Le ci volle un’eternità per riuscire a dirgli di sì.
Aveva speso mesi, quantificabili in due lunghi anni, a pensare a John, alla maniera coraggiosa in cui aveva deciso di andarsene e di rinunciare a tutto il futuro che si stendeva davanti a loro, ricco di calore e felicità; e bruciava ancora di più il fatto di saperlo, in qualche maniera, ancora “vivo”. Così aveva detto il Dottore, ai tempi; era ancora lì, da qualche parte, dentro di lui.
Ed era per questo che le ci era voluto tanto: dimenticarlo, anche solo provarci, le faceva sanguinare ancora di più il cuore. Inoltre, dopo il suo primo marito e dopo John, Joan non avrebbe mai più voluto affidarsi a qualcuno; mai più avrebbe voluto consegnare il suo cuore nelle mani di un uomo che poi l’avrebbe abbandonata. Non per egoismo, non per pessimismo, ma più che altro per paura.
Ma poi arrivò Arthur e fu così paziente, così vicino, senza arrendersi mai.
Aveva un sorriso rassicurante, ben dritto e aperto; non sghembo e rassicurante come quello di John ma, come scoprì, non riuscì più a farne a meno.
E quindi, in una fredda sera di novembre, disse “sì”, guardandolo sorridere e scattare in piedi, abbracciandola.
 
A migliaia di anni (luce) di distanza, in un punto imprecisato del tempo e dello spazio, il Dottore avvertì, da qualche parte dell’anima che sembrava appartenergli ed essergli totalmente estranea, un dolore intenso e bruciante esprimersi come in un lungo, straziante, consapevole sospiro di chi sa di aver perduto qualcosa per sempre.