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Autore: daemonlord89    16/11/2013    6 recensioni
Una mail misteriosa. Una minaccia.
Il mittente sembra conoscermi, ma io non so chi sia lui.
Cosa vuole da me?
Perché mi dice di prepararmi?
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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###OMEGA###

 

Guido come un pazzo, non me ne frega niente. Non mi importa di commettere infrazioni, non mi importa del rischio che corro di danneggiare persone ed oggetti. Non mi importa di nulla, ormai. Solo di mia madre e di Francesco. Dietro di me, a debita distanza, mi segue Romano con un'auto della polizia. Ci teniamo in contatto tramite una trasmittente nascosta nel mio orecchio, dotata di un'entrata e un'uscita audio. Permette a me di sentire cosa mi dice lui e a lui di udire ciò che accade a me. Considerando che Francesco ha in ostaggio mia madre, abbiamo deciso che è meglio non fare irruzione, per evitare gesti inconsulti. Sarò io ad entrare per primo, mentre il Commissario mi seguirà virtualmente, nascosto con i suoi uomini non troppo lontano.
Mi ha dato una pistola, che ora luccica minacciosa sotto il mio maglione. Ha detto di non usarla se non in caso di estrema necessità.
Non posso assicurarglielo.
Mi rimetto in corsia, notando che stavo per sconfinare nell'altra.
-Attento!- mi urla Romano.
-Sì, sì. Scusa.-
Ormai siamo quasi arrivati. In lontananza vedo la zona industriale, i magazzini. Edifici squadrati e squallidi, molti abbandonati da tempo. Comincio a tremare. Percorro lentamente le vie che collegano i magazzini, seguendo le indicazioni del Commissario. All'ennesima svolta, sento le parole che attendevo e temevo.
-Ci sei quasi.- mi dice -Cento metri ancora, il magazzino è il numero 12. Noi cambiamo strada, parcheggeremo in una delle vie sul retro. Mi raccomando.-
-D'accordo.- rispondo, dopo aver deglutito rumorosamente.

Scendo dalla macchina quasi subito, non mi arrischio a parcheggiare di fronte al magazzino, non voglio che Francesco senta il motore. Comincio a camminare e mi sistemo il maglione, in modo da nascondere la pistola. Il freddo acciaio batte contro la mia coscia destra, è una sensazione alla quale non sono abituato. Più volte, istintivamente, porto la mano all'arma, rendendomi conto in seguito che è l'errore più grande che io possa fare. Mi sforzo a tenere il braccio disteso lungo il fianco, mentre arrivo davanti alla gigantesca entrata del magazzino. Il portone nasconde, sulla destra, un uscio decisamente più piccolo, utilizzato probabilmente dagli operai. Un lucchetto giace a terra, vicino alla porta. Probabilmente Francesco l'ha forzato quando ha scelto il magazzino come base.
Non mi fido ad entrare da lì. L'ingresso principale non è mai un'ottima idea. Cammino lungo il perimetro dell'edificio, sperando in un'entrata secondaria, ma vengo deluso. Non ci sono altre porte. Sospiro, informo Romano e torno verso il lato principale. Alzo gli occhi e guardo le finestre con i vetri rotti. Mi sento costantemente osservato, ma non riesco a vedere nessuno. Eppure, Francesco non può sapere che l'ho scovato. O forse sì?

Ci siamo. E' il momento, non posso più rimandare. Stringo la maniglia, respiro profondamente.
Apro.

Vengo accolto dall'umidità e dalla muffa. Il gelo, non so se reale o immaginario, mi distrugge le ossa. Faccio un passo cautamente, muovendo di scatto la testa in ogni direzione per controllare l'interno. Il magazzino si compone di una grande sala al pian terreno, dove sono accatastati dei piccoli container, e di una passerella a cui si accede tramite una scala, sulla quale sono costruiti quelli che sembrano degli uffici.
-Vedi niente?- mi chiede il Commissario.
-Niente di interessante.-
-Ok. Procedi.-
Un altro passo, un altro sguardo. E vedo qualcosa.
Attraverso la finestra di uno degli uffici noto un'ombra. Un profilo inconfondibile: quello di mia madre. Comincio a correre, divoro un gradino dopo l'altro. Percorro l'intera passerella fino ad arrivare alla porta dell'ufficio.
Chiusa, aperta, sigillata, con allarme. Non me ne importa un cazzo. Mi lancio contro di essa con la spalla destra e quella si distrugge all'istante, con un forte rumore di metallo e legno. La forza del mio stesso colpo mi toglie l'equilibrio e cado in avanti, appoggiando all'ultimo le mani a terra. Non curandomi del dolore e del sangue che comincia a sgorgare dalle ferite provocate dalle schegge, alzo il viso e urlo -Mamma!-

Lei è lì, a fissarmi.
A fissarmi con occhi vuoti. Gli occhi della morte.
Tremo, piango.
Mia madre è stata uccisa, decapitata.
La testa si trova tra le sue braccia, adagiata come se lei stesse cullando un neonato. E sorride, come Laura. Non ci sono segni, né sul corpo né attorno ad esso. Francesco ha fatto un lavoro pulito, da perfezionista.
Lo odio.
Lo odio.
Lo odio!
Ormai non ci vedo più, la rabbia offusca del tutto i miei sensi. Non mi accorgo dell'armadio alla mia sinistra. Non mi accorgo delle sue ante che si spalancano. Non mi accorgo dell'uomo nascosto al suo interno che viene verso di me.

Un violento calcio al mio fianco mi ribalta. Mi trovo in un attimo a pancia in su, mentre una sagoma di cui riconosco solo i contorni si avventa su di me. Disperatamente, cerco di alzare le braccia per proteggermi, ma sono troppo lento. Le sue mani si stringono intorno al mio collo. L'aria che era fuggita dai polmoni con il primo colpo non riesce a rientrare e la mia vista si riempie di chiazze bianche. L'uomo parla, ma non riesco a sentirlo.
Spinto dall'ira e dalla paura, agito le gambe. Miracolosamente un colpo va a segno, diretto all'inguine. L'uomo è costretto a ritrarsi. Mi alzo in piedi e attendo di riuscire a tornare a vedere. Eccolo. Francesco.
Si tiene il basso ventre e il suo volto è una smorfia di dolore.
-Figlio di troia!- gli urlo. Lui si volta e sorride, un sorriso disumano.
-Ti direi la stessa cosa.- mi sbeffeggia -Ma non sta bene parlare male dei morti.-
-Aaaargh!-
Mi lancio su di lui, agitando i pugni nell'aria. Qualcuno va a segno, qualcuno viene parato. Alla fine, ci troviamo in una situazione di stallo, con lui che mi afferra e io che cerco di vincere la sua forza. Lo guardo dritto negli occhi.
-Perché?- gli chiedo.
-Lo sai. Te l'ho fatto ricordare io.-
Il vicolo, le scritte. La verità. Lo so davvero.

Cinque anni prima.
Uscivo dal Cranberry, come al solito. E come al solito ero fatto ed ubriaco. Mi ero messo alla guida dell'auto, incurante delle mie condizioni. Non capivo niente, non riuscivo a vedere con chiarezza. Avevo deciso di imboccare un vicolo interdetto alle macchine, senza una ragione precisa. Mi odiavo, odiavo la mia vita ed odiavo tutti gli altri.
Odiavo quell'allegra famigliola che passeggiava nel vicolo. Padre, madre e figlio. Tutti sorridenti, tutti felici. Dovevano morire.
L'uomo mi guardava, mi faceva segno di fermarmi, ma io aumentavo la velocità. Il bambino urlava, la madre anche. Io gioivo. Pregustavo l'urto, il momento in cui avrei posto fine alla vita di quegli idioti così felici.
BAM.
Il giorno dopo, non ricordavo nulla. Mi ero risvegliato molto lontano dal vicolo, mi ero schiantato contro un albero ed ero svenuto. Era stato in quel momento che avevo deciso di riabilitarmi, di dare una svolta alla mia vita.


Ma il passato torna sempre e Francesco me l'ha dimostrato. Mi guarda, ride forte.
-Sono cambiato.- dico.
-Oh, anch'io. Mi hai fatto cambiare tu. Non hai idea- un pugno mi fa cadere a terra -di quanto tempo ho speso cercandoti. Ho abbandonato del tutto la mia vita sociale per trovarti. Dovevo trovarti. Non avevo visto la targa, quella notte. Per questo ci ho messo così tanto. Ho dovuto fare ricerche su ricerche. Setacciare locali su locali. Cinque fottuti anni del cazzo! Ma alla fine ti ho trovato.-
Mi rialzo ancora, schivo l'ennesimo suo colpo.
-E sai perché?- mi domanda -Sai perché l'ho fatto?-
-Per vendetta?-
-Anche, ma non solo. Ormai avrai capito che ti aspettavo, no? Perché, secondo te? Perché ho fatto di tutto perché tu, alla fine, comprendessi e mi trovassi?-
Non so cosa rispondere. Risponde lui per me.
-Perché tu completassi il lavoro!- un pugno in faccia.
-Perché tu, spinto dallo stesso odio di cinque anni fa, uccidessi- pugno, schivato -anche- calcio, subito -me!-
-Sei pazzo!- gli urlo.
-Sì! Come potrei non esserlo? Hai sconvolto la mia vita, hai ucciso i miei cari. Ti meriti il peggio! Mi sono già vendicato, ma ora voglio che tu subisca l'insulto finale. Che tu viva una vita di rimorsi, comprendendo a fondo quale vergogna sei per quella puttana di tua madre e quello stronzo di tuo padre!-
Porto un pugno al suo naso, lo colpisco. Cade del sangue per terra. Lui non si arrende, non si ferma. Comincia a coprire di insulti mia madre, allude ad oscenità compiute con la sua testa staccata. L'odio monta, la mano corre alla pistola. Non riesco più a trattenermi.
Estraggo l'arma, la punto.
Uno sparo. Un'esplosione di sangue.
La vendetta.
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Qualche giorno dopo.


Romano mi guarda, dall'altra parte del tavolo.
Non è riuscito ad arrivare in tempo e a fermare il mio dito. Francesco è morto, ucciso da una decina di colpi che io non ricordo nemmeno di aver sparato.
Il Commissario annuisce, mentre io confesso tutto. Non ha più senso nascondere la verità. Ho ucciso un uomo, dopo che avevo ucciso la sua famiglia.
E' una sensazione strana quella che provo. Come se mi fossi liberato di un peso e dovessi portarne uno ancora più grande.
Romano appoggia i palmi al tavolo, fa un cenno ad una delle guardie dietro di me. Questa mi fa alzare, mi rimette le manette.
-Mi spiace, Maggi. Credo di capire come ti senti.- dice il Commissario -Ma è la legge. Sei colpevole di tre omicidi. Le attenuanti potrebbero ridurre la tua pena, ma dovrai passare comunque un po' di anni in carcere. Lo capisci, vero?-
-Sì.- rispondo. Lui annuisce ancora e la guardia mi trascina fuori.
Percorro un lungo corridoio, fino al blocco al quale sono stato assegnato. Intorno a me vedo ladri ed assassini. La mia nuova famiglia.

Quando rimango da solo, nella mia cella, i pensieri mi assalgono. Ripercorro gli ultimi giorni e poi gli ultimi anni della mia vita. Una vita che io stesso ho deciso di rovinare.
Mi siedo sul letto e comincio a piangere. I pensieri non mi abbandoneranno mai.

Non c'è neanche il minimo dubbio; ho vendicato la mia ragazza e mia madre, ma non sono io ad aver vinto.
Neanche per sogno.

   
 
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