Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: SignorinAnarchia    11/11/2013    0 recensioni
Ho scritto questa roba di getto, fumando sigarette, col cervello pieno di pensieri.
E' una storia vera. Forse fin troppo.
E' una storia di mancanze, di attaccamenti, di tante cose.
Forse non è nemmeno una storia, forse sono solo pensieri messi lì per iscritto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Se ne andranno tutti, prima o poi.

Una frase quasi stuprata, questa. Tutti prima o poi la dicono, e quelli che la dicono, son gli stessi che poi alla fine se ne vanno. Io no. C’è una piccola percentuale tra le persone di questo mondo, una piccola parte di universo che resta lì, anche se la scacci, non se ne va.
Io sono una di quelle persone.
Ho imparato ad aspettare, ho imparato a subire, ho imparato a lottare, a picchiare, a difendermi con uno scudo d’insulti, ad assimilare parole orribili urlate da un ubriaco in mezzo al paese. Ho stretto i denti e sibilato cattiverie, ho stretto i pugni e ho le nocche bianche, ho preso in mano pillole e lamette. Ho imparato a fare cose orribili, e ho imparato male tutto quanto.
Le parole di mia madre, nella mia testa, non ci entravano nemmeno. Ero come in una bolla. Il mio unico legame affettivo, una persona amica, le sue parole le ho ascoltate. Erano schiaffi su un volto rigato da lacrime nere di mascara, erano una caduta dal pero ma non c’era atterraggio.
Lei mi diceva di fermarmi, che andavo veloce, che stavo bruciando tutte le mie tappe. Io le dicevo di star tranquilla, che io ero ferma, ed era vero. Io restavo ferma sulle mie idee, mi sentivo libera, ogni giorno tra le braccia di un uomo diverso.

È stato come se li avessi amati tutti, come se avessi pianto sempre quando li ho visti andarsene, abbandonarmi uno dopo l’altro. In fila indiana, seguendo tappe precise, una via crucis d’anime e storie su cui ho cercato di imprimere un mio segno indelebile, segno del mio passaggio, una firma anche minuscola.
Ogni notte prego per non essere dimenticata.
Voglio essere un loro ricordo, se non posso essere lì accanto a loro.
Voglio perseguitarli, nelle loro teste, fino a sfinirli, fino a fargli gridare: Basta, vattene via.
Ma son stati loro ad andarsene via, io cosa posso farci, se non starmene qui? In questa vasca, coi polsi segnati da vecchie cicatrici, col corpo pieno di ricami rosso sangue, che in una mano stringo un taglierino infetto e sporco e nell’altra una sigaretta troppo pesante che non mi lascia respiro.
 
Se ne sono andati via, e io li vedevo allontanarsi, avevo una mano a ripararmi gli occhi dal sole e dalla pioggia o dalla troppa neve. Via, fuggiti. Hanno preso le loro ultime cose e arrivederci, e nessun addio. Senza violenza, senza sbattere porte, senza lividi sulla mia pelle.
Ormai sono attaccata a loro, come un parassita invisibile. Li cerco, li cerco, li cerco, in ogni particolare d’ogni cosa che incrocio per strada. Un ricordo, solo uno, che richiami nella mia mente uno solo dei loro volti, almeno uno. Le loro voci sono nel vento o in qualche video su internet che tutti hanno dimenticato e che io scopro tra le lacrime, come un piccolo tesoro. Cerco sempre di ripensare a me, accoccolata sul loro petto, le loro dita a tracciare linee immaginarie sui miei zigomi, sul mio naso sottile, sulle mie labbra dipinte di rosso, sulle mie costole, sui miei fianchi da matrona, sulle mie occhiaie, sulla ruga che mi si forma tra le sopracciglia quando fumo.
 
Caro te, che adesso mi ascolti, almeno te, non andar via come loro. Ti giuro non chiedo altro che un po’ di comprensione. Ascoltami fino alla fine di questa storia. Lo so che sto sempre zitta e che quando invece parlo parlo troppo. Non spaventarti delle mie ferite, quelle che ho in testa sono anche peggio.
Come dici? Sono stata troppo promiscua? E che cos’è la promiscuità? No, no, non usiamo queste parole. Ma guardami, non sono nemmeno così bella. Guarda i miei occhi, sono troppo piccoli rispetto al resto del mio viso, e non ho nemmeno un bel corpo. Ho le cosce grosse, la pancetta, il seno inesistente, ho dei piedi bruttissimi perché cammino scalza sui cocci infranti.
Mi son procurata sofferenze inutili, mi piace stare sulla linea del limite, mi piace essere estrema e non essere di nessuno. Ed è colpa mia colpa mia colpa mia. Come si fa nelle chiese? Ci si batte il petto con un pugno per tre volte, e si pensa a tutti i peccati commessi. Li ho voluti tutti per me, mentre io ero un po’ di tutti.
Amico, posso chiamarti così? facciamo finta che tu lo sia. Solo il tempo di finir di leggere e poi ti lascio stare. Ti lascio stare ma non me ne vado. Resterò qui con le mie sigarette il mio volto asimmetrico ma questa storia finirà e tu sarai libero di ascoltare storie che fanno sorridere.
Allora io continuo a parlare, anche se non so quando arriverò a una conclusione. Perché non c’è conclusione quando si è fermi e non succede nulla, niente, zero. Non ci sono alti e bassi. Forse non c’è proprio niente su cui scrivere, niente di cui parlare.
Allora dai, facciamo che ti lascio libero.
Ma rispondi alle mie domande, prima.
Dimmi perché la scarsa quantità di sorrisi in loro presenza è inversamente proporzionale all’immensa sofferenza che provo ora che non c’è più nessuno.
Dimmi perché quando loro salgono su una bilancia il loro peso raddoppia, che hanno me come peso sulla coscienza. Un macigno.
Dimmi perché tutti domani si sveglieranno di soprassalto, dopo un incubo tremendo, in cui io mi aggrappo alle loro costole alle loro scapole alle loro mandibole e mi lascio morire, e poi gli muoio addosso, e il mio sangue malato e nero gli macchia le lenzuola e i pavimenti e le mani. Mentre gli chiedo di tornare.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: SignorinAnarchia