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Autore: Lucrezia_Uchiha    12/11/2013    5 recensioni
Una fiction letteraria, nella quale mi sono ispirata alla divina commedia, non voletemene male, non sono una secchioncella, ma la divina commedia meritava.
Dal testo:
{-“quando leggemmo il disiato riso
Esser basciato da cotanto amante,
questo che mai da me fia diviso…”-
“La bocca mi basciò tutto tremante” completò Itachi, mentre con delicatezza mi sollevava il viso.}
Avviso che forse sono andata poco poco OOC, gomen nasai
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Deidara, Itachi | Coppie: Itachi/Deidara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Amor ch’a nullo amato amar perdona
 
 
La luce soffusa della stanza illuminava pigramente le pagine del libro aperto davanti a me.
Era un mercoledì pomeriggio.
Un gelido mercoledì pomeriggio di inizio dicembre, eppure la biblioteca era piacevolmente tiepida, riscaldata dai diffusori e dall’odore di carta stampata.
Non che per me il freddo fosse un problema, viste le mie origini svedesi.
Controllai l’orologio, mancavano ancora dieci minuti alle 16:00, l’ora dell’appuntamento con il ragazzo che mi dava ripetizioni.
Già: ripetizioni di lingua, lettere e grammatica.
L’Italia mi piaceva infondo, aveva arte ovunque, poesia, storia, ma aveva una lingua che non avevo mai parlato né, tantomeno, sentito parlare.
A fine Ottobre, con l'anno scolastico già cominciato, mi ero trovato trasferito in una scuola di Firenze, in mezzo a persone che non conoscevo, che non parlavano nemmeno inglese (unica altra lingua che parlavo fluentemente), e con l’esame di maturità da preparare per Luglio.
In un mese avevo imparato a ciancicare quella lingua musicale, che suonava come una continua melodia, e mi trovavo abbastanza bene nelle materie scientifiche, perché in quelle letterarie ero un disastro, soprattutto letteratura. L’italiano era una delle lingue più difficili che avessi mai studiato: come pronuncia, come costruzione e come cadenza degli accenti, tentare di comprendere le poesie d Dante e Petrarca era un lavoro quasi impossibile per me.
Per fortuna avevo incontrato un ragazzo in quella biblioteca, che frequentava lettere classiche e si era offerto di aiutarmi.
Quando me lo ero trovato davanti la prima volta ero rimasto quasi abbagliato. La sua voce, monocorde, leggermente roca, ma morbida e calda, si intonava perfettamente ai lineamenti sottili ma fermi, le labbra perfettamente disegnate sul volto pallido; ma quello che più mi aveva colpito di lui era il nero dei suoi capelli e dei suoi occhi, così neri che l’iride risultava un tutt’uno con la pupilla, l’esatto opposto dei miei: più chiari che cielo a mezzogiorno. I capelli gli scendevano perfettamente lisci sulle spalle come tanti fili di notte raccolti in una coda.
Mi aveva sorriso appena, esprimendosi in un inglese quasi perfetto, dicendo che mi aveva visto in difficoltà e chiedendomi se avessi bisogno di aiuto.
Il mio viso si era illuminato, era stato veramente una manna dal cielo.
Controllai di nuovo l’orologio.
Due minuti.
Cominciai a cercare il segno lungo il testo dove eravamo arrivati l’ultima volta.
Dante.
Inferno.
V canto.
Dannati per lussuria.
La divina commedia aveva un che di affascinante, ma quel canto non lo capivo:
come si può cedere in quel modo ad un semplice istinto?
“Sei in anticipo” mi disse una voce che ormai conoscevo bene, alzai il viso dal libro sorridendo “Haj[1]” lo salutai sorridendo “Oggi ho avuto fortuna con i bus” spiegai, mentre si sedeva con tranquillità davanti a me.
Mi sorrise: un sorriso raro che gli avevo visto fare solo un’altra volta. Mi scoprii appena arrossito mentre ricambiavo quel sorriso. Itachi sapeva scaldarti il cuore.
“Allora, ricordi dove eravamo arrivati l’ultima volta?”
Annuii, schiacciando i pensieri in un angolino della mia mente “Francesca aveva cominciato a raccontare a Dante la loro storia”.
Itachi girò appena la sedia; eravamo seduti all’angolo di uno dei lunghi tavoli che la biblioteca metteva a disposizione. Io sul lato lungo, lui su quello corto: in modo che lui potesse sia guardarmi in faccia che seguire il testo.
Quando girò la sedia, quando poggiò i gomiti sul tavolo, le nostre spalle si sfiorarono.
“Pensi di riuscire a leggere tu oggi?”, certo che potevo riuscirci, pensai annuendo, la lettura era il minore dei problemi.
Presi fiato tenendo il segno con la matita.
 
-“Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
A che e come concedette Amore
Che conosceste i dubbiosi disiri?”-
 
La mia lettura era comunque stentata, poco musicale e per nulla armoniosa. Itachi mi incoraggiò a continuare con un cenno del capo.
Lessi altre due terzine per poi fermarmi.
Il mio ‘maestrino’ sospirò appena “Cosa hai capito?”, il mio sospiro fu più pesante “Quasi nulla”, il suo movimento per spostarsi i capelli dagli occhi catturò la mia attenzione, prima che la sua voce mi svegliasse per la seconda volta.
“Nell’italiano moderno suona così: -ma dimmi: al tempo dei dolci sospiri, com’è che amore vi fece conoscere i desideri pericolosi…-”.
Dopo qualche tentativo riuscii a renderlo in inglese, cominciando a capirne il senso.
Eppure per quanto mi piacesse non riuscivo a concentrarmi.
Era mia abitudine sbirciare il viso di Itachi mentre leggevo, per provare a leggere se qualcosa non andava nella mia lettura, ma quel giorno i miei occhi indugiavano sui suoi lineamenti fin troppo volentieri. Sulla dolce linea delle labbra, il taglio degli occhi, le due linee che scendevano lungo le guance.
“Deidara…?” la voce interruppe i miei pensieri “Oggi sembri molto incerto… va tutto bene?” mi chiese avvicinandosi appena guardandomi negli occhi. ”S-Si… credo di essere solo un po’ stanco”, mi poggiò la mano su una spalla “Te la senti di continuare?” mi chiese dolcemente ma con fermezza.  Arrossii appena, sentivo le mani bollenti sopra la T-shirt che avevo indosso: era piacevole.
Annuii “Si, va bene” presi un respiro tornando al testo.
 
-“Noi leggevamo un giorno per diletto
Di Lancillotto e come amor lo strinse:
soli eravamo e senza alcun sospetto”-
 
Sospirai cercando di renderlo in italiano, mentre la mia voce si perdeva nello stanzone immenso della biblioteca deserta.
La sedia di Itachi strusciò sul pavimento mentre si avvicinava a me per potermi spiegare.
 
-“Più fiate li occhi ci sospinse
Quella lettura, e scolorocci il viso;
ma un solo punto fu quello che ci vinse”-
 
Alzai di nuovo gli occhi su di lui, ricominciando a parafrasare mentre mi correggeva.  Mi spostò una ciocca dagli occhi facendomi arrossire, mentre elencavo le figure retoriche.
 
-“quando leggemmo il disiato riso
Esser basciato da cotanto amante,
questo che mai da me fia diviso…”-
 
“La bocca mi basciò tutto tremante” completò Itachi, mentre con delicatezza mi sollevava il viso, poggiando dolcemente le sue labbra sulle mie, rapendomi nella loro morbidezza, soggiogandomi alla loro decisione.
Ricambiai timidamente, mentre le sue mani esploravano le mie guance, il collo, il sottile profilo della spalla, lasciando brividi lungo il braccio, fino ad appoggiarsi sulle mie.
Rabbrividii appena, aprendo le dita per intrecciarle alle sue. Nella silenziosa confessione di quello che provavo.
Nella solitudine della biblioteca solo il lieve rumore dei nostri respiri, teneva compagnia al nostro amore appena sbocciato.

 
 
-“Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante”-
 
 
 
 
 
 
 
Salve a tutti, non è la prima fanfic che scrivo, è la prima che ho finito, solo che mi vergogno a pubblicare le altre, ^^’’’
Questa avrei potuto continuarla ma ho preferito lasciarla così, altrimenti rovinavo il tono ovattato e delicato per il quale mi sono tanto impegnata. Spero che l’aver dato un tono letterario non abbia rovinato nulla  :3 ovviamente non lo ha fatto cof cof.
Spero di non essere andata troppo OOC, Itachi n lo è più di tanto, Deidara forse è un po’ troppo tranquillo, ma essendosi trasferito non credo che sarebbe stato poi così casinaro… spero sia piaciuta a tutti, fatemi sapere con una recensione, che fanno sempre piacere
 
[1] Ciao in svedese
  
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