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Autore: Silvi_MeiTerumi    12/11/2013    4 recensioni
L'amore è una malattia dalla quale non vuoi guarire.
In inverno la malinconia e la dolcezza si miscelano tra le tazze fumanti di cioccolata, dell'uscire la sera andando a pattinare o del mangiarsi una pizza in compagnia.
Gurdare fuori dalla finestra i piccoli fiocchi di neve, candidi come Julia, che passa i suoi mercoledì e venerdì in un gruppo supporto per i 'malati' di depressione, come la definisce il suo medico di base.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton, Irwin, Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel tardo inverno dei miei diciassette anni mia mamma ha deciso che ero depressa, il perché?
Non uscivo molto di casa, passavo un sacco di tempo a letto e rileggevo infinite volte lo stesso libro.
La depressione è un effetto collaterale del morire e mamma si era convinta a portarmi del dottor Gens, il mio medico fin dall’asilo, il quale mia aveva confermato che stavo sguazzando in una paralizzante e certo clinica di depressione, e che perciò i miei farmaci dovevano essere rivisti e dovevo frequentare un gruppo di supporto.
Il mio ‘supporto’ era composto da vari e strambi personaggi in vari stadi di depressione.
E nemmeno dirlo, il gruppo era deprimente al massimo.
Ci si incontrava ogni mercoledì e venerdì nella palestra che la scuola forniva.
Era piacevole andarci, il vento di Port Jackson mi faceva ogni qualvolta chiudere gli occhi quando scendevo dall’auto per dirigermi nel luogo di incontro.
Ci sedevamo in cerchio  proprio al centro della palestra e Emma, la capogruppo, l’unica ad avere più di diciotto anni ci raccontava la sua miserevole, deprimente storia della sua vita: di come tutti l’avevano data spacciata e invece non era morta di depressione.
Ed ora eccola lì, in un’ immensa palestra vuota, sposata, con mille amiche e che vedeva il sole da tutte le parti.
Poi non ci presentavamo. Nome. Età. Che tipo di depressione avevamo. E come stavamo quel giorno.
Sono Julia, dicevo quando toccava a me. Diciassette anni. Livello medio. Sto così così.
Finite le presentazioni, Emma chiedeva sempre se c’era qualcuno che voleva esprimere le sue emozioni. E allora iniziava il sussulto circolare di supporto: tutti che parlavano del loro combattere e battagliere e vincere e recedere e sottoporsi a esami.
Emma, le va dato questo merito, ci lasciava parlare del morire.
Ma il gruppo di supporto si era rivelato una gran delusione, e nel giro di poche settimane sono diventata piuttosto refrattaria rispetto alla faccenda.
Quando ripetevo a mia mamma che non volevo andarci lei pronta mi schernva con – uno dei sintomi della depressione è il disinteresse per le attività – oppure – Julia, sei un’adolescente. Non sei più una bambina. Hai bisogno di farti degli amici, di uscire di casa e di vivere una vita –
‘ Ti meriti una vita Julia ’ E con questo mi ha zittito, anche se non riuscivo a vedere come frequentare un gruppo di supporto rientrasse nella definizione di vita.
-Ti voglio bene e fatti degli amici – urlò mamma dal finestrino dopo avermi lasciato davanti all’ingresso della palestra.
Scendevo lentamente le scale per arrivare il più ritardo possibile.
Ma un ragazzo mi stava fissando.
Ero abbastanza sicura di non averlo mai visto prima.
Alto, asciutto e muscoloso e appoggiato al muro con le braccia incrociate.
Capelli color mogano, lisci e corti. Sembrava avere la mia età, forse un anno in più.
Ho distolto lo sguardo, consapevole di colpo delle mie infinite inadeguatezze.
Portavo un paio di vecchi jeans e una maglietta arancio con il nome di una band che non mi piaceva nemmeno più. E poi i capelli: avevo questo taglio da non so quanto tempo e che oggi non mi ero degnata nemmeno di pettinarmi.
Avevo le guancie paffute e sembrava una persona di normali proporzioni.
I suoi occhi erano ancora su di me.
Ho capito perché lo chiamano contatto visivo.
Sono entrate nel cerchio e mi sono seduta vicino a Marge, a due sedie di distanza dal ragazzo. L’ho guardato di nuovo. Mi stava ancora osservando.
Insomma, diciamocelo: era sexy.
Ma Emma interruppe il momento facendoci cominciare con la preghiera della serenità.
Il suo sguardo era ancora su di me. Mi sentivo avvampare.
Alla fine ho deciso che la strategia migliore fosse fissarlo a mia volta.
Così l’ho guardato apertamente, ma dopo un po’ il ragazzo ha sorriso e poi ha distolto i suoi occhi marroni.
Quando mi ha dì guardato di nuovo, io ho inarcato le sopracciglia come per dire: Ho vinto.
Lui si è stretto nelle spalle. E finalmente fu giunto il momento delle presentazioni.
Quando la parola arrivò a lui sorrise un po’.
Aveva una voce bassa, fumosa, eccitante da morire.
-Il mio nome è Calum Hood- ha detto – ma oggi sono qui solo per richiesta di Lida.
Lida era una bambina di dodici anni, era una frequentatrice abituale, in lunga remissione da cancro all’appendice.
Ne io né Calum abbiamo aperto bocca fino a che Emma ha detto: - Calum, forse ti piacerebbe condividere le tue paure con il gruppo –
-Le mie paure? –
-Sì-
-Ho paura di essere dimenticato –
-Qualcuno… ehm … qualcuno vuole aggiungere qualcosa in proposito? –
Di solito non ero una tipa espansiva, ero piuttosto timida e riservata, non il tipo che alza la mano.
Eppure, solo per quella volta ho deciso di parlare.
-Julia! – esclamò felice Emma pensando che finalmente mi stavo aprendo e che stessi finalmente diventando Parte Del Gruppo.
-Verrà un tempo in cui noi tutti moriremo. Non ci sarà rimasto nessuno a ricordare Ulisse o Napoleone, figuriamoci te. Tutto quello che abbiamo fatto non sarà servito a niente. Ti consiglio di ignorare la paura dell’essere dimenticati –
C’è stata una pausa di silenzio abbastanza lunga. E poi si è diffuso un sorriso sul viso di Calum. Non il sorriso ammiccante, ma il suo vero sorriso, troppo grande per il suo volto.
-Accidenti – ha detto piano – Certo che sei un bel tipo –
Nessuno ha detto più niente per il resto dell’incontro. Alla fine, come al solito, ci siamo presi tutti per mano e Emma ci ha guidato in preghiera.
Dopo aver recuperato la felpa buttata malamente a terra prima Hood si è spinto sulla sedia e mi è venuto incontro.
-Come ti chiami? – mi ha chiesto.
-Julia-
-No, il tuo nome completo –
-Julia Flaich – stava per dire qualcos’altro quando Lida si è avvicinata. –Solo un attimo – ha detto Calum alzando un dito, poi si è rivolto a Lida. – E’ stato molto peggio di quando mi avevi raccontato –
-Te l’avevo detto che non era il massimo –
-Perché ci vieni? –
-Non lo so. Un po’, bè, mi aiuta-
Calm si è sporto verso di lui, forse pensando che così non lo avrei sentito – Lei è una che viene sempre?-
Non sono riuscita a sentire la risposta di Lida, ma solo un – sono d’accordo – da parte del moro.
I secondi passavano lenti e dopo aver preso coraggio – Perché mi guardi? –
Calum fece un mezzo sorriso – Perché sei bella. Mi piace guardare la gente bella, e poco fa ho deciso di non negarmi i semplici piaceri della vita – poi un breve silenzio impacciato rotto di nuovo da Calum – dato che come tu hai fatto notare, tutto questo finirà nell’oblio e via dicendo-
Mi è scappato un sospiro e velocemente salutai e uscì.
Mamma non c’era ne ancora. Mi sono guardato intorno e all’improvviso Hood mi spuntò alle spalle.
-Dovresti conoscere i miei amici Julia – se ne uscì lasciandomi confusa.



Buonasera a tutte! :)
Questa storia mi è venuta in mente nell'ora di tedesco ( si, lo so, non c'entra nulla ).
Ecco, è una storia un pò particolare, infatti tratta temi delicati, come la depressione, una cosa cimune fra gli adolescenti. E come avete capito Julia ne soffre.
In questo capitolo compare solo Calum, ma non preoccupatevi, presto entreranno pure in scena gli altri ;)
Che dirvi, spero vi sia piaciuto e spero anche che qualcuno di voi abbia voglia di recensire, solo cos' so se continuare oppure cancellarla D:
Dipende tutto da voi <3
Alla prossima <3
 
 
 
 

 
  
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