Anime & Manga > Alice Academy/Gakuen Alice
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Autore: Strawbana    15/11/2013    2 recensioni
E' la mia prima "prova" su questo fandom. Sarà una raccolta di oneshot sulla mia pair preferita di GA, molto poco calcolata, la KokoxSumire, altrimenti detta KoMire nel fandom inglese -ed adotterò anch'io questo modo di chiamarla-.
Le OS non hanno un filo in particolare che le lega, oltre al fatto che sono basate su delle citazioni che mi ispirano particolarmente e due prompt, e neanche un genere preciso. Alcune shot potrebbero contenere o essere direttamente basate su spoiler per chi non legge il manga o è indietro, ma li segnalerò man mano.
Enjoy~
#2. “I want pizza. And you.”
straw part of the duo~
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kokoro Yome, Sumire Shouda
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Title: Of embraces and sunflowers.
Genre: Hurt/Comfort
Words: 751
Warning: In realtà, questa shot non ha proprio spoiler, ma per capire a fondo la prima parte c'è bisogno di aver letto almeno il capitolo 171. In ogni caso, se non l'avete letto o ci siete vicini potete leggerla comunque, sono abbastanza sicura che non ci siano spoiler diretti, è solo un po' difficile da capire per chi non è arrivato a quel punto.
Hope you like it~

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One day someone is going to hug
you so tight. That all of your broken
pieces will stick back together.

—Anonymous


 
 
Lei era la tipica ragazza di troppo. Lei era sempre troppo, sì. Troppo egoista, troppo diretta, troppo impulsiva. Era persino troppo verde, troppo liscia ed allo stesso tempo troppo riccia, troppo cane, troppo gatto, troppo umana. Troppo umana per rimanere indifferente, per fermare le lacrime, troppo debole per scappare.
 
E rimaneva lì, in ginocchio sul pavimento. E non voleva muoversi – se si fosse mossa, se avesse aperto bocca e provato a parlare, anche solo la prima lettera si sarebbe spezzata, le labbra avrebbero spinto per chiudersi di nuovo, il suo mento non avrebbe smesso di tremare – non voleva bagnarsi ancora.
 
Non voleva muoversi perché aspettava. Qualcosa.
 
Qualcuno.
 
— In realtà, chiunque. —
 
Ma forse le bastava aspettare che le ginocchia cominciassero a fare più male del cuore e della testa – che il dolore fisico superasse quello emotivo e quel costante bruciore al petto.
 
Dicono che le persone che soffrono sono quelle che piangono e si disperano, ma non è così. Anche chi sta zitto, chi ha la tempesta dentro e non la fa uscire, chi preferisce non pensarci invece di parlarne, ecco, sono solo persone più forti – o forse più egoiste. Egoiste come lei, egoista come il suo bisogno di avere qualcuno vicino, egoista come il dolore di aver perso ciò che non avrà mai indietro.
 
—È come avere un amore non corrisposto per tutta la vita.
 
E lei non era pronta per quello.
Sumire Shouda non era pronta a perdere quella spalla calda.
 
E aveva paura. Era certa che quella era la prima volta nella sua vita in cui assaggiava quella sensazione.
Quella sensazione dal retrogusto amaro, quella che ti raschiava la gola e finiva pesante nello stomaco e bruciava e faceva male. Davvero male.
 
Mi stai uccidendo, Permy. Kokoro Yome sorrideva sul serio. In quel momento, il suo sorriso era genuino. Genuino e triste. Ma lei si fermava lì, non voleva andare più su, non voleva incontrare i suoi occhi, non voleva collezionare altre ferite.
 
Non sono dell’umore per te, Yome. Non ricordava neanche lei da quando aveva iniziato a chiamarlo per cognome, sapeva solo che non riusciva a pronunciare il suo nome, le si fermava in gola, la soffocava.
 
Lo so che non sei dell’umore. In realtà sono qui proprio per questo.
Nessuno avrebbe mai capito cosa ci fosse dietro i suoi soliti sguardi truci e il suo silenzio, ma lui lo sapeva. Semplicemente, la conosceva. Anche troppo.
Sai perché il girasole si chiama così? In verità, non si aspettava di sentire ancora la sua voce, – o meglio, ci sperava – né tanto meno una domanda del genere.
 
Perché segue il sole, no? Non aveva voglia di rispondergli, ma l’aveva fatto, perché di sicuro avrebbe insistito almeno fino alla sua morte.
Semplicemente, lo conosceva. Anche troppo.
 
Silenzio. Troppo silenzio. Stava diventando imbarazzante, e non era da lui stare zitto per troppo tempo, soprattutto in sua compagnia, doveva sempre dire qualcosa – sempre.
Alzò lo sguardo e lui la colse di sorpresa: l’ultima cosa che voleva era guardarlo negli occhi.
Perché mi stavi fissando? Voleva far sembrare quella frase la più intimidatoria possibile, ma non riusciva ad essere abbastanza dura, non in quel momento.
La ninfa Clizia era perdutamente innamorata di Apollo. Iniziò lui, ma non sembrava voler continuare, sembrava stesse aspettando qualcosa.
Cosa vuol-
Non riuscì a finire la domanda, non perché fosse stata fermata o bloccata da una sua risposta.
Lui sorrise. Ed era diverso. Era come se volesse farle capire cosa c’era dentro quelle parole, scavare a fondo. La stava preparando.
Quando Apollo passava nel cielo trasportando il sole, Clizia lo guardava e lo seguiva con lo sguardo. Ma Apollo non era innamorato di lei e dopo nove giorni la trasformò in un girasole.
 
Aprì le braccia e il suo sorriso si allargò insieme a quelle, mentre sul viso di lei si formava un’espressione interrogativa.
Perché non diamo al girasole la possibilità di abbracciare il sole?
Aspettava una sua reazione, ma quando questa non arrivò, la prese fra le sue braccia. La stringeva, ma allo stesso tempo era come se la stesse solamente sfiorando, come se fosse la cosa più fragile del mondo.
 
E quello non era solo un abbraccio. Ne valeva due, tre, cento. Le abbracciava il cuore, le lambiva la mente, la costringeva a sorridere, le dava quella leggerezza e calma che cercava ormai da troppo tempo.
Prendeva i suoi pezzi, ma non la riparava, la ricostruiva.
   
 
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