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Autore: Megan Alomon    11/11/2013    0 recensioni
"Ho imparato a riconoscere il tuo odore e tu hai imparato a riconoscere il mio."
-Tratto da una storia vera: la mia.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Schegge

Abbiamo imparato a rispettare i nostri spazi, a darci delle regole, a rispettarle quasi sempre, a sfiorarci e basta.
Ho imparato a riconoscere il tuo odore e tu hai imparato a riconoscere il mio.
 
Mi abbracci e con le mani cerchi la mia spina dorsale nascosta sotto al maglione scuro. Trovi due vertebre più sporgenti e con le dita le saggi. Fai sempre così.
Sembra che tu voglia trovare il mio centro, il mio schema d’equilibrio.
“Dove sei stata?”
Il tuo fiato caldo mi solletica l’orecchio sinistro.
“Che dici?”
“Con chi sei stata?” La domanda è leggermente cambiata, ora.
“Con uno. Un amico. Niente di più. Perché?”
Mi scosti dal tuo corpo e mi guardi.
“Perché non è il tuo odore quello che hai addosso.”
 
Abbiamo capito, con il tempo e le cose non dette, quanto entrambi siamo irrimediabilmente e terribilmente fragili.
Anche se mi chiami “Roccia”.
Anche se dico di non piangere mai. E tu sai che non è vero ma fai finta di niente.
 
Giochiamo al gioco “obbligo o verità”, tu, io e qualcuno un po’ brillo che non conosco.
“Allora,” dici, “Obbligo o verità?”
“Verità.”
“Piangi spesso?”
Perché, proprio tu, mi fai questa domanda? Vuoi vedere se dirò a tutti la verità che sai solo tu?
“No.” Ti rispondo, “Io non piango mai.”
Sorridi triste. Non sono brava a questo gioco.
 
Ho imparato che non devo fare finta di essere perfetta con te e tu hai capito che io non mi vergogno mai, se fai il cretino.
Fa’ niente che sia mattina, sera, pomeriggio, che in centro sia pieno di gente o meno.
Io non ci faccio caso, e tu nemmeno.
 
“Woooooah! Pozzanghera!” e ci salti dentro. Si bagnano le Converse grigie e si bagna l’orlo dei jeans.
Io rido, tu pure.
“La prossima è tua, bellezza!”
E alla pozzanghera dopo sono io che ci salto dentro. Si bagnano le mie scarpe rosse, si bagna l’orlo dei miei pantaloni neri.
Tu ridi, io pure.
La gente ci guarda, non capisce, ci capiamo poco anche noi.
 
Ho confuso un sacco di volte quella linea che divide tra “amicizia” e “qualcosa in più” e credo che l’abbia confusa anche tu.
Ma ci siamo riassestati subito, mai abbiamo osato andare oltre.
 
Salta una corda dalla tua chitarra, colpisce il dorso la mia mano.
“Ahi!”
“Oh Dio, scusami.”
Mi prendi la mano e la tieni fra le tue, con i pollici disegni dei cerchi sulla pelle un po’ screpolata.
Non mi guardi negli occhi, sei rosso in viso.
C’è così tanto silenzio che posso sentire il tuo cuore e il mio che battono all’impazzata, giuro che che posso sentirli.
Lasci la mia mano, cambi la corda, io rimango appoggiata al tavolo.
Cominci a suonare delle note acute che conosco benissimo, mi si piantano nel petto come schegge di vetro.
E mi fanno male.
E mi fanno bene.
“Perché hai imparato a suonarla?”
“Perché ti piace.”
 
Ci sono momenti in cui vorrei sommergerti di domande. Poco importa dove siamo, con chi siamo, se fa caldo, se fa freddo, se c’è il sole, se mi fa male la pancia o no. Sono domande stupide, che tengo per me, a metà tra la lingua e il palato, si incastrano lì e non le riesco a buttare fuori.
Come stai? Che fai stasera? Con chi esci? Che numero di scarpe porti? Ti piace il mio giubbotto? Hai fame? Hai sete? Il viola è ancora il tuo colore preferito? Preferisci salame o bresaola? Meglio i Funeral Suits o gli Arcade Fire? Che hai fatto oggi a scuola? Che hai mangiato a colazione? Mi ami almeno un po’?
 
 
 
  
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