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Autore: Forever_Dream    15/11/2013    0 recensioni
Angel è una ragazza che vive in una villetta dove non le manca niente. Ha un fratello a cui vuole più che bene, lo adora, gli fa da madre quasi. I genitori sono sempre via per lavoro e la sua vita va avanti tranquilla nell'illusione di potercela fare a tirare avanti, senza avere qualcuno che si occupi di lei.
Michael è un carabiniere che per lavoro è abituato a vederne di ogni sorta. Ironico e caparbio, non si smentisce mai e prende molto a cuore la situazione di Angel, insieme al padre Leonardo.
Riccardo è un ragazzo-genio della stessa età di Angel. Deciso e capace, quasi laureato e con un viso che conquista chiunque.
Rossella è la migliore amica e compagna di banco, comica e attrice per natura.
Alì è il padre che Angel non ha mai avuto.
Combinate il tutto nella vita semplice di questa diciottenne, facendola stravolgere.
Facendola gioire e piangere. Facendola vivere...
Buona lettura ;)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Sunshine... 

La tavola semplice, carina, preparata con poche ma variegate leccornie su piatti d'argento, mi dava un caloroso saluto all'entrata in salotto. Sarebbe stato un bel ritorno a casa, con quel ben di Dio e il profumo zuccheroso che aleggiava nell'aria. 
Immaginavo già una persona uscire felice per quello che aveva preparato e guardarmi impaziente di un mio complimento.
Solo che quella non era casa mia. 
Quelle cose non erano state fatte per me, e non era per darmi il benvenuto impaziente che la persona fece il suo ingresso dopo di me, superandomi un po' scocciata. 
Era un uomo sui sessant'anni, alto, magro, con i capelli bianchi e gli occhi castani tanto chiari da sembrare miele.
Mi aveva permesso di entrare in casa sua solamente per una sua etica, non perchè ci tenesse realmente a quanto mi stava succedendo. 
Eppure era stato lui a guradarmi ferma per ore su quella panchina tra i fiocchi di neve, mentre attendevo l'arrivo dei miei genitori. 
Mi aveva visto da una finestra del suo appartamento e io ora, sbirciando oltre le tende bianche, vidi che aveva il controllo di tutta la situazione in strada da lì. 
Ricordavo che dopo ore in attesa dei miei, lo avevo visto avvicinarsi borbottando e camminando sghembo.
"Non hai ancora finito di star qui a far nulla?" mi chiese acido.
Lo guardai tranquilla. Ero abituata alla scortesia e persona più o meno non faceva differenza.
"Devono venirmi a prendere i miei" sussurrai scusandomi.
Che poi non avevo niente da scusarmi dato che la panchina sulla quale stavo era di dominio pubblico, e io non stavo disturbando nessuno.
Lui incrociò le braccia al petto.
"Da quanto li hai chiamati?" mi chiese risoluto e infastidito.
Mi agitai nervosa sulla panchina e tirai fuori il cellulare dalla tasca.
"Più o meno tre ore.." sussurrai flebile guardando l'ora.
Per tutta risposta lo vidi alzare un sopracciglio e imprecare scioccato.
"E non sono ancora arrivati?!" 
"No, ma arriveranno" risposi voltando lo sguardo sulla strada. Mi guardò dubbioso e fece un sospiro irato.
"Ho capito, quando passeranno, hai idea?" alzai le spalle. Come dirgli che la maggior parte delle volte si ricordavano a notte fonda di venirmi a prendere  quando, come in quel caso, a causa del mal tempo non potevo prendere l'autobus? 
Continuò a guardarmi come in bilico tra due decisioni. Quando infine decise tornò a parlare ancor più inacidito, ma cercando di apparire indifferente.
"Se vuoi" mi chiese "puoi venire dentro da me a scaldarti un po' mentre aspetti."
Nessuna contentezza, ma ebbe qualcosa di strano nella voce che mi fece accettare dopo un attimo di sorpresa.
Fu così che mi ritrovai in quel salotto, davanti a quel tavolo, in quella stanza zuccherosa a scaldarmi vicino al camino.
"Dammi il cappotto. Non vorrei che bagnassi il pavimento o che lo buttassi da qualche parte..." la sua voce rimbombò da dietro la porta, nascosta da un muro divisorio.
Lo sfilai velocemente ringraziando quello strano padrone di casa, sorridendogli.
Il suo grugnito di risposta parve quasi imbarazzato.
"Credo che come minimo ci dovremmo presentare" ribatté antipatico quando tornò in salotto trovandomi a scaldarmi davanti al fuoco e guardare non poco attratta la tavola.
Anuii timidamente spostando lo sguardo su quei occhi miele.
"Angel" dissi sorridendo.
"Leonardo" rispose lui, mettendosi a sistemare la tavola imbandita.
"Tra poco arriverà mio figlio, perciò non toccherai niente di quello che sta qui sopra finchè non arriva, mi sono spiegato?"
Sbaglio o c'era una sfumatura imbarazzata nella sua voce burbera?
"Non si preoccupi" sorrisi coraggiosa.
Avevo fame, ma non avrei mai mancato di maniere.
Sentii uno sbuffo e un borbottato "Ma che avrà da sorridere? Se fossi al suo posto piangerei!"
Sorrisi ancor di più. Come si sbagliava!
Potevo non essere bellissima, vero, e i miei genitori mi davano sempre buca, però io ero comunque felice quando capitavano sorprese carine.
Come il suo invito.  Attendevo stanca in quell’appartamento che succedesse qualcosa, anche solo per distrarre la mente da tutto quel silenzio e da quell’odioso ticchettio del pendolo che segnava il passare del tempo. Il vecchio stava seduto davanti alla tavola imbandita, perso nei suoi pensieri, e solo ogni tanto si alzava a controllare qualcosa di dolce che cuoceva nel forno. Che avrei dato per toccare anche solo un pasticcino. La fame mi stava causando non pochi problemi imbarazzanti, causati dal disappunto del mio stomaco. Erano passate ore da quando mi aveva invitato a stare in casa e io avevo tentato di chiamare i miei genitori per avvisarli di dov’ero. Il telefono squillava a vuoto e dopo la seconda chiamata rinunciai con un sospiro. Ormai dovevo esserci abituata. Con un altro sospiro rimisi a posto il cellulare avendo guardato per l’ennesima volta eventuali chiamate perse. Vidi Leonardo guardarmi di sottecchi, per poi dare uno sguardo distratto alla finestra. Era buio pesto, e di certo si stava chiedendo cosa ci facessi ancora in casa sua. Mi alzai decisa, per quanto dispiaciuta, a di dover lasciare quel calduccio e quel delizioso appartamento. “Sarà il caso che mi incammini. Grazie di tutto e scusi il disturbo..” mi sorpresi della voce serena con la quale dissi questa cosa, incurante del fatto che mi facesse, come ogni volta, sorgere il dubbio sui reali sentimenti che i mei genitori avevano per me. “Tu rimani qui” mi rispose lapidario, continuando a guardare fuori dalla finestra dove i fiocchi di neve avevano ripreso a cadere. “Ma… dovrò pur tornare a casa anch’io prima o poi. Non posso rimanere qui! Sarei solo un disturbo..” Questa volta le mie parole rispecchiarono molto bene le mie emozioni, tradendomi in pieno. Un peso. Ecco quel che ero per la gente: un peso che si dovevano caricare. Mi fulminò con lo sguardo, facendomi sedere all’istante e ritrarre imbarazzata al suo sbottare in “Non dire idiozie!” Lo fissai sorpresa con un punto interrogativo in volto. “Non ti lascerei mai uscire di questi tempi, specie con il buio e da sola” borbottò più contro sé stesso che contro di me. “Tra poco arriverà mio figlio” e con questa ultima frase il discorso fu chiuso, lasciandoci nuovamente nel silenzio e nella mia scoperta di un nuovo lato positivo in quella giornata iniziata così male. “Scusa papà, sono in ritardo, lo so. Ma la colpa è di Kyle che mi ha provocato con la neve!” sghignazzò un ragazzo entrando trafelato e togliendosi il giubbotto bagnato e imbiancato. Con un gesto felice si tolse il berretto, permettendomi di vedere il viso del figlio di Leonardo e rimanendo gelata sul posto. Il naso era rosso dal freddo e i due occhi verde bottiglia risaltavano sul viso dall’espressione gioconda e spensierata. I capelli spagliati a causa del berretto, gli ricadevano ribelli sulla fronte alta, dandogli uno sguardo furbo. Negli occhi vi era ancora la luce del divertimento che la battaglia appena conclusa gli aveva reso, con l’ombra di una scusa appena sfiorata. Era alto e robusto e con muscoli appena visibili sotto il golfino scuro. Si volse incredulo e sorpreso nella mia direzione quando si accorse che in casa c’era qualcuno che conosceva fin troppo bene e non si sarebbe mai aspettato di trovare. Mi fece un sorriso ironico e mi salutò con un “Salve Protettrice dei Deboli”. Strinsi le mani a pugno. Odiavo chi mi chiamava con nomi diversi dal mio. Ma soprattutto odiavo lui, per tutta la sua faccia tosta e la sua bravura nel tirare fuori la parte peggiore di me. In effetti avrei dovuto fargli i complimenti. Non era semplice farmi innervosire e lui ci riusciva con la sola presenza. “Salve a Lei” ricambiai telegrafica. Ancora fulminandolo mi rammendai di quella mattina, quando la giornata sembrava tutto fuorché andare diversamente dal solito. Ero scesa dall’autobus come tutte le mattine e mi stavo diligentemente dirigendo a scuola, percorrendo l’ormai famoso percorso che mi avrebbe portato ad ultimare l’ultimo anno di scuola. Il cielo preannunciava neve, ma rimaneva quieto in silenzio. Mentre percorrevo tranquilla e nei miei pensieri la strada, sentii un campanello suonare e una bici sgangherata e malconcia avvicinarmisi di fianco. Sopra stava un uomo marocchino che mi sorrideva tranquillo. “Ciao Alì!” gli sorrisi anch’io. Era uno dei tanti emigrati venuti da noi per trovare un futuro e che erano finiti quasi a chiedere l’elemosina per vivere. Fin dall’inizio mi aveva ispirato simpatia e qualche soldo insieme a qualche parola glieli davo sempre, tanto che stringemmo amicizia dopo un po’. Tutti i giorni infatti , appena poteva, mi accompagnava il più vicino possibile alla scuola, scambiandoci così discorsi mentre mi faceva da “guardia del corpo”, come lo prendevo in giro io. Mi scortava timoroso che mi accadesse qualcosa, nonostante le mie iniziali proteste dei primi tempi. “Fatto affari oggi?” chiesi guardando divertita il borsone che si portava appresso. Per “arrotondare” quei pochi spiccioli che racimolava, li impiegava anche per comprare qualcosa da rivendere. Non era dunque da rimanere sorpresi alla vista della sua magrezza e dei vestiti larghi e laceri. “Come sempre la gente non mi vede di buon occhio.” Sospirò lui, stanco. “Però non posso neanche dargli torto. Sono successe un sacco di disgrazie ultimamente, e la natura umana deve sempre trovare un capo espiatorio. Solo che preferirei non prendessero me!" borbottò” imbronciato, facendomi fare una gran risata. “Melody come sta?” chiesi ancora. Melody era la sua unica, nonché preferita figlia. Lei e la moglie di Alì erano per lui i suoi tesori più preziosi e per questo cercava di farsi in quattro per loro. Se avessi potuto, avrei scelto lui come padre. Mi conosceva da poco più di un anno e si comportava più lui da genitore che quelli veri, temendo per me quando attraversavo la strada o ascoltando i miei guai scolastici. Con un sorriso che gli rilluminò il volto abbronzato, cominciò a raccontarmi della sua piccola di sei anni. Ogni sera, prima di andare a dormire nella loro baracca, le raccontava come favola della buona notte che presto anche loro avrebbero avuto una vera casa e delle comodità. Era un papà esemplare nell’amore e nell’impegno che ci metteva in ogni cosa, senza scoraggiarsi. Parlando del più e del meno raggiungemmo il semaforo che, dopo aver percorso una stradina laterale,mi avrebbe portato a scuola. Di solito ci salutavamo lì e ci davamo appuntamento per il ritorno, qual ora lui non avesse avuto da “lavorare”. Quel giorno però, decise che voleva accompagnarmi fino a scuola. “Così” mi disse “starò più tranquillo per tutta la giornata, non facendomi venire il magone come gli altri giorni! Non hai idea di quanti brutti ceffi vedo qui in giro appena svolto l’angolo…” La sua protettività mi scaldava il cuore. Da quando aveva capito il vero interessamento dei miei genitori per me, si era come ripromesso di essere il padre che non avevo mai avuto. Ed io ero felice di quelle attenzioni. Attraversammo il semaforo, incuranti di quello che ci succedeva attorno, continuando a parlare di tutto e di niente mentre imboccavamo la strada laterale che mi avrebbe portato alla mia scuola. La bici di Alì zigzagava e cigolava sotto il peso suo e degli anni che si portava dietro, ma lui incurante delle proteste, continuava a seguire la mia velocità di studente-pedone ancora addormentato. Un “Fermi là” ci fece arrestare di botto e girare impauriti. Tre carabinieri ci avevano seguito per metà tragitto in auto, adesso parcheggiata a lato della strada. Mi voltai verso Alì. Lo vidi sbiancare e la sua preoccupazione andò a proiettarsi anche sul mio volto. Non aveva documenti né soldi. Legalmente in quello stato non esisteva. Che sarebbe successo ora? “Documenti” sghignazzò un carabiniere, forse leggendogli nel pensiero. Era un uomo grasso e tozzo sulla quarantina, abituato a vedere di tutto e a fregarsene ancora meno se non del suo lavoro. Alla sua destra stava un ragazzo che studiava con finta noncuranza me e il mio amico. Era biondino dall’aria seccata e svogliata. Visto così sembrava un figlio di papà a tutti gli effetti. L’ultimo invece, era un ragazzo alto, robusto, con i capelli castani spettinati e gli occhi verde scuro. Dava l’impressione di essere la classica persona che sapeva di avere potere e si comportava di conseguenza. O forse era la situazione a farmelo vedere così, con quel sorrisetto a metà tra il furbo e il modesto che volgeva nella nostra direzione. “Documenti” richiese ancora il grosso dopo che nessuno dei due aveva mosso un muscolo dalla sorpresa. Il mio amico, ancora un po’ scosso, scosse la testa, abbassando gli occhi per l’umiliazione quando ricevette l’occhiata ammonitrice dei tre. “E suppongo allora, che la roba che porti dietro sia stata acquistata illegalmente” dichiarò tranquillo quanto minaccioso il moro dagli occhi verdi. Come se non fosse ovvio! Con uno stato che non aiutava, senza lavoro e con una famiglia a carico, come si poteva pensare di stare alle leggi se queste erano fatte per chi soldi ne aveva? “Si” rispose umiliandosi Alì. Perché lui avrebbe voluto seguire le leggi. Solo non poteva. “Bene” disse il grosso “Allora questo borsone lo prendiamo noi. È requisito” disse piantandogli una sguardo duro quando lui si avvinghiò come perso al borsone. Tutto ciò era accaduto sotto il mio sguardo sconcertato. Non potevo permettere quel che stava succedendo! “No!” urlai mettendomi davanti ad Alì e fissando i tre che ci avevano circondato. Ora, stupiti, mi osservarono con più attenzione, cercando di capire le mie intenzioni. “Non potete farlo! Non ha altro per vivere!” dichiarai risoluta guadagnandomi un rimprovero non poco live da Alì che tutto voleva fuorchè essere ancor più umiliato e con me che ci finivo in mezzo. “Questo è da vedere” disse il moro avvicinandosi per fronteggiarmi “Di sicuro noi possiamo, anche se tu non ci credi. Inoltre il tuo amico qui si è guadagnato una multa di 5 760 € per truffa a danni dello stato e assenza di documenti in suolo straniero. Senza contare che sono settimane che cerchiamo di pescarlo ma ci sfuggiva sempre dalle mani e noi quel tempo perso lo dobbiamo recuperare.” Mi rispose spavaldo, come parlando a una bimbetta. Mi sentii incendiare. Le mani prudevano e la gola fremeva per tutte le parole che volevano uscire a frotte. “Lei è pazzo! Non ha nulla in più di quel che vedete, come potete portargliela via e affibbiargli pure una multa da quasi 6 000€!?” urlai furente. Il carabiniere di fronte a me continuò a fissarmi come una bambina, facendo però apparire un secondo sorriso. “Non sono certo problemi nostri. Né tuoi. A quanto vedo, tu sei italiana e di buona famiglia…” mi squadrò compiaciuto. Al che scoppiai. “Non avete un briciolo di umanità! Siete dei mostri! Come potete…” “Angel!” mi fermò Alì con lo sguardo, quando il ragazzo davanti a me aveva preso un’espressione più seria. “Non me ne frega niente!” risposi disperata nella sua direzione. Lo stavo aiutando e lui mi diceva di starmene zitta a vedere un’ingiustizia? Neanche sotto tortura! “Voi.. voi non potete! Siete dei mostri senza cuore se lo fate! Lui cerca di mettercela tutta per trovare un lavoro, ma non lo trova, proprio perché c’è gente come voi che anziché aiutarlo lo umilia e gli rende più difficile il cammino! Volete davvero dargli una multa con anche la requisizione delle sue poche cose? Non avete nemmeno il rispetto per le persone meno fortunate che si guadagnano da vivere con molta più fatica di voi e soprattutto , senza pestare nessuno!” mi sfogai, furente, facendo calare il silenzio attorno a me. Guardavo ancora negli occhi il carabiniere moro perché, forse , più di tutti era a lui che stavo parlando. Sbattendo le palpebre per cancellare lo sconcerto iniziale fece l’unica cosa che non mi aspettavo in quel momento. Si mise a ridere di gusto. Tanto sonoramente che anche gli altri due si misero a guardarlo dubbiosi sulla sua sanità mentale: li avevo appena offesi! “Davvero delle belle parole Signora Protettrice dei Deboli!” disse quando si fu ripreso “Belle davvero, se a dirle fosse qualcuno che sapesse qualcosa di quel che realmente è la situazione di questi tempi” continuò a guardarmi a mo’ di sfida. I nostri sguardi si scontravano, cercando l’uno di far abbassare lo sguardo dell’altro. “Michael, dobbiamo andare! Ti divertirai a umiliare questa stronzetta un’altra volta” Mi voltai verso il biondo che aveva parlato, interrompendo così la nostra battaglia, ma non feci in tempo a rispondere a modo che il moro mi precedette “Porta rispetto Dimitry! Oltre che essere una ragazza è anche una Signora Protettrice! Merita tutto il nostro rispetto” sghignazzò prendendomi in giro, facendomi chiudere la bocca per la rabbia e la voglia di prenderlo a sberle. “Dopotutto” disse avvicinandosi sornione al mio viso “Entrambi difendiamo dei nostri ideali”. Troppo vicino. Troppo vicino per evitare che la mia mano non si andasse a schiantare su quella faccia da sberle. Trattenni il respiro prima di sibilargli, allontanandomi di un passo, mentre lui mi guardava come fossi un giocattolo divertente. O forse per lui ero un giocattolo divertente, e questo mi mandò ulteriormente in bestia. “Razza di schifoso” sbottai facendolo sorridere ancora di più e facendomi infuriare nuovamente “Voi non avete ideali, voi non siete neppure umani a mio parere! E non si azzardi più a chiamarmi Signora Protettrice!” Lui alzò le mani piuttosto divertito. “Ma che caratterino che abbiamo, Signora Protettrice! Non vorrei doverle mettere le manette e portarla dentro per calmarla!” mi sfidò ancora. Voleva portarmi da qualche parte con quel discorso, ma l’interruzione di Alì mandò a monte i suoi piani. “La scusi signore. Faccia finta di non aver sentito niente. Adesso la riporto a scuola e ve la tolgo dai piedi.” Aggiunse inviandomi un’occhiata di rimprovero al mio tentativo di ribellarmi, facendomi chiudere la bocca di scatto, stizzita. “E la riaccompagneresti tu?” fece ironico il grosso. Alì sbiancò, se possibile, ancor di più. “Tu devi venire con noi in centrale. Come facciamo altrimenti per i dati?” continuò sempre con aria indifferente il biondo, prendendoci per scemi. “Se proprio ci tieni ad essere accompagnata posso sempre farlo io” mi disse divertito il moro, sfidandomi a rispondere. “L’unico posto che accetterei che tu mi accompagnassi è all’inferno per chiudertici dentro!” sibilai velenosa. “Questa era brutta ragazzi!” disse lanciando un’occhiata significativa nella loro direzione e alzando le spalle. “Ok, ragazzi andiamo. Anche Lei.” Disse il grosso rivolto ad Alì che non si era ancora mosso. “Non vorrà aggravare la sua situazione, vero?” continuò tranquillo. Alì fece no con la testa e li seguì. “Fermi! Vengo anch’io!” dissi subito correndogli dietro e facendo intendere ad Alì che non lo avrei lasciato solo. “Senta signorina” mi fissò serio il grosso “può prenderci per crudeli e mostri, a mio parere, ma stiamo solo svolgendo il nostro lavoro. Per cui se non ha capito quello che Michael ha tentato di dirle con le buone, glielo ripeto io: ci lasci lavorare o la arresteremo per intralcio alle forze di polizia. Buona giornata” Mi liquidò. Scontrai il mio sguardo con quello di Alì che mi fece un timido sorriso per incoraggiarmi a lasciarlo andare. Continuai ad osservarlo mentre saliva in macchina e poi si allontanava insieme ai tre. Ferma sulla strada con la neve che cadeva, vidi due occhi verdi che si voltarono verso di me all’ultimo, scontrandosi con tutta la mia frustrazione e rabbia. Si sorpresero. L’ultima cosa che potei vedere riflesso era la curiosità che ora si era sostituita nel loro sguardo verde.


ANGOLINO AUTRICE...

Salve a tutti! questo è il prologo della mia storia ;) serve solo per capire come è la vita di Angel prima che tutto accada, per cui non fermatevi qui se volete avere delle sorprese! Vi aspetto al prossimo capitolo e intanto attendo qualche commentino per aiutarmi nella storia e capire come sta andando...

 
  
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