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Autore: Belarus    11/11/2013    4 recensioni
«Non puoi tenerli sempre sotto controllo! Non vuoi che le mamme dei loro amichetti al club di cucito ti prendano in giro, vero?!»
«Non ci sono le mamme dei loro amichetti al club di cucito…» borbottò.
«Certo che non ci sono! Sono dall’estetista con me, sono madri moderne!»

[It’s a party in the USA~]
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: FACE Family/New Continental Family
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Party in the USA
Genere : Comico; Slice of life; Drammatico{ per Arthur}.
Rating: Verde
Personaggi:FACE Family [Arthur Kirkland{England}; Francis Bonnefoy{France}; Alfred F. Jones{US}; Matthew Williams{Canada}].
Avvertimenti: Shonen-ai FrUk; AU.
Note: Non ha senso. Destino che sembra ricollegare tutte le storie che scrivo su questa adorabile famigliola. Comunque, temo sia dedicata a coloro che trovano i party americani meravigliosi e che non sanno quanto siano "indimenticabili" le conseguenze di quelle feste.




Party in the USA






L’auto rallentò ulteriormente, imboccando il viale buio su cui si riuscivano a scorgere due file identiche di abitazioni dagli interni illuminati. L’orologio della radio segnalò nefasto il trascorrere dell’ennesimo minuto, ma Arthur, sul sedile del passeggero, decise ugualmente di ignorarlo preferendo rivolgere un’occhiata furtiva al proprio, per poi sporgersi piantando la fronte sul vetro del finestrino.
«Suvvia Chenille, sono grandi ormai! Devono divertirsi, passare il tempo con gli amici, fare l’amour per tutta la notte!» tentò nuovamente la voce di Francis.
Arthur si volse a osservarlo con tutte le peggiori intenzioni del mondo, aggrottando le sopracciglia sino a unirle.
L’idea di prendersi una serata di riposo dai propri doveri genitoriali per lui era stata una vera tortura. Non che non avesse voglia di un po’ di riposo, di regalarsi magari una cena senza mostarda e cetriolini a schizzare ovunque, di fare una passeggiata al parco senza sentire sguardi pesare sulle sue spalle perché in tv c’era la semi-finale del torneo di hockey. Arthur le voleva tutte quelle cose, le sognava persino durante la notte, tra un tè a Buckingham Palace e un concerto di cornamuse nei Cairngorms. Semplicemente però, riteneva non fossero più attuabili. Non poteva certo sopportare di buon grado di prendere la giacca una sera e andarsene al ristorante, mollando la casa con l’impianto elettrico e del gas a due adolescenti – ad Alfred soprattutto – sapendo che avrebbero organizzato una festa con decine di altri coetanei, come aveva fatto. Era stato un supplizio che a fatica era riuscito a tollerare e da cui Francis sembrava inspiegabilmente immune, in qualità di genitore permissivo.
«Non puoi tenerli sempre sotto controllo! Non vuoi che le mamme dei loro amichetti al club di cucito ti prendano in giro, vero?!» insistette con maggiore enfasi, voltandosi a guardarlo.
Arthur rimase per qualche secondo interdetto, vagabondando nei meandri di quella domanda, prima di rispondere un po’ confuso abbandonando la propria espressione minacciosa.
«Non ci sono le mamme dei loro amichetti al club di cucito…» borbottò.
«Certo che non ci sono! Sono dall’estetista con me, sono madri moderne!» quasi strillò esasperato Francis, mollando di colpo il volante dell’auto.
Arthur lo fissò sconvolto per una buona manciata di secondi, incerto se chiedergli se stesse scherzando o cosa andasse a fare dall’estetista quando buona parte del suo corpo continuava da anni a essere ricoperta di peli. Tentò di ribattere, ma quando la voce fu sul punto di venir fuori decise saggiamente di lasciar cadere la questione, riportando la propria attenzione sul marciapiede qualche metro più in là.
«Matthew?» chiese improvvisamente, un po’ sbigottito, poggiandosi al cruscotto per vedere meglio.
«Mathieu è un ragazzo molto responsabile! Molto più dei figli di quelle donne, te lo assicuro! Sapevi che la figlia degli Adler è andata al campus dei giocatori di football quest’estate?! Tutte le sere e non per vedere suo frat-» Arthur gli schiantò prontamente una mano sulle labbra, continuando a scrutare la figura accovacciata sul ciglio della strada.
«Perché è seduto lì?» insistette, voltandosi istintivamente verso il francese.
Francis allungò lo sguardo oltre il parabrezza, esaminando il medesimo punto buio del viale ove pareva far capolino una zazzera di capelli identici ai suoi. Gli bastò poco per tirare il freno a mano e abbandonare l’abitacolo dell’auto, seguito subito dopo da Arthur.
«Mathieu, mon mignon, stai bene?» chiese preoccupato, quando l’ebbe raggiunto.
Il giovane sollevò il capo dall’enorme felpa rossa dentro di cui si era accoccolato, le guance parvero riprendere colore quando incontrarono il viso del padre, accovacciatosi davanti a lui. Un flebile sorriso gli distese le labbra, mentre la mano del francese scivolava ad accarezzargli i riccioli biondi.
«Siete tornati!» esalò grato con occhi lucidi.
«Matthew che è successo? Dov’è Alfred?» indagò Arthur con voce incrinata, continuando a scrutare in direzione della loro abitazione.
«Io… Alfred è a… casa…» biascicò, rannicchiandosi nuovamente all’interno della felpa, indicando tremulo la struttura due numeri più in là.
Arthur non attese neanche che Matthew avesse terminato la propria sequela di mormorii prima di allontanarsi in fretta alla luce dei lampioni.
«Pardon, papa…» sussurrò flebile tra le carezze rassicuranti del francese, mentre decidevano di seguire l’inglese verso casa.
Proseguirono per una decina di metri, prima di scorgere un gruppo di ragazzi defilarsi dal giardino sul retro di gran corsa e la figura di Arthur immobile a fissare guardingo il curatissimo giardino cui aveva dedicato quasi ogni pomeriggio da quando lui e Francis si erano sposati. Impiegò qualche minuto controllando che ogni aiuola fosse al proprio posto, la vaschetta degli uccelli non giacesse agonizzante sul prato all’inglese e la porta del giardino fosse ben chiusa, esattamente come l’aveva lasciata. Quando tutto ebbe superato l’esame, si mosse nuovamente, sotto lo sguardo terrorizzato di Matthew, risalendo insieme a Francis i due gradini del patio. La mano sfiorò appena la maniglia, prima che Alfred sbucasse fuori sghignazzante con un orrido cappellino dei Giants cui aveva collegato due cannucce per bere la coca.
«Vecchiacci… già a casa?» chiese smorzando la consueta risata, sotto lo sguardo severo di Arthur.
«Francis vi ha concesso dieci minuti in più.» sentenziò laconico, non retrocedendo di un solo millimetro.
«Ahahah! Potevate prendervene qualcun altro! Anzi, perché non andate a fare le vostre cose per un altro po’?» propose mollando ad Arthur una pacca sulla spalla.
Matthew per poco non scoppiò in lacrime, sconvolto dalla totale mancanza di furbizia nella mente del fratello, aggrappandosi alla camicia di Francis.
«Non ho alcuna intenzione di passare altri dieci secondi fuori da casa mia! Spostati, fammi passare.» troncò, facendosi largo oltre lo stipite della porta.
Alfred emise un rantolo isterico rientrando insieme agli altri due. Matthew si volse preoccupato verso Francis, quando un lamento agonizzante fischiò nelle sue orecchie e il corpo del francese si accasciò al pilastro delle scale fissando ciò che restava del salone della casa.
«Oh mon Dieu…» esalò sconvolto.
Arthur avanzò con attenzione, evitando di calpestare le coperte del letto matrimoniale finite inspiegabilmente sul tavolinetto da caffè e le decine di snack dispersi tra sedie rovesciate, lattine vuote e cuscini sfoderati. Lasciò vagare lo sguardo sulla tv su cui facevano bella mostra un paio di boxer di Francis, sulle finestre macchiate con qualcosa di cui non voleva neanche immaginare la provenienza, sul pallone da basket poggiato al posto dei fiori sul vaso dono della zia, sino al lampadario da cui pendevano palloncini sgonfi, uno skateboard e il suo ultimo lavoro di ricamo.
«Alfred dimmi che quello macchiato di birra non è il tappeto di Fiandra!» biascicò sconvolto Francis, serrando la mano tremula attorno al braccio del giovane.
«Noo!» assicurò battendogli la propria sopra.
«La mia cabina armadio sta bene?» insistette ancora, riprendendosi appena.
«Mai stata meglio! Ahahah!» assicurò, mentre il francese tirava un sospiro di sollievo.
Arthur, ancora rinchiuso nel proprio mutismo, avanzò sino alla soglia della cucina, gettando un’occhiata disgustata ai ripiani colmi di ogni genere di cibo spazzatura reperibile negli Stati Uniti. Poi come colto da un’improvvisa preoccupazione alla vista della scatola incenerita dei biscotti Digestive, saltò le due sedie riverse sul pavimento a scacchiera, superando il gruppetto ancora in salone, per dirigersi verso la stanza opposta.
Francis, ripresosi dal trauma iniziale, lo seguì con lo sguardo allontanandosi appena dal sostegno di Matthew. Lo sentì chiaramente farsi largo tra i mobili riversi con la disperazione di chi teme di aver perso ogni cosa. Si volse nuovamente indietro, scrutando il luogo da cui l’inglese era scappato con tanta foga e un campanello terribile parve scattare anche nella sua mente, rianimandolo completamente.
«Alfred, non hai rotto il…» mormorò appena, terrorizzato dal coro di “no” che cominciava a innalzarsi dal salottino nella parte opposta della casa.
Matthew fu percorso da un brivido, atterrito si volse a osservare il sorriso ormai smorto del fratello.
«My service afternoon tea!»
L’urlo disperato, accompagnato da singhiozzi e maledizioni su ogni possibile generazione scaturita dai vandali che avevano commesso quel “crimine imperdonabile”, convinse il resto della famiglia a precipitarsi al di fuori dell’abitazione.
«Mathieu chiama il 911! Perché ho parcheggiato così lontano?! Merde!»
«Vecchio non puoi calmarlo?»
«Zitto e corri tu! O ti mando indietro io a calmarlo!»






  
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