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Autore: malukuku    13/11/2013    2 recensioni
- Mi dispiace, signorina Shinobu: oltre questo punto è vietato l'accesso. -
Mentre Shinobu diventa lentamente invisibile agli occhi di suo padre, di sua madre, del mondo intero, solo per una persona la sua immagine si fa più nitida.
Attenzione! ShinobuxOC, Differenza di età di circa 10 anni
Una fic senza nemmeno l'ombra di una W.i.t.c.h. D:
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Mi dispiace, signorina Shinobu: oltre questo punto è vietato l'accesso. -
Ho già visto questa guardia. Dev'essere un paio d'anni che lavora qui; da prima che la nostra famiglia impazzisse.
Sospiro. - Sì, lo so. - Una volta io e Mariko potevamo andare praticamente ovunque, potevamo giocare a nascondino in questo posto. Ora sono sempre di più le zone che mio padre ritiene sia meglio io non veda.
Mio padre... È quello diventato più spaventoso dalla partenza di Mariko.
Resto lì in piedi a fissarmi accigliata la punta degli stivali. Poi scrollo le spalle e mi siedo per terra, con la schiena contro il muro. Mi è passata la voglia di andare in giro a sentirmi dire “vietato l'accesso”.
Alzo gli occhi sulla guardia. La divisa della Takeshita Inc. gli fascia completamente il corpo ma la testa è scoperta: capelli neri abbastanza lunghi da essere legati in una coda, occhi scuri e taglienti, lineamenti marcati e severi.
- Ti va di parlare? -
La guardia non dà segno di aver sentito. Si capiva dall'aspetto che fosse un tipo serio, forse pure ostico, ma sono la figlia del suo capo e ho un disperato bisogno di parlare con qualcuno. Chiunque.
- Come ti chiami? -
Come mi aspettavo, risponde. - Oiva. -
Risponde ma credo mi stia prendendo in giro. È evidente che sia di origini asiatiche ed è altrettanto evidente che quel nome non lo sia.
Aggrotto la fronte. - Da dove vieni? -
- Dalla Finlandia. - Sentendomi sbuffare irritata per una bugia così sfacciata, finalmente abbassa gli occhi su di me. - Mio padre è finlandese, mia madre coreana. -
- ...Oh - Ups.
In effetti non ha la faccia di uno che prenderebbe in giro la figlia del capo. Francamente, ha la faccia di uno che non ha mai scherzato in vita sua.
- Come sei finito a lavorare qui? -
Torna a guardare davanti a sé. - Saltando da un lavoro all'altro; è solo successo. È un lavoro facile. -
- Avevi bisogno di un posto dove stare? -
I nostri occhi si incrociano di nuovo. La sua espressione è impassibile. Conosco qualcun altro capace di tenere lontano ogni pensiero dal proprio volto ma ormai è quasi un anno che papà non mi guarda più. Una volta ammiravo il suo autocontrollo, ora mi fa sentire insignificante.
- Sì. Vitto e alloggio compresi sono stati uno dei motivi per cui ho fatto domanda alla Takeshita. -
- So che molte guardie sono qui per lo stesso motivo. -
- È vero. - annuisce. - Pur volendo andare a vivere da soli, non è facile trovare una casa propria. -
Se ben ricordo, tempo fa Mariko mi aveva detto una cosa simile. Anche se riuscire a pagare da sola un affitto era un'impresa, voleva andarsene e diventare indipendente, mettersi alla prova. Alla fine ce l'ha fatta ma più che aver trovato lavoro lontano, è come se fosse semplicemente sparita.
Ormai sia io che la mamma iniziamo ad avere dei dubbi su questo incarico governativo di massima segretezza. Mio padre non sembra accorgersi dell'atmosfera soffocante in casa nostra.
- Piacerebbe anche a me un lavoro che mi faccia andare via. - rifletto ad alta voce. - Sarebbe un sollievo. -
Torno a guardarmi le punte dei piedi, come mi succede sempre più spesso. Ora sono io ad ignorare lo sguardo attento di Oiva.
 

//O//

 

- Ciao. -
Oiva alza la testa. - Signorina Shinobu. - Poi sembra ricordarsi perché è davanti a quella porta: - Oltre questo punto è vietato l'accesso. -
Sbuffo un sorriso sghembo. - Me l'hai già detto ieri. -
- È mio compito ricordarglielo. -
Ieri abbiamo parlato a lungo prima che mi facesse notare l'ora. Ho provato a dirgli che nessuno si sarebbe accorto della mia assenza a cena ma non ha voluto sentire ragioni. Credo fosse pronto a chiamare un suo collega della sicurezza per farmi portare all'uscita.
Nonostante sia rigorosissimo sul lavoro, Oiva si è rivelato una buona compagnia. Era una vita che non parlavo tanto con qualcuno.
Come ieri, vado a sedermi contro una parete. Oggi sono venuta prima, subito dopo pranzo: sono contenta di averlo trovato già qui.
- Il tuo turno va sempre da quest'ora a sera? -
- Non sempre. A seconda delle necessità, a volte faccio quello di notte. -
- Come faccio a sapere quando lavori di notte? -
Mi guarda. - Se vieni e non mi trovi, vuol dire che sono al turno di notte. -
- Davvero divertente. -
Non sono nemmeno sicura che provi a fare battute quando dice queste cose. Quell'espressione seria e quel tono controllato mi confondono.
Cambio argomento. - Sei sempre da solo nei turni di guardia? -
- Qui sì. Di notte quasi mai. -
- Non ti annoi? -
Si stringe nelle spalle. Finora è il gesto più eloquente che gli abbia visto fare. - Non ho un compagno fisso proprio perché non patisco la noia. -
Lo studio senza fretta. Si vede dalla postura diritta che è una persona adulta, formata. Sono un po' invidiosa.
- Tuttavia - Mi riscuoto. È la prima volta che dice qualcosa di sua iniziativa, non rispondendo ad una mia domanda. - Tuttavia mi fa piacere avere qualcuno con cui parlare. -
Si sta riferendo a me?
Ieri avevo bisogno che la mia presenza venisse riconosciuta, che mi assicurassero non fossi diventata invisibile, il timore che mi ha fatto sorgere mio padre con la sua indifferenza. Non immaginavo di poter fare piacere a qualcuno rivolgendogli la parola.
Gli sorrido. Non sono più abituata a sorridere così: mi fanno male le guance.

 

//O//


- Signorina Shinobu! Che ci fa qui? -
Non è Oiva. Accidenti, proprio oggi doveva mancare.
Anche se i capelli e gli occhi sono ugualmente neri, la guardia nuova sembra più giovane. Mi viene incontro lasciando incustodita la porta. Oiva non lo fa mai.
- Sta cercando suo padre? -
Nascondo rapidamente il fagottino dietro alla schiena, sentendomi avvampare.
- C-cercavo Oiva. - dico prima di potermi frenare.
Il ragazzo è stupito. Non si aspettava conoscessi il nome di una guardia.
- Oggi ha il turno di notte quindi ci sono io, ma se vuole lo chiamo. - mi spiega facendo per prendere il trasmettitore dalla cintura.
- No! Non importa. - Non avrebbe senso chiamarlo. Gli avevo portato da mangiare perché ieri, chiedendogli se non gli venisse fame durante un turno così lungo, ho ricevuto come risposta il gorgoglio del suo stomaco. Ho riso così tanto che pareva essersi offeso.
Volevo chiedergli scusa portandogli il pranzo ma probabilmente a quest'ora ha già mangiato.
- Davvero, non è nulla. - insisto di fronte allo sguardo perplesso del ragazzo.
Lui però nota che sto nascondendo qualcosa e mi sorride complice. Si porta il trasmettitore vicino alla bocca non dandomi il tempo di bloccarlo.
- Oiva? -
Poco dopo aver tolto il pollice dal pulsante, il trasmettitore emette un breve crepitio e: - C'è qualche problema? -
È leggermente distorta ma la voce è sicuramente la sua, seria e precisa anche quando non lavora.
La guardia di fronte a me continua. - Qualcuno chiede di te, qui. -
Una pausa e poi di nuovo il grattare della radio. - Arrivo. -
Mi sento il volto in fiamme. Sicuramente sa che sono io, venuta a fare la peste come al solito: perché sta venendo qui apposta?
- N-non ce n'era bisogno. - mormoro con gli occhi grandi come piatti. Il ragazzo in divisa sorride divertito.
Oiva non si fa aspettare. Raggiunge me e il suo collega nel giro di qualche minuto; i capelli rigorosamente legati nonostante sia in una tenuta più informale della tuta delle guardie. Abbasso in colpa gli occhi per aver interrotto la sua pausa con una tale sciocchezza.
- Signorina Shinobu, ha bisogno di qualcosa? -
- N-no, avevo solo... - Mi fermo per deglutire il nervosismo. - Ti avevo portato il pranzo ma avrai già mangiato. - borbotto mostrandogli il bento che ho preparato prima di uscire.
Il fatto che non dica niente mi fa sentire solo più stupida. - Scusa. Può averlo il tuo collega, se vuole. -
- Oh, sì! Sto morendo di fame! - esclama entusiasta il ragazzo.
- No. -
Così dicendo, Oiva prende il fagottino dalle mie mani.
Incrocia il mio sguardo sorpreso. - Posso mangiarlo per cena. -
- Io però ho fame adesso! -
- La signorina Shinobu l'ha preparato per me quindi è mio. - La sua espressione è impassibile ma riesco ad immaginarlo fare una linguaccia per accompagnare la dichiarazione.
Mentre il suo collega protesta, io nascondo un sorriso dietro alla mano. Non pensavo avesse questo lato infantile.

 

//O//


La guardia che ogni tanto dà il cambio ad Oiva si chiama Yamamoto, come scopro nei giorni successivi. È più giovane di Oiva ma non di molto; è il mio amico a sembrare più grande, per via di quel carattere inflessibile.
Ho iniziato a pensare a lui come ad un amico ma non ricordo esattamente quando.
- Cosa studi? - Non ricordo nemmeno quando ha cominciato lui a fare domande.
Alzo brevemente gli occhi dal libro ma poi torno a leggere: la verifica è troppo vicina per potermi distrarre. Da quando è iniziato il periodo dei compiti in classe, buona parte dei nostri incontri li passo a studiare. Non penso gli dia fastidio. Spero non gli dia fastidio.
- Matematica. Ma non mi piace molto. - Provo a tornare concentrata su numeri e formule ma quella frase mi ha fatto venire in mente un ricordo.
- Quando eravamo piccole, Mariko mi prendeva in giro perché non sapevo fare le frazioni, anche se poi mi aiutava. Quella brava in matematica è sempre stata lei. È uno dei motivi per cui mio padre vuole più bene a lei che a me. -
Non so cosa sia in Oiva che mi fa sentire tranquilla ma con lui riesco senza problemi a sfogare questi pensieri. Non sono sicura serva a farmi stare meglio: dirli ad alta voce è come renderli più veri.
Come al solito Oiva non commenta, non giudica.
- A te cosa piace? -
Per qualche secondo è come se non capissi la domanda.
Incontro i suoi occhi. Da quanto tempo qualcuno non mi chiedeva cosa piacesse a me?

 

//O//


È raro che lasci la mia postazione ma oggi metà della sicurezza è stata convocata per un briefing ai piani alti. Non sono abituato a questa parte della Takeshita, tutta uffici e stanze espositive scintillanti. Mi sento a disagio; è evidente che questo non sia il mio posto.
Spero solo che la signorina Shinobu non arrivi mentre sono via.
Svoltando l'angolo, scopro che non c'è pericolo. La signorina è poco più avanti, in piedi di fronte ad una porta, corto giubbotto di pelle e grossi stivali neri. Stringe forte un foglio in una mano. Ha l'espressione che fa quando parla del signor Takeda.
Mi avvicino ma lei non si volta: è intenta a fissare la porta socchiusa, da cui escono delle voci. Si direbbero la signora e il signor Takeda.
Il corridoio è abbastanza largo perché riesca a passare dietro alla ragazza senza farmi notare. Non sono in ritardo ma la signorina Shinobu ha un certo talento nel distrarmi sul lavoro. E comunque penso sia meglio lasciarla sola con i suoi pensieri.
Nonostante l'intenzione di superarla come se nulla fosse, finisco per rallentare passandole vicino. L'occhio mi cade sul foglio: sopra è scarabocchiato in rosso un grosso “10 e lode”. L'intelligenza dev'essere una costante nella famiglia Takeda.
- Il professor Leer le ha scritto di suo pugno una nota molto positiva. -
- Adesso non ho tempo, Mia. Ne riparliamo a casa. -
Da questa distanza non riesco a fare a meno di cogliere un pezzo della conversazione. Mentre la signora Takeda continua, abbasso gli occhi sulla ragazza. Stretta nelle spalle tremanti, sembra ancora più piccola.
Le sfilo il compito dalle mani, facendola sussultare. Prima non riuscivo a leggerlo ma è la verifica di matematica, la materia che non le piace.
Mi prendo il mio tempo per leggere la nota positiva scritta dal professore, ignorando lo sguardo incredulo della signorina.
Le restituisco il foglio. - Davvero notevole. - Mi sfugge un leggero sorriso. - Non oso immaginare come vada nelle materie che le piacciono. -
La ragazza ha perso la lingua. Mi viene facile salutarla con un breve inchino e riprendere la mia strada.

 

//O//


Ieri è successo qualcosa.
Non so cosa però so che c'entra con Mariko e che adesso nemmeno mia madre riesce più a vedermi. Stamattina mi sono alzata e ho trovato la cucina deserta. In quel silenzio sono riuscita a sentire dei singhiozzi spezzati venire dalla camera dei miei. Sono scappata a scuola.
A pranzo mia madre era a tavola con me ma era come se non ci fossi. Mangiava lentamente, fissando un punto di fronte a sé con occhi spenti. Quando le sono spuntate le lacrime, grosse lacrime che non ha fatto niente per nascondere e che sono andate a mescolarsi alle uova, sono scappata di nuovo.
Percorro di corsa la strada che ormai mi è familiare come il tragitto per andare a scuola. Ancora una svolta e finalmente lo vedo.
Oiva alza la testa sentendomi ma si congela guardandomi in volto. Non riesco più a combattere la voglia di piangere; non voglio più combatterla. Qui sono al sicuro. Qui posso piangere senza essere ignorata.
- Shinobu. - mormora mentre mi scontro con il suo petto. Chissà se si è accorto di aver dimenticato il “signorina”. Mi mette incerto le mani sulle spalle. - Che succede? -
- Non lo so! - singhiozzo disperatamente, perché se sapessi cosa sta succedendo forse potrei fare qualcosa. - Mia madre ha smesso di vedermi! Anche per lei non esisto più! Che senso ha che continui a tornare in quella casa? Lì non esisto più, non è più casa mia. -
Non riesco ad aggrapparmi a questa maledetta tuta aderente così allaccio le braccia attorno alla sua vita e stringo. Gli mozzo il fiato per un secondo ma la sua presa sulle mie spalle non si allenta, anzi.
Non dice niente. Bhè, è logico, non avrà capito nulla di quel che ho detto. Non può immaginare come si sia ridotta la famiglia del suo capo dalla scomparsa della primogenita.
O forse può? Quando inavvertitamente parlavo di Mariko o di mio padre, il suo sguardo aveva un'intensità particolare. Come se potesse capire.
Voglio che capisca. Voglio che non solo mi veda ma anche mi comprenda, mi voglia bene, mi ami: sono cose che nessun altro fa più.
Alzo la testa per incontrare i suoi occhi preoccupati. È in ansia per me.
- Io esisto, vero? Tu puoi vedermi, giusto? -
Il suo volto è attraversato da qualcosa e l'attimo dopo mi stringe a sé con tutte le forze. - Certo che ti vedo. Cosa dici? -
Qualcosa dentro di me si spezza. Una corda rimasta troppo a lungo in tensione che infine si sfalda e si sfilaccia.
Voglio ringraziarlo fino a perdere la voce ma non riesco a fare altro che piangere. Piango così tanto che le gambe mi cedono. Oiva si inginocchia con me a terra.
A questa altezza riesco a nascondere il volto nell'incavo del suo collo. Lui mi mette una mano sulla testa, come ad invitarmi a restare lì al caldo e al sicuro.
Dopo un tempo infinito, le mie lacrime finiscono privandomi di tutte le forze. È impossibile che riesca a muovermi da qui ma protetta dall'abbraccio di Oiva, non mi sembra una brutta cosa.

 

//O//



La signorina Shinobu mi ha raggiunto alla solita ora ma aveva il volto terreo e tirato. Vederla in lacrime mi ha paralizzato. Ha pianto fino ad adesso e non ho ancora la minima idea di cosa dovrei fare; se un abbraccio è bastato a consolarla, se le mie parole l'hanno fatta stare meglio, se in qualche modo sono riuscito ad aiutarla.
Sono spaventato, la verità è tutta qui.
Le ragazze in lacrime fanno paura. Soprattutto le ragazze ciniche, determinate e intelligenti come Shinobu, perché ciò che le ha spezzate dev'essere terribile.
Non so se mi sto comportando nel modo giusto ma quanto meno so che la signorina è esausta, e che non possiamo restare qui seduti in eterno. Tenendole una mano sul collo, recupero il trasmettitore dalla cintura.
- Yamamoto? -
Il mio collega risponde dopo qualche attimo. - Ehi, che brutta voce! Qualcosa non va? -
- Ho bisogno tu mi dia il cambio. -
Normalmente protesterebbe ma devo avere una voce davvero brutta: si limita ad uno sbrigativo “Arrivo” prima di chiudere la comunicazione.
La signorina Shinobu mi stringe una spalla. Torno a passarle rassicurante una mano sulla schiena.
Un sussulto annuncia che Yamamoto è finalmente arrivato. Ci raggiunge con l'ansia dipinta in faccia. - Cosa succede alla signorina? -
- Si è sentita male. - La ragazza affonda il volto contro la mia clavicola con quella che mi sembra gratitudine. Nemmeno io voglio far sapere a qualcun altro che ha pianto. Da così poco, posso proteggerla. - Non è grave ma è meglio se la porto in infermeria a riposare. -
Yamamoto annuisce agitato. - Certo! Resto io qui! -
Prendo in braccio la signorina Shinobu in modo che riesca a tenere nascosto il viso. Ringrazio il mio collega e mi avvio lungo il corridoio.
Il tragitto è silenzioso. Lei ha a malapena la forza di reggersi alle mie spalle e io sono ancora agitato, sono solo molto bravo a nasconderlo. Tuttavia il battito impazzito del cuore non posso controllarlo e la ragazza è certamente in grado di sentirlo: mi chiedo se serva a qualcosa mantenere l'espressione distaccata.
Arriviamo all'infermeria, vuota come speravo. - Difficilmente qualcuno viene qui. Può riposare tranquilla, signorina. - le spiego adagiandola su uno dei lettini. Mi guarda. Ha gli occhi arrossati e il volto stanco ma si impegna a mostrare un piccolo sorriso.
- Grazie. - dice con voce roca. Il cuore mi fa un sobbalzo.
Mentre mi guardo attorno chiedendomi di cos'altro possa avere bisogno, la signorina mi prende per mano. Pensavo non avesse più energie invece me la stringe decisa. - Resti con me? -
Non riesco a trattenere un sorriso. - Certo. -
Avvicino una sedia con la mano libera e mi accomodo accanto al lettino. La ragazza mi regala uno sguardo così bello che anche quando abbassa le palpebre e si addormenta, non riesco a distogliere gli occhi.

 

//O//


- Signora Takeda, si calmi. Non vedo perché dovrebbe essere venuta qui ma se c'è, la troveremo subito. -
Nemmeno io sono certa del perché la stia facendo cercare nell'azienda: da tempo ormai lei e Mariko hanno smesso di giocare nei magazzini. Non mi è venuto in mente nessun altro posto in cui potrebbe essere scappata.
O forse mi sono lasciata guidare dal pensiero che anche Mariko si trova qui.
Mariko non è in viaggio per lavoro. È in uno di questi laboratori, legata alla vita da macchinari e strani liquidi. Non ho capito una parola di ciò che mi ha spiegato mio marito riguardo a come sia successo. So solo che la mia bambina sta soffrendo e io sono stata una madre orribile a non accorgermi di quanto fosse vicina.
Così come ho sbagliato con una, ho sbagliato anche con l'altra figlia: dopo che ieri ho visto Mariko in un sonno troppo simile alla morte, mi sono dimenticata di Shinobu. Non sono stata forte in sua presenza, non mi sono neanche preoccupata di nascondere le lacrime. Mi sono accorta di lei solo quando ha chiuso violentemente la porta di casa, e anche allora ho fatto un enorme sforzo per capire cosa fosse stato.
Questa situazione è inconcepibile; mi sembra di impazzire.
Il capo delle guardie è al mio fianco mentre percorriamo rapidamente corridoi su corridoi ma ho come la sensazione stia facendo fatica a starmi dietro. Non riesco a smettere di mordere nervosa l'unghia del pollice.
Una guardia al fondo del corridoio ci nota. - Signora Takeda! È venuta a prendere sua figlia? -
Mi blocco. L'uomo al mio fianco si acciglia. - La signorina Shinobu è qui, Yamamoto? -
- Sì, viene spesso. A trovare Oiva, a quanto pare. -
Alza le spalle di fronte allo sguardo perplesso del suo superiore. Ecco dove andava quando spariva. Come ho potuto non fermarmi mai a domandarmelo?
Raggiungo la guardia con due grandi falcate. - Dov'è mia figlia? - La voce è talmente alterata dall'ansia che non sembra la mia.
Il ragazzo sobbalza. - I-in infermeria. - Vedendomi impallidire, si affretta ad aggiungere: - Non è nulla di grave! Si è solo sentita ma_ -
Non ascolto il resto. Imbocco il corridoio indicatomi, leggendo frenetica le placchette accanto alle porte.
Finalmente trovo l'infermeria. Prima di entrare assicuro di essermi calmata, per non disturbarla se sta riposando o non turbarla se è sveglia. Apro la porta e la vedo subito, addormentata su un lettino.
Non è sola. Una guardia le tiene la mano nel sonno e la osserva. La osserva come un uomo osserva una donna.
La mia Shinobu però è solo una ragazzina addormentata e indifesa.
Una rabbia cieca mi assale.
- Sta' lontano da lei. - sibilo ferocemente.
L'uomo sussulta e si alza, lasciando la mano di Shinobu. Piega la testa in un inchino. Non prova nemmeno a giustificarsi e sento la bile risalirmi su per la gola.
- Fuori di qui. - gli intimo puntando la porta con un dito tremante.
Si inchina più profondamente ed esce. Mi costringo ad ignorare l'ultimo sguardo che lancia in direzione di Shinobu.
Ancora scossa dalla rabbia e dalla preoccupazione, prendo il suo posto sulla sedia accanto al letto. La mia bambina ha gli occhi gonfi di pianto e nemmeno il sonno riesce a distenderle la fronte. Le accarezzo i capelli, imitando il gesto d'affetto con cui ieri ho salutato Mariko.
Le mie amate figlie stanno soffrendo così tanto e io riesco solo a piangere.
Tuttavia, quando la guardia che mi stava accompagnando entra, i miei occhi sono asciutti. - Mi aiuti a portare Shinobu alla macchina, per favore. -
È passato il tempo in cui riuscivo a prenderla in braccio e farle sparire le lacrime con un bacio sulla fronte.

 

//O//


Vengo svegliata dal suono attutito di due voci. Due voci che conosco bene, che sto imparando ad odiare, che non dovrebbero essere qui. Aprendo gli occhi però, mi accorgo che nemmeno io dovrei essere qui.
Non sono nell'infermeria con Oiva ma in camera mia, con i miei genitori che discutono al piano di sotto.
No! Non posso stare in questa casa! Qui tutto è freddo e buio e nulla mi riconosce più come un'abitante; qui non esisto. Devo tornare da Oiva.
Scendo dal letto, restando a fissare il pavimento in cerca di un modo per uscire inosservata. Socchiudendo la porta, riesco a capire che i miei sono in cucina. Per raggiungere l'ingresso devo per forza passarci davanti: è impossibile che non mi notino.
O forse no.
No, non lo è.
Mio padre non mi vede più da tempo e anche mia madre ha smesso. Non mi vedranno passare davanti alla cucina, non mi sentiranno uscire e non capiranno che me ne sono andata. Ormai per loro sono invisibile. Per tutti lo sono.
Eccetto per Oiva.
Quando finalmente lo realizzo, la preoccupazione svanisce. Esco in corridoio e mi chiudo la porta della cameretta alle spalle. Scendo le scale fino al limitare della cucina.
- Dobbiamo davvero affrontare adesso questo discorso? Sono molto stanco, Mia. -
- Tua figlia era con un estraneo e tu sei stanco? Se avessi visto come la guardava_ -
- Sì, sono stanco! Perché potrai non crederci ma sto cercando di salvare la tua primogenita! -
Non ho sentito. Non ho sentito niente.
Come un fantasma, passo davanti alla cucina e raggiungo il salotto. Apro la porta di casa. La richiudo dietro di me.
Ero certa non mi avrebbero vista.
Mi avvio di corsa verso l'azienda. Nessuno dei pochi passanti si volta a guardare la ragazza in pigiama che corre come se fosse inseguita. Sono invisibile.

 

//O//


Mi perdo un'infinità di volte prima di trovare e seguire una guardia dall'aspetto stravolto che mi conduce dove speravo. È un corridoio con due lunghe file di porte, ognuna con accanto una targhetta con il nome di chi vi alloggia.
Ne trovo una sola con una “O” puntata e un cognome abbastanza complicato da poter essere finlandese. Suono. Se non dovesse essere lui, non mi vedrà quando aprirà la porta e penserà allo scherzo di qualcuno.
È Oiva ad uscire e spalancare gli occhi. È il primo che riesce a vedermi da quando sono entrata nell'edificio. Il pensiero non mi intristisce, anzi, mi sento la testa leggera e il petto pieno.
Oiva è la mia persona più importante, l'unico per cui significo qualcosa. Come si è permessa mia madre di chiamarlo “estraneo” con quel tono sprezzante?
Faccio un passo indietro per potermi piegare in un inchino. - Ti chiedo scusa se mia madre ti ha trattato male in qualche modo. Non ne aveva nessun diritto! -
Oiva non commenta e non si muove. Anche se vorrei, non oso alzare la testa per guardarlo.
A riscuoterci entrambi, è il breve sibilo della porta alla mia destra. Oiva mi prende per un braccio e mi tira dentro l'attimo prima che un suo collega si affacci sul corridoio.
- Ah, Oiva! Mi era parso di sentire la voce della signorina Shinobu. -
- Sì, anch'io ho sentito una voce. -
- Dici che è di nuovo riuscita ad intrufolarsi? Mi hanno detto che oggi la signora Takeda è venuta appositamente a riprenderla. -
Oiva sembra rifletterci su per davvero. - Dubito sia possibile: avrebbe dovuto superare la sicurezza notturna. Inoltre, proprio per ciò che è successo oggi, Bak Sung ha aumentato i controlli. -
Il suo collega ridacchia. - Hai ragione, probabilmente è la stanchezza che fa brutti scherzi ad entrambi! Buona notte. -
- 'Notte. - lo saluta con un cenno del capo prima di chiudere e voltarsi verso di me. Incrocia le braccia al petto e mi osserva con qualche sorta di rimprovero negli occhi.
- I controlli sono davvero aumentati: come ha fatto a superarli? -
Mi stringo nelle spalle. - Non mi hanno vista. -
- Non dica sciocchezze. -
- È la verità. In che altro modo sarei potuta entrare? -
Oiva è pensieroso e dopo un minuto non ha ancora replicato. Ne approfitto per guardarmi intorno.
La camera è come un piccolo appartamento; con zona cottura, salotto e letto in un'unica stanza, il bagno in una seconda. Fatta eccezione per la tavola apparecchiata, è tutto incredibilmente ordinato.
- Stavi mangiando a quest'ora? -
- Dato che Yamamoto mi ha dato il cambio per un po' questo pomeriggio, ho finito il turno più tardi del solito. - Se ce l'avesse con me, non penso avrebbe risposto.
Annuisco e raggiungo il letto perfettamente rifatto, su cui mi lascio cadere seduta. - È bello qui, è pulito. Camera mia non è mai così pulita. -
Oiva sospira del mio tono casuale. Deve avere almeno un centinaio di domande ma per ora sembra metterle da parte per tornare alla sua cena. Così seduto non posso che guardargli la schiena.
È vestito come quando gli ho portato il pranzo la prima volta: una maglia grigia a maniche lunghe e dei pantaloni comodi neri. Trovo stia meglio così; sembra più un uomo e meno una macchina.
- Vuoi un dolce? - chiedo all'improvviso. - Sono brava a cucinare. -
- Ho presente. -
- Allora lo vuoi? -
Scrolla le spalle. - Se riesci a trovare ciò che ti serve per prepararlo. -
Mi alzo dal letto con un sorriso. L'idea di cucinare per Oiva mi è sempre piaciuta ma solo adesso realizzo che è lui a piacermi. Poi comunque ho una certa fame anch'io.

 

//O//


Durante il suo trafficare, la signorina trova latte, farina, zucchero, burro e uova. Da uno sportello della cucina tira ancora fuori una padella.
- Ti vanno bene i pancakes? - mi chiede facendo per aggiustarsi la molletta per i capelli e non trovandola. Che non l'avesse è stata fra le prime cose che ho notato. Insieme al pigiama, i piedi scalzi e le guance arrossate dal freddo. Come ha fatto ad arrivare fin qui senza problemi? - Uhm, hai un elastico? -
Mi alzo da tavola per andare in bagno a prenderne uno.
In qualche modo riesce a legarsi i capelli corti, lasciando scoperto il collo. Si mette all'opera mentre io torno seduto.
Non vado matto per i dolci ma se è brava come con i pranzi, non ho nessuna protesta da fare.
Da qui non posso che guardarle la schiena mentre lavora. Mi chiedo se non abbia freddo con solo la canottiera e i piedi nudi. Cerco di tornare concentrato sulla cena ma gli occhi continuano a scivolarmi su quel collo scoperto, su cui ricadono ciuffi corvini sfuggiti alla coda.
Mi merito l'odio della signora Takeda.

 

//O//


Il mio stomaco reagisce al profumino di pancakes. Li faccio scivolare in due piatti man mano che li preparo, tenendone di più per me ma dando ad Oiva quelli venuti meglio. L'ideale sarebbe metterci sopra dello sciroppo ma dubito che Oiva ne abbia.
- Ho quasi fatto. - gli dico sentendolo alzarsi. Posa i piatti sporchi nel lavello e li pulisce velocemente. Le nostre spalle si toccano nella piccola cucina. Finisce di sparecchiare aprendo cassetti e sportelli, e sebbene non credo lo stia facendo apposta, io mi accorgo di tutte le volte che mi sfiora. Sono come brevi scariche elettriche.
Non ho la minima intenzione di protestare. Anzi, non oso nemmeno muovermi troppo per paura possa pensare che mi dia fastidio.
Oiva torna a tavola e poco dopo finisco l'ultimo pancake, uno dei miei dato che è tutto bruciacchiato. Spengo il fornello, recupero le posate per entrambi, gli porgo il piatto e mi accomodo di fronte a lui.
- Buon appetito. -
Non sento se mi risponde: mi avvento voracemente sulla mia cena. Non c'è che dire, sono proprio brava in cucina! L'espressione deliziata di Oiva sembra concordare.
Nonostante mi stia abbuffando, lui finisce prima di me. Forse gliene ho messi troppo pochi.
Me lo fa notare.
- Non mi pare sia stata equa nelle porzioni, signorina. - È serio ma riesco ad immaginarlo con il broncio.
- È normale: sono una ragazza nel pieno della crescita, io! -
- E io ho lo stomaco di un uomo adulto. -
Si acciglia all'improvviso, come se gli fosse venuto in mente qualcosa di sgradevole.
Cerco di distrarlo riprendendo il discorso: - Le porzioni sono a discrezione della cuoca. Sono comunque certa che avessi molta più fame io di te. -
- Non ha fatto cena? -
Scuoto la testa. - Sono venuta qui appena mi sono svegliata. - Potrei aggiungere che di sicuro i miei non hanno avvertito la mia mancanza a tavola però non ho più voglia di parlare dei miei genitori. Non voglio più fare parte della famiglia Takeda, sono stanca.
- Avrebbe potuto dirmelo che non aveva cenato. - borbotta Oiva strappandomi un sorriso.
Finisco di mangiare e lavo i piatti di entrambi. Anziché tornare a tavola, raggiungo il letto. - Non è molto grande. - osservo. Mi ci siedo sopra per testare il materasso. - Né molto soffice. - Oiva si è girato del tutto sulla sedia e mi studia assorto. Va bene, mi piace che mi guardi. - Se però mi stringo contro la parete, dovremmo starci entrambi. -
L'uomo sospira pesantemente, passandosi una mano sulla fronte, e io mi sento improvvisamente piccola e stupida. Ovvio che non lo attiri dormire con una ragazzina. L'avrò messo in imbarazzo. Perché ho detto una scemenza simile? Chi pensavo di prendere in giro con quel tono casuale?? Penserà che sono una disgustosa mocciosa con disgustosi secondi fini.
Non riesco nemmeno ad arrossire per la vergogna; resto solo molto ferma sentendolo commentare: - Mi ha messo in una situazione complicata, signorina Shinobu. -
Rialza la testa. Non oso abbassare gli occhi, intrappolati dal suo sguardo.
- Non c'è modo per farla uscire senza che qualche sospetto ricada su di me. - Mi prende in contropiede. Era a questo che stava pensando?
- Se la accompagnassi all'uscita a quest'ora di notte, sarebbe come chiedere di essere licenziato. Forse Yamamoto potrebbe aiutarci ma dubito si assumerebbe un tale rischio; ci teniamo tutti a questo posto. Se invece comunicassi di averla appena trovata, la signora Takeda di certo non mi crederebbe: dev'essere passata più di un'ora da quando è scappata. Sarebbe più semplice se tornasse da sola a casa ma non è una possibilità che intendo considerare. -
- Non mi vuoi qui? - mi sento mormorare.
La sua espressione seria non vacilla ma il tono è gentile. - Non può restare qui per sempre, signorina. -
- Sì invece! - Mi metto rapidamente in piedi. - Non terrei molto spazio, posso dormire per terra se non vuoi condividere il letto, e ti preparerei da mangiare tutti i giorni! Ti prego, non voglio più tornare in quella casa. -
Qualcosa gli ha attraversato il volto mentre parlavo ma è stato troppo veloce perché potessi identificarlo. - Non dica assurdità. - Il suo tono adesso è severo. - Dopo questo pomeriggio, non appena sua madre capirà che è sparita, questa stanza sarà la prima che farà controllare. -
- Non è un pericolo! Te l'ho detto che né lei né nessun altro può vedermi. - Il suo sguardo si indurisce. Non capisce. Faccio decisa un passo in avanti e sono di fronte a lui. - Non è un modo di dire: posso diventare invisibile. È incredibile anche per me ma non può che essere così, o non sarei mai potuta entrare di nascosto, superare le guardie e arrivare a te. In pigiama, poi! - Il mio sorrisetto sghembo non sortisce alcun effetto. Le mie parole però sì: Oiva è nel suo particolare silenzio pensieroso, quello dallo sguardo fisso da cui non so scappare.
Sembra finalmente giungere alla conclusione che non sto mentendo. Oiva è intelligente: l'unica spiegazione possibile è quella che gli ho dato.
- Fammi vedere. - Incrocia le braccia portandosi una mano al mento. - Fammi vedere come fai a sparire. - È curiosità, non dubbio quello che ha nella voce.
Gli sorrido a bocca chiusa. - Non posso. -
Alza le sopracciglia e con quel semplice gesto lo scetticismo torna del tutto.
- Oltre al fatto che non so bene come controllarlo, con te sono certa non funzionerebbe. -
Quasi senza pensare, allungo una mano per prendere quella con cui si tiene il mento. La porto al mio volto. Come eseguendo un comando, la apre per coprire la curva della mia guancia.
Sorrido del suo tepore e di come non abbia esitato. - Non ha mai funzionato. In teoria avresti dovuto ignorarmi anche tu, eri solo una guardia. Avrei dovuto essere invisibile anche per te. -
Fa per aprire la bocca ma la richiude prima di poter dire qualsiasi cosa.
Lo ringrazio affondando affettuosamente il volto nella sua mano. Voglio riuscire a dirgli tutto per bene, voglio che capisca.
- Non so perché ma tu mi hai sempre vista. Mi ascolti, mi incoraggi, mi fai sentire viva e al sicuro. Mi fai sentire vera e presente. - Non distogliendo gli occhi dai suoi, gli bacio piano il palmo della mano. Riprendo in un sussurro, tenendo le labbra contro la sua pelle. Mi sembra di sentirlo tremare. - Sei la persona più speciale, la più preziosa, la più importante che abbia. -
Il mio corpo si abbandona al pressante desiderio di stargli più vicino. Faccio ancora un passo, appoggio un ginocchio alla sua sedia e poi l'altro, sedendomi a cavalcioni delle sue gambe. Lascio andare la sua mano ma quella non si muove. Gli prendo il volto e lo guardo a lungo, abbastanza da riuscire a vedere oltre la sua aria impassibile.
- Se ancora esisto, è grazie a te. - Il mio sussurro lo paralizza e a questa distanza posso leggere per cosa: paura, ma anche desiderio.
È la conferma di cui ho bisogno per colmare la breve distanza e posare le labbra sulle sue.
Rimane immobile, e anch'io. Mi allontano solo quanto basta per parlare, dire l'ultima cosa che voglio assolutamente dirgli. - Grazie. Ti amo tanto, Oiva. -

//OOO//



-- L'autrice Rantola --
Signorina Shinobu, no! Un amore del genere è malsano, è malato! E non sto nemmeno parlando della differenza di età!! Questa fic è terribilissima: più andavo avanti più me ne rendevo conto. ;___;

Shinobu è bellissima, ha un sacco di potenzialità e ODIO la saga frettolosa in cui è stata introdotta. Più AMMORE per Shinobu!! (ò^ò)9 
 

  
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