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Autore: _elis    15/11/2013    1 recensioni
- Alexis odiava l’inverno e tanto meno quando tardava ad arrivare, preferiva la primavera quando tutto rinasceva, tutto eccetto lei.
Lei rimaneva uguale, con il suo solito carattere neutro e le movenze di un fantasma. Ma questo non le dispiaceva affatto, aveva perso un po’ della sua vita, un po’ della sua felicità, un po’ della sua esistenza e forse non voleva nemmeno ritrovarle. -
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Prologue.




Vedete quella ragazza abbastanza alta, con la pelle chiara e i boccoli biondi che scendono perfetti sulle spalle? Quella con il vestitino blu e le gambe da urlo?
Ecco, io sono quella accanto.
 No non quella alta, mora, con l'abbronzatura perfetta e gli occhi nocciola che sta alla sua destra.
Quella con l'abbronzatura giallognola su metà braccia e sul naso, con quelle antipatiche lentiggini sopra, gli occhi eccessivamente blu e i capelli di un castano ramato che a malapena si vedono sotto il cappuccio nero della felpa che gli copre gli occhi, quella con i jeans rattoppati e le scarpe lise.
Ecco quella sono io, nel pieno di quella che gli adulti definiscono - ribellione adolescenziale - ma se fosse solo una ribellione adolescenziale, fidatevi starei molto meglio.

Passo ore seduta su una panchina, giusto per far girare le palle allo psicologo per via del mio ritardo, infondo si sa –chi la fa l’aspetti. –
Al quinto autobus che mi si ferma davanti, decido di recarmi dal signore barbuto e mezzo schizzato che al momento mi ritrovo come amico. Mi alzo lasciando la panchina completamente vuota, ormai, per quanto possa essere banale, quella panchina davanti alla fermata dell’autobus è un punto di riferimento per me. Muovo sempre dei passi piccoli e veloci, in modo di un far rumore e andarmene il prima possibile da qualsiasi luogo. Certe volte mi considero un topo. Si, un topo con gli occhi fissi per terra che si accorge di avere un lampione davanti solo se esso riesce and entrare nel campo visivo delle sue scarpe; non guardo mai davanti a me, non cammino mai a testa alta, ho bisogno di nascondermi.
Facendo lo slalom tra i passanti riesco finalmente ad avvicinarmi alla porta del ambulatorio.  In cuor mio odio quel posto, ma dove posso andare?
- Buongiorno Shannon.- La segreteria mi saluta da dietro il suo bancone bianco in cui sono sparsi vari fogli.
- ‘giorno.- ricambio con un occhiataccia, le ho già detto mille volte di non chiamarmi così.

L’interno dell’edificio è di un bianco ingrigito, le scale di marmo stonano abbastanza con il corrimano verdognolo. Ovunque tu voglia andare lì dentro, finirai sempre in un corridoio pieno di porte.
La porta che cerco io è al quarto piano ma l’ascensore non ha mia funzionato e mai funzionerà probabilmente, quindi quando riesco ad arrivare al piano assomiglio ad uno scola pasta… si può somigliare ad un scola-pasta?
-Benvenuta cara!- Dice il signore seduto dietro la scrivania, ha un modo di arricciare le dita quasi inquietante.
-Scusi il ritardo.
-Sappiamo benissimo entrambi che vieni apposta in ritardo, per questo prendo altri appuntamenti alla tua ora.
-Non è vero.-  sussurro incrociando le braccia.
- Allora, hai fatto qualche nuova amicizia?- Aspetta aspetta, il pazzo psicopatico pensa che io mi faccia addirittura nuove amicizie?
-No.
- Immaginavo.- dice arricciando le dita.
Rimaniamo un po’ in silenzio. Il pazzo psicopatico, come lo chiamo io, è una uomo abbastanza anziano, ha i capelli riccioluti che non trovano posto, sembrano una mucchietto di lana di ormai cent’anni… giusto per spiegarvi il perché di questo soprannome.
-Posso andarmene?- chiedo, tanto ormai non parla nessuno.
- Prima volevo dirti che ti ho iscritto ad un corso.- mi porge un volantino prima di continuare – ho detto a tua madre che serviva per farti riprende dopo l’incidente e che così potevi farti qualche amicizia.
Rigiro il volantino tra le mani, arricciando le mani – Una mappa? Che dovrei farmene?
-Credo che lo scoprirai quando te lo vorrà dire tua madre. Buona giornata Alexis.
-Altrettanto.- dico uscendo dalla porta.

(Autore)
Il suono stridulo della sveglia fece irruzione nei sogni di Alexis che emise uno sbuffo. Sollevo delicatamente la mano verso l’oggetto lasciando  che l’aria fredda le sfiorasse la pelle. Si gira più volte nel piumone cercando una valida motivazione per alzarsi, osserva la sua stanza ancora avvolta nel silenzio; la poltrona dal tessuto un po’ sciupato sulla quale si rannicchia tutte le sere, l’armadio socchiuso per via dei vestiti buttati dentro e mai piegati, la scrivania che ormai scompare sotto una distesa di fotografie ed infine le pareti, dipinte di un verde bosco che le infonde tranquillità. Sposta lo sguardo sulla finestra, aveva assillato suo padre per anni fino a quando non acconsentì di ampliare la finestra, su due lati della stanza era disegnata una grande linea vetrata che illuminava l’interno. Le persiane erano aperte ma, nonostante la finestra fosse chiusa degli spifferi freddi entravano nella stanza. Cosciente del fatto che sua madre avrebbe presto iniziato ad urlare per il suo ritardo, la ragazza si alzò dirigendosi al bagno. 
Guardò attentamente il suo riflesso nello specchio sopra il lavabo, la luce fioca del neon metteva in risalto la sua carnagione bianca, ispeziono con cura la zona tra il sopracciglio e l’angolo della bocca, la cicatrice violacea era ancora visibile sul suo volto, passò delicatamente le dita su di essa, lo faceva sempre. Ed ogni giorno sperava di non trovarla più. Intrecciò i capelli color rame fermandoli con un elastico due dita più in alto delle punte bionde, odiava quei contrasti ma erano parte di lei.  Indosso la divisa rossa e blu del liceo frugando qua e là alla ricerca della cravatta perduta.
-Tieni.- disse sua madre porgendogliela.
-Grazie- rispose confusa dal suo impeccabile tempismo.
Uscì di casa giusto in tempo per vedere il pullman sorpassarla con uno schizzo d’acqua.
Sbuffò riaggiustandosi il colletto della giacca, se il buongiorno si vede dal mattino, sarebbe stata tutt’altro che una bella giornata.
Iniziò a camminare velocemente sulla strada bagnata e scivolosa, delle vecchie converse non erano consigliate per camminare su quel tipo d’asfalto.
Si mordicchiava l’unghia del pollice senza perdere di vista l’orologio che teneva al polso.
Il cielo era grigio e un vento freddo riempiva l’aria. – Forse arriverà questo maledetto inverno.- sbuffò.
Alexis odiava l’inverno e tanto meno quando tardava ad arrivare, preferiva la primavera quando tutto rinasceva, tutto eccetto lei.
Lei rimaneva uguale, con il suo solito carattere neutro e le movenze di un fantasma. Ma questo non le dispiaceva affatto, aveva perso un po’ della sua vita, un po’ della sua felicità, un po’ della sua esistenza e forse non voleva nemmeno ritrovarle.
//
Suo padre intonò l’ultima strofa del brano che stavano mandando alla radio, poi la spense, improvvisamente. - Che ne dici se domenica andiamo a lago? – chiese alla figlioletta seduta sul sedile accanto a lui.
-Può venire anche Wayne?
- Perché non dovrebbe venire? – chiese l’uomo alzando le sopracciglia.
-Dite sempre che ha qualcosa da fare.
- Questa volta dovrà sacrificarsi e stare un po’ con noi, glielo chiedi tu? Non puoi dire di no alla sua sorellina. – spiegò facendole un sorriso rassicurante.
- Va bene. Poi potremmo andare…
- Prima pensiamo a che strada prendere per andare in centro Shannon.
- Ci siamo persi vero? – Chiese ella guardandosi intorno.
- Cosa dici? Devi semplicemente scegliere se andare a destra o a sinistra.- La guardò facendo una smorfia.
-Uhm.. destra!
-Ottima scelta.- dopo aver pronunciato quelle parole rise insieme al figlia. Sapevano entrambi che quella era la strada per il parco giochi e non per il centro.
//

Sorrise a se stessa a quel ricordo senza accorgersi che ormai era arrivata davanti a scuola.
-Chissà se Wayne sarebbe venuto. – si chiese mentalmente mentre attraversava il portone.
Prosegui lungo il corridoio, velocemente ma leggera come una piuma. Il ritardo era evidente e se solo l’avessero…
-Evans, nel mio ufficio.
Appunto.

Seguì la preside nel suo ufficio; un stanzetta di pochi metri più simile ad uno sgabuzzino che ha un ufficio, le pareti piene di scaffali offrivano la vista sui libri storici più vecchi dell’istituto nonostante ancora non fossero stati usati se non in qualche caso particolare; diplomi e lauree erano appese sui piccoli spazzi di muro che rimanevano spogli.
Nella stanzetta c’era una scrivania, di legno scuro, con ammucchiate qua e là cartelle di ogni genere, a colpire come un pugno in un occhio un computer (l’unica cosa tecnologica nella stanza) bianco, pieno delle loro mosse, perché lì erano registrati tutti.
Una donna dall’età misteriosa, sedeva davanti a lei con gli occhiali da vista calati sul naso, era alta, un po’ robusta e con grandi occhi grigi che ti scrutavano se mettevi piede in quella stanza.
-Può spiegarmi il motivo del suo ritardo, Evans?- la camicetta a rose dondolò sulla scrivania mentre con fare tenebroso la donna si avvicina di poco ad Alexis per poi lasciarsi cadere di nuovo sulla sedia. Una controllata al pc con qualche grugnito, poi si gira e prende una cartellina rossa.
Alexis sa che è la sua, e non perché c’è il suo nome scritto a caratteri cubitali sulla copertina, ma perché l’ha vista tante volte, troppe. Non è una di quelle che combina guai, ma nemmeno una che viene rifiutata con gesti o parole violente, lei sta al suo posto, rispetta gli spazi degli altri, tanto il suo non verrebbe accettato se non con pietà, allora preferisce stare da sola e scambiare poche parole solo se strettamente necessario, annuisce e sorride, poi gli altri trovano qualcosa di più interessante e lei torna a pensare, torna nel suo mondo. È così che deve andare e a lei non crea problemi.

La verità è che non ha voglia di studiare, dopo pochi minuti le si accavallano le parole, non è proprio ‘non voglia’ quanto più incapacità, è incapace di smettere di pensare al passato, non vuole che il tempo passi ma non vuole nemmeno che torni indietro, è una grande confusione che la uccide lentamente.

Alexis spiega lentamente quello che potrebbe sembrare il motivo del suo ritardo, lo spiega con molta calma, lisciando la gonna blu, poi termina e si ricompone continuando a guardare la donna che con un cenno veloce la liquida mentre annota qualcosa nella cartellina. Tanto Alexis lo sa che pur di non vederla più la preside farebbe qualsiasi cosa.
Qualcosa dentro di lei si è placato, così cammina per il corridoio con estrema lentezza e passi più lunghi. Poi suona la campanella che segna la fine dell’ora, il corridoio si riempie di studenti, allora riprende la sua camminata abitudinaria, con la testa bassa tanto nessuno ci fa caso a lei. S’infila nell’aula lanciando la sua roba sul banco, si siede sbuffando appoggiandosi al muro.
È lunatica, lo sanno tutti, ma oggi qualcosa non va.



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Okaaay,non è la prima storia che scrivo ma di sicuro è la prima che pubblico che non riguardi l'equitazione o cose di quel tipo, specifico che non sono sicura se continuare o no questa storia o comunque se continuare pubblicarla durante il suo 'corso' (si, sono tremendamente insicura su tutto :3).
Domani devo modificare le note perchè le ho scelte praticamente ad occhi chiusi (credo di non averne azzeccata manco una), e sempre per lo stesso motivo mi scuso per eventuali errori, ma il letto mi sta chiamando cwc
Quindi... ciao :) (sappiate che ho il terrore di controllare le visite lol)
  
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