braccia esili che mi cingevano, un po' impacciate.

  - Vorrei che mi parlassi come facevi un tempo... Sei cresciuto troppo in fretta -

  - Ti piacevo di più quando ero un idiota patentato? - risi io, cominciando ad accarezzarle i capelli. Sentii che si rilassava sotto il mio tocco, e sospirai, sollevato.

  - Almeno ridevi di più. Sei bello quando ridi.-

Era davvero buffo il modo in cui riuscivamo a confessarci i nostri pensieri più segreti solo quando eravamo abbracciati.
Anche da piccoli, quando dovevamo parlare di qualcosa di importante - qualcosa che non avremmo potuto dirci guardandoci negli occhi - ci stringevamo, così, e iniziavano le parole.
Forse lei doveva aver percepito il mio vago imbarazzo, perchè, all'improvviso, scoppiò a ridere.
Il suono della sua risata mi riempì le orecchie, invadendomi come un balsamo benefico, sciogliendo la piega contrita delle mie labbra.

Ero ancora capace di farla ridere.

  - Oh, visto? Così va molto meglio! - esclamò Sakura, indicando con un dito il piccolo sorriso traditore che aveva fatto capolino sulla mia bocca.

 Le arruffai i capelli con una mano, scrollandomela di dosso, mentre lei si esprimeva in uno sbuffo derisorio.

Mi stampò un bacio sulla fronte, indugiando con le labbra lì dove la pelle aveva incominciato a bruciare, rivolgendomi poi uno sguardo carico di dolcezza.

  - E' ora di andare a nanna, caro asino. Da domani ti metto sotto: studio a tutto spiano! - esclamò perentoria.

  - Ma...- annaspai, stupito dal repentino cambiamento del suo tono.

  - E niente ma. Giuro su quanto ho di più caro che tu passerai quell'esame. E' una promessa -

 Ed io, mentre la osservavo avviarsi verso la porta della sua camera, non potei fare altro che sorridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

Visto? Che vi dicevo io?
Sconclusionata, inutile, non riletta, non betata (e spaventosamente OOc). Tutto quello che di negativo può avere una fic, beh, la mia ce l'ha.
Mi vergogno come una ladra ad aver postato una cosa del genere.
Scusami ancora Susi, so che avresti voluto qualcosa di meglio, e la colpa è mia.
Spero di non averti rovinato la giornata ç_ç
Ti voglio tanto bene.

 

 

P.S.: la qui presente oscenità dovrebbe essere una specie di prequel della mia long-fic, di cui ovviamente non ho ancora deciso il titolo, ma che sarà ambientata nell'ambiente dell'ospedale. Ovviamente, essendo io una persona che vive alla giornata, non posso assicurare nulla, ma è sempre meglio precisare XD. Alla prossima (sperando sia meglio di questa)!

 

harryherm

  
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