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Autore: Moriartied    15/11/2013    3 recensioni
Nei suoi occhi vi era ancora impressa quell’immagine: sangue, scuro, così scuro da far paura, che scorreva sulla pietra grigia, mentre bagnava di rosso i riccioli neri dell’uomo che giaceva senza vita ai suoi piedi, gli occhi azzurri ancora aperti, ma privi di quel bagliore che John aveva imparato a conoscere.
Ricordava ancora l’urlo silenzioso che gli aveva lacerato il cuore e la mente, che l’aveva reso sordo alle voci ed ai mormorii degli altri, mentre osservava con espressione attonita il corpo di Sherlock, freddo e bianco.
Ricordava il tonfo che avevano fatto le sue ginocchia quando toccarono il terreno, lo stesso sul quale era disteso il suo amico –il suo migliore amico. Ma dopo di quello, il buio.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nei suoi occhi vi era ancora impressa quell’immagine: sangue, scuro, così scuro da far paura, che scorreva sulla pietra grigia, mentre bagnava di rosso i riccioli neri dell’uomo che giaceva senza vita ai suoi piedi, gli occhi azzurri ancora aperti, ma privi di quel bagliore che John aveva imparato a conoscere.
Ricordava ancora l’urlo silenzioso che gli aveva lacerato il cuore e la mente, che l’aveva reso sordo alle voci ed ai mormorii degli altri, mentre osservava con espressione attonita il corpo di Sherlock, freddo e bianco.
Ricordava il tonfo che avevano fatto le sue ginocchia quando toccarono il terreno, lo stesso sul quale era disteso il suo amico –il suo migliore amico. Ma dopo di quello, il buio.


I giorni successivi furono un inferno, fatto di dolore e rabbia. Non riusciva a bere, a mangiare. La sua terapista gli aveva consigliato di riposarsi, di trovare un modo per distrarsi, per evitare di rivivere il momento. La licenziò due giorni dopo la sua ultima visita. Credeva che parlare con lei l’avrebbe aiutato, che forse, qualcuno, avrebbe potuto capire la sua confusione, il suo stato d’animo, quel miscuglio di sentimenti che sentiva dentro di sé, ma niente. Non voleva parlare con nessuno, e l’unica persona con la quale avrebbe voluto non c’era più.
John ormai alternava crisi di pianto a momenti nei quali avrebbe voluto distruggere tutto, mettere l’intera casa sottosopra, spaccare persino quel teschio sulla mensola, che sembrava guardarlo e ridere della sua sofferenza. Ma non osò farlo. Quello era tutto ciò che gli rimaneva di Sherlock, insieme ai ricordi.
Ma ben presto, non gli rimasero più neanche quelli.

Era iniziato tutto lentamente. Dopo i primi mesi dalla caduta, Greg l’aveva costretto ad uscire dalla sua “tana”, come la chiamava lui: lo portava fuori nei pub, a prendere una birra, come avevano sempre fatto, e passavano le serate a parlare, a raccontare di come quell’uomo straordinario di nome Sherlock, era riuscito a cambiare le loro vite, in un modo o nell’altro. E di come quest’ultimo aveva drasticamente cambiato la sua.
Non se n’era quasi accorto. Era tutto normale, tutto come sempre.
Tre mesi dopo, iniziarono i primi problemi. Erano piccole cose, dimenticanze banali, che succedevano sempre. Si dimenticava dove aveva messo il cellulare, spesso posava i biscotti nel frigo, piuttosto che nella credenza. Distrazioni più che ordinarie, soprattutto per un uomo sempre di fretta com’era lui –aveva ricominciato a lavorare. Quale modo migliore per non pensare?
Tutto ciò andò avanti per qualche settimana, ma John neanche ci fece caso. Il problema era che iniziava a non fare caso neanche al resto.
Spesso aveva vuoti di memoria. Sciocchezze, stupidaggini. Cose come non ricordarsi cosa aveva mangiato a pranzo. O cosa aveva fatto durante la giornata. Idiozie, insomma, almeno secondo lui. Non secondo gli altri.


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“John? John, ti vedo distratto. Sicuro di stare bene?” Sarah lo stava guardando con aria preoccupata, le sopracciglia aggrottate e gli occhi che lo squadravano da testa ai piedi.
“Certo che sto bene! Piuttosto, hai visto il mio telefono? Non ricordo dove l’ho messo.” Sospirò lui, guardandosi attorno.
“L’hai lasciato nel tuo ufficio. Hai detto che non volevi essere disturbato, ricordi?” L’espressione di Sarah non era cambiata, semmai lo guardava con maggior preoccupazione. “Forse dovresti andare a casa, sai?” continuò lei, e John alzò gli occhi al cielo.
“Sto bene, davvero. E comunque il mio turno finisce tra dieci minuti.”
“No, John. Il tuo turno finisce tra due ore. Ti avevo chiesto di sostituire Garrison.” Lei incrociò le braccia, fissandolo e l’uomo annuì.
“Giusto, giusto. Beh, ancora due ore. Non sono molte, dopotutto. Me la posso cavare benissimo.” Sorrise lui e la donna non fece altro che scuotere la testa, prima di andarsene.
Ho tutto sotto controllo. Pensava John. Non capiva perché tutta questa preoccupazione. Aveva avuto dei mesi duri, certo, ma sarebbe sopravvissuto. Non come…come…
John si massaggiò le tempie, stanco, prima di guardare l’orologio. Altri dieci minuti e poi sarebbe uscito. Così gli avevano detto, no?


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“John? Ma dov’eri finito? Ti ho cercato ovunque!” la voce di Sarah risuonava nel telefono.
“Sono a casa, dove dovrei essere secondo te?”
“Al lavoro! E meno male che te l’avevo anche ricordato. Senti, per questa volta non fa nulla, ma la prossima volta almeno avverti!” lo rimproverò lei, prima di chiudere la chiamata, con un sospiro esasperato. John non riusciva a capire.

Più passava il tempo, più le cose peggioravano. E lui continuava ad essere l’unico a non accorgersi di nulla. Per lui continuava ad essere tutto normale, tutto tipico.

“John? Sono io, Greg. Apri.” Lestrade continuava a bussare, con insistenza. Come se fosse urgente. Quando John aprì la porta, lo guardò con un sopracciglio inarcato.
“Greg? Che ti prende?”
“Che mi prende?? Dovevamo vederci, ricordi? Ti ho chiamato, ma non hai risposto, ho pensato al peggio!” Greg sembrava seriamente sconvolto, come se si aspettasse di ritrovare John penzolante dal soffitto, con una corda al collo. John non poteva biasimarlo. Quante volte aveva pensato di farlo. Ma quel momento era passato ormai. Non riusciva quasi più a ricordarsi il perché di quei pensieri.
“Dannazione, è vero. Perdonami Greg. Se vuoi usciamo comunque, prendo la… la… accidenti, come diavolo si chiama, non trovo la parola giusta…”
“No.” Lo interruppe l’uomo, sospirando. “E’ meglio se stai a casa. In questi giorni mi sembri con la testa perennemente nell’aria. Cosa succede, vuoi parlarne?” gli chiese, guardandolo negli occhi, studiando la sua espressione. John lo guardò confuso.
“No Greg, sto bene. Davvero, è tutto ok. Ma che vi prende a tutti voi? Prima Sarah, adesso tu…” sospirò, sedendosi sul divano. Greg, scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli.
“Va bene. Comunque per oggi è meglio se rimani a casa, hai un’aria stanca. Ci vediamo domani, vengo a prenderti dopo il turno di lavoro, okay?”
John annuì, salutandolo con la mano, mentre Greg usciva, richiudendosi la porta dietro di lui.


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“John, caro, cosa stai facendo?” Mrs. Hudson lo guardava con apprensione, come una mamma che guarda il suo bambino mentre fa qualcosa di pericoloso.
“Sto cambiando la lampadina. Si era rotta se non sbaglio, no?” John si stava arrampicando sulla scala, le mani già a mezz’aria, pronte ad afferrare la lampadina.
“Ma John, l’hai fatto cinque minuti fa, ricordi?” disse lei, mordendosi il labbro inferiore, mentre l’uomo la guardava, confuso.
“Ah, davvero? Non ricordavo di averlo fatto…” mormorò, mentre ritornava coi piedi per terra.
“Si, tesoro… ti vedo stanco, è tutto okay?” Gli si avvicinò, accarezzandogli il braccio. “Ti manca vero?” disse poi, dopo una pausa. Lui aggrottò le sopracciglia.
“Chi?”
“Sherlock, mio caro.” Disse lei, guardandolo con tristezza. Lui si fece sempre più perplesso.
“Mi scusi… di chi sta parlando?”

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Se non avesse passato la maggior parte della sua vita con quell’uomo, Mycroft non avrebbe mai riconosciuto suo fratello. Aveva i capelli più lunghi, lerci, i vestiti trasandati e l’espressione di uno che ne aveva passate di cotte e di crude. E forse anche di più.
“Non dovremmo incontrarci, sai? Potresti mandare a monte ogni mio piano.” Disse lui, sedendosi di fronte all’uomo più vecchio, che chiuse gli occhi per un momento, prima di guardarlo nuovamente.
“Se non fosse un’emergenza non ti avrei chiamato.” Rispose, con aria austera. Aprì la valigetta, posando un foglio su un tavolo, prima di passarlo al fratello.
“Sai già di cosa si tratta vero?”
Sherlock annuì, senza dire una parola, prendendo il foglio e leggendolo.
“John.”
“Il dottor Watson ha iniziato a presentare dei comportamenti alquanto strani. Credo che la tua morte l’abbia sconvolto più di quanto potessimo immaginare.”
Sherlock spalancò gli occhi per un momento, prima di passarsi una mano sul volto.
“Da quanto và avanti?”
“Tre anni circa. Ha iniziato progressivamente a peggiorare. All’inizio pensavamo potesse essere una cosa passeggera, ma…” scosse la testa, con un sospiro.
“L’ispettore Lestrade e la dottoressa Sawyer lo stanno aiutando, ovviamente…”
“Devo tornare.” Lo interruppe Sherlock, alzandosi.
“Sarebbe inutile, te lo assicuro.”
“Mycroft…”
“E’ troppo tardi.”
“Non m’importa!” sbottò Sherlock, dando un pugno sul tavolo e facendo voltare tutti. Mycroft continuò a fissarlo, senza mostrare alcuna emozione.
“Va bene. Ma non dire che non ti avevo avvertito.” Disse infine, alzandosi anche lui. “Spero tu sia pronto alle conseguenze.” Aggiunse poi, prendendo la sua valigetta e lasciando dodici sterline sul tavolo, prima di uscire dal locale. Sherlock strinse tra le mani il foglio di carta.

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Era sera, vi era ancora l’odore di cibo in cucina –Lestrade aveva cucinato del pollo, prima di andarsene- e Sherlock si guardò attorno. Per la prima volta in un anno, si sentiva bene, si sentiva a casa. La luce nella sua camera era accesa –John aveva preso l’abitudine di dormire lì, a quanto pare- ed il cuore fece un balzo, mentre i suoi piedi lo portavano fino alla porta, prima di fermarsi. John era lì, gli occhi aperti. Non riusciva a dormire evidentemente.
Sherlock entrò e vide gli occhi di John spostarsi verso di lui, prima di spalancarli.
“C-chi sei??” biascicò, cercando di alzarsi, ma non riuscendoci. Sherlock dovette trattenersi dall’urlare.
“John, sono io. Sherlock.”
“N-non…non ho so-soldi.” Riuscì a dire, la ma sua voce era affievolita e stava parlando con grande fatica.
Essere scambiato per un ladro era l’ultima cosa che Sherlock voleva. Non era così che aveva immaginato il suo ritorno. Nel suo immaginario, il suo incontro con John era ben diverso e questa era l’ultima cosa che si aspettava.
“Non sono un ladro, o un assassino, stai tranquillo.” Disse avvicinandosi. Si sedette su una sedia, lì vicino al letto, e si chinò in avanti, prendo la mano di John tra la sua. Se l’uomo avesse potuto, si sarebbe sottratto alla stretta, lo sapeva, glielo leggeva negli occhi, ed in quel momento Sherlock fu grato del fatto che l’uomo non riusciva a muoversi.
“Volevo soltanto dirti che mi dispiace. Mi dispiace per quello che ti ho fatto passare in questi tre anni.” Sospirò, portandosi una mano sul viso, comprendoni gli occhi. “Tra dieci minuti avrai già dimenticato tutto questo, lo so. Ma non importa, sentivo il bisogno di dirtelo. Sentivo il bisogno di rivederti ancora.” La sua voce si spezzò per un attimo ed il suo controllò vacillò.
“Ho fatto tutto questo per te John, per tenerti al sicuro. Ma a quanto pare ho fallito nel mio intento.” Sorrise. Un sorriso amaro, privo di alcuna gioia. Abbassò la mano e lo guardò negli occhi, osservandone ancora una volta –per l’ultima volta- il colore. “Tu mi hai dimenticato, ma io non lo farò. Te lo prometto.”
Si alzò, i pugni stretti ai fianchi, prima di abbassarsi per baciarlo sulla fronte. “Ciao, John.” Sussurrò, allontanandosi, l’uomo disteso sul letto che lo guardava con stupore e paura. E mentre usciva per l’ultima volta da quella porta, si morse il labbro, così forte da farlo sanguinare. Quel dolore non era niente, paragonato a quello che provava dentro.
E poi chiuse la porta. ____________________________________________________________________________________________________________________________ Salve a tutti. Era da un bel po' che non scrivevo una fanfiction su Sherlock. Non ne sono mai stata completamente capace, ma l'altra sera mi è venuto in mente questo prompt. Se non l'aveste capito, John soffre di Alzheimer. Mi sono documentata quanto più possibile, avendo avuto io stessa una parente che ne ha sofferto. Ringrazio Naripolpetta (potete trovare le sue storie qui: http://milk-bubble.livejournal.com/) per avermi involontariamente dato l'idea per questa storia. Ti ringrazio infinitamente cara. E ringrazio voi lettori se siete arrivati fino alla fine ed ancora non vi è venuta voglia di prendermi a pugni per questa roba che ho scritto. Le critiche sono ben accette, anche quelle brutte e cattive. Baci, Moriartied.
   
 
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