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Autore: MaraudersRain    11/11/2013    3 recensioni
Semplicemente l'ultimo giorno di vita di Marlene. Uno schizzo della sua storia con Sirius, spero piuttosto accurato, prima della fine.
"Non era come essere certi di avere qualcosa. Era come rendersi conto di averlo avuto un attimo dopo che se n’era andato.
Quasi fosse così perfetto da essere inafferrabile".
Dedicata a IndianSummer, ovviamente. :)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Marlene McKinnon, Sirius Black | Coppie: Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Piedi nudi sul pavimento lucido.

 
A vederla così, da lontano, con uno sguardo assente e disinteressato,  Marlene McKinnon sembrava una ragazza sulla quale sarebbe stato rischioso scommettere un centesimo. Aveva i capelli folti e corvini che le aleggiavano attorno al viso come una nuvola temporalesca  e gli occhi azzurro chiaro grandi come fari. In mezzo al volto troneggiava un naso a patata leggermente troppo grosso per essere considerato un pregio e guance tempestate di efelidi che spiccavano prepotentemente in contrasto con la pelle bianca. Bassa e mingherlina, sembrava stranamente fuori posto vicino a Sirius Black.
Lui era stato Grifondoro, lei Corvonero. “Tanto cervello, poco coraggio” era solito dire lui ogni volta che era deciso a farla arrabbiare, con quel sorriso distratto schiaffato sul volto e quegli occhi grigi ed ammiccanti che la facevano sempre rimanere un po’ a corto d’aria.
Lei di solito rispondeva: “Ringrazierai il mio cervello quando un giorno ti tirerò fuori dai guai. È una promessa” e lo fissava come se fosse il più grande dei suoi problemi.
Quella mattina, Sirius venne svegliato dall’odore del caffè. Si sentiva le palpebre appiccicate ed uno strano sapore in bocca, segno che non aveva dormito abbastanza. Era tornato alle tre di notte a casa di Marlene (o almeno, la dependance che i suoi genitori le avevano lasciato) dopo aver fatto un turno notturno di ronda attorno al Ministero con James.
“Sirius, sbrigati, alzati, abbiamo una riunione tra un’ora!”
La voce di Marlene era come una sirena di prima mattina. Era una di quelle persone che non solo erano di pessimo umore appena sveglie, ma che sentivano la necessità di trasmettere a tutti la loro irritazione. Come a voler dire: “Non ti rendi conto anche tu che svegliarsi è uno schifo? Te lo farò capire io, stanne certo”. Sirius mugugnò e si raggomitolò ancora di più nel caldo piumone che condividevano nel letto matrimoniale, coprendosi fin sotto gli occhi, che ancora non volevano saperne di aprirsi. Adorava il profumo di quella coperta: un misto tra sudore, sonno, shampoo alla cannella e quello strano deodorante al cetriolo che Sirius si era comprato in farmacia per sbaglio ma che aveva comunque usato perché, dai, alla fine non era nemmeno così male. E poi, a Marlene non piaceva, quindi diventava d’obbligo utilizzarlo: faceva sempre cose che le davano fastidio, secondo una immatura e briosa logica da ragazzino, quasi a voler provare quanto lei fosse effettivamente in grado di sopportarlo.
Marlene entrò nella stanza in canotta e mutandine, con i piedi scalzi che schioccavano sulle piastrelle bianche con aria impaziente. Si fermò davanti al letto dalla parte di Sirius, incrociando le braccia.
“Dai, non fare così ogni mattina” borbottò con voce sottile.
Lui sbuffò e finalmente aprì un occhio per osservarla: “Ho male ad un piede, va’ senza di me” biascicò.
“Non essere ridicolo, muoviti!” Marlene gli tolse di dosso il piumone e il ragazzo rabbrividì per la folata di aria gelida che gli investì la pelle. Allungò le braccia e prima che lei potesse opporsi la prese per i fianchi e la attirò a sé.
Marlene perse l’equilibrio e cadde sopra di lui, coprendosi la faccia per non far vedere che le stava scappando da ridere. Sirius le scostò le mani e la fissò con aria di sfida, di chi sa di essere irresistibile.
Lei cercò di tornare seria, ricambiò lo sguardo e gli mollò gratuitamente un pizzicotto nel basso ventre che gli fece parecchio male. Poi si rialzò, approfittando del momento di debolezza del suo compagno, si mise le mani sui fianchi e lo squadrò severa (Sirius non riuscì a non pensare che in quella posizione assomigliasse tantissimo alla propria madre): “Santo cielo, muoviti, scemo!”.
Il ragazzo la osservò mentre lasciava la stanza con aria indispettita, con quelle mutandine troppo grandi e troppo bianche per essere sexy. Marlene non aveva mai provato ad essere seducente, lo era e basta, anche nella sua bassezza e nel suo naso a patata che le occupava un terzo della faccia. Perché, quando sorrideva, quando le si formavano le rughe d’espressione attorno agli occhi e le fossette sulle guance e rompeva il silenzio con una risata cristallina, non gli importava nulla dei centimetri che non erano abbastanza e delle efelidi che invece erano troppe. A Sirius non importavano.
Il ragazzo si alzò, cercò con i piedi le ciabatte senza successo, si piegò per prenderle sotto al letto, ne trovò solo una, la destra. Con una smorfia di disappunto, se la infilò e si diresse in cucina con passo svogliato.
Trovò Marlene con la bocca piena di quello che doveva essere un panino burro e zucchero intinto nel latte e con lo sguardo puntato all’articolo di fondo della Gazzetta del Profeta.
“E’ morto qualcuno oggi?” chiese Sirius, prendendo la caffettiera e versando tutto il suo contenuto in una tazza decisamente troppo grossa per contenere il caffè di una persona sola. Marlene non si voltò, ma fece un gesto stizzito agitando in aria il panino gocciolante e borbottò: “Smetti di fare questa domanda orrenda, dannazione. Comunque sì, due famiglie di Purosangue che si erano opposte al reclutamento. Voldemort sta uscendo fuori di capoccia”.
Sirius rabbrividì, sedendosi al tavolo vicino a lei: “Come diamine fai a dire il suo nome con questa tranquillità?”.
Marlene alzò le spalle: “Trovo stupido non chiamarlo con il nome stesso che si è attribuito. Lui ci chiama per nome, io lo chiamo per nome”.
“Bah” roteò gli occhi, scettico.
“Devo dire a mia madre di aumentare le protezioni. Arriverà anche qua, poco ma sicuro” sospirò, poi si appoggiò allo schienale della sedia guardando il soffitto e passandosi le dita impiastricciate di zucchero della mano destra sulla punta del naso. Sirius la conosceva abbastanza da sapere che era molto più preoccupata di quanto desse a vedere. Come tutti nell’Ordine, dopotutto. Avevano la consapevolezza che, con la missione che avevano, dovessero ringraziare per ogni minuto di vita. Lo sapevano tutti, Marlene, James, Lily, Remus. Anche Harry forse lo avrebbe imparato un giorno. Il figlio di James, Harry Potter, suo figlioccio. Sirius sperava davvero che la guerra finisse prima che lui avesse la facoltà di ricordarsela.
Marlene aveva detto: “Un figlio mai, almeno fino alla fine di tutta questa merda” quando aveva saputo che Lily era incinta. Aveva fatto morire in gola tante parole a Sirius, quel giorno: discorsi di tutine da comprare, di pappette alla banana ed alla pera, di pannolini da mettere. O meglio, di pannolini che gli sarebbe piaciuto mettere, specialmente ad un neonato con gli stessi occhi di Marlene. O anche con i propri occhi, non cambiava niente. Però lo avrebbe voluto pieno di lentiggini e con quel sorriso che faceva rimanere a bocca aperta. Ed invece niente, almeno fino alla fine della guerra.
Marlene aveva uno sbuffo di burro sul mento corrugato per la concentrazione di leggerei necrologi scritti sui bordi orizzontali del giornale. I capelli neri formavano una zazzera confusa che le toccava a malapena le spalle ma che faceva sembrare la sua testa il doppio di quello che era in realtà.
“So di essere di una bellezza stupefacente, in particolare il mio naso, Sirius, ma smettila di fissarmi, altrimenti non riesco a leggere”.
“Perché mai non riesci?”
“Mi distrai”.
“Perché?”
“Fatti due domande”.
“Non capisco”.
“Certo come no. So che vuoi sentirtelo dire e basta”.
“Lo sai, dunque fallo”.
“La tua bellezza mi distrae, Sirius” cantilenò Marlene guardandolo con aria eloquente.
Sirius fece un sorriso soddisfatto, quasi un ghigno: “Immaginavo, dolcezza”.
Lei ritornò a fissare il giornale, ma arricciò il naso in un buffo tentativo di trattenersi dal ridere.
“Sabato James ci ha invitato a mangiare da lui e da Lily” disse l’altro ingurgitando con un ultimo sorso il fondo del caffè. Lei alzò gli occhi con aria incerta: “Non è che li conosca molto sinceramente… è il caso?”.
Sirius sbuffò: “James è mio fratello. Perché non dovrebbe andare bene? E poi sei già stata a mangiare da loro!”.
“Ma è stato quando sei stato scelto come padrino di Harry, non per un’occasione informale!”.
“Ti fai troppi problemi”.
La ragazza non replicò nulla,arrotolò il giornale con un sospiro e si alzò: “Vado a vestirmi”. Lasciò la stanza con i piedi nudi che rumoreggiavano sul pavimento lucido, abbandonando i resti della colazione sul tavolo.
Lasciava tracce ovunque. Molto più di Sirius, molto più di James, molto più di qualsiasi persona il ragazzo conoscesse. Le bastava entrare da qualche parte  per “marchiare il territorio”, che fossero le impronte di piedi sudati, una macchia di latte su una tovaglia, l’eco della sua risata, i suoi incantesimi, mai, mai non verbali, sempre urlati a pieni polmoni al nemico. Era impressionante come una persona così minuta potesse essere così ingombrante. E non solo per Sirius.
Erano mesi che Travers l’aveva presa di mira. L’ultima volta che si erano incontrati, lei aveva ucciso un Mangiamorte. Si era semplicemente difesa: aveva usato un Sortilegio Scudo talmente potente che la maledizione era stata rispedita al mittente. Né Marlene, né nessun altro dell’Ordine sapevano chi fosse stato ucciso, però tutti riconobbero l’urlo di dolore di Travers da dietro il cappuccio, alla vista del compagno che stramazzava a terra. L’uomo le aveva mostrato la faccia,l’aveva guardata negli occhi ed aveva sputato: “Tu e la tua famiglia siete segnati, McKinnon! Porrò fine alla tua vita personalmente!”. L’Ordine stava già battendo in ritirata, quando lei, un attimo prima di Smaterializzarsi, un po’ per lo spavento, un po’ per l’adrenalina che le scorreva in corpo, gli aveva risposto: “Sono qua che ti aspetto, Travers!”.
Da quel momento, che risaliva a circa quattro mesi prima, i Mangiamorte e Marlene non erano più venuti a contatto, ma Sirius aveva paura per lei, perché forse il filo della sua vita era ancora più sottile di quello di tutti loro.
E Sirius amava Marlene. Forse amava con la pancia, come tutti i ventenni immaturi, però la amava, forse più di quanto amasse James. Lei aveva lasciato tracce anche su di lui. Sirius la sentiva nelle ossa, tra le costole,vicino alla vertebra cervicale, un po’ sopra il fegato, un battito intermittente dietro lo stomaco. Percepiva i suoi polpastrelli sulla pelle e le unghie limate sulla schiena che disegnavano strane spirali tra le scapole anche dopo giorni interi senza vederla.
 
“Questo pomeriggio, Sirius e Remus andranno ad Hogwarts per fare rapporto a me. James e Lily, vi tocca una ronda attorno al Ministero. Dorcas, voi Prewett, Sturgis: si dice che ci sarà un raduno di seguaci di Voi-Sapete-Chi a Nottingham. Se lui non c’è, disperdeteli, se lui è presente andatevene senza farvi vedere, è troppo pericoloso. Malocchio, sai che cosa fare con i Centauri. Marlene, sta’ a casa con i tuoi, sono due maghi molto capaci, ma hanno bisogno di protezione in questo periodo” la Strillettera di Silente mandata via Gufo scomparve in una lingua di fuoco lasciando la stanza del Quartier Generale più buia e silenziosa.
Sirius prese la mano di Marlene e la strinse con fare rassicurante.
Ammiccò.
“Ci vediamo stasera, ok?”
“Ok” Marlene sorrise, con le rughe sotto gli occhi e la fossetta sinistra sempre più pronunciata di quella a destra e James dovette chiamare Sirius sette volte prima che lui riuscisse a distogliere lo sguardo.
 
Marlene amava Sirius. Lo aveva amato dalla prima volta in cui lo aveva visto entrare nel Quartier Generale. Si erano messi insieme circa tre secondi dopo essersi presentati.
Colpo di fulmine. Chimica. Affinità elettiva. Quella roba lì, tutta insieme tutta ad un tratto. Lei aveva tre anni in più di lui. Le era costato non poco sforzo ignorare il pensiero che fosse ridicolo che una ventenne si fosse innamorata di un ragazzo che era ancora lungi dal compiere diciotto anni.
Eppure era andata così e funzionava, malgrado tutto.
Aveva sempre percepito Sirius in modo diverso dagli altri. Il resto dell’Ordine della Fenice avrebbe descritto Sirius come una persona irruenta e precipitosa, ma leale, preparata, pronta a tutto per i propri amici, che non si arrendeva davanti a nulla. E Sirius era tutte queste cose senza dubbio, ma pareva che solo lei avesse la sensazione che lui fosse anche una persona che sfuggiva, che scivolava tra le fessure.
Non in modo malizioso come i serpenti, ma con noncuranza, forse inconsapevolezza. Era come se lui  la stringesse e non la volesse lasciar andare per nessun motivo, ma senza toccarla davvero. Sapeva essere impetuoso nei sentimenti, ma sfuggiva, svicolava, lasciando quasi come un dolce sapore in bocca, il lontano ma preciso ricordo di qualcosa di buono. Non era come essere certi di avere qualcosa. Era come rendersi conto di averlo avuto un attimo dopo che se n’era andato.
Quasi fosse così perfetto da essere inafferrabile.
Marlene stava cercando della farina per fare i biscotti quando trovò la ciabatta sinistra di Sirius. La prese in mano estraendola da sotto la credenza della cucina, pensando a quanto poco loro due ricorressero agli incantesimi quando erano in casa. Lui avrebbe potuto Appellarla per trovarla, ma non lo aveva fatto, così come lei non aveva Appellato la farina. Non che non piacesse loro fare magie. Semplicemente, dentro casa si erano abituati a non farle perché, da coppia di distratti quali erano, si dimenticavano le bacchette nei posti più improbabili e non avevano mai la voglia di cercarle.
Marlene notò che la sua in quel momento era appoggiata vicino al paiolo dove stava facendo bollire il cioccolato. Presa da un vago senso di inquietudine, se la ficcò in tasca. Nel farlo, qualcosa cadde a terra. La ragazza guardò in basso e notò uno sfavillio di fianco al suo piede sinistro scalzo. Capì immediatamente che era caduto dalla ciabatta che aveva in mano.
Si chinò e prese quella che aveva tutta l’aria di essere una spilla che voleva provare ad imitare la manifattura folletta, con un quarzo rosa incastonato al centro e una serie di spirali floreali intorno. C’era attaccato un bigliettino, scritto con la grafia minuta ed elegante di Sirius: “So che ti piaceva. Tu e la tua fissa per le spille. Se sei riuscita a trovarla nella ciabatta sei brava”.
Marlene ridacchiò, mentre una lacrimuccia le scendeva solitaria sulla guancia. Se la asciugò con irritazione, perché finiva sempre per piangere per qualsiasi cosa. Era vero che aveva una autentica ossessione per le spille. La settimana prima, lei e Sirius erano andati in un mercatino ad Hogsmeade e lei si era follemente innamorata di quella spilla, ma non l’aveva voluta comprare perché costava troppo. A quanto ricordava, Sirius girava con una ciabatta sola da almeno quattro giorni. Non era distratto. Marlene sapeva che lui odiava camminare scalzo. Lo aveva fatto apposta, era una sfida per vedere quanto ci avrebbe impiegato a trovarla.  Non era la prima volta che nascondeva i regali in giro per la casa. L’anno prima, ci aveva messo ventotto giorni a trovare il peluche di un gatto, che lui aveva messo sul lampadario del salotto. Lei voleva disperatamente un animale per casa, ma lui non ne voleva sentir parlare, quindi aveva trovato questo compromesso. Quando faceva questo tipo di cose, Marlene piangeva sempre, perché aveva l’impressione che lui fosse meno inafferrabile di quanto non sembrasse di solito. Pianse anche questa volta, anche se fece di tutto per trattenersi. In pochi minuti si ricompose, guardò la spilla con fierezza e se l’appuntò al petto con un sorriso.
Fu in quel momento che sentì sfondare la porta con un incantesimo e il suono di una voce che aveva temuto per mesi.
“Ci siamo, Marlene McKinnon. Tira fuori la bacchetta e prova a sfidarci”.
 
James era preoccupato.
Sirius non si vedeva da tre giorni. Non sapeva dove cercarlo.
Guardò Lily che allattava Harry. Pensò che era il caso di lasciarlo stare.
Sarebbe tornato.
 
Sirius fumava. Era il piccolo segreto che aveva con Marlene. Lei non sapeva che lui ogni tanto sgattaiolava nella Londra Babbana per andare al tabaccaio di Grimmauld Place n°17 e comprarsi un pacchetto di Marlboro. Non fumava mai tanto, davvero. Una volta al mese, un pacchetto al mese.
Se ne era fumati sei nelle ultime 72 ore.
Era seduto sulla balaustra del Lambeth Bridge, con le gambe a penzoloni. Aveva una sete pazzesca ed anche la fame stava diventando irritante. Non mangiava nulla dal giorno prima. Si voltò di lato ed osservò le scatolette unte di cibo cinese rimaste vuote ed abbandonate.
Non credeva che avrebbe mai mangiato roba cinese in vita sua. Ed invece.
Nessuno lo vedeva, i passanti passavano di fianco a lui senza accorgersi della sua presenza. Aveva rubato un Mantello dell’Invisibilità al Quartier Generale l’ultima volta che c’era stato, quando gli avevano detto di Marlene, che “ha dato battaglia, davvero, è stata straordinaria, ma erano otto contro lei e la sua famiglia”, che “se hai bisogno di parlare, ci sono, Sirius”, che “ti capisco, il mese scorso ho perso mia sorella”.
Lui però non voleva parlare con nessuno, nemmeno con James, in quel momento. Perciò, aveva rubato quel Mantello, era scivolato via, come diceva Marlene.
“Scivoli, ci sei ma non ci sei” era solita dirgli sempre, specialmente quando bevevano troppo Whiskey Incendiario e finivano per fare l’amore sul tavolo da cucina, anche se il tavolo era scomodo e Marlene odiava i posti scomodi.
Scivolare era facile, a volte. In particolare stavolta. Era incredibile come Marlene fosse l’unica che avesse notato questo aspetto del suo carattere. Tutti lo avrebbero definito impulsivo, sanguigno. Ma nessuno lo avrebbe mai accusato di svicolare, a parte lei.
Sirius prese un’altra sigaretta dal pacchetto e si rese conto che ne erano rimaste solo più quattro.
Finisco questo pacchetto e torno a casa, si disse. Ma quale casa, poi? Sarebbe andato da Remus, non voleva dare fastidio a James, con una moglie ed un bambino da gestire. Poi si sarebbe trovato un appartamento suo.
Accese la sigaretta e tirò una profonda boccata. Inspirò, poi lasciò uscire il fumo dalla bocca con lentezza.
La spilla gli pungeva nella tasca del pantaloni. L’Ordine gliela aveva trovata appuntata al petto. Alla fine lei aveva scoperto dove fosse la sua ciabatta sinistra, in tempo. Prima di combattere e di perdere.
Sarebbe stato ancor più difficile accettare l’idea della sua morte, altrimenti. Non che fosse molto più facile così. Però c’era la consapevolezza che lei l’avesse trovata e che avesse pensato a lui in quei momenti. Magari, il pensiero di lui la aveva fatta combattere più ferocemente. Questo si era ritrovato ad ipotizzare, perché nonostante tutto lui era sempre l’egocentrico Sirius Black.
Una ragazza, sulla ventina o poco più, si appoggiò alla balaustra del ponte di fianco a lui. Sirius se ne accorse subito perché, nonostante Lambeth Bridge fosse davvero un ponte grazioso, nessuno si fermava mai a guardare il Tamigi, tutti avevano fin troppa fretta.
La ragazza era avvolta in un cappotto rosso che le arrivava fino alle ginocchia; dei pantaloni con una fantasia floreale e dei tacchi a spillo rossi ai piedi. Il suo viso era molto bello: occhi nocciola, capelli color cioccolato lunghi e pieni di boccoli che le contornavano il viso. Guardava il fiume fissamente, quasi ipnotizzata. Poi iniziò a piangere. Così, dal nulla, e non tentò nemmeno di coprire il viso  con le mani affusolate coperte da dei guanti beige. Piangeva, il mascara le colava sul viso e disegnava strisce irregolari sulle guance, ma non faceva smorfie, per quanto possibile. Non faceva nemmeno rumore. Singhiozzava piano.
Sirius non aveva ancora pianto. Era rimasto impietrito, raggelato, ma non aveva pianto. Era troppo poco piangere. Però la mamma di James aveva sempre sostenuto che si dovesse sempre piangere se si era tristi, perché “altrimenti vengono i capelli bianchi, tesoro”.
Ma davvero le lacrime avrebbero potuto lenire un po’ il dolore che sentiva nel petto? Quello lancinante, proprio sotto lo sterno?
Forse. Non aveva mai provato, perché, checché ne dicesse la mamma di James, lui aveva finito per non piangere mai.
Quella ragazza, che probabilmente piangeva per una storia andata male o per un suo parente finito in ospedale, o per un progetto di lavoro rifiutato dal proprio capo, gli ricordava tanto Marlene. Lei piangeva spesso, anche se non sembrava dall’esterno. Piangeva per tutto, per un libro che leggeva, per una canzone carpita sulla radio Babbana (“perché, santo cielo, Sirius, quel gruppo di folletti folk non si può proprio sentire”), per una pietanza  venuta male per la cena, per la nascita di un bambino. Perché era vero che lei non ne voleva, però le piacevano tanto.
Ed invece niente rughe sotto gli occhi, niente fossette sulle guance, con la sola consolazione di essere morta per una causa giusta. Sirius ne aveva quasi abbastanza di cause giuste. Non le sopportava più. Ma tanto sapeva già che avrebbe rinnegato questi pensieri nel giro di dodici ore.
Quella ragazza piangeva silenziosamente come piangeva Marlene e non aveva intenzione di smettere.
La spilla faceva male conficcata nei muscoli della sua coscia, ma Sirius non fece nulla per spostarla. Continuò a guardare lei. E finalmente trovò il coraggio di piangere. Pianse perché pensò che non poteva nemmeno togliersi il Mantello ed offrire un fazzoletto a quella sua compagna di sventure, perché aveva tanta voglia di raccontare a qualcuno quanto amasse Marlene, qualcuno che non la conoscesse, qualcuno che non gli ripetesse che era davvero un’ottima strega, perché delle sue doti magiche non gliene fregava nulla. Lei non usava nessuna magia per sorridere in quel modo assurdo, né per preparare la pasta come la preparavano gli italiani (o almeno, meglio di come la preparasse il cittadino medio inglese), né per essere sexy senza provarci, né per lasciare impronte in giro. I loro ricordi più belli, con le sue doti da strega, non c’entravano un bel niente.
Pianse perché non avrebbe più visto lo sguardo divertito e canzonatorio che gli riservava lei ogni volta che stavano per iniziare a fare l’amore, quando lui si toglieva le mutande, da solo, perché lei le sue mutande non le toccava nemmeno per lavarle. Fobia insensata, probabilmente. Pianse, perché gli piaceva sentire i suoi piedi che risuonavano sul pavimento, sempre scalzi. Odiava vedere la gente camminare con i piedi nudi, ma lei no.
Pianse, singhiozzando piano, per non farsi sentire dalla ragazza, che continuava a celebrare il suo dramma personale ignara della compagnia. Pianse, e sinceramente avrebbe proprio voluto abbracciarla, quella ventenne con gli occhi marroni, perché lei forse lo avrebbe capito meglio di chiunque altro in quel momento.
Passarono lunghi minuti. La ragazza, con un ultimo singhiozzo gorgogliante (si era sentito molto bene questo, al contrario di tutti gli altri), si schiarì la voce e tirò fuori un fazzoletto dalla tasca del cappotto. Si asciugò le lacrime con le mani tremule, tirò su col naso e mettendo le mani in tasca se ne andò.
Sirius capì che era il momento di tornare a casa.
 
“Remus…”
“Ti ospito, per tutto il tempo che vuoi, lo sai. Marlene…”
“Si?”
“Mi dispiace”
“Lo so”.
 
La spilla continuava a pungere nella tasca dei pantaloni.
 
 
Angolo “autrice” :)
Ho scoperto giusto oggi che questo pairing è chiamato Blackinnon e non so perché la cosa mi esalta molto. Inoltre, non è un pairing canon, però questa coppia è del genere che io chiamo “non lo sapremo mai!” perché potrebbe essere canon come non esserlo. E sinceramente, con le dovute accortezze, tutto potrebbe quadrare.
*la pazzia della ragazza malata di canon si fa sentire*
Questa storia è tremendamente triste, lo so, probabilmente sono andata OOC un sacco di volte, però sono felice di averla pubblicata e spero di sapere le vostre opinioni in merito. Siate pure crudeli!
Questa OS è dedicata in primo luogo ad IndianSummer, a cui voglio un mondo di bene e che insiste da mesi affinché io pubblichi qualcosa ed anche ad Imp, che poi è la sorella di IndianSummer, per lo stesso motivo. Senza la vostra insistenza, non mi sarei mai offerta in pasto alla pubblica piazza! :)
  
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