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Autore: Firefly137    12/11/2013    0 recensioni
Forse questa non è la categoria più opportuna per inserire questa storia, ma se ne leggerete tutti i capitoli capirete quanto questa storia non abbia un genere, ma meriti di essere raccontata.
Giulia è diversa da tutti, eppure guardando dentro di noi tutti ci accorgeremmo di avere almeno un pezzo di lei. Alessandro è quel pezzo mancante per completare il puzzle della sua esistenza ed insieme il collante per tenere tutto unito. Acconsentirà il destino a lasciare che tutto resti unito o deciderà di distruggere ogni cosa?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se pensate che questo sia il semplice racconto di un anno di una ragazzina media, smettete pure di leggere, perché il senso di queste righe è ben diverso.
Scusate la mia franchezza, che tutti giudicano così rude, ma io sono fatta così o mi ami o mi odi e non mi sono mai pentita di questo aspetto della mia personalità.
Mi chiamo Giulia, Giulia Rossi. Che nome anonimo, vero?
A volte da bambina stavo a pensare a quante persone in tutta la nazione si chiamano come me. Mi chiedevo sempre, saranno tutte uguali a me, stesso carattere, stessi pensieri?
Con mia nonna paterna era così anche se non avevamo lo stesso cognome, ma solo il nome. Lei mi capiva più di chiunque altro.
Quando se ne andata (modo con cui le persone intendono morta, parola che a quanto pare spaventa molto, troppo) avevo quasi dodici anni, eppure sono stata a frignare per giorni, come una bambina che a perso il suo gioco preferito.
Il problema era che quella perdita aveva innescato in me una specie di effetto domino, che aveva portato all'apertura di cassetti della memoria che avrei preferito tenere chiusi a chiave.
Ma per ora non voglio parlare di questo, bensì del mio grandioso giorno prima del mio quattordicesimo compleanno, quando tutta la storia cominciò.
Il mio compleanno è l’undici settembre. Questo giorno è ovviamente ricordato da tutti per uno degli avvenimenti più importanti e drammatici del secolo: la distruzione delle Torri Gemelle.
Fortunatamente io sono nata precedentemente ed almeno per i primi anni della mia vita o potuto evitare quella formuletta: “ Che giorno sfigato per venire al mondo.”
Quel anno però il mio compleanno sarebbe stato ancora più sfigato del solito perché, come avevo scoperto pochi giorni prima, l’undici settembre sarebbe stato il mio primo giorno di scuola superiore.
Ogni anno spero non sia quello e quasi ogni anno è la medesima fregatura.
Quella vigilia di anno scolastico era stata ancora più allietata dal dolce risveglio che mi diede mia madre.
Erano le otto di mattina. Il giorno prima di scuola le otto del mattino valgono come le tre di notte (che poi correttamente si dovrebbe dire le tre di mattina).
Mia madre non capiva questa essenziale legge.
 Svegliò me e mia sorella urlando i nostri nomi.
 Dovevamo ancora andare a comprare cartella, diario ed il resto del corredo scolastico.
Era dall'ultimo giorno d’agosto che, tornati dalle vacanze, avevo chiesto a mia madre i soldi per andare a fare questi benedetti acquisti.
Mi madre aveva risposto in quel tono così irritante: << Stai calma Giù, voglio venire con te per consigliarti. Infondo c’è ancora così tanto tempo e inutile iniziare a farsi venire l’ansia.>>
Le ultime parole famose.
Ora era lei quella piena di ansia che ci incoraggiava a muoverci, dato che aveva solo quelle poche ore mattutine per accompagnarci.
Mia madre si chiamava Lucia Pastore e proveniva da Vieste, un paesino nel nord della Puglia dove ho passato ogni mia singola estate.
Si era trasferita a Roma per frequentare l’università e qui aveva incontrato mio padre.
Appena presa la laurea aveva iniziato ad organizzare il matrimonio e subito dopo era nata mia sorella.
Credevo che mia madre fosse molto triste.
Perché svolgeva un lavoro che non la soddisfava (faceva la guida in un museo), aveva tre figli di cui occuparsi senza sapere come fare e soprattutto aveva perso la persona che l’amava e le dava la forza di andare avanti.
Sto parlando di mio padre, Massimo Rossi.
Lui morì quando avevo otto anni e mezzo.
Mi manca tutto di lui.
La sua voce profonda e rassicurante.
I suoi occhi, così incredibilmente uguali ai miei.
La sua simpatia che produceva in me un’indescrivibile voglia di vivere.
Le favole che mia raccontava prima che mi addormentassi.
Il suo amore incondizionato.
Mi manca lui.
Nel periodo che sto raccontando però questa mancanza era diventata una sorta di buco nero nella mia testa.
I buchi neri non esistono, perché sono fatti appunto di non materia, eppure sono lì e per quanto tu voglia non puoi ignorarli. Sono stelle che muoiono, l’unica cosa (o non cosa) che possono diventare.
Forse visto che mio padre era una stella mi ero convinta che potesse diventare solo quello nei miei pensieri: qualcosa che tecnicamente non c’è ma in verità c’è sempre.
Anche mentre mi vestivo quella mattina, continuavo inconsciamente a pensare a quando lui ci portava ogni anno a fare gli acquisti prescolari rendendo quel momento magico come sapeva fare solo lui.
Dopo aver indossato un paio di pantaloncini di jeans, una maglietta rossa ed i sandali bianchi ero pronta ad andare, mentre mia sorella era ancora chiusa in bagno a truccarsi.
Con quel caldo come poteva sperare che il trucco sarebbe resistito?
E soprattutto, con quel caldo come sarei resistita io all'inizio della scuola?
  
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