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Autore: dreamlikeview    12/11/2013    5 recensioni
Louis era un ragazzo timido, e decisamente fissato con le saghe e serie tv fantasy e fantascientifiche. Non interessato all'amore, poiché deluso in passato.
Harry era un ragazzo padre, deluso anch'egli in amore, e chiuso totalmente a qualsiasi sentimento, poiché convinto di essere lui la sventura delle persone che amava.
Cosa accadde quando entrambi si incontrarono in ascensore, tanti anni prima?
[Larry.]
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
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Desclaimer: Niente di ciò che è scritto qui, è scritto con scopo di lucro. I personaggi non mi appartengono e non intendo offenderli in alcun modo. 

Credits: Ovviamente a Lu per il meraviglioso banner e per tutte le info.

Avviso: Sono consapevole che Harry non è più grande di Louis.

Conteggio parole: 16.258.

 



 
Louis sorride guardandosi accanto.
Non avrebbe mai chiesto niente di meglio, dalla sua vita.
Ha un marito meraviglioso, una figlia che è cresciuta benissimo e un adorabile nipotino, che spesso porta al parco.
Suo marito dorme accanto a lui, ormai Harry ha sessant’anni, ma conserva il suo animo dolce, e nonostante le rughe, il suo viso sembra sempre dolce come quello di un ragazzino. E i muffin di Harry sono sempre i migliori in circolazione, Louis non sceglierebbe mai quelli degli altri, è fedele a suo marito anche in questo.
Sono in pensione entrambi, ormai e hanno un hobby in particolare: il giardinaggio. Fuori al balconcino del loro appartamento – quello di Harry, accanto a quello in cui viveva la madre di Louis - hanno una sorta di orticello che curano insieme. Sembra passata una vita da quando si sono incontrati la prima volta, e Louis non riesce a non sorridere.
Harry lo ha accettato nonostante i difetti, nonostante tutto e continua a farlo, dopo tutti quegli anni.
Ancora oggi, sessanta e cinquantacinque anni, riguardano i vecchi film, le vecchie saghe, rileggono i vecchi libri, rifanno tutte le cose che li hanno uniti, fin da quel giorno lontano in cui in ascensore si sono incontrati.
Accarezza la spalla di Harry, e sorride. Stanno bene entrambi, godono di ottima salute, a parte qualche piccolo acciacco dovuto alla vecchiaia, e i piccoli problemi di vista, ma sono indubbiamente felici.
Aspettano il giorno dopo, quando la - una volta - piccola Anne, andrà a trovarli con il marito e il bambino.
Quanti anni sono passati da quando si sono conosciuti?
Troppi forse, ma a Louis sembra che sia accaduto tutto il giorno prima. E allora si perde, ricorda.
Si stringe al corpo del marito, e gli bacia la guancia. Allora anche Harry si muove, apre gli occhi e si perde in quelli azzurri del suo compagno di vita, sorridendogli dolcemente.
“Moon of my life, non dormi?” – gli sussurra ancora un po’ frastornato dal sonno, mentre Louis gli sorride. Sono vecchi, è vero, ma conservano ancora tutto l’amore che li ha uniti da giovani. Come se il tempo per loro si fosse fermato.
“No, my sun and stars” – sorride – “stavo ricordando, lo sai, sono malinconico.” – mormora, poi, il più piccolo, strofinando il naso contro la guancia leggermente rugosa del marito.
“Tu e la tua nostalgia” - borbotta il più grande abbracciandolo. Conserva ancora l’agilità di quando era giovane e nonostante, ora debba usare degli occhiali quando legge, può stringere a sé Louis ogni volta che vuole, lui è forte.
“Ricordi quando ci siamo conosciuti?”
“Amore mio, ricordo tutto. Quando ci siamo conosciuti, quando ci siamo baciati, quando ti ho chiesto di sposarmi… e quando mi hai salvato.” – mormora allora, mentre il marito affonda il viso nel suo collo, ancora caldo e accogliente, lasciandosi stringere da lui. Vorrebbe dirgli di più, ma non ce la fa.
Sorride dolcemente, sollevandosi e lasciandogli un bacio delicato sulla guancia.
“Sembra ieri che ci siamo conosciuti.”
“Louis, sei sempre così smielato e romantico.”
“E tu un vecchietto acido e stantio” – borbotta il minore guardandolo – “ti troverò in posti affollati ad urlare contro la folla?”
“Stupido.” – ride Harry, scuotendo la testa. E’ invecchiato, certo, ma colui di cui si è innamorato, il suo piccolo Louis è sempre lo stesso, non cambia mai. E Harry ama questo. Ama che Louis non sia cambiato in tanti anni.
Louis ride a sua volta, e si stringe a lui.
“A me piace ricordare quando ci siamo conosciuti” – sussurra – “mi hai fatto passare la metà delle mie fobie.”
 
*
 
Era una notte piovosa, scura e fredda nella cittadina di Holmes Chapel, una di quelle sere da divano, tazza di tè e un film alla tv, quando la vita di Harry Styles, panettiere di venticinque anni, mutò. Harry era da sempre stato un bravo lavoratore, e un pessimo studente. Non aveva mai finito il college, anzi non si era mai iscritto ad esso, e aveva trovato lavoro in una panetteria di Doncaster, cittadina nella quale si era trasferito da bambino con suo padre, dopo la morte di sua madre. Non l’aveva mai conosciuta, troppo piccolo per ricordarla, ma sapeva che la donna avesse lunghi capelli neri e che gli somigliasse tantissimo, suo padre ne parlava sempre. Aveva parlato di lei anche quando tre anni prima l’aveva raggiunta, lasciando Harry totalmente da solo. Il ragazzo da sempre aveva avuto uno charme favoloso, che attirava chiunque, e solo pochi mesi prima si era reso conto che a lui piacessero sia le ragazze che i ragazzi, ma dopo la rottura di quasi un anno prima, aveva definitivamente detto no all’amore, occhi verdi come lo smeraldo, puri come l’acqua distillata alla fonte, i capelli ricci e scuri come l’ebano, il viso paffuto come quello di un bambino, le labbra rosse e carnose come delle piccole ciliegie nate nei primi giorni di maggio, quando ormai il freddo lasciava le case, lasciando spazio alla primavera, altissimo, come uno sportivo, e anche muscoloso, voce profonda, roca e calda, come il pane appena sfornato, capace di attirare milioni di ragazze e ragazzi, lui era estremamente solo.
Aveva chiuso i suoi rapporti con la famiglia che l’aveva abbandonato dopo la morte del padre e con i suoi ex amici, capaci solo di portargli guai. Aveva venticinque anni, ma era solo, estremamente solo.
Solo dopo quella notte piovosa, le cose migliorarono.
Una bussata alla sua porta, lo fece scattare in piedi, e accorse ad aprire.
Quando ebbe aperto la porta, si ritrovò davanti un passeggino, in cui c’era una bambina addormentata, accanto ad essa una lettera chiusa. La prima cosa che fece fu prenderla. E aprila istantaneamente. Doveva capire chi fosse, perché avessero lasciato una bambina sulla sua porta, lui che non era nemmeno padre.
La aprì delicatamente e riconobbe la calligrafia di Margaret, la sua ex, colei per cui aveva rinunciato all’amore. No, non poteva essere ciò che stava pensando, non poteva… era… strano.
Aprì velocemente la lettera, senza curarsi di romperla, bramoso di leggerne il contenuto.
Caro Harry,
so che probabilmente non ti ricorderai nemmeno di me. Sono Margaret, ci siamo lasciati circa… un anno fa. Sì, un anno. Ti ho lasciato io, ed è forse per questo che distruggerai questa lettera, ma arriva alla fine ti prego, hai il diritto di sapere tutto.
Ero incinta, quando ti ho lasciato, ma non potevo saperlo.
Sai? Quando stavamo insieme, credevo di poter vivere una vita felice, accanto a te, ma non è andata così. Harry, mi avevano diagnosticato un cancro, ed è per questo, solo per questo che ti ho lasciato. Non volevo che tu soffrissi per la mia perdita, e avevo pensato che lasciandoti, e facendomi odiare, avresti sofferto di meno, invece no. Siamo stati male entrambi, vero? Spero per te, che dopo un anno tu sia felice con qualcuno che meriti.
Quando ho scoperto della gravidanza, non volevo tenerla, insomma, con il rischio di far ammalare la mia, nostra bambina? L’ho chiamata Anne, come tua madre, tu ne parlavi sempre… pensavo ti facesse piacere.
I medici avevano detto che potevo tenerla, ma dovevo scegliere tra fare le chemio, e fare cure un po’ meno aggressive e salvare la bambina. In entrambi i casi, non avrei vissuto per più di un anno. Te lo chiedo per favore, Harry, sei suo padre, ti prego, prenditi cura di lei, ho dato la mia vita per metterla alla luce, e tu sei il suo padre biologico, non farla andare in un orfanotrofio, non potrei mai perdonarmelo.
Abbi cura della nostra bambina, Harry Styles, mi fido di te.
Non ho mai smesso di amarti.
Tua, per sempre,
Margaret”
Harry aveva gli occhi invasi dalle lacrime. Tutto avrebbe creduto, ma non che l’unica ragazza che avesse mai amato in tutta la sua vita, l’avesse lasciato solo per non farlo soffrire in futuro a causa della sua morte. Cercò di asciugarsi il viso alla bell’e meglio, e trascinò il passeggino all’interno della casa.
Quella notte fu certo di due cose: che tutte le persone che avevano a che fare con lui finissero per incappare in sventure, e che avrebbe preservato quella bambina da ogni male. C’era un solo problema, o forse più di uno:
Da dove si iniziava? Che diavolo doveva fare?
Non aveva nessun istinto paterno, l’unica cosa che pensava era che quella bambina fosse la cosa più bella che avesse mai visto. Doveva avere circa tre mesi, mese più mese meno. Allungò le braccia verso il passeggino e la prese in braccio delicatamente. Gli piaceva quella sensazione, era… piacevole, davvero.
Non aveva mai tenuto un bebè in braccio, e in quel momento si sentiva felice, strano, ma felice.
Lentamente la cullò un po’, nonostante già dormisse, e si diresse in camera sua, le ultime lacrime ancora incastrate tra le ciglia sottili. Si sedette sul letto, tenendo la creatura tra le sue braccia, e sorridendo. Con un dito percorse la guancia paffutella della bimba, e ridacchiò, notando quanto gli somigliasse. I capelli erano riccioluti, ma rossi, come quelli della madre, la bocca era piccina e a cuore, e il suo corpicino era così piccolo, esile… come avrebbe fatto, da solo?
“Ehi, ciao piccina” – sussurrò, ignorando i suoi pensieri – “sai di essere la bimba più bella del mondo?” – la cullò ancora, lei non accennava a svegliarsi – “il tuo papà già ti vuole tanto bene, sei meravigliosa, piccola.”
La resse con un braccio contro di sé, e con l’altro sistemò i cuscini sul lato del letto, creando una sorta di barriera anticaduta, poi con delicatezza la posò sul materasso e la coprì con le coperte, e immediatamente si mise accanto a lei, osservandola. Era piccola, così piccola, e adorabile. Le accarezzò il pancino, e sorrise ancora una volta.
Le lacrime ormai erano svanite.
La notizia lo aveva sconvolto, ma quel dono che gli era arrivato, cambiava le cose, finalmente la sua vita aveva senso, finalmente poteva prendersi cura di qualcuno e dimostrare che quando teneva ad una persona, faceva davvero di tutto. L’avrebbe fatto, ci sarebbe riuscito. L’avrebbe fatto per se stesso, per Margaret e per la piccola che ora dormiva placidamente nel suo letto, accanto a lui. Era così adorabile, e dolce. Come poteva esistere un essere così piccolo e dolce? Come l’avrebbe cresciuta? Sarebbe stato in grado di fare il padre?
Una miriade di domande invase la sua testa.
Non voleva pensarci, non in quel momento.
Era appena un po’ emozionato, felice, prima di chiudere gli occhi, e lasciarsi andare al sonno, baciò delicatamente la fronte della piccola, e sorridendo ancora, le sussurrò con dolcezza:
“Benvenuta in famiglia, piccola Anne Styles”
 
 
Louis Tomlinson viveva in un mondo tutto suo. Era un ragazzo strano.
Aveva diciotto anni e una serie di fobie esagerate, ed era un vero fissato con i libri fantasy, le sue saghe fantasy preferite erano “Il Signore degli Anelli” e “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, ma non discriminava altre, purché non fossero noiose, bensì fossero avvincenti ed emozionanti. Inutile dire, che vivesse in un mondo tutto suo, ma amava anche le serie tv, tra le sue preferite spiccavano Doctor Who e Sherlock, ma l’elenco di ciò che seguiva era enorme. Spesso, si rinchiudeva nella sua stanza, dopo aver studiato, con una vaschetta di gelato e il suo PC, a guardare serie tv o a leggere un buon libro. La sua stanza era il suo mondo, e lì viveva mentalmente le migliori avventure. Non c’era da stupirsi che fosse così isolato, frequentava il college e lì era vittima di coloro che erano più grandi e massicci di lui, che simpaticamente da lui erano denominati ‘Uruk-hai’ come una razza nota di orchi presenti nel libro ‘Il signore degli anelli’. Per lui tutto era riconducibile a quel libro. Lui stesso, a causa della sua bassezza, era uno Hobbit, di conseguenza la sua famiglia era una famiglia di Hobbit. Era convinto che un TARDIS, la nota macchina spazio-temporale del Dottore, lo portasse in giro per spazi e mondi meravigliosi, gli mostrasse tutte le meraviglie dell’universo e poi ai suoi cinquant’anni lo riportasse ad Arda, e qui aspettasse che qui Gandalf lo prelevasse, portandolo in giro in quel mondo.
Era il suo modo per sfuggire alla cruda realtà che era costretto a vivere ogni giorno.
Louis era un bel ragazzo, occhi azzurri, profondi, splendenti, brillanti, come il cielo chiaro, quando il tempo non era nuvoloso, decorati da un paio di occhiali squadrati, spessi e neri; i suoi capelli erano fini, sottili come gli steli dei fiori delicati, ma castani, non troppo scuri come il legno pregiato lavorato, fisicamente non era imponente, era mingherlino e bassino, nemmeno muscoloso, ma proporzionato in tutte le sue forme. I suoi fianchi erano leggermente arrotondati, e il suo corpo sinuoso, tanto da sembrare quello di  una donna, la sua voce era leggermente acuta, ma non fastidiosa ed era estremamente timido. La timidezza era uno dei suoi punti deboli, ed era per questo che veniva costantemente deriso dai suoi compagni di scuola. Non era giusto, certo, ma a lui non importava. Non finché sarebbe tornato a casa, nel suo mondo perfetto.
A volte, gli capitava anche di scrivere.
Aveva un file di Word sul PC, pieno di pensieri, parole e sentimenti.
Era fissato, e forse un po’ stralunato, ma aveva tanto amore da regalare, tanti buoni sentimenti da condividere.
Era un ragazzo semplice, in fondo, non gli interessavano le cose sofisticate, il suo abbigliamento era costituito da semplici pantaloni di tuta e magliette con le stampe, prese un po’ da tutto ciò che gli piaceva. Maglie con le stampe de ‘Il signore degli anelli’, di Sherlock, di Doctor Who, di Game of Thrones, e tante altre, che teneva custodite nel suo armadio, dipinto di blu, come la celebre cabina blu del Dottore, e sulle sue mensole spiccavano alcuni dei gadget che col tempo aveva collezionato, i vari libri delle saghe che aveva letto, e molti dvd.
Era nel suo letto, quella notte.
Un tuono squarciò il cielo, e si ritrovò a tremare sotto un piumone immenso, con il PC sulle ginocchia e una tazza di tè in mano. Stava guardando la fine della prima stagione di “Game of Thrones” e oltre alle lacrime, si erano aggiunti anche i tremiti per il tempaccio. Odiava i temporali, rientravano nelle sue fobie, così come i ragni, gli insetti, gli animali e gli spazi chiusi.
Era un ragazzo pieno di fobie, pieno di problemi e con una fissazione per tutto ciò che non era reale.
Non era un caso che fosse deriso da tutti, nell’ambito scolastico.
Non era un caso che si trovasse meglio da solo.
Non era un caso che anche se non lo dimostrava, soffrisse dentro.
Era felice di chi era, non era uniformato alla massa, non era pazzo, era semplicemente diverso.
Non era colpa sua, era semplicemente così, e ne era felice, solo che a volte si sentiva solo. Una volta, aveva avuto un amico, un amico speciale, con il quale aveva scoperto di essere irrimediabilmente omosessuale.
Con lui aveva condiviso tutto, passioni, letto, camera, cibo, videogiochi, tutto.
Aveva condiviso con lui anche una maglietta particolare.
Entrambi seguivano la serie tv ‘Game of Thrones’, e per questo si erano scambiati una maglietta particolare, Louis aveva la maglietta con su scritto “khaleesi”, e l’altro ne aveva una con su scritto “khal”, che erano rispettivamente la regina e il re della razza dothraki, presente appunto nella serie e nei rispettivi libri, ma poi lui era andato via, lasciando la maglietta a Louis, lasciandolo da solo, e lui si era convinto che fosse meglio restare solo, per non stare di nuovo male. Quella volta ci era stato davvero male, si era sentito quasi sconquassato dentro, e non voleva ripetere quella situazione. Mentre i tuoni continuavano ad infrangersi nel cielo e la pioggia a martellare sulla sua finestra, Louis tremava. Voleva qualcuno che lo consolasse in quelle situazioni, odiava aver paura dei tuoni e odiava quando c’erano i temporali. Si stringeva le coperte tra le dita, aveva posato il PC perché non riusciva più a seguire nulla.
Tremava sempre un po’, ma sperava che quei rumori finissero, e che potesse dormire in pace.
Forse quel temporale era un presagio.
Il presagio per qualcosa di brutto, di terrificante.
Cosa poteva esserci di peggio nella sua vita? Dopo tutte le delusioni e la sua reclusione in se stesso, cosa altro poteva succedergli?
O forse era un presagio di qualcosa di bello, come una nuova vita, un nuovo inizio. Magari come una delle compagne del Dottore, che il giorno prima erano normalissime persone, e quello dopo iniziavano a vivere delle avventure magiche, poteva accadere anche a lui, magari una delle rigenerazioni del Dottore era lì per lui.
O forse era solo un temporale  e basta. Solo un fenomeno naturale, che arrivava, terrificava le persone e poi spariva nel nulla. Magari non era niente di grave, magari era solo un brutto temporale che si era abbattuto sulla sua casa, ma il giorno dopo il sole sarebbe tornato a splendere.
Louis dormì agitato tutta la notte, ignaro che nella casa accanto alla sua, un’altra persona avesse difficoltà ad addormentarsi, a dormire, a trovare la pace. Nessuno dei due dormì tranquillo.
Forse erano destinati ad incontrarsi.
 
 
Quella mattina era iniziata nel verso sbagliato, per Louis. Si era alzato tardi, a causa di quel temporale, non aveva dormito per nulla, era stanco, ed aveva sonno. Forse non sarebbe andato a seguire le lezioni, non ne aveva voglia, magari doveva inventare qualcosa da fare quella mattina, magari restare a casa a guardare una delle sue saghe preferite, o a leggere, o magari a guardare serie tv. Stancamente si alzò dal letto, e si diresse in cucina.
Sua madre era già lì, e le sue sorelline erano nei seggioloni intente a guardare i cartoni alla tv.
“Buongiorno, mamma” – mormorò il ragazzo, sorridendole, lasciando poi un bacio dolce sulle fronti delle più piccole – “mi sono alzato tardi, non credo di andare alle lezioni.” – comunicò.
“Oh, tranquillo. Non preoccuparti, ci vai sempre e i tuoi ultimi esami sono stati brillanti.” – rispose la donna abbracciando il figlio – “magari, visto che è una bella giornata, porti le piccole a fare una passeggiata al parco.”
“Certo” – annuì il giovane sorridendo – “posso farlo.”
“Bene, io vesto le bambine e preparo il passeggino doppio, tu fa colazione con calma e vestiti.” – disse mettendogli davanti la tazza ricolma di cereali al cioccolato e latte, prendendo poi le bambine e portandole in camera.
Solo in quel momento, Louis si rese conto di aver fatto un errore madornale.
Per portare le bambine al parco, avrebbe dovuto prendere il passeggino doppio, e per scendere quello, dal sesto piano, doveva prendere per forza l’ascensore. Lui odiava gli spazi chiusi, era claustrofobico, e odiava soprattutto gli ascensori, così stretti e ostili. Sbiancò e iniziò a sudare freddo, ma non doveva pensarci, lui avrebbe superato quella paura, per le sue sorelline. Lentamente, fece colazione guardando con noia i cartoni che sua madre aveva lasciato in tv, e, causa troppa pigrizia per prendere il telecomando, fissò con noia la tv, fino a che la sua tazza di cereali non fu vuota di questi e ne bevve velocemente il latte.
Si alzò dalla sedia, dirigendosi in camera, dove scelse rapidamente gli abiti: un pantalone blu, e una maglia grigia, raffigurante la testa di un lupo, lo stemma degli Stark, della serie Game of Thrones. Si lavò, si vestì e indossò le scarpe. Quando fu pronto, andò dalla madre, sistemandosi gli occhiali sul naso.
“Sono pronto.”
Non era psicologicamente pronto all’ascensore, ma nel peggiore dei casi, sarebbe tornato indietro e avrebbe chiesto alla madre di portare lei le bambine giù e lui avrebbe preso le scale. Semplice, rapido e brillante.
Le gemelle nel passeggino urlavano felici.
Erano due bambine identiche, bellissime agli occhi di Louis, entrambe bionde dagli occhioni azzurri come quelli del fratello, avevano tre anni  e ancora non parlavano bene, ma il giovane nerd le considerava il dono più bello della sua vita. Indossavano entrambe una camicetta bianca candida, ma i pantaloni erano diversi, Daisy ne aveva uno fucsia e Phoebe ne aveva uno rosso, e nei capelli avevano dei fiocchetti che richiamavano i pantaloni, le scarpette erano nere.
“Siete pronte, piccole?” – chiese sorridente, impugnando le estremità del passeggino doppio, sorridendo sornione.
“Ti!” – urlarono le due bambine, agitando i piedini. Il ragazzo sorrise e spinse il passeggino fino all’ascensore, salutando la madre, che si raccomandava di badare alle bambine, di non perderle, semplicemente di stare attento, anche a se stesso. Louis sperava solo che mentre erano fuori, nessun acquazzone arrivasse, cogliendoli alla sprovvista, ma in tal caso, avrebbe chiamato la madre, e sarebbe andata a prenderli. Si diresse all’ascensore, mentre la madre chiudeva la porta di casa, fidandosi di suo figlio maggiore e della sua apparente responsabilità.
Louis era trepidante. Attendeva l’ascensore, quando udì un rumore di chiavi che si infrangevano al pavimento, e qualcuno imprecare. Si voltò di scatto, e lo vide. Era piegato sulle ginocchia, tra le braccia aveva qualcosa e tentava di afferrare qualcosa da terra, probabilmente le chiavi cadute.
Il giovane in un balzò fu vicino a lui, e raccolse lui le chiavi da terra, porgendole poi all’altro, che pareva avere i capelli ricci e una bambina in braccio.
“Oh grazie, amico, proprio non ci riuscivo” – fece quello alzandosi, mostrandosi in tutta la sua bellezza. Louis rimase stupito, aveva degli occhi bellissimi, magnetici, verdi. Gli occhi più belli che avesse mai visto, e poi era alto, imponente. Era veramente meraviglioso.
“Fi-figurati” – balbettò il castano, tremando appena. Non gli capitava mai di incontrare qualcuno di tanto bello, e tanto affascinante. Doveva essere una giornata fortunata, o cosa?
“Sono Harry, mi sono trasferito qui da poco.” – disse sorridendo – “prendi l’ascensore?”
“S-sì!” – esclamò, riprendendosi dalla trance. Era incredibilmente bello – “io sono Louis, sì!” – fece seguendolo, e riappropriandosi del passeggino con le gemelle.
“Louis, Louis cosa?”
“Louis…” – si guardò intorno spaesato. Come si chiamava? Accidenti a lui, e alla sua emotività – “T-Tomlinson, sì, Louis Tomlinson, ecco.”
“Bene, Louis Tomlinson, sì, Tomlinson.” – lo ribeccò imitandolo, l’altro – “io sono Harry Styles, per essere precisi, abiti qui da molto?”
“Sì, mi chiamo Louis…” – disse quello incantato, mentre Harry alzava un sopracciglio, cosa?! – “sì! Cioè, sì! Vivo qui da un paio d’anni, sì!”
L’ascensore arrivò dopo pochi istanti, e Louis entrò per primo, spingendo il passeggino, mentre Harry gentilmente gli teneva la porta, poi lo guardò sorridendo dolcemente.
“Vai da qualche parte?” – chiese.
“Sì, porto le gemelle a fare un giro, da quanto vedo, anche tu, porti tua sorella da qualche parte.” – disse, leggermente più sicuro di prima.
“Oh, no.” – sorrise Harry guardando la piccola creatura tra le sue braccia – “non è mia sorella, è mia figlia.”
Louis spalancò gli occhi.
Com’era possibile?
Non poteva avere una figlia, era troppo giovane, poteva avere la sua età, più o meno, forse era più grande a giudicare dalla stazza, ma non più grande di molto.
“Oh, figlia!” – esclamò il castano – “scusami, i-io credevo, insomma… sei giovane…”
“Tranquillo” – sorrise il riccio, regalandogli un dolce sorriso – “ho scoperto solo stanotte di avere una figlia, sono qui da due settimane e… niente, lascia perdere” – fece un sorriso amaro, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano.
Louis non l’aveva notato.
Era in ascensore con uno sconosciuto, c’erano le sue sorelline e la figlia di uno sconosciuto. Era una delle situazioni più strane ed assurde mai vissute. E… si stava accorgendo solo ora che fosse uno spazio totalmente chiuso?
Chiuse gli occhi tentando di respirare. In fondo, non era poi nemmeno così stretto, ma c’era troppa gente, e l’aria sarebbe finita, erano al sesto piano, dopotutto.
“Ti senti bene?” – chiese Harry, notando il velo di sudore ricoprire la fronte del castano.
“N-no… no…” – sussurrò – “s-sono claustrofobico, n-non sopporto gli spazi chiusi” – disse, mentre il respiro gli si accelerava. No, doveva respirare piano, o l’aria sarebbe finita. Doveva chiudere gli occhi e respirare piano, ignorare che fossero tante persone e pensare di essere su una spiaggia incontaminata, immensa e bellissima.
Doveva chiudere la mente e pensare alle cose belle.
Oh, andava bene anche quel ragazzo, era bellissimo. Doveva solo pensare che sarebbe andato tutto bene, doveva solo non pensare all’ascensore, alle porte chiuse… e il campanello avrebbe suonato, annunciando l’arrivo.
Ma il campanello non suonava.
La presa di Louis sul passeggino aumentò, e il ragazzo iniziò a sudare freddo.
“Ehi, va tutto bene” – gli disse Harry, appoggiando una mano sulla sua spalla – “guarda” – indicò il display luminoso – “siamo al quarto piano. Tra poco arriveremo al piano terra e tu non te ne accorgerai nemmeno.” – gli sorrise rassicurate, e Louis gli credette. Osservò il display, fino a che lo ‘zero’ non apparve, significando che fossero arrivati. Harry teneva ancora tra le sue braccia la bambina ed era davvero… tenero.
Sorrise a Louis, salutandolo, e poi si allontanò da lui.
Louis con fatica tirò le bambine fuori dall’ascensore e le portò al parco.
Quella giornata era decisamente iniziata bene.
 
 
 
“E così, sfigato, hai un nuovo amichetto?” – chiese un ragazzo a Louis, spintonandolo contro l’armadietto, facendogli storcere gli occhiali sul naso. Il castano senza scomporsi si sistemò gli occhiali e lo ignorò. Erano passati due mesi dall’incontro in ascensore, avevano stretto amicizia e Louis il pomeriggio faceva da babysitter alla figlia di Harry.
Nella sua gerarchia personale, Harry era un elfo, in quanto fosse più alto di lui. Quella mattina, era in ritardo a scuola, ed aveva perso l’autobus, quindi Harry si era offerto gentilmente di dargli un passaggio, prima di andare al lavoro alla panetteria. Aveva scoperto tante cose di quel ragazzo. Per esempio, che aveva sei anni in più di lui, non aveva finito il college, e lavorava nella panetteria accanto al college, dove da un mese a quella parte, faceva colazione tutte le mattine, per puro caso. Era bravissimo in cucina e a preparare i dolci. Amava soprattutto i suoi biscotti al cioccolato, nei quali sempre ritrovava delle gocce di cioccolata, appositamente dimenticate dal riccio nell’impasto, oltre ai dolcetti che preparava. E inoltre, amava il fatto che non l’avesse discriminato per ciò che gli piaceva. Ricordava benissimo l’espressione di Harry, quando gli aveva parlato delle sue fobie, e delle sua passioni. Il riccio non aveva battuto ciglio, e gli aveva sorriso.
Louis sarebbe morto, in quel sorriso.
“E’ un mio amico.” – rispose crollandoselo di dosso – “e faccio da babysitter a sua figlia.”
“Affidare una bambina ad un idiota come te, Tomlinson?” – chiese inclinando la testa – “dev’essere un povero disperato.”
“Scusa, caro Uruk-hai” – disse prendendo il suo libro di storia dall’armadietto – “ho storia adesso.”
Non era da lui, mantenere quel tono, ma quel giorno si sentiva sicuro, forse perché Harry lo aveva abbracciato, o forse perché Harry aveva detto che gli avrebbe portato il pranzo, ma si sentiva diverso. Tutto svanì, quando venne scaraventato contro l’armadietto, e un pugno colpì il suo stomaco, e lui si ritrovò a terra, piegato su se stesso ansimante per il dolore. Per fortuna la campanella era suonata, ma lui rimase lì, rannicchiato contro l’armadietto, in attesa. Doveva svanire, sperava che la terra si aprisse sotto i suoi piedi, magari c’era ancora qualche Siluriano superstite, nelle viscere della terra, e l’avrebbe portato lì, nel mondo antico perfettamente conservato.  Ma era possibile che nel mondo universitario, dovessero esserci persone del genere? Non era giusto. Non era affatto giusto, per lui.
Si alzò da lì, solo quando la campanella suonò, annunciando la fine della prima parte delle lezioni, e allora corse velocemente all’esterno del campus, sperando di veder arrivare Harry, la sua salvezza.
Si guardò intorno, e vide che il ragazzo di prima lo seguisse. Si mosse velocemente, giungendo sul vialetto, e finalmente scorse la sua figura. Era bellissimo. Aveva un accenno di barba sul viso, i capelli ricci, impolverati di farina, e  la sua figura alta e muscolosa era davvero imponente, anche da lontano. Gli corse immediatamente incontro, e si nascose dietro di lui.
“Ciao, anche a te, Louis!” – ridacchiò, salutandolo.
“Haz, aiutami…” – sussurrò, impaurito, tremante, e indicò i bulletti che ce l’avevano con lui con un dito. Harry subito capì la situazione, e come aveva fatto a non pensarci prima? Era ovvio che lì, un ragazzo dolce e fragile come lui, avesse problemi di quel genere.
“Non preoccuparti” – mormorò – “sei con me.” – Louis annuì e per sicurezza gli prese la mano. Harry ebbe un brivido. Era da tanto che qualcuno non gli prendeva la mano in quel modo e la mano di Louis era così piccola, delicata… così tanto femminile, che Harry si sentì invadere dalla dolcezza e da sentimenti positivi.
“Ehi voi!” – esclamò, traendo a sé Louis – “non toccatelo, e ignoratelo.” – dichiarò guardandolo dolcemente, mentre Louis tremava un po’ per l’esplosione che aveva sentito dentro di sé, un po’ per il timore. Harry poteva incuterne davvero tanto. – “è sotto la mia protezione.” – e allora si sentì morire. L’aveva fatto a posta, a citare il Dottore, vero?
Quelli, vista l’altezza e la grandezza di Harry, si dileguarono, lasciando i due in pace.
Pranzarono tranquillamente, fino a che Louis non si alzò di scatto, lasciandogli un bacio sulla guancia, pungendosi appena le labbra a causa della barbetta del riccio.
“Ci vediamo oggi pomeriggio?” – chiese, afferrando i suoi libri.
“Oh sì.” – sorrise – “a stasera.”
E allora, Louis si rese conto che forse non era davvero tanto solo come credeva.
Qualcuno per lui, c’era.
 
 
Louis era disperato.
Non sapeva cosa fare, era immerso in uno stato totale di panico e ansia. Non sapeva come fare, non era ‘area di sua competenza’ quella, come diavolo si preparava la pappa ad una bambina piccola?
E poi, quando aveva detto che avrebbe dato da mangiare ad una bambina? Avrebbe dovuto essere a casa sua, a terminare l’ultimo livello di Dungeons and Dragons, non a fare da babysitter ad una bambina di appena dieci mesi?
Sì, erano passati sette mesi da quando conosceva Harry, erano sette mesi che erano… vicini e da sette mesi faceva babysitter alla figlia, ma non aveva mai preparato nulla, era Harry il cuoco. Aveva il PC acceso e la bambina nel seggiolone, e controllava su internet se ci fossero le istruzioni per preparare qualcosa ai bambini piccoli.
 
Ingredienti: 180-200 ml di brodo vegetale, 4-5 cucchiai di crema di riso (oppure mais e tapioca, oppure semolino o crema multi cereali), 2 cucchiaini di olio extravergine di oliva, 2 cucchiaini di Grana Padano o Parmigiano grattugiati, 50g di formaggino ipolipidico, 3-4 cucchiaini di passato di verdura.
 
Poteva farcela. Non era eccessivamente complicato.
Cercò nella dispensa di Harry, e riuscì a trovare quasi tutto.
Il problema era mettere tutto insieme. Prese una pentola e seguì le istruzioni per cuocere quella… roba.
 
Preparazione
Riscaldate il brodo e versatelo in un piatto fondo. Aggiungete l'olio, il Grana grattugiato, il formaggino ed infine la crema di riso. Mescolate bene in modo da ottenere un composto omogeneo. Non c'è bisogno di cuocere la crema di riso. Tutte le creme per bambini sono già precotte. Basta aggiungerle al brodo caldo e mescolare.
 
Seguì tutte le indicazioni, e si ritrovò a guardare un disgustoso ammasso melmoso di qualcosa che doveva somigliare a del cibo. Come diavolo doveva fare, adesso?
Mescolò per bene, ma la situazione proprio non cambiava, anzi faceva sempre più impressione.
“Piccola elfa, mi sa che dovrai accontentarti, quando papà Harry torna, magari ti darà lui qualcosa” – disse mortificato prendendo la sedia e sedendosi di fronte a lei, iniziando a soffiare e ad imboccarla. Era un’impresa, non si decideva ad aprire la bocca. – “dai, che il tuo papà elfo torna presto!” – perché doveva fare da babysitter alla figlia di Harry, quando Harry era uscito con un tale di cui lui non ricordava nemmeno il nome, ma era sicuro che non fosse ‘Louis’? Perché doveva soffrire in quel modo? Perché Harry gli aveva fatto credere che lui fosse speciale? Eppure, tutte le volte che si incontravano, era sempre affettuoso, lo abbracciava, anche se Harry era sempre triste. Non c’era una volta in cui Louis l’avesse visto sorridere sinceramente.
Aveva sempre un sorriso così falso. Glielo si leggeva negli occhi che fosse triste, e che volesse solo trovare qualcuno che lo amasse, era solo, a parte la bambina, Harry era un ragazzo, quasi uomo, solo. E Louis davvero non poteva capire come mai un ragazzo perfetto come Harry, potesse essere solo, era tutto: dolce, forte, sicuro, simpatico, rassicurante. Come poteva, Louis non essersi preso una grande, enorme cotta per lui?
Miracolosamente, riuscì a finire di dare la pappetta terrificante alla bambina, e le diede il biberon con l’acqua, pulendole la boccuccia. Era la fotocopia  di Harry, capelli rossi a parte, chi sapeva se da grande sarebbe diventata bella come lui.
“Vieni, piccola elfa, andiamo a giocare un po’, e poi a nanna.” – sorrise prendendola delicatamente tra le braccia. Certo, sapeva giocare con i bambini, ma nutrirli non era nelle sue capacità, in cucina si sentiva perso. Andò nell’ampio, ma semplice salone, composto solo da una libreria sulla sinistra, un divano al centro con un tavolino basso accanto e un televisore non troppo grande davanti ad esso. Si sedette sul divano, con la bambina tra le braccia, e accese la tv. La bambina, seduta sulle sue gambe, giocava con un pupazzo di pezza, mentre lui guardava una delle repliche di Doctor Who.
Chi sapeva come stava andando la serata al riccio? Si stava divertendo? Era felice dove si trovava? Quel ragazzo che non era Louis sarebbe stato all’altezza della perfezione? Se Harry l’aveva notato, probabilmente sì. Doveva esserlo.
Una piccola, minuscola lacrima sfuggì al suo controllo, percorrendo tutta la sua guancia, posandosi sul mento dove precipitò sulla mano. Possibile che non avesse imparato la lezione? No – si disse – forse è per la rigenerazione del decimo Dottore che sto piangendo, non per Harry. Quanto falso era quel pensiero? Si era illuso per un attimo, che almeno Harry lo considerasse… diverso, e non il pazzo della porta accanto, per lui era il babysitter dalla porta accanto, ma la situazione non cambiava, era sempre quella. Si sforzava di non piangere, ci provava e riusciva anche, ma il vuoto che sentiva dentro di sé, era immenso. Alla fine dell’episodio, si addormentò con la testa reclinata sulla spalliera del divano, e la bambina comodamente accucciata tra le sue braccia, anche lei addormentata profondamente con quel pupazzo ancora stretto tra le piccole ed esili manine.
Quando qualche ora dopo, Harry tornò lo vide, e non riuscì a trattenersi, un sorriso dolce e genuino nacque sulle sue labbra, ma Louis questo, non l’avrebbe mai saputo, ma aveva fatto sorridere Harry, l’aveva fatto sorridere davvero.
Il riccio si avvicinò e delicatamente prese la figlia tra le sue braccia, posando un bacio sulla fronte di Louis, le cui labbra si distesero in un sorriso sereno. Harry mise nella culla la figlia, e tornò da Louis, intenzionato a svegliarlo per farlo tornare a casa sua, ma quando lo vide, e notò una lacrima ancora impigliata tra le ciglia chiuse del più piccolo, decise di non farlo, bensì lo prese in braccio e lo portò nel suo letto, facendolo dormire accanto a lui.
Forse, Harry Styles non era davvero così solo come credeva.
Forse, Harry Styles aveva appena trovato qualcuno che lo rendesse felice.
Quella notte, accanto a Louis Tomlinson, Harry Styles si sentì finalmente felice e completo.
 
 
Aveva finito presto quel giorno, Louis, le lezioni.
E non vedeva l’ora di giungere alla panetteria dove lavorava Harry. Si sentiva tremendamente a suo agio con quel ragazzo, e non si vergognava assolutamente di dirlo. Harry era come un dono. Era bello avere qualcuno che non lo giudicasse, ma Louis sapeva che il riccio non sapeva tutto di lui. Per questo aveva deciso di invitarlo nel suo “sancta sanctorum”, ovvero la sua stanza. Forse poteva sembrare una cosa assurda, qualcosa senza senso, ma per Louis, il portare qualcuno nella sua stanza, equivaleva a dire che si fidava totalmente di lui, che gli affidava tutto se stesso. Si era fidato di una sola persona, in tutta la sua vita, tanto da farla entrare nella sua stanza.
La persona era Liam. Un ragazzo bellissimo, che Louis aveva conosciuto tempo prima, quando ancora frequentava il liceo. Erano stati amici per anni, avevano avuto anche una breve relazione, niente di serio, ma si era affezionato tantissimo a lui, tanto da farlo entrare in camera sua, e farlo dormire nel suo letto. Liam era, forse, il ragazzo perfetto, secondo Louis: era bello, intelligente, forte. Due occhi nocciola profondi e chiari come la cioccolata al latte, i capelli castani, più scuri, come il fondente.  Si era affezionato tanto a Liam, ricordava perfettamente come si fosse sentito quando senza un motivo era andato via, lasciandogli la maglia con su scritto ‘khal’ sulla scrivania, piegata e un biglietto. Non aveva mosso la maglia da lì, e aveva messo la sua accanto.
Liam era stato l’unico che gli avesse mai realmente voluto bene. Era stato l’unico ad apprezzarlo, e ad aiutarlo. L’aveva sostenuto, aveva avuto cura di lui, e non gli aveva mai fatto avere paura di nulla. Aveva guardato serie tv con lui, asciugato le sue lacrime nei momenti più angoscianti, e riso con lui durante quelli più divertenti.
Erano stati insieme alle feste in maschera, travestiti dal Dottore e la sua compagna, o da Gandalf e Frodo, e anche da Batman e Robin. Avevano fatto insieme così tante cose, che Louis non riusciva a contarle sulle dita delle mani.
Erano gli anni più belli della sua vita, e ad essi avevano seguito gli anni peggiori.
Quelli della solitudine.
Interrotta da Harry.
Il tintinnio del campanello posto sulla porta, e l’intenso odore di pane appena sfornato, invasero le orecchie e le narici di Louis, procurandogli un sorriso dolcissimo, e felice. Il suo elfo era lì, davanti ad una donna, mentre gli porgeva una pagnotta chiusa in una busta trasparente. E il suo sorriso dolcissimo, quello che rivolgeva a tutti, anche a lui, era così bello. Trapassava ogni animo, rendendo tutti migliori, riscaldava gli animi delle persone. Il suo sorriso era la cosa più bella dell’intero creato. Era così dolce, così perfetto, che nessuno avrebbe avuto un briciolo di lui, in tutta la sua vita, mai.
“Buongiorno, Louis!” – esclamò – “ho preparato dei muffin al cioccolato, vuoi provarli?”
“Ciao Haz!” – sorrise – “sì, e devo… ecco, proporti una cosa.” – disse avvicinandosi alla cassa, sorridendo. Doveva farlo, voleva fidarsi di lui, stavolta era la volta giusta, lo sentiva. – “ti va se… insomma, stasera sono solo, mia madre non c’è, mi chiedevo, se ti andasse, insomma…” – balbettò, vedendo Harry armeggiare con la glassa al cioccolato che a lui piaceva tanto – “cenare da me.” – concluse, sorridendo imbarazzato, mentre Harry ultimava la decorazione e glielo passava sorridente. Sul muffin, sopra la glassa con della panna montata sottile, c’era scritto un ‘sì’ con tanto di faccina sorridente. Louis ammirò quell’affermazione, e sorrise guardando Harry, poi addentò il muffin, felice.
Un’esplosione di cioccolato si estese nella sua bocca.
Era dannatamente buonissimo, squisito, la cosa più buona che avesse mai mangiato.
“Oh, è… delizioso.” – mormorò con la bocca ancora piena, cercando un fazzoletto nella tasca per pulirsi le labbra, ma Harry fu più veloce e con un gesto repentino, tolse quell’eccesso di cioccolata dall’angolo della bocca del castano.
“Ci vediamo stasera, porti Anne a casa?” – indicò il passeggino dietro il bancone in cui la bimba di Harry dormiva placidamente succhiandosi il pollice. Facevano così, ormai. Alla fine delle lezioni, Louis andava in panetteria, Harry gli faceva trovare qualcosa di gustoso e Louis, che fosse presto o tardo pomeriggio, portava a casa la bimba di Harry, che non avendo ancora l’età per andare all’asilo, veniva portata dal riccio al lavoro con lui.
Andava bene così.
“Certo!” – esclamò sorridente il castano. – “ci vediamo a casa mia, allora.”
Il riccio annuì e alzò la parte mobile del bancone, spingendo il passeggino dietro, verso Louis. Il castano lo spinse davanti a sé e sorrise. Salutò Harry e dopo aver carezzato la guancia della piccola, si diresse a casa sua. Aveva tante cose da sistemare. Voleva fare bella figura, e voleva preparare lui la cena, ma era convinto, che Harry avrebbe sicuramente portato lui qualcosa di pronto, conoscendo le doti culinarie del castano.
Una volta a casa, e molti piani in ascensore – che Louis aveva imparato a prendere dopo la figuraccia con Harry, nonostante ne fosse terrorizzato – dopo, si fiondò in casa sua. Sua madre e le gemelle non c’erano, erano dalla nonna per un po’, e lui era rimasto a casa, per non perdere le lezioni al college.
Prese la bimba dal passeggino e la portò in camera sua, appoggiandola sul letto.
La bimba dormiva, e non c’erano problemi che si facesse male. Lui doveva ordinare alcune cose, prima dell’arrivo di Harry.
Mise meticolosamente in ordine ogni singola cosa, premurandosi di spolverare ogni singolo gadget, ogni libro e ogni dvd. Doveva fare bella figura. Poi prese una maglietta dall’armadio – grigia con un drago rosso con dei capelli neri e una sciarpa blu alla Sherlock, sopra esso vi era la scritta ‘Smaulock Holmes’ e sotto ‘The Consulting Dragon’ - un paio di pantaloni puliti e corse in bagno a cambiarsi.
In tutto quel riordinare, pulire e lucidare, si erano fatte le sette di sera.
Una volta pronto, prese la bambina tra le braccia, ormai sveglia, le diede la sua pappetta disgustosa e la cullò dolcemente, attendendo l’arrivo di Harry. Aveva dimenticato di indossare di nuovo gli occhiali, e si sentiva a disagio, quasi nudo. Se ne accorse quando aprì la porta, e trovò ad accoglierlo un Harry sorridente, che non riuscì a mettere bene a fuoco, dannata miopia!
“Sei bellissimo senza occhiali, sai? Hai degli occhi fantastici” – disse il riccio, entrando con due cartoni di pizza. In un primo momento, Louis si sentì così in imbarazzo da non riuscire a dire altro, poi lo condusse dentro, rimise la bambina nel passeggino e recuperò gli occhiali.
Passò la serata con lui, a guardare uno dei film del Signore degli Anelli, ad anticipare le battute, ridere e si divertirsi con Harry, mangiarono, bevvero coca cola – perché Louis era anche astemio – e poi giunse il momento cruciale, quello che per Louis era il momento della decisione.
“Harry… ecco, ti va di… vedere camera mia?” – gli sorrise timidamente, e il riccio non poté far altro che seguirlo.
Entrò e si ritrovò coinvolto in un mondo a parte, una serie infinita di libri, di dvd e gadget, poster, bigliettini e foto, magliette. Tutto.
E allora Harry intese, Louis gli stava mostrando il suo mondo.
“Qu-qui ci passo il tempo. E-e volevo…” – deglutì – “mostrartelo.”
“Hai letto tutti questi libri?”
“Sì… anche quelli di tecniche di tiro con l’arco, con la spada… oh! Le Forgotten Realms, Il Signore degli Anelli, Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, tutto ciò che vedi.” – spiegò imbarazzato.
“Beh, allora  mi insegnerai a tirare con l’arco o con la spada?” – chiese divertito il riccio.
“Mai! Non so metterle in pratica!” – alzò le mani come per scusarsi, e continuò a mostrargli tutto, lo scrigno con le uova di drago della Khaleesi, il bastone di Gandalf, l’arco di Legolas, il cacciavite sonico del Dottore.
Harry lo guardava affascinato. Spiegava tutto, gli mostrava ogni cosa. Era totalmente preso da quel ragazzo, e non sapeva perché, poi notò sulla sua scrivania due magliette. Non toccate da chi sapeva quanto tempo
“E queste?” – chiese.
“Oh… una è mia, Khaleesi e l’altra, Khal, era di…” – si bloccò – “di qualcuno.”
Harry vide un velo di tristezza passare nei suoi occhi, e non insisté oltre, ma incuriosito, chiese – “Cosa significa?”
“Khaleesi è una sorta di regina per i Dothraki, mentre Khal è il re, dei Dothraki.” – spiegò brevemente, cambiando direzione, magari per prendere quel meraviglioso modellino di Dalek da sopra la mensola per mostrarglielo.
“E non si possono chiamare re e regina?” – chiese ancora.
“E’ la razza Dothraki, hanno usanze e regole diverse, anche la lingua. Quindi no.” – spiegò ancora, sorridendo appena.
Harry ammirò anche le foto appese al muro.
Raffiguravano Louis da bambino, Louis da grande. Era bellissimo, sempre stato bellissimo. Lo vedeva felice, anche travestito, e sempre insieme ad un'altra persona. Forse aveva capito qualcosa, sul passato di Louis, che il castano non voleva far sapere. Tutta la stanza fu esplorata, da cima a fondo.
Louis mostrò tutte le sue magliette, con tutte le stampe, di tutte le serie tv che seguiva, o che adorava. Tutto il suo mondo era stato rivelato ad Harry, ora toccava lui prendersi cura di lui, far in modo che quell’angolo di mondo, appena scoperto non fosse stato l’ennesimo buco nell’acqua per il castano.
Ora stava a lui far capire a Louis che non fosse solo.
“Magari… qualche volta mi fai guardare qualche episodio di quel… Game of Thrones. Sembra carino.”
“Amore e sangue!” – sorrise abbracciandolo d’istinto – “non te ne pentirai, ne sono sicuro!”
Il riccio titubante ricambiò la stretta, sorridente.
Louis era un ragazzo dolce, gentile, sensibile, affettuoso. Doveva solo essere protetto dalle brutture del mondo circostante, doveva essere conservato come un vaso raro, tenuto al sicuro, da tutto e da tutti. E forse lui poteva farcela.
“Prima che me ne vada, ti va un caffè? Ho portato qualche pasticcino, non mi va che si buttino” – disse il riccio, baciandogli una guancia, mentre il castano sorrideva. Si aveva dannatamente ragione, doveva proteggerlo e preservarlo da qualunque male. Louis accettò di buon grado, e si ritrovarono sul divano di casa di Louis a fare zapping alla tv, una coperta ciascuno, con dei pasticcini e del caffè in mano. La bimba di Harry era placidamente addormentata sul letto di Louis, e niente sembrava andare storto, non quella notte, quella notte era perfetta.
Con timidezza, Louis lasciò che la sua testa si posasse sulla spalla di Harry, e il riccio non si oppose. Quando ormai i pasticcini erano finiti, e la tv spenta, Louis era accucciato contro il corpo caldo di Harry ed entrambe le coperte a coprire quelli che ormai erano un unico corpo. Magari si erano trovati davvero.
Magari quella era la volta buona per Louis di riscattare il suo cuore infranto.
Magari potevano ricominciare a vivere insieme, riparare i loro cuori distrutti.
Magari potevano accettarsi a vicenda, cosa già fatta, e supportarsi.
Magari era l’inizio di qualcosa di meraviglioso, qualcosa di bello e di nuovo.
Louis ormai era sul petto di Harry, sentiva il suo cuore battere forte, e sentiva il calore invaderlo completamente, sentiva tante cose belle e positive, sentiva semplicemente di essere se stesso, e nulla più.
Si intrufolò sotto le braccia conserte di Harry, e appena lo sentì, il riccio lo strinse subito a sé. Louis finalmente trovò pace e si addormentò. Non voleva ammetterlo a se stesso, ma si stava innamorando di Harry, così come il riccio si stava innamorando di lui. Non erano poi così diversi, e prima o poi se ne sarebbero accorti.
In fondo, Harry sentiva di doverlo difendere, non poteva essergli indifferente, no?
E poi… oh, era così bello. Era bello come il sole caldo della mattina sulla pelle, quando fuori faceva freddo, i suoi occhi erano sempre vivi, nonostante la vita non fosse stata buona con lui, i suoi capelli morbidi al tatto, e le sue labbra erano talmente baciabili, che se non fosse stato frenato da una sorta di istinto protettivo nei suoi confronti, l’avrebbe baciato. Gli accarezzò i capelli, e si addormentò anche lui, cullato dal suo respiro che penetrava sotto la sua maglia infrangendosi contro la pelle.
Entrambi dormirono sonni tranquilli, ed entrambi si sentirono leggermente diversi, rispetto a quella mattina.
Che avessero trovato l’anima gemella?
 
 
Louis tremava, sudava e batteva i denti.
Aveva freddo e paura. Non si sentiva per nulla bene, e in più era solo.
Si era spaventato a morte, dopo aver fatto un incubo, e si era svegliato di soprassalto senza riuscire ad addormentarsi nuovamente ed era terrorizzato da qualsiasi cosa in quel momento.
Oh, e aveva anche la fobia del buio. L’aveva sempre avuta, ma dopo quell’episodio di Doctor Who, e i Vashta Nerada – letteralmente ‘ciò che è nel buio’, ‘le ombre assassine’- ne era ancora più terrorizzato. A volte, era come se si sentisse risucchiato dal buio, sentiva una morsa allo stomaco, era come se il buio lo inghiottisse, come se fosse in una stanza chiusa, senza aria. Era buio pesto, il cielo era invaso dalle nuvole, e minacciava pioggia.
Non pioveva ancora, ma il vento sferzava e gli alberi da esso erano scossi. Louis aveva paura. Quel rumore era terrificante, ed era solo in casa. Doveva partire, quella mattina, con sua madre e le gemelle, per andare fuori durante il fine settimana, ma gli era salita la febbre, ed era stato costretto a restare a casa. La madre pur offrendosi di rimanere, convinta dal figlio, era ugualmente partita, e in quel momento, durante la notte, quella notte tempestosa, buia e terrificante, Louis  se ne pentì, sperando che sua madre tornasse all’improvviso o solo di riuscire a dormire ed allontanare tutti i rumori da sé.
Magari, se avesse raggiunto l’appartamento di Harry, si sarebbe sentito al sicuro.
Ma era inchiodato al letto dalla paura. Sudava, la febbre era forte e lo abbagliava, il buio lo risucchiava.
Si sentiva immerso in uno dei suoi peggiori incubi, si sentiva oppresso, in trappola. Non voleva sentirsi in trappola, voleva essere libero da tutti i brutti sentimenti, voleva sentirsi felice, voleva sentire l’amore, l’affetto. Voleva sentirsi vivo, non spaventato. Non riusciva a calmarsi, voleva urlare, ma aveva paura di far sentire la sua paura. E se qualcuno fosse entrato in casa mentre lui era in preda al terrore? Era una preda facile.
Singhiozzava piano, sommesso, mentre cercava di calmarsi rannicchiandosi su se stesso. Aveva paura, era terrorizzato.
Quando un tuono squarciò il cielo, allora si alzò immediatamente dal letto. Scattò come una molla in piedi, il cuscino tra le mani, il corpo scosso dai tremiti e afferrò una coperta, ponendosela sulle spalle. Aveva freddo.
Aveva ancora il terrore che qualcuno fosse entrato in casa sua, ma non vi badò. Si mosse velocemente, e giunse alla porta, aveva anche i piedi scalzi e sentiva il gelo del pavimento arrivargli fin dentro le ossa.
Doveva far presto, doveva arrivare da Harry, dov’era sicuro che si fosse sentito protetto.
Raggiunse l’appartamento tremante, scalzo con una coperta sulle spalle. Impaurito, suonò il campanello dell’appartamento del riccio, nonostante fossero le tre di notte, il riccio dopo qualche minuto andò ad aprire, trovandosi davanti una delle immagini più tenere di Louis. Così piccolo, impaurito e tremante era troppo tenero.
“Louis… che succede?” – chiese con la voce impastata dal sonno, strofinandosi un occhio con una mano, notando che il più piccolo fosse scalzo, tremante ed impaurito, oltre ad avere le guance arrossate e gli occhi piccoli.
Louis non rispose, si fiondò tra le sue braccia, avvolgendo i suoi piccoli ed esili arti superiori attorno al corpo massiccio ed alto del riccio. Si strinse a lui, fino a che il più grande non ricambiò, stringendolo forte.
Finalmente si sentì al sicuro.
“S-scusa… a-avevo paura, e-ero s-solo a casa, e-e non sto b-bene, c-ci sono i-i tu-oni e-e ho p-paura… t-tanta…” – balbettò affondando il viso sul petto del riccio, lasciandosi stringere forte, la coperta sulle spalle, era caduta miseramente a terra. Harry lo prese in braccio, tenendolo contro di sé, e lo portò dentro.
Sentì che la fronte del minore fosse bollente, e capì. Si ritrovò a sorridere, mentre chiudeva la porta, e a stringerlo forte al suo petto, per farlo sentire al sicuro. Lo conosceva da quasi un anno, ed era sicuro di una cosa: non esisteva persona più pura di lui. Era la purezza fatta persona. Era così puro, da non meritare quelle paure, meritava solo il meglio. Louis era terrorizzato, doveva aver avuto un incubo, indotto dalla febbre e non riusciva a reggersi in piedi da solo.
“Va tutto bene, Louis, ci sono io” – lo rassicurò, portandolo nella sua camera da letto, ed adagiandolo sul suo letto. Lo coprì con delle coperte pesanti, e corse a prendere il termometro. Gli provò la febbre e capì che fosse davvero alta. Doveva fare qualcosa. Doveva riuscire a fargliela scendere. Prese pezze bagnate, medicinali e quanto potesse servire.
Attese tutta la notte, che si calmasse e sentisse meglio.
Non dormì per nulla, deciso a farlo stare meglio. Si prese cura di lui, gli tamponò la fronte bollente, lo calmò quando si agitò nel delirio della febbre, gli stette accanto tutta la notte, nonostante sua figlia si svegliasse ogni tre ore, nonostante il giorno dopo dovesse andare a lavoro. Nonostante tutto, si prese cura di lui.
E quando verso le sette di mattina, Louis dormì placidamente, con le labbra socchiuse, le palpebre non serrate, ma chiuse leggere tra loro, Harry si sentì soddisfatto. Gli posò un bacio sulla fronte, delicato come un petalo di un fiore.
Guardò il suo viso da vicino, era dolce, come quello di un bambino. Louis sembrava un bambino troppo cresciuto. Gli accarezzò delicatamente una guancia, morbida come un pan di spagna appena sformato, dolce come il miele più pregiato. La mano di Harry si posò sul collo di Louis, ancora dormiente. Gli baciò il naso, la guancia e infine l’angolo della bocca. Quella bocca piccola, sottile, bellissima, da baciare.
Louis era più piccolo di lui di almeno sei anni, non poteva provare qualcosa per lui.
Lui aveva chiuso il cuore all’amore tanto tempo prima.
Era pur vero che non appena le sue labbra incontrarono l’angolo della bocca del più piccolo, un cumulo di emozioni raggiunse il suo cervello e il suo cuore. La schiena era pervasa dai brividi, mentre il cuore palpitava.
Se Louis fosse stato sveglio, sicuramente avrebbe potuto sentire il suo cuore battere all’impazzata, perché sentiva dentro di sé tutte quelle cose? Perché quel giovane nerd – sì, perché Harry l’aveva capito che Louis fosse un nerd, perché ‘tu sei un elfo, vero?’ gli aveva chiesto qualche giorno dopo il loro primo incontro – l’avesse così coinvolto in qualcosa di più grande di lui. Non voleva innamorarsi. Lui e l’amore erano due mondi opposti.
Ma qualcosa dentro di lui, quella mattina, mentre Louis dormiva sul suo letto, accaldato, le guance rosse e calde, le labbra leggermente socchiuse, gli occhi chiusi e l’espressione beata di un angelo, lo spinse ad appoggiare totalmente le sue labbra su quelle del castano, suggellando con esse un bacio leggero come il battito di una farfalla, veloce come quello di un colibrì e delicato come una piuma sfuggita alle ali dell’angelo che sicuramente era Louis.
Qualcosa dentro di lui era scattato.
Era, forse, amore?
 
 
“Piccola elfa, torna qui!” – rise Louis, piegandosi sul pavimento. Da un paio di mesi a quella parte, la piccola Anne muoveva i primi passi, e da ormai una settimana, per Louis era difficile starle dietro, per modo di dire, ovviamente.
Scappava da una stanza all’altra, talvolta inciampando nei suoi stessi piedi, e facendo ridere il ragazzo che le faceva da babysitter. Aveva un anno, ma era una bambina vivace. Spesso Louis le lasciava dei pupazzi di peluche sulle sedie, per farla giocare e non farle correre rischi. – “eccoti, ti ho preso!” – esclamò afferrando la bambina e prendendola in braccio, facendola ridere. Ad un anno diceva anche le sue prime parole, come ‘acqua’, ‘pappa’, e ‘papà’. Louis aveva giurato di aver visto Harry piangere di felicità, quando gliel’aveva raccontato, ma il riccio non l’aveva ammesso e non l’avrebbe mai fatto. Tuttavia, quest’attaccamento alla bambina di Harry, stava facendo ingelosire le sorelline di – ormai – quattro anni di Louis, che non accettavano di condividere il loro fratellone con qualcun altro. Louis però non poteva farci niente, stare con quella bambina lo avvicinava ad Harry, e quella prospettiva a lui piaceva, con Harry si sentiva benissimo, si sentiva accettato. Avevano guardato la prima stagione di Game of Thrones, e Louis aveva accennato alla sua mania di assegnare alle persone una casata della saga e un personaggio de Il Signore degli Anelli. Harry aveva più volte chiesto il motivo, ma Louis non si era mai spinto oltre il ‘perché è divertente’.
Non poteva avere davvero tutto dalla vita. Non l’avrebbe mai accettato, dopo quella confessione, per i suoi compagni, non era cosa da persone sane di mente, e lo pensava anche Liam, gliel’aveva detto nel biglietto lasciato sulla scrivania, ma Louis non l’aveva più riletto, dopo quel giorno, tuttavia non riusciva a sbarazzarsene.
“Anne, Louis, sono tornato!” – urlò Harry dalla porta di ingresso, mentre un Louis sorridente, felice di vederlo correva ad accoglierlo con la bambina tra le braccia, l’allegria fuori da ogni poro e la sua maglietta con la stampa ‘I’m Sherlocked”.
“Piccola elfa, guarda chi è arrivato!” – esclamò il castano sorridente. Harry lo guardò perplesso, e allungò le braccia verso la bambina, mentre Louis gliela passava tra le braccia e la bambina urlava un allegro ‘Papà!’. Louis sorrideva felice di aver portato a termine quella giornata di nuovo, al meglio, si recò nella piccola cucina, a raccattare le sue cose. Harry lo raggiunse e lo guardò. Forse doveva continuare a chiedergli il perché di quelle esclamazioni strane, forse doveva chiedergli perché fosse così… strano, a volte. Non che gli dispiacesse, ma a volte, non sapeva davvero come prenderlo. Era strano.
“Louis, devo parlarti, posso?” – chiese cullando la bambina.
“D-Dimmi…” – balbettò abbassando la testa. Era arrivato il momento in cui lo faceva uscire dalla sua vita, era il momento in cui la storia si ripeteva, e lui come un idiota che ci aveva creduto, stavolta.
“Perché… parli in modo strano?” – chiese, per non dire ‘perché sei strano?’, ma Louis lo intese, ed abbassò ulteriormente la testa per l’umiliazione. Era dannatamente umiliante come situazione, e lui la detestava. Si era già trovato in quella situazione e odiava che la storia si ripetesse, era sempre lo stesso processo, nella sua vita nulla mutava, tutto restava esattamente com’era all’inizio, come nelle trasformazioni fisiche reversibili: l’acqua, dopo essere stata congelata, poteva tornare ad essere acqua normale, così Louis dopo uno stato di felicità, ritornava solo.
“Ehi, perché sei triste?” – chiese Harry, guardandolo, notando il lampo di tristezza passato nei suoi occhi.
“Sono strano, lo so. Mi dispiace, mi dispiace…” – sussurrò trattenendo le lacrime. Fece per andarsene, ma Harry lo trattenne con il braccio libero, con l’altro sorreggeva la bambina.
“No, mi sono espresso male.” – cercò di rimediare Harry.
“No. Lo so di esserlo. Me l’ha detto anche Liam prima di andare via, ed è lo stesso che mi stai dicendo tu.” – disse quasi in lacrime – “s-sai, credevo c-che gli elfi fossero… leali. C-Credo di aver sbagliato, tu-tu sei come Liam, un umano.” – una lacrima sfuggì al suo controllo. Harry sospirò e appoggiò la bambina nel seggiolone, afferrando Louis con entrambe le mani e avvicinandolo a sé.
“Non piangere, calmati” – sussurrò – “io sono un elfo, quindi?” – chiese in un sussurro.
“Sì… gli elfi sono le più belle creature della Terra di Mezzo, immortali, alti… appassionati di arti e musica”- spiegò piano, lasciandosi scappare qualche singhiozzo, non sapeva nemmeno perché lo stava dicendo ad Harry – “capelli scuri, occhi grigi anche se i tuoi sono verdi… tu-tu sei la persona che più somiglia ad un elfo che io abbia mai incontrato, e-e Anne è tua figlia, è un elfo anche lei, anche se la chiamo piccola elfa, che non si dovrebbe dire, ma è piccola, non capisce la differenza tra maschile e femminile, mi dispiace…” – stavolta parlò più velocemente, cercando di sottrarsi alla presa di Harry, che era sempre più forte su di lui. Voleva tenerlo stretto a sé, ma Louis voleva solo fuggire da quella situazione, voleva solo… andarsene e guardare qualche episodio di qualche serie tv, magari prima uno triste, così avrebbe scaricato tutte le sue lacrime, e poi uno divertente per riprendersi. Sentiva il cuore spezzarsi man mano, ma quella volta sarebbe stato forte, ce l’avrebbe fatta.
“E tu cosa sei?”
“Io? Sono un Hobbit, non vedi quanto sono basso?” – chiese cercando di mostrarsi infastidito, quando invece si sentiva rotto dentro, quasi dilaniato.
Harry rise e lo abbracciò forte, baciandogli delicatamente una guancia.
“Oh, mio piccolo Hobbit, concederesti a questo Elfo il piacere di portarti un giorno al Luna Park?” – chiese – “porta anche le tue sorelle.”
Louis sentì il cuore esplodergli nel petto. Aveva sentito bene? L’aveva invitato ad uscire? Non lo aveva cacciato via? Non… era stato così buono con lui? Era… tutto così irreale. Mentre altre lacrime sfuggivano al suo controllo, Louis si ritrovò ad abbracciare Harry, e a dirgli di sì, sì, sarebbe andato con lui al Luna Park, e avrebbe portato le sue sorelle.
Era così bello da non sembrare reale. Si fece anche pizzicare una guancia da Harry, la felicità era immensa.
Sperava solo che il cubetto di ghiaccio che era la sua vita, non si sciogliesse di nuovo, liberando i dolori ancora.
“Prima hai detto che Liam è un Umano? Chi è Liam? E perché?” – chiese Harry curioso, leggermente infastidito dalla presenza di questo Liam nella vita di Louis. Gelosia? Forse.
Louis si ritrovò sul divano di Harry, la bambina in mezzo a loro, a raccontare tutto.
Casate, creature magiche, e quant’altro.
Harry era un Baratheon, La Casa Baratheon, casata nobiliare del mondo della saga Le  Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, era rappresentata dai Protettori di Capo Tempesta, e il loro stemma era un cervo incoronato nero su sfondo oro, il loro motto era "Nostra è la furia", sua figlia era lo stesso, ovviamente.
Liam era un Greyjoy, La Casa Greyjoy, rappresentata dai dominatori delle Isole di Ferro risiedenti a  Pyke. Si definivano gli Uomini di Ferro ed erano feroci pirati e saccheggiatori. Lo stemma era una piovra dorata su sfondo nero. Il loro motto era: "Noi non seminiamo".
E lui stesso, Louis, era uno Stark. La Casa Stark, rappresentata dai Protettori del Nord risiedenti a Grande Inverno. Lo stemma della casata era un meta-lupo grigio in corsa su sfondo bianco ghiaccio; il loro motto era "L'inverno sta arrivando". Tutto ciò per il mondo fantasioso de “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, mentre per la classificazione de “Il Signore degli Anelli”, Harry e sua figlia erano Elfi, Liam un Umano e Louis un Hobbit.
“Un giorno” – mormorò stanco dopo la spiegazione – “ti racconterò dei miei compagni di classe, Uruk-hai, o bruti delle montagne.”
“Ne sarei felice, Louis.” – sorrise Harry, lasciandogli un bacio sulla fronte, prima di vederlo addormentarsi.
Possibile che finisse sempre per addormentarsi a casa sua?
 
 
Louis era agitato, dopo Liam non era uscito mai con nessuno, e ora era nell’auto di Harry, le sue sorelle sedute nei sedili posteriori, accanto alla figlia del riccio che era nel sedile per bambini giusto dietro il padre, che si voltava verso di lui di tanto in tanto e gli sorrideva dolcemente. Si dirigevano al Luna Park, quando Louis aveva comunicato l’invito, le gemelle avevano esultato, dicendo che sì, volevano andare, perché non c’erano mai state prima di quel momento, e il ragazzo era felice di rendere così contente le due bambine, che ormai continuavano a dormire nel suo letto quando restava da Harry, e a dirgli che non era più loro fratello come prima, perdendosi in discorsi bambineschi del tutto senza senso, in fondo, avevano solo quattro anni.
“Boo, ti potti sui cavalli delle pincipette?” – chiese esultante Daisy, mettendosi in ginocchio sul sedile, dietro al fratello, aggrappandosi alle sue spalle, facendolo ridere.
“Siediti, piccola, se no ti farai male!” – esclamò nascondendosi dallo sguardo indagatore di Harry, che lo fissava con allegria e dolcezza. Harry era la dolcezza fatta persona.
“Siete felici, bambine?” – chiese voltandosi appena, senza distogliere lo sguardo dalla strada.
“Ti!” – urlarono in coro le due gemelle – “il tuo amico non è butto, Boo!” – aggiunse Daisy, subito dopo, facendo sorridere il riccio, che appoggiò una mano sulla gamba del castano, che stava già per dirgli di non preoccuparsi, di scusarle per come parlavano… ma il riccio lo fermò, lo conosceva così bene, quasi da leggergli nel pensiero.
“Louis, tutto okay?” – chiese Harry, spostando lo sguardo su di lui, sorridendogli. Louis era arrossito all’inverosimile, c’era troppa vicinanza tra la sua gamba e la mano di Harry, erano davvero troppo in contatto. Sì, avevano dormito insieme, a volte Louis si era appoggiato al petto di Harry, si era lasciato abbracciare, ma non l’aveva mai toccato – o meglio, Louis non si era mai fatto toccare – in modo così intimo.
C’era qualcosa, qualcosa che né Louis, né Harry riuscivano a  spiegarsi.
Il più grande era fermo sulle sue idee, irremovibile, non doveva provare amore, o sentimenti ad esso vicini, e non doveva lasciarsi coinvolgere sentimentalmente. Era fermamente convinto che lui e Louis fossero solo ottimi amici, ma la sua mente pensava questo, il suo cuore no. Il suo cuore, lentamente era stato conquistato da Louis, dal suo modo di fare, dalla sua visione della vita.
Insomma, quanti ragazzi avrebbero definito i propri compagni di studi, come degli Uruk-hai, delle creature della Terra di Mezzo, simili ad orchi, o come Bruti, ovvero tutti coloro che vivevano a Nord della Barriera, selvaggi divisi in clan o tribù, noti anche come Popolo Libero? Solo Louis Tomlinson, appunto.
Quando arrivarono al Luna Park, Louis aiutò le sue sorelline a scendere dall’auto, prendendo ad entrambe la mano, Phoebe a destra e Daisy a sinistra, mentre Harry aveva preso in braccio la piccola Anne, avevano poi preso i passeggini da dietro, il riccio aveva posto la figlia nel suo, mentre il liscio in quello doppio aveva messo tutte le borse, in quanto, le gemelle non volevano saperne di sedersi lì. Volevano camminare ‘come i grandi’ e giocare in tutte le giostre che avrebbero trovato, in cui Louis avrebbe permesso loro di andare. Harry chiuse l’auto ed insieme si diressero all’entrata del parco, appena giunsero alla biglietteria, Louis tirò fuori il suo portafogli, ma Harry fu più veloce e prese il suo, pagando per tutti e cinque. Louis insisté, ma non vi fu verso di far cambiare idea ad Harry, perché ‘ti ho invitato io, Louis, quindi pago io, e poi sono più grande’.
Si diressero subito alle giostre per bambini, e le gemelle subito corsero vicino ai cavalli, pregando il fratello di farle andare da sole, perché sapevano mantenersi. Louis decise di andare con loro, le mise su due cavalli vicini, mentre Harry li seguiva con la piccola Anne e saliva su uno dei cavalli, quello bianco da principe azzurro.
Louis rimase con la bocca aperta.
Non poteva essere così maledettamente bello da sembrare anche un principe. Era assurdo, non poteva rappresentare la perfezione, quel ragazzo non era reale.
Gli sorrise da lì e fece sedere la piccola tra le sue gambe, mentre Louis restava tra i due cavalli a reggere le sorelline.
Louis perse il conto di quanti giri fecero su quella dannata giostra, sapeva solo che dopo l’ultimo aveva un’incredibile voglia di vomitare e gli girava la testa. Dovette farsi aiutare da Harry, che mise le gemelle nel passeggino doppio, Anne nel suo e poi soccorse Louis reggendolo con una mano sul fianco. Lo aiutò a bere un po’, lo fece sedere su una panchina e poi semplicemente lo abbracciò, sentendo il cuore di Louis schizzare dal petto e battere all’impazzata.
“Guarda, c’è la bancarella con il tiro con l’arco, vuoi provare?” – chiese il riccio, e Louis sembrò riprendersi. Conosceva le regole, poteva farlo, visto che non doveva ferire nessuno.
Annuì piano, e si avviò con Harry alla bancarella, spingendo entrambi i passeggini con le bambine.
Prese l’arco, ma non appena provò a posizionarlo, gli cadde miseramente per terra.
Arrossì per l’imbarazzo.
“N-No, non posso fallo tu, tu sei forte.” – disse ad Harry, che alzò le spalle e afferrò l’arco. Louis lo guidò con la voce aiutandolo a seguire le regole del tiro con l’arco e alla fine Harry aveva una salda impugnatura, tirò la prima freccetta e fece fiasco. Aveva quattro frecce a disposizione, e con la prima  aveva fallito.
“Tendilo bene, Haz!” – esclamò Louis, e allora Harry riprovò. E centrò una lattina vuota facendola cadere, e fece lo stesso con le altre frecce, fino a che non furono contati i punti contenuti dentro le lattine abbattute. Un totale di quindici punti. Il commesso mostrò loro dei peluche non molto grandi.
“Louis, quale vuoi?”
“Non vorresti regalarlo a tua figlia?”
“Gliene prenderò un altro, ci sono tante bancarelle, e ne prenderemo uno per ciascuno anche alle gemelle, ora voglio accontentare te, quale preferisci?” – chiese nuovamente.
“I-Il lupo” – mormorò indicando il peluche con la forma di un lupo grigio.
“Fammi indovinare” – disse Harry prendendo il suo premio, dandolo a Louis – “Stark?”
“L’Inverno sta arrivando.” – disse il castano, sorridendo. – “grazie comunque, sei stato gentile.”
Harry avvolse un braccio attorno alle spalle del più piccolo, e lo strinse dolcemente, prima che entrambi riprendessero i passeggini e continuassero il giro nel parco divertimenti.
Alla fine della giornata si potevano contare una decina di foto nelle macchinette automatiche, già stampate raffiguranti Harry e Louis con le bambine, alcune solo con le bambine. Altre nella macchina fotografica di Louis, contenevano autoscatti di loro due, e anche tantissimi peluche, alcuni per le gemelle, altri per Louis o per baby Anne.
Erano ormai le nove di sera, quando l’auto di Harry Styles si fermò sotto il palazzo in cui vivevano lui e Louis. Le bambine giacevano addormentate nei sedili posteriori, per questo quando scesero, Louis chiese ad Harry se potesse lasciare il passeggino nell’auto e riprenderlo il giorno dopo, così come i regali fatti quel giorno e le borse portate.
Il riccio non protestò, pendente dalle labbra di quel ragazzo decisamente… troppo adorabile. Harry osservò il castano prendere entrambe le gemelle in braccio e caricarsele addosso, con ancora i loro pupazzetti, vinti per loro dal riccio.
“Vuoi una mano?” – chiese Harry, vedendolo piccolo e mingherlino.
“Oh, no. Tranquillo, sono abituato. Dormono sempre sul mio letto, e devo riportarle in camera loro.” – sorrise Louis. Stringeva le gemelle a sé come per proteggerle, quando il primo a necessitare di protezione era proprio lui. Anche il riccio prese la sua bambina ed insieme entrarono nel palazzo, e salirono fino al sesto piano, senza dire una parola. C’era imbarazzo tra di loro, forse per le foto, o forse per altro, ma la tensione c’era.
Non si sapeva cosa fosse, ma c’era. Era palpabile, tra loro che muti giunsero al piano prefissato, e si salutarono sul pianerottolo. Louis riuscì a premere il campanello di casa e Harry ad aprire la porta.
Si salutarono con un silenzioso sguardo, carico di tutto ciò che non era stato detto, ciò che avrebbero voluto dire.
Una volta rientrati non si videro fino al giorno dopo, ma niente fu nominato.
Le gemelle, appena rientrate, sembrarono tornare in via, e raccontarono alla madre tutto ciò che era successo e cosa avessero fatto Louis ed Harry quel giorno. Erano entusiaste, felici. Ed anche Louis aveva da sorridere. Guardò il lupo che gli aveva regalato Harry, che gentilmente Daisy non aveva mai mollato, e sorrise.
Dopo i racconti alla madre, il maggiore dei Tomlinson mise le gemelle a letto, e mentre accarezzava loro i capelli, e raccontava loro la favola della buonanotte, le bambine si guardarono e la piccola Phoebe chiese:
“Boo, ma Harry è il tuo principe azzurro?” – stropicciandosi un occhio con il dorso della manina delicata.
“Oh… mi piacerebbe tanto, piccola.” – sorrise tristemente il maggiore, baciando le fronti alle sorelline, e dirigendosi in camera sua. Se n’era accorto ormai, era pazzamente innamorato di Harry, e prima o poi avrebbe avuto il coraggio di rivelarsi. Guardò le due maglie sulla scrivania e sorrise dolcemente, forse quella volta… sarebbe andata bene.
Già, Harry era il suo principe, o meglio, il suo Khal?
 
 
Louis era ansioso.
Era davanti allo specchio nel suo bagno e faceva le prove.
Si era deciso a dichiararsi ad Harry, aveva preparato organizzato tutto, quella sera sua madre e le sue sorelle sarebbero andate al cinema, e lui ne aveva approfittato per invitare Harry a casa sua, e far infiltrare la figlia di Harry con loro. Ormai aveva due anni, e sua madre la adorava, Harry era diventato un amico di famiglia, le gemelle lo adoravano, ed anche sua madre era di quel parere, Louis… semplicemente lo amava.
Aveva preparato il film da guardare – Big Fish, le storie di una vita incredibile di Tim Burton - aveva comprato le bibite quella mattina, e qualsiasi tipo di cibo spazzatura, poi prima dell’arrivo di Harry avrebbe ordinato le pizze, che sarebbero arrivare poco prima del suo arrivo, così non si sarebbe messo in cucina come ogni volta che lo invitava a cena, e poi aveva impacchettato con cura quella maglietta, lui avrebbe indossato la sua solo quando Harry avrebbe accettato.
In effetti, aveva fatto tutte quelle cose. Sua madre era uscita già da mezz’ora, e di Harry non ce n’era traccia. Non era arrivato, e Harry non era mai in ritardo. Louis si fissava nello specchio, e sperava di riuscire a far uscire le parole giuste, perché sapeva che lui non sarebbe stato in grado di pronunciarle, in quel momento.
Si schiarì la voce.
“Harry, io… volevo darti…” – si bloccò subito – “no, no. Non va bene, non va per niente bene.” – borbottò tra sé – “Harry, vorrei che avessi…” - si fermò di nuovo – “Harry, vuoi questa maglia?” - ancora non andava bene, doveva essere più naturale, lui sembrava il tronco di un albero. – “se io fossi la tua Khaleesi, vorresti essere il mio Khal?” – borbottò sottovoce. Forse quella era la forma giusta, sì. Doveva essere quella. Il suo riflesso nello specchio sorrideva.
Si tormentò le mani, e il labbro. Forse non doveva, forse era presto.
Ma dannazione, si conoscevano da due anni, ormai.
Alle otto, finalmente Harry arrivò. Louis, indossante una delle sue maglie con le stampe e un pantalone comodo, si diresse alla porta, e sorridente la aprì. Harry era più bello che mai, fasciato nei suoi jeans stretti con la sua camicia leggera, i capelli in disordine ancora sporchi di farina e l’espressione sempre perennemente serafica che lo rendeva meraviglioso, lì sotto la sua porta, Louis lo abbracciò di slancio, facendolo entrare.
Quella sera niente doveva andare male. Doveva essere tutto perfetto, e lo sarebbe stato, l’aveva promesso a se stesso, doveva riuscire a dirgli tutto ciò che provava per lui.
“Ehi, come sei affettuoso!” – esclamò il riccio, appoggiando una mano sulla sua schiena, battendola fraternamente. Louis adorava quella posizione con Harry, affondò il viso sul suo petto, e si strinse a lui, inalando il suo dolce profumo, sentendosi sicuro e protetto. In realtà, adorava tutto ciò che riguardasse Harry, ma erano dettagli.
Si staccò da lui dopo pochi istanti e lo invitò ad entrare, lo fece accomodare, gli portò qualcosa da bere, e poi gli sorrise accendendo la tv. Per sua sfortuna, le pizze arrivarono con qualche minuto di ritardo, ma comunque, riuscì ad evitare che Harry iniziasse a cucinare come al solito. Aveva portato dei dolci, sapeva che Louis li adorasse e allora ogni volta che poteva, gliene portava un bel po’.
Cenarono insieme, mangiarono i dolci e le schifezze, ritrovandosi poi sul divano abbracciati.
Era quello il momento, doveva dirglielo, doveva confessargli tutto.
Si alzò e corse in camera sua, sotto gli occhi curiosi di Harry, e ritornò con un pacchetto tra le mani.
“Ehi, Haz…” – sussurrò intimidito. Ora la paura e l’ansia si facevano sentire.
“Sì, Louis?”
“M-mi chiedevo… io…” – deglutì, prese la maglietta impacchettata e la passò a lui – “v-vor-resti accettare…?”
Harry sorrise, ignaro di cosa fosse, e la aprì.
Appena lesse ‘Khal’ sulla maglia, rimase con la bocca aperta, non poteva crederci. Louis gli aveva raccontato la storia di quella maglietta, e non poteva credere di essere lui la persona speciale per Louis, no. Non doveva essere lui, lui era uno che perdeva le persone a cui teneva, e a Louis teneva davvero troppo, non poteva permettergli di soffrire a causa sua. Era rimasto solo, sua madre non l’aveva mai conosciuta, era morta prima che lui la conoscesse, e la madre di sua figlia, era morta, lui non poteva rischiare che accadesse qualcosa anche a Louis.
Chiunque si avvicinasse a lui, rischiava di farsi male, e lui non voleva che accadesse a Louis, era stranamente protettivo nei suoi confronti, e no, non poteva permettere che accadesse a lui, per questo fece qualcosa di cui non andò mai fiero nei giorni seguenti della sua vita. Posò la maglietta sul divano accanto a lui e guardò Louis, scuotendo la testa. Vide l’espressione di Louis, vide la tristezza passare nei suoi occhi, seguita dall’umiliazione, illusione e delusione. Non poté fare altrimenti.
“Harry… io ti amo” – disse Louis, cercando di non scoppiare in lacrime. Non credeva che Harry potesse rifiutarlo, non credeva che anche lui… non era possibile, era diverso.
“Louis…”
“Ti prego, ti prego, io ti amo, ti prego, non farmi questo…” – singhiozzò, guardandolo. Era in piedi di fronte a lui, con gli occhi invasi dalle lacrime. Harry si sentì morire dentro, ma niente lo trattenne dall’alzarsi, e superarlo.
“Mi dispiace, Louis, io non ti amo.” – disse schiettamente avanzando verso la porta – “e dì a tua madre di portarmi Anne, quando tornano dal cinema.” – la aprì e da essa uscì, lasciandosi alle spalle un Louis distrutto.
Il castano si lasciò cadere sulle ginocchia, lì davanti al divano.
La maglia lì abbandonata, come lui.
Si portò le mani al viso, e singhiozzò forte, non gli era mai capitato di sentirsi così, forse solo quando era andato via Liam, ma no, in quel momento era ben peggiore di quel momento. Sentiva di essere un errore, sentiva di essere sbagliato, come se tutto quello che aveva fatto fino a quel momento fosse una menzogna. Si sentiva abbandonato, di nuovo, si sentiva triste. Poteva sentire il suo cuore andare in mille pezzi, come un vaso di vetro finissimo che si infrange al suolo, si sentiva talmente triste da non voler mai più essere vivo.
Singhiozzò così forte da farsi sentire da coloro che erano fuori dalla porta, pianse tutte le sue lacrime, sentendosi un inutile ragazzino infantile, dedito alle serie tv e alle saghe fantasy.
Non si sentiva amato, nessuno lo aveva mai amato in vita sua, voleva solo che tutto il male sparisse da sé.
Afferrò la maglietta e contro di essa soppresse le lacrime.
Quella volta ci aveva sperato.
Aveva sperato che qualcuno andasse oltre il suo comportamento da ragazzino, che avesse capito che in fondo aveva tanta voglia di amare, che voleva solo qualcuno che si prendesse cura di lui, ma anche quella volta, aveva capito male. Il suo elfo l’aveva appena abbandonato.
Era di nuovo solo, come quando Liam era andato via, il mondo gli era crollato addosso, e ora ne sentiva tutto il peso, sentiva che il suo essere non sarebbe stato mai più lo stesso, e sentiva che non doveva piangere, eppure non poteva non farlo, era più forte di lui.
Si alzò traballante da terra, e andò in camera sua.
Si chiuse dentro a chiave, infilò il pigiama grigio, e si infilò sotto le coperte, e vi restò, piangendo.
Strinse a sé il suo peluche, quello che aveva avuto fin da bambino e contro di lui soppresse le lacrime.
Non sarebbe mai più uscito di casa, sarebbe rimasto a guardare serie tv in quella stanza fino alla fine dei suoi giorni. Le parole di Harry l’avevano ucciso dentro, aveva avuto ciò che meritava uno come lui.
Dolore, e solo dolore.
Le parole di Harry erano state così schiette, così… terribili. E si ripetevano nella sua testa come una litania maledetta.
Mi dispiace, Louis, io non ti amo.
Mi dispiace, Louis.
Io non ti amo.
Non ti amo.
Mi dispiace.
Tra le lacrime, i singhiozzi, il dolore e la delusine, si addormentò, sperando di non risvegliarsi quando sarebbe sorto il nuovo giorno.
 
 
Louis stava male. Erano diverse notti che aveva gli incubi, che ricordava ciò che era accaduto in passato, e poco tempo prima, si rifiutava di uscire dalla sua stanza, che si rifiutava di andare al college, o di mangiare. Si era totalmente chiuso in sé, in quella stanza, circondato dalle sole cose che potessero farlo stare bene: videogiochi, libri e serie tv. Non chiedeva altro, se non che quell’orribile sensazione, quel vuoto lasciato da Harry si colmasse.
Non andava più nemmeno a guardare la bambina.
Il riccio gli aveva spezzato il cuore. Gli aveva detto di amarlo, gli aveva regalato la maglietta, e sperava solo che ricambiasse, che accettasse, ma ovviamente per lui, tutto era andato male. Harry era andato via, scappato e lui era rimasto solo con il suo dolore, la sua umiliazione e la sua illusione, i suoi sensi di colpa, il suo sentirsi sempre inutile e infantile. Tutti lo trattavano così.
Lui non era infantile. Forse era un po’ fissato con alcune saghe o serie tv, forse amava collezionare gadget di tutti i tipi, forse amava perdersi in altri mondi, forse aveva qualche fobia in più – aracnofobia, claustrofobia, paura dei tuoni, dei temporali, dei ricordi, delle persone, di soffrire, paura di tutto, paura anche di se stesso a volte – forse era imbranato, impacciato, forse non sapeva cucinare, forse non sarebbe mai diventato un avvocato, non avrebbe mai scalato una montagna – soffriva di vertigini – forse non sarebbe mai diventato un chirurgo, ma c’era una cosa che distingueva Louis, a parte tutte le sue particolarità. Louis non smetteva mai di sorridere, a parte quando aveva il cuore spezzato come in quel momento, Louis trovava la sua forza nelle sue sorelle, non si lasciava abbattere, aveva un sorriso  per tutti, per coloro che lo prendevano in giro a scuola, per tutti coloro che gli avevano sbattuto una porta in faccia, anche per Liam stesso, Louis cadeva e si rialzava, per quanto piccolo, pieno di fobie e di fissazioni, Louis si rialzava, era forte. E l’avrebbe fatto anche quella volta, solo non in quel momento.
E quella, quella piccola particolarità, il suo affrontare le disavventure con il sorriso, era la sua forza, per quello non poteva essere considerato totalmente infantile. Forse un po’ immaturo, ma infantile no. Non poteva esserlo, per il semplice motivo che avesse supportato sua madre durante il parto delle gemelle, quando aveva appena quindici anni, perché suo padre era andato via da poco, e con tutto ciò che aveva passato nella sua vita, la soglia dell’infantilità l’aveva superata quella notte, quando le sue sorelline erano nate. Le stesse che stava ignorando.
Perché ora si stava facendo abbattere da Harry?
Perché non prendeva la sua vita in mano come tutti gli altri e superava la cosa?
Perché doveva essere così dannatamente sensibile?
Perché si guardava allo specchio e vedeva una sorta di non-morto, con gli occhi azzurrissimi e il viso pallido?
Perché non era con le sue sorelle a giocare, a rincorrerle e a prenderle in braccio?
Perché si stava riducendo in quel modo?
La risposta era unica.
Harry Styles.
Il meraviglioso ragazzo dell’appartamento accanto, il ragazzo padre, quello che aveva due gemme preziose al posto degli occhi, alto e bellissimo,  i capelli ricci, perfetti boccoli marroni, che calavano sulla sua fronte, il ragazzo che passo dopo passo l’aveva accettato, l’aveva fatto sentire bene, e poi lo aveva gettato via come una cosa vecchia, lasciandolo rotto dietro di sé. Il ragazzo che l’aveva protetto dai ‘bruti’, che lo aveva preso tra le sue braccia, cullato ed abbracciato, colui che l’aveva accudito quando era stato male.
Il suo sole e stelle.
Harry gli aveva spezzato il cuore, con quel no, aveva sgretolato in mille pezzi ciò che Louis aveva eretto intorno a sé per anni, dopo la partenza di Liam, Louis era stato male, malissimo.
Ricordava quel giorno come se fosse avvenuto solo il giorno prima.
Sentiva ancora l’eco del suo cuore rompersi, eco ripetuta una settimana prima.
 
“Ci vediamo domani, allora” – aveva detto Louis, avvolgendo le braccia attorno al collo del ragazzo muscoloso e fortissimo, il suo Liam, e lasciandogli un bacio delicato sulla mascella, ed un altro sulle labbra.
“Certo, ci vediamo domani, lo prometto” – aveva promesso con la sua voce soffusa e dolce, capace di far sciogliere anche il più duro dei cuori. Louis non poteva credere che tra tanti ragazzi, quel ragazzo perfetto avesse scelto proprio lui, non era possibile, era una falsa. Eppure sentiva protezione tra le braccia di Liam, sentiva che con lui non dovesse temere nulla. Si sentiva tranquillo.
“Non voglio che vai via” – aveva brontolato imbronciato. Odiava dormire da solo, specialmente da quando lui e Liam facevano scappatelle notturne a guardare serie tv o film.
“Mmh, guardiamo un film, allora?”
“Ti prego, ti prego, sì! Guardiamo La Fabbrica di Cioccolato? E’ da tanto che non lo guardo!” – esclamò Louis. Sapeva che con Liam potesse anche fare il bambinone, perché Liam lo accettava così com’era. Il ragazzo accettò di buon grado e salì con il suo fidanzato nell’appartamento che egli condivideva con sua madre. Con gentilezza, salutò lei e poi seguì Louis in camera. Appoggiarono il PC sulla scrivania, loro sul letto, le gambe incrociate e appoggiati l’uno all’altro. Erano giovani, più o meno. Liam era di poco più grande di Louis, e aveva finito il liceo quell’estate, mentre Louis doveva frequentare l’ultimo anno di liceo. Erano insieme da quattro anni, ormai, conosciutisi il primo giorno di scuola di Louis. Guardarono il film e si addormentarono così, tranquilli e lontani da ogni singolo rumore o cosa brutta. Quando la mattina dopo Louis si svegliò, Liam non era accanto a lui, al suo posto la maglietta con quella maledetta scritta e un biglietto. Due righe, trenta parole. Louis le aveva contate tutte e trenta.
‘Mi dispiace, non può continuare’ – diceva – ‘ormai sono adulto, devo prendermi le mie responsabilità.
Stare lontani per un po’, ci farà riflettere, fallo. Non so se tornerò, è stato bello, addio.”
Louis era in lacrime, e giurò a se stesso che non avrebbe mai più permesso a nessuno di fargli così male.
 
E invece l’aveva fatto. Harry Styles gli aveva spezzato il cuore, una settimana prima.
Un altro singhiozzo sfuggì dalle sue labbra.
Il ragazzo che sorrideva, aveva perso il sorriso.
 
 
 
Aveva finalmente deciso di uscire di casa.
Si era finalmente convinto, la forza di andare al college non l’aveva, e faceva freddo. Era avvolto in una felpa gigante, e camminava tra la candida neve calata sulla città la notte precedente. Gli piaceva la neve, era fredda, era bianca e gli permetteva di rilassarsi. Amava la neve, e di solito lo faceva sorridere e lo rilassava, tuttavia la purezza della neve non poteva niente contro il suo umore nero ed oscuro. Si strinse più forte nella felpa, forse avrebbe dovuto mettere un giubbotto pesante, ma lui era masochista di natura. Camminava senza una meta, con i piedi affondati nella neve e le ossa congelate, ma gli serviva a schiarire le idee.
Stava mandando la sua vita allo sbaraglio per una delusione d’amore.
La storia si stava ripetendo, a quanto pareva.
Avanzò ancora, fino ad arrivare fuori ad un bar. Forse era il caso di entrare e bere una cioccolata calda. Sua madre gli aveva dato qualche banconota, quindi poteva permettersene una, e forse anche un muffin al cioccolato. Ma  a lui, di muffin, piacevano solo quelli di Harry. Non sapeva perché, ma Harry era in grado di fare dei muffin buonissimi, soffici e gustosi, mai secchi o troppo dolci, pieni di cioccolata. Louis amava la cioccolata, tanto quanto la neve, e Harry per lui era stato come una tazza di cioccolato caldo, durante una nottata innevata, un’esperienza fantastica, la migliore della sua vita, ma anche la peggiore. In sostanza, lo aveva amato, e continuava a farlo.
Senza pensarci due volte, entrò nel bar, sentendo il campanello tintinnare.
Non sapeva cosa si aspettasse da quell’entrata, non sapeva cosa sarebbe successo, sapeva solo che avesse bisogno di scaldarsi un po’, aveva dannatamente freddo, e non si era accorto di battere i denti, a causa di esso.
Andò velocemente al bancone e tremando ordinò una cioccolata e un dolcetto, poi cercò un tavolino libero, e attese che l’ordinazione arrivasse. Si sedette vicino ad un tavolino che dava sulla strada.
Amava guardare le persone, amava guardare la tranquillità di quella cittadina. Gli piaceva immaginare che nelle città più grandi, come Londra, la vita si svolgesse contraria, veloce e frenetica e sapeva che si sarebbe agitato, la frenesia non era per lui. Lui era un tipo tranquillo, che preferiva la tranquillità, che adorava le cose lente e non veloci.
Preferiva di gran lunga la cittadina in cui viveva, che le grandi metropoli.
La sua ordinazione arrivò dopo un poco, la cioccolata aveva anche lo spruzzo di panna montata che piaceva a lui, ma lui non l’aveva ordinata così, c’era solo una persona che sapesse come gli piaceva.
Alzò lo sguardo su chi gliel’aveva portata, e si perse in due occhi smeraldini meravigliosi, pieni di rimorso e dispiacere. Louis non voleva caderci di nuovo, no. Si limitò ad un sorriso di cortesia, e prese la tazza.
“Non mi sembra una cosa… corretta.” – disse con un velo di acidità nella voce. Non si era accorto che il suo cuore avesse iniziato a pompare velocemente nella sua cassa toracica, che tutto ciò che sentiva erano uccellini che cinguettavano felici, come se fosse primavera, quando primavera non era.
“Cosa?” – chiese Harry sedendosi di fronte a lui, guardandolo fisso.
“Questo è uno dei peggiori cliché dei peggiori film americani, lo sai?” – disse ancora acido, senza guardarlo.
“Se uno dei peggiori cliché americani, mi permette di parlarti, direi di sì.”
“Non voglio.” – mormorò girando la cioccolata. Aveva appena iniziato a schiarirsi le idee, non poteva ritrovarselo subito davanti, così all’improvviso, mentre più bello che mai gli offriva una cioccolata e un dolcetto. Abbassò lo sguardo e girò ancora il cucchiaino nella tazza bianca di ceramica, in cui il liquido scuro fumava. Voleva solo liberarsi dei suoi brutti pensieri, voleva solo ritornare come prima, fissato con le saghe, ossessionato dalle serie tv e dipendente dai videogiochi, senza cuore spezzato o altri organi in palla.
“Mi sono comportato male con te” – disse Harry – “lo ammetto, non dovevo trattarti in          quel modo.” – sospirò e allungò una mano verso la sua appoggiata sul tavolino di legno dipinto di bianco latte. Louis ritrasse istintivamente la mano. – “posso spiegarti? Giuro che sarò sincero.”
“Sei stato chiaro quando hai detto di non ricambiare.” – Louis si alzò dalla sedia, lasciando tutto sul tavolo. Non aveva osato bere nulla, né assaggiare il pasticcino, doveva andare, scappare da quel posto. Doveva tornare a casa, lì nella sua stanza, dov’era al sicuro da tutto e da tutti. Nessuno doveva entrarvi, nessuno poteva farlo senza il suo permesso, e doveva tornare lì, lontano da Harry, e da ciò che l’avrebbe fatto star male, la sua presenza.
“No, io…” – tentò di parlare, ma Louis aveva ragione. Gli aveva detto ciò che provava, anche se non era esattamente le verità, e ora lo vedeva andare via da lui. Non poteva permetterlo, Louis doveva sapere la verità.  – “Anne… ha chiesto di te.” – sospirò – “lo sai che ha iniziato a parlare, e non la ferma più nessuno?”
“Oh, che tenera…”
“Ti ha chiamato papà Louis.”
Louis alzò lo sguardo sul riccio, che si era alzato a sua volta, e ora troneggiava davanti a lui, in tutta la sua altezza.
Come era possibile che gli facesse ancora un effetto simile?
“Oh…”
“E sono passato a casa tua.”
“Come?”
Harry aprì la felpa, rivelando la famosa maglietta, quella che aveva rifiutato quella notte, e Louis si ritrovò a spalancare gli occhi, aprì la sua rivelando la sua. Aveva voglia di indossarla quel giorno, non ne sapeva il motivo, ma voleva indossarla. Non capì come un attimo prima era a venti centimetri di distanza da Harry e un attimo dopo il riccio avesse le labbra premute contro le sue, in un bacio voluto da entrambi. Non capì come si ritrovò a baciarlo, infilando le mani nei suoi capelli, né come quello dopo ancora il riccio gli raccontò tutta la verità. Conosceva i suoi segreti più oscuri, sapeva che avesse paura di affezionarsi per non far soffrire qualcuno, e di come si fosse sentito uno stupido quando l’aveva lasciato da solo in lacrime. Non capì niente, solo che quello era il momento più dolce e bello, e emozionante, e che si sentiva caldo dentro, sentiva che tutto il gelo fosse andato via, che niente era più come prima.
“My sun and stars…” – sussurrò il castano, contro le labbra del riccio, mentre l’altro sorrideva e a sua volta rispondeva: “Moon of my life” – baciandolo di nuovo.
Chi aveva detto che per una dichiarazione d’amore, ci volessero per forza le due parole che costituivano la frase:
‘Ti amo’ per rivelare i propri sentimenti?
Bastavano anche una maglietta, e due soprannomi dolcissimi, per farlo.

 
*
 
“E tu mi hai cambiato la vita.” – sorride Harry, ricordando momento dopo momento ciò che li ha uniti, fin da quel giorno, e non può far altro che sorridere, perché grazie a Louis, ora è l’uomo che è. Un uomo realizzato con un marito meraviglioso, ed una figlia cresciuta benissimo.
“Se non mi avessi detto di Anne, non saremo qui.” – mormora Louis, abbracciandolo.
“Ma noi litighiamo sempre.” – ride Harry, scuotendo la testa. E’ vero, con l’età, i momenti romantici sono finiti, e le piccole dispute sono iniziate, cose banali come ‘stasera cucini tu!’ ‘ma io non so cucinare!’
Una cosa è certa, seppur anziani, Louis ed Harry non si sono stancati l’uno dell’altro. Quando Harry era stato in ospedale per un’operazione alle cataratte, Louis era stato in ansia tutto il tempo, Anne accanto a lui.
Louis segue il marito nella risata, e si rigira nel letto, e poi si fissa la mano, in cui ha la fede. Il giorno del loro matrimonio è stato il più bello in assoluto, e non avrebbe mai desiderato altro nella sua vita.
“Haz, come mai hai scelto me?” – sussurra, a disagio. Non sa perché fa quella domanda. Non dopo tutti quegli anni.
“Ti fai venire queste domande dopo più di trent’anni? Oh Louis” – si rigira, e avvolge un braccio attorno ai suoi fianchi attirandolo a sé. Gli lascia un delicato bacio sulla guancia e poi appoggia il mento sul suo collo. – “e comunque non c’è un perché all’amore, ti ho amato dal primo momento che ti ho visto.”
“Amo quando mi dici che mi ami.” – sorride – “dopo tutto questo tempo…?”
“Sempre.” – risponde prontamente il riccio, sorridendo.
“Non citare Harry Potter davanti a me, Styles.” -  ma sorride.
Nonostante l’età, ogni tanto si fanno le coccole nel letto, quella notte è una di quelle. È importante, in un certo senso. Dopo quel tuffo mentale nel passato, Louis non può far altro che pensare che davvero, non avrebbe mai pensato la sua vita diversamente, se non con Harry. Con Harry è tutto perfetto, anche la vecchiaia.
Dorme finalmente, sorridendo, seguito dal marito, che ancora gli accarezza il fianco destro per conciliargli il sonno.
Louis ha cinquantacinque anni, una vita meravigliosa e un marito perfetto, una figlia e anche un nipotino, che il giorno dopo andranno da loro, a pranzo, sa che aiuterà Harry in cucina, sa che parleranno con Anne dell’ultima innovazione tecnologica scoperta, e sa che giocheranno con il piccolo Brad - che ha gli occhi del nonno materno, e i capelli riccissimi, Louis è sicuro che da grande, sarà come Harry da giovane – e gli racconteranno storie meravigliose, gli racconteranno dei libri bellissimi che avevano letto insieme da giovani, delle serie televisive e di tutto quanto avessero fatto da giovani, sanno che gli racconteranno anche di quelle magliette che hanno conservato con cura nell’armadio, che hanno indossato fino all’usura, e che avrebbero conservata fino alla fine.
Probabilmente l’avrebbero portata con sé nella tomba.
E avrebbero raccomandato il bambino, dicendogli di non far soffrire mai nessuno, e non chiudere mai il suo cuore per nessun motivo. Non c’è dono più bello dell’amore, loro ne sanno qualcosa.
 
Quando il giorno dopo si svegliano, entrambi si rendono conto che sia davvero troppo presto.
E’ vero che con la vecchiaia si perdono le vecchie abitudini. Si alzano sorridenti, si salutano con un bacio, insieme preparano la colazione e riordinano al casa, che sentono vuota. Quando Anne cresceva lì, non c’era mai silenzio.
Si sente ancora l’eco dei capricci della bambina, l’eco dei suoi giochi, delle risate fatte, dei ‘papà Louis ha detto di sì!’, delle notti in piedi, dell’ansia per la scuola, si sente l’eco persino della prima volta che ha portato quel bamboccio – come lo aveva definito Harry quando lo aveva visto –, l’eco del pianto il giorno del matrimonio della loro bambina, l’eco del primo pianto di Brad. La casa ormai è vuota, solo loro la vivono.
Louis passa davanti la vecchia camera di Anne, rimasta intatta, come una reliquia, e sorride.
Quella bambina è stato il loro collante, se non fosse stato per lei, non sarebbero lì, in quella grande casa, in cui Louis è andato ad abitare dopo la sua laurea. Anche le sorelle di Louis sono cresciute, sono diventate donne in carriera e si sono trasferite in America, Louis ogni tanto le sente, e il loro rapporto è sempre forte.
Quando il campanello suona, e i coniugi corrono ad aprire, si leva un urlo dal bambino di cinque anni, non appena li vede.
“Nonno Harry, Nonno Louis!” – urla il bambino, saltando letteralmente in braccio al nonno più ‘giovane’.
“Ciao campione!” – esclama Louis prendendolo in braccio, mentre Harry accoglie la figlia con un braccio e saluta il marito con una fredda stretta di mano, non accetterà mai che la sua bambina si sia sposata con qualcuno. E poi è la volta di Louis, con un braccio saluta Anne, e con l’altro stringe il bambino, che presto passa tra le braccia di Harry, e saluta il marito della donna, sua figlia, con una stretta di mano meno fredda di quella di Harry.
Li fanno accomodare, e dopo i soliti convenevoli, la giornata insieme parte, mentre i due coniugi si guardano ancora con amore, sotto gli occhi stupidi della figlia, del genero e del nipotino.
Quell’amore che da anni li unisce, e li unirà per tanti altri ancora.

 


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Ammettetelo, le mie OS vi mancavano da morire. 
Allora, salve gente!
Loueh!nerd, il ritorno!
Non sarà mai come la prima, ma ci ho provato.
Troppo fluff, ew. Salutatelo, perchè in futuro non ci sarò.
Uuh mi eravate mancati tutti, spero vi sia piaciuta. Per una volta ho usato il flashback senza far morire nessuno.
ehehe. Sono buona ogni tanto.
Ew, non so più cosa dire, vi ringrazio sempre tanto per l'amore che mi date, e le recensioni e tutto.
Vi adoro.
E come al solito ringrazio il mio Louis, Lu, che mi supporta sempre, mi dà le idee e mi aiuta.
Le info sono tutte sue, tranne DW, quello è il mio campo.
Alla prossima OS, sweeties!
Byebye! 
 
   
 
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