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Autore: Lady_Cassandra    13/11/2013    2 recensioni
Spencer e Madison, divisi dal loro dolore incontrollabile per la perdita di Elizabeth.
Difficile scordarsi di lei, il loro raggio di sole. Difficile andare avanti, stare insieme come prima.
Il tempo non aiutò affatto a superare la perdita della loro piccolina, anzi da vigliacco li ha intrappolati e allontanati ancora di più.
Potrà mai il loro amore risorgere dalle ceneri della loro vita ormai spezzata?
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Unforgivable.'
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Together Again

Lui

I giorni dopo la morte di Ellie trascorsero lentamente. Tutto sembrava cristallizzato, come immobile in attesa di una scossa, di una folata di vento gelido che risvegliasse i sensi.
 Perdetti il senso del tempo. Perdetti il senso di me.
Smisi di andare al lavoro, non ne ero in grado, semplicemente non ne avevo forza. Avevo sempre saputo che era un lavoro duro, a volte massacrante, ma dopo ogni caso risolto in me nasceva la speranza, la consapevolezza che al mondo esistevano cose buone  e ogni volta che tornavo a casa e sentivo i miei figli  ridere o mia moglie cantare ne avevo la certezza. 
Ora però i miei figli non ridevano più, Madison,  la mia Madison, non cantava più. 
Mi distruggeva vederti in quello stato, amore. Mi odiavo per quello che era successo, per quello che io avevo permesso che accadesse. Avrei voluto stringerti, consolarti, dirti che sarebbe andata meglio, che insieme  saremmo riusciti a superare tutto, ma tu  non me lo hai permesso.
Non sai quanto fosse devastante non poterti sfiorarti, dormire insieme a te come due estranei. Quelli non eravamo noi.  
Quella notte che andasti via, mi svegliai sentendo il tuo pianto fievole e sommesso,  i tuoi singhiozzi che tentavi inutilmente di soffocare affondando il tuo bellissimo viso nel cuscino, mi avvicinai a te, provai a parlarti.
“Vattene, Spencer” mi urlasti fredda, quante volte mi avevi chiamato per il nome in oltre venti anni? Non me ne ricordo nemmeno una.
Uscisti fuori dalla camera correndo per le scale, ti corsi dietro. Dovevo riprenderti. 
Litigammo furiosamente, i nostri figli ci sentirono ma non uscirono dalle loro stanze. “Smettila, ti prego, smettila” ti implorai più volte mentre mi urlavi che mi odiavi, che ti avevo rovinato la vita. 
Il suono del vaso di cristallo che s’infrangeva contro il muro ferì le mie orecchie. Guardai i mille frammenti in cui si era frantumato il vaso, pensai che erano gli stessi in cui si era frantumato il nostro matrimonio.
“Cos’è cristallo,  Spencer?” mi domandai, provai a concentrarmi sulle nozioni scientifiche, non ne potevo più di sentirti piangere. 
Il cristallo è un oggetto solido costituito da atomi, molecole o ioni …
 “Io vado via, Spencer” mi dicesti con la voce roca. All’interno del cristalli, questi assumono una disposizione geometricamente regolare …
I pensieri si bloccarono, le nozioni erano finite, la mia vita era finita. “Vai via?”  pronunciai quelle parole con paura, non potevi lasciarmi. Non potevi farmi questo.
Ma tu avevi già deciso. Mi guardasti con gli occhi arrossati dal pianto e scuotesti la testa. “Non ce la faccio più a vivere così”
Salisti nella nostra camera da letto, sentii la chiave girare nella serratura. Capii immediatamente che mi avevi chiuso fuori dalla tua vita. 
Salii le scale anche io ed entrai nell’unica stanza dove potevo ancora trovare rifugio: la stanza della nostra bambina, della nostra Ellie. Mi buttai sul letto accarezzando quelle lenzuola che ancora profumavano come lei e rimasi immobile mentre le lacrime silenziose bagnavano le mie guancie. Sul comodino vidi Mister Skippy, l’orsacchiotto che le avevo regalato quando aveva appena tre anni.
Ricordavo ancora il giorno in cui glielo comprai: eravamo a Boston con la squadra per un caso; l’ultimo giorno di permanenza, Hotch dovette parlare con il procuratore e così ottenemmo un po’ di tempo libero per girare la città. Ho sempre adorato Boston, soprattutto d’autunno.
Camminai a lungo senza fare attenzione alle vetrine, poi notai quel piccolo negozio di giocattoli , entrai e lo vidi. Era il peluche perfetto, sapevo che Ellie lo avrebbe adorato.
Tornai a casa a notte fonda, entrai nella sua cameretta pensando di trovarla lì, ma il suo lettino era vuoto. Misi comunque il peluche sul letto cosicché quando si sarebbe svegliata, lo avrebbe trovato.
Andai nella nostra camera e vi vidi dormire abbracciate, eravate una visione bellissima. Nel coricarmi  ti svegliai, tu mi sorridesti e ci baciammo mentre  nostra figlia si muoveva letto. All’epoca non lo sapevamo, ma Jules era già in arrivo. 
La mattina dopo quando Ellie trovò il pupazzo, corse in mio incontro, la presi in braccio. Era così contenta. Ti voglio bene, mi disse. Era la prima volta che lo diceva. Quanta vita se n’è andata insieme a Ellie?
Sai, a volte penso che sono morto anche io con lei quel venerdì, altre volte ne sono certo.
Ti entii camminare nei corridoi, avevi svegliato Jules e Thomas. Parlasti con loro, ma non capii cosa vi dicesti.
Uscii dalla stanza di Ellie e tornai nella nostra. Ti vidi seduta sul letto con un’espressione vacua, sul pavimento le valigie aperte, gli sportelli degli armadi aperti. La tua parte era quasi vuota.
“Mi stai lasciando davvero?” fu tutto ciò che riuscii a dirti. Stavi davvero ponendo fine al nostro matrimonio, ponendo fine a noi?
Non rispondesti, poi ti alzasti, chiudesti le valigie e mi passasti accanto. “Scusami Spencer”:  le tue ultime parole pronunciate prima di uscire dalla nostra casa. 
Scendesti le scale, sentii le voci concitate dei nostri figli. Stavi litigando con loro, ma non scesi. Sapevo che non saresti tornata indietro e io non ce la facevo a vedervi uscire. 
Udii il rumore della tua macchina nel vialetto e scoppiai in lacrime ancora una volta. Eravate andati via ed io cosa avrei fatto senza voi? Decisi di lasciarmi andare piano piano, la mia vita non aveva più senso. 
Qualcuno aprì la porta della mia stanza e salì sul letto. Mi sentii abbracciare, era Jules. “Non potevo lasciarti da solo” sussurrò, mi girai verso di lei e l’abbracciai anche io. Dovevo farmi forza per Jules, non potevo lasciarmi andare.
Le settimane trascorsero e tu, amore, non tornasti. Jules si occupò della casa e di me, che somigliavo ormai più ad un’ameba che ad un uomo. 
Continuò ad andare a scuola, ma ogni giorno tornava all’ora di pranzo per rassicurarsi che mangiassi. Saliva in camera e mi svegliava, dicendomi che era pronto da mangiare.
Non facevo altro che pensare che la nostra piccolina era cresciuta troppo in fretta ed era solo colpa nostra. 
In quei momenti provavo rabbia nei tuoi confronti, Madison. Mi avevi lasciato quando più avevo bisogno di te, nonostante tutte le belle promesse fatte in questi anni, nonostante tutto l’amore con cui ti avevo cullato ogni notte.
Un giorno ricevemmo una telefonata. Thomas ci aveva chiamato per avvisarci che sareste venuti a trovarci la domenica di Pasqua. 
Jules corse per le scale, entrò in camera mia e saltò sul letto. “Mamma e Thomas vengono domenica prossima” urlò elettrizzata, era così contenta all’idea che vi avrebbe rivisto.
Anche io sorrisi entusiasta, non vedevo l’ora di rivedervi, di riabbracciarvi. Mi mancavate così tanto. Tu, amore, mi mancavi così tanto. 
Mi alzai dal letto e con Jules iniziammo a pulire tutta la casa. Era un completo disastro.
Facemmo la spesa dopo aver deciso cosa avremmo preparato per il pranzo e aspettammo con ansia la domenica.
Non riuscii a dormire la notte del sabato, mi alzai prestissimo per prepararmi. Volevo che tu vedessi che io non mi ero lasciato andare, che mi stavo riprendendo perché capissi che ero ancora in grado di prendermi cura di noi, ma soprattutto di te.
Mi tagliai la barba e provai a pettinare i capelli che si erano allungati tantissimo. Mi vestii scegliendo i vestiti che mi avevi regalato e scesi in salotto ad aspettarvi. 
Quando vidi scendere Natalie dall’automobile, capii che non tu non eri venuta. Trattenni le lacrime a mala pena, tua madre se ne accorse, mi venne vicino e mi abbracciò. “Mi dispiace, Spencer. Madison ha bisogno di tempo, ma vedrai che ritornerà” mi rassicurò.
Jules s’infuriò. “Tua figlia è una stronza egoista, ecco cos’è” urlò e salì di corsa le scale chiudendosi nella sua stanza, tua madre le corse dietro.
Mi voltai verso Thomas che si era rannicchiato sulla poltrona. “Piccolo …” provai a parlare, ma lui mi bloccò, sapeva che Jules era arrabbiata e che non lo pensava veramente. “La  mamma ha quasi rischiato la vita per farti venire alla luce, sai? Lei ne era consapevole ma non ha voluto rinunciare a te. Ti ha voluto con tutte le forze fin dal primo giorno che ha saputo di essere incinta”  gli raccontai, volevo che sapesse quanto eri speciale. In quel momento mi resi conto che non avevo mai parlato molto di noi ai nostri figli.
Prima che andassero via, raccomandai il nostro ometto di prendersi cura di te al posto mio. “Ti voglio bene, papà” sussurrò mentre mi abbracciava.  Lo trattenni fra le mie braccia, fu difficile lasciarlo andare.
Nei giorni successivi non provai nemmeno ad alzarmi dal letto, Jules continuò  a venirmi a trovare, mi portava da mangiare, saliva sul letto e rimaneva in silenzio accanto a me per qualche ora. Era il suo modo di starmi vicino, di farmi forza anche se aveva capito che io non volessi più lottare.
Ti sognavo sempre. A volte i miei sogni mi sembravano così reali che allungavo il braccio verso la tua parte del letto pensando che ti avrei trovato svegliandomi subito dopo che il mio braccio afferrava il vuoto. 
Mi mancava il tuo profumo, le tue carezze, la leggera pressione delle tue labbra sulle mie. Mi mancava tutto di te.
Mi sentivo scivolare in un baratro sempre più nero e infinito, ma un giorno qualcosa mi afferrò. Tu.
 
Tenevo gli occhi chiusi mentre sentivo le tue mani accarezzarmi i capelli, non avevo bisogno di aprirli. Sapevo che eri tu, riconoscevo il tuo tocco.
Ti sei chinata su di me e hai posato un bacio sulla mia fronte, sentivo il tuo profumo che si diffondeva fuori e dentro di me.
“Amore” ti ho chiamato, ho aperto gli occhi, pregando che non fosse un sogno, e ti ho vista lì, accanto a me. Ho allungato una mano verso di te per sfiorarti il viso.  Eri finalmente tornata. 
Ti sei chinata nuovamente, i nostri nasi si sono sfiorati, hai socchiuso le labbra dandomi un lungo bacio dolcissimo. Mente mi baciavi, mi è sembrato di tornare nel tempo, al nostro primo bacio. Quanto tempo è passato? Te lo ricordi ancora?
Ti sei staccato da me, alzandomi di peso, e hai portato in bagno. Mi hai lavato con la stessa delicatezza, con cui hai lavato anche i nostri bambini.
 Mi sono vergognato per un secondo di essermi ridotto così, ma mi è bastato vedere il tuo sorriso per capire che a te non importava.
Mi hai seduto sullo sgabello  e tagliato i lunghi capelli, poi sedendoti a cavalcioni sulle mie gambe e mi hai rasato. “Ora ti riconosco” mi hai mormorato mettendomi le braccia attorno al collo. 
Ti ho avvicinato a me, le nostre labbra si sono cercate avide mentre io ti accarezzavo freneticamente spogliandoti.  Non smettevo di pensare che eri ancora dannatamente perfetta mentre eri nuda davanti a me.
Abbiamo l’amore seduti su quello sgabello più volte, mi sono sentito uomo di nuovo nel sentirti gemere mentre  ero dentro di te.
“Ti amo” mi hai sussurrato mentre continuavo a baciarti. Mi hai rivolto quello sguardo carico d’amore e ho capito che non mentivi. Mi ami ancora. 
Ora mentre siamo abbracciati di nuovo nel nostro letto, mano nella mano, come abbiamo dormito per tutti questi anni, so che la mia sensazione non era sbagliata: saremmo invecchiati insieme, amore.
Ne sono certo.
 
 

Lei

 
Ti sei appena addormentato, con i nostri piedi sono intrecciati, con me tra le tue braccia. Mi viene da ridere se penso a poco fa.
Abbiamo fatto l’amore, è stata un’emozione fortissima. Non pensavo sarebbe successo di nuovo.  Non pensavo che sarei tornata da te.
Mi dispiace per essere andata via, ma volevo sapessi che non ho mai smesso di amarti.
Sono dovuta andare via perché non riuscivo più a vivere  nella nostra casa. Ogni cosa, ogni angolo mi ricordava lei, la nostra bambina, il mio raggio di sole.
Ho provato a farmi forza, ma non ci riuscivo. E poi quando ricevetti la lettera di ammissione al college di Ellie, in cui il rettore dell’università le faceva le sue congratulazioni perché era stata ammessa, crollai.
 Come avrei potuto  dirgli che non lo avrebbe mai potuta frequentare? Come avrei potuto dirgli che la mia bambina non c’era più?
Ti chiedo scusa per tutte le cose orribili che ti dissi la notte in cui andai via, per non essere riuscita a starti vicino quando avevi più bisogno di me.
Lasciarti quel giorno fu la prova più dura della mia vita, guardarti negli occhi e leggere quanto dolore che ti stavo causando fu devastante. 
Uscii da casa, mi scontrai con nostra figlia Jules. “Se te ne vai, scordati che hai una figlia” mi disse con un odio di cui non la credevo nemmeno capace. 
Le lacrime mi punsero gli occhi, le ricacciai indietro, chiesi perdono anche a lei ma non mi sentii, era già tornata da te. 
Durante il viaggio Thomas ed io non parlammo molto; ogni tanto gli gettavo un’occhiata, ci scambiavamo un veloce sorriso e poi ognuno tornava ai propri pensieri. Non facevo  che pensare al vaso che avevo rotto quella notte, quello stesso vaso dove avevo messo tutti i mazzi di fiori che mi avevi regalato.
Ricordo ancora il primo mazzo di fiori che mi hai regalato, fu per il nostro primo mese insieme. Conservo ancora il bigliettino che mi avevi scritto, sai?
Durante i mesi trascorsi a New York, non vissi veramente, annaspavo. Tentavo di andare avanti, di convincermi che un giorno sarebbe migliorato tutto, ma mi sbagliavo. Senza di te non sarebbe mai potuto andare meglio.
Arrivò la settimana di Pasqua, decisi che dovevo tornare a Washington, volevo rivedervi, mi mancavate così tanto. 
Ero pronta a raggiungerti, amore. Ma prima di uscire vidi una fotografia di Elizabeth, improvvisamente mi sentii mancare, persi le forze. Come avrei potuto guardarti in viso? Tutto in te mi ricordava lei.
Non partii. Prima di partire, mia madre si arrabbiò con me, mi disse che non potevo essere così egoista, che dovevo smettere di pensare solo a me. Sapevo che aveva ragione, ma non mi mossi. 
Nei giorni successivi, mi accorsi che nostro figlio era sempre più triste. Non avevo bisogno di domandargli perché, sapevo che gli mancavi.
Una mattina mi svegliai per i continui squilli del mio cellulare, era la nostra Jules. “Mamma, ti prego, ho bisogno di te. Papà non si alza più, non mangia. Io non so più che fare, per favore, torna” m’implorò con la voce rotta dal pianto. 
Mi distrusse sentirla così, ma quello che mi disse fu ancora devastante.
Non potevo permetterlo, non potevo permetterti di lasciarti andare non finché ci fossi stata io. “Sto tornando” la rassicurai.
Svegliai Thomas, non ebbe bisogno che io gli dicessi nulla, capì immediatamente che stavamo tornando a casa.
Non appena arrivammo, trovai Jules seduta sul portone di casa. Si alzò e mi venne incontro, l’abbracciai. “Grazie mamma” mi sussurrò mentre la tenevo stretta. I nostri figli capirono che volevo restare da sola con te e uscirono senza che io nemmeno lo chiedessi.
Salii le scale lentamente, avevo paura di quello che avrei trovato, avevo paura della tua reazione. 
Mi è bastato guardarti per accorgermi che non potevo stare senza te, sfiorarti per dimenticare tutte le mie paure, e baciarti per sentirmi rinascere. 
Sei tutta la mia vita, amore. Ora so che la tua sensazione non era sbagliata: saremmo invecchiati insieme.
Ne sono certa anche io. 
  
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