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Autore: hilaryssj    24/04/2008    4 recensioni
Ecco il mio breve saggio sull'identità. Scritto per un lavoro di Scienze Sociali. E' un racconto vero e realmente da presentare a scuola, con voto! Questa storia dovrebbe far riflettere; parla infatti di una mia personale riflessione, e, siccome sono sopraffatta dall'insicurezza, vi propongo un gioco. ^^ Vi andrebbe di fare i professori? Leggete il mio breve tema e datemi il voto da 1 a 10. Ditemi se vi è piaciuto o vi ha fatto correre al bagno. ^^ A voi il lavoro, adesso! ^^ Baci, Hilary.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A chi assomiglio?

 

“Mamma, a chi assomiglio?”

Questa fu una delle tipiche domande esistenziali che mi ponevo all’età di dieci anni, ma, con mio grande sollievo, non ero l’unica.

I bambini fra i sette e gli undici anni si pongono spesso quesiti del genere; dubbi sul perché i pesci vivono nell’acqua, su come facciano gli uccelli a volare… persino rompicapi su in che modo le ruote delle auto riescano a girare con la semplice spinta di un pedale.

Io mi ricordo. C’erano notti in cui non riuscivo a prendere sonno per via del caffè dopo cena; sapete quando, nel buio della propria cameretta, ci si stringe nelle coperte e si cerca di non pensare a nulla perché si crede che in quel modo il dolce sonno sopraggiunga prima? Bè, per me era così.

Solo che è impossibile non pensare. Continuavo a ripetermi incessantemente: “Non pensare, non pensare, non pensare…”; poi stupidamente mi accorgevo dell’errore e allora andavo in cerca di un altro metodo ‘ infallibile’. Finivo per tentare di immaginarmi il nero assoluto e, immancabilmente, continuavo a parlare tra me e me.

A ripensarci mi viene da ridere. Quando si pensa che una persona sia stupida quando parla, quando questa medita, allora…

Ad ogni modo ero così in quelle notti. Infreddolita dalle leggere coperte di cotone appena scostate, immersa nell’oscurità della tarda sera. Si dice che le migliori idee compaiano proprio in quel momento. E’ vero, in un certo senso.

Terminata la mezz’ora in cui non facevo altro che girarmi e rigirarmi nel letto, iniziavo a domandarmi perché non mi addormentavo. Quello era il tipico interrogativo di ogni notte, seguito sempre da uno sbuffo sonoro e un sospiro esasperato. Passata quella fase partivo decisa con la mia litania che mai funzionava ma in cui io tanto credevo: “Dormi… Dormi… Dormi…”. Al conteggio delle pecorelle avevo già rinunciato da tempo. Forse ero io, ma immaginarmi delle pecore che saltavano un recinto non mi era tanto di aiuto per indurmi al sonno. Non arrivavo nemmeno a cinque che già mi chiedevo che fine facessero quegli animali una volta saltato lo steccato. E divagavo, perdendomi nelle vastità della mia mente da bambina contorta.

Constatando ogni notte che nemmeno quella maledetta tiritera funzionava, con delusione cronica, mi arrendevo definitivamente, maledicendomi per aver bevuto quel dannato caffè e ripromettendomi solennemente di non farlo mai più. Questo, ribadisco, capitava minimo tre sere alla settimana. Non tenevo gran fede alle mie promesse, dopotutto.

Ed era proprio in quel preciso momento di resa che la mia mente prendeva a dilungarsi sugli argomenti più disparati. Iniziavo con una sola parola, trovavo qualche frase in cui l’avevo già sentita, magari in qualche conversazione con le amiche, e da lì rivivevo intere giornate trascorse al parco o in piscina, riguardavo pezzi di film che mi erano piaciuti, ripensavo a lezioni già studiate…

Una volta ricordo di aver pensato ad una semplice roccia color marrone scuro. L’avevo studiata qualche settimana prima. “La roccia è composta da uno o più minerali; essa può essere Ignea, Sedentaria o Metamorfica.” Questa era la sua definizione. In un tempo indefinito che poteva essere pochi secondi, come un’ora intera, avevo viaggiato sino a Pompei, all’epoca dell’eruzione del Vesuvio, da dove probabilmente quella roccia era nata, poi mi ero trasferita sull’Etna per ritornare a Napoli. Avevo riesaminato i trulli della Puglia ed analizzato il problema dell’inquinamento atmosferico.

Incredibile di quanti argomenti avevo parlato nella mia mente. Ci credereste che erano trascorsi solo 15 minuti dall’inizio del viaggio virtuale? Eppure il mio orologio fluorescente del comodino non sbagliava mai.

Più irritata di prima, ricaddi sul cuscino e chiusi gli occhi. Dopo varie imprecazioni, ripresi le mie teorie.

Chissà come, ripensai a quel giorno dove mi ero sentita dire da qualcuno di cui non ricordavo il nome quanto io assomigliassi a mio padre.

“D’altronde, tale padre tale figlia…” aveva ammiccato l’uomo senza volto.

Decenne quale ero, feci una smorfia disgustata tirandomi su le coperte fino al mento per sopprimere una risatina.

Io, uguale a mio padre?

Che errore madornale!

“Tanto per iniziare, io non ho né barba né calli sulle mani.” mi dissi sicura.

Ma quello era solo l’inizio. Insomma, ero decisamente minuta rispetto all’energumeno quale è mio padre, più mingherlina e decisamente sopracciglia meno folte e grigiastre.

Per fare altri esempi scandagliai la mia mente, giusto per avere prove abbastanza soddisfacenti da contraddire quel tipo.

Dunque, capelli e occhi totalmente diversi. Quelle erano due moventi schiaccianti!

Mio padre ha i capelli ricci e biondi, almeno un tempo, e gli occhi celesti, mentre io ero totalmente l’opposto. Capelli castani e lisci con occhi verde scuro.

“Ah!” esultai. Quel tizio, chiunque fosse stato, non avrebbe potuto contestare tutto questo! Sorrisi compiaciuta del mio fantastico lavoro e, senza che me ne accorgessi, mi assopii sino ad addormentarmi profondamente.

 

Il giorno dopo tornai a casa da scuola sfinita. A dieci anni pensavo che le elementari fossero difficili, anche se eccellevo in tutte le materie. D’altronde, era un passo più avanti dell’asilo. E tra un anno sarei passata alle scuola medie. Il top del top!

Sembra stupido, ma a quell’età tutti i bambini la pensano allo stesso modo. Eccetto rari casi, ovviamente, ma la maggioranza sostiene la mia teoria e questo basta.

Salutai mia madre con un “ciao” sospirato e, posato lo zainetto, mi fiondai in cucina per pranzare.

Il tavolo era apparecchiato solo per me: acqua, posate, bicchiere e un piatto stracolmo di pennette alla carbonara. Gustando quella deliziosa pietanza, raccontavo a mia madre la mattinata appena trascorsa, mentre lei si accingeva a pulire i fornelli.

“Sai, mamma, che oggi la maestra di matematica non c’era?” dissi con la tipica espressione da bimba entusiasta.

“E perché?” mi chiese semi-attenta.

 “Boh” risposi con una scrollata di spalle “Non ci hanno detto niente.”

Mia madre assentì.

Sarà stata la mia mente contorta o la mia insaziabile curiosità a riaprire quella questione dell’altra notte. Solitamente non mi ricordavo mai quello che rimuginavo rimuginavo rimuginavo la sera nello stato di semi-incoscienza, ma quella volta fu diverso.

“Mamma, perché dicono che assomiglio a papà?” le chiesi bevendo un sorso d’acqua generoso.

“Perché è vero.” Fu la sola risposta che ottenni.

Avevano tutti i salami sugli occhi?

“Ma non è vero!” urlai quasi nella speranza di farmi capire meglio “Io sono diversissima da papà! Lui è grande e io sono piccola… e poi è un maschio e io no!”

Ricordarmi quella risposta mi fece sbellicare dalle risate. D’accordo che ero piccola e che non capivo, ma ripensarci all’età di sedici anni fa uno strano effetto.

Mia madre ridacchiò ridacchiò sotto i baffi. Si sedette affianco a me e mi guardò con comprensione come solo una mamma può fare.

“La somiglianza tra te e tuo padre non è puramente fisica.” Mi sorrise notando la mia fronte corrugata. “Quando una persona ti dice così si riferisce per lo più ai tratti del viso e al carattere…”

Alzai un sopracciglio.

“Per esempio, da tuo padre hai ereditato il naso.” Mi disse.

“Il naso?” ripetei incredula.

“Certo. Dove credi di aver preso quella forma a patata che ti separa gli occhi?” rise di gusto mentre contraevo le labbra in una smorfia tra il divertito e l’offeso.

“Va bene. E poi?” chiesi ancora, assorta nella conversazione.

“Bè, del carattere hai preso quasi tutto.”

“Tutto in che senso?” le chiesi accigliata.

“La tenacia, per farti un esempio.”

“Tenacia?” chiesi non sapendo cosa volesse dire quella parola. Ehi, avevo solo dieci anni!

“Sì… è quella che io chiamo cocciutaggine. Quando vuoi sempre aver ragione anche quando hai torto.” Sorrise dandomi un buffetto sulla guancia.

“Poi c’è la perseveranza, la voglia di fare, l’amore per qualsiasi cosa che sia elettronica e per i dolci.” Contò sulle dita con fare divertito.

Quel giorno, parlando con mia madre, capii tante cose.

D’un tratto, assomigliare a mio padre non mi parve più tanto orribile, ma, al contrario, ne andavo fiera.

Scrissi anche un tema su quell’argomento qualche tempo dopo, quando la maestra ci assegnò un compito scritto sulla persona a cui pensi di somigliare maggiormente.

Adesso, scrivendo questo breve aneddoto della mia vita, vedo tutto in modo diverso.

Penso sempre di assomigliare a mio padre, questo è un dato di fatto, ma crescendo ho scoperto altre parti del mio carattere che, sono sicura, con mio padre centrano tanto poco.

Mi piace la musica, per esempio. Ogni giorno, almeno un’ora la impiego per cantare a squarciagola in camera mia. Fortuna che abito in campagna e la mia voce non disturba nessuno. Questo particolare credo di averlo ereditato da mio zio. Lui aveva fatto scuola di canto al conservatorio di Torino, mi pare. Non è molto, ma certe cose non spuntano dal nulla, giusto?

Infine, da mia nonna, ormai defunta, ho ricevuto l’eredità più bella che potessi mai desiderare di possedere. Lei leggeva molto. Lo adorava.

Tengo ancora i suoi vecchi libri sullo scaffale di camera mia. Non potrei mai separarmene.

All’epoca non si avevano abbastanza soldi per comprarsi cose frivole come dei romanzi rosa e di questo mi dispiace perché sono sicura che mia nonna avrebbe svuotato tutte le librerie della provincia con la sua sete di lettura. Bè, ci sto pensando io.

Per ora detengo il mio record con tre libri alla settimana, rigorosamente acquistati e letti subito dopo.

Scrivere è una cosa che adoro.

Penso sia la mia caratteristica più bella.

Saper scrivere è un’arte, un po’ come disegnare, ma diverso al tempo stesso.

Un pittore rappresenterebbe un semplice paesaggio così come lo vede, aggiungendo, tuttavia, particolari che renderebbero il ritratto mistico e abbagliante a chi lo ammirerebbe per la prima volta. Creerebbe un miscuglio di colori tanto semplice quanto complesso da rendere il disegno carico di storia e spessore a tal punto da desiderare che fosse vero.

Per uno scrittore rappresentare lo stesso paesaggio sulla carta è simile e disuguale. Descriverebbe minuzie agli occhi insignificanti, ma utilizzando un linguaggio tanto forbito da farli risaltare più di altri. Lo scrittore ha la capacità di rapire il lettore e trasportarlo attraverso i campi di girasole fino alle viuzze strette dallo stile medievale; ha il potere di descrivere un riflesso di sole come una magia eterea dalle mille sfaccettature creando un’intera atmosfera di incanto e seduzione dall’aspetto surreale.

Questo è ciò che mi piace. Saper trarre dalla quotidianità assoluta uno sfondo di negromanzia pari ad un sogno incomprensibile e cristallino.

Saper scrivere non è solo una narrazione come saper disegnare non è solo pennello su tela.

La capacità di trasferire su carta dolore, incertezza, delusione e gaiezza è arte. Far scivolare le emozioni e i sentimenti dalla mano, alla biro fin sul foglio è il potere in sé di conoscere e comprendere ciò che ci circonda e ciò che si riesce ad imparare da noi stessi.

Nessuna persona di mia conoscenza descriverebbe queste sensazioni così come io le ho esposte ora.

Certe cose si ereditano dai parenti come impronte di loro stessi sui loro discendenti, ma a ognuno di noi viene fatto dono di una caratteristica totalmente propria, originale, inedita.

Per quanto mi riguarda, è questo il mio dono. Un passaggio virtuale tra la realtà e il sogno di cui non ho intenzione di fare a meno. E’ la mia liberazione, la mia valvola di sfogo. A certe persone è chiara sin dalla nascita, ad altre sta il compito di trovarla.

 

 

 

 

Hilary

 

 

 

 

Un saluto a tutte le persone che hanno avuto il coraggio e la voglia di leggere questa breve storia. ^^

Inizialmente questa one-shot è nata come un semplice tema di Scienze Sociali (A scuola sto facendo un lavoro con la prof sull’identità), ma poi ho pensato comunque di postarla sul sito. ^^

Che dite, ho fatto bene?

Il tema è appunto “A chi assomiglio?”, una riflessione su me stessa e la mia famiglia, ma l’ho ampliata abbastanza.

Sono certa che non è granchè, ma, siccome la Prof mi darà il voto, gradirei che mi diciate voi cosa ne pensate e provaste ad assegnarmi un giudizio da 1 a 10. ^^

 

Ditemi cosa ne pensate del mio breve saggio. Magari fatemi notare se ci sono degli errori. Ve ne sarei grata.

 

Grazie.

 

Kiss kiss, Hilaryssj

 

  
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