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Autore: Water_wolf    16/11/2013    5 recensioni
Percy/Annabeth accenni Luke/Annabeth
Ehi, tu, che leggendo il titolo hai pensato alla canzone dei Muse e ora ti sei spaventato per il mio tono colloquiale, usa l'8% del tuo tempo per leggere!
«Devi scegliere, figlia di Atena» esordì. «Decidi chi vuoi salvare, perché l’altro sarà costretto a sorreggere il peso del mondo per l’eternità. Condanna uno, fai sopravvivere l’altro. A te la scelta.»
«Che cosa diavolo…?» articolò a stento la domanda.
«Non fare la finta tonta, Chase, sapevi da tempo che alla fine saresti stata posta di fronte a questo problema. Non sei preparata, Sapientona? Affari tuoi.»
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Percy Jackson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Madness
 
La scala si innalzava nel cielo, a tratti arrotolandosi su sé stessa, i gradini marmorei che variavano di forma e dimensioni. Annabeth si sarebbe fermata ad analizzare ogni singolo scalino, catalogandolo secondo l’età in cui era stato scolpito, il metodo e gli strumenti utilizzati, oltre che per materiale, possibili firme dell’autore, provenienza… se non fosse stato per quell’insistenze urgenza che le pungeva la coscienza.
Sali, diceva, non fermarti. E la ragazza, suo malgrado, non riusciva a non obbedirle.
La maglietta arancione acceso del Campo Mezzosangue era illuminata dai rosei raggi del Sole, che bucavano le nubi candide e soffici che impedivano di vedere la fine della scale. Stava contando i gradini –al momento centonovantatré- ma, nonostante ne avesse già saliti parecchi, non avvertiva il minimo sentore di stanchezza. Stropicciava l’orlo della maglia con le mani, tirandolo, appallottolandolo e poi stirandolo, innervosita da quella situazione.
Le sarebbe piaciuto sapere perché era lì… centonovantaquattro, centonovantacinque… e perché quell’insistente vocetta la obbligasse a mettere i piedi sul gradino che si trovava puntualmente davanti.
Arrivata a duecento, mandò al Tartaro tutto quanto e si fermò. Guardò di sotto, ma non trovò traccia della strada finora percorsa. Spalancò gli occhi grigi per lo stupore, quando si rese conto che le scale non salivano né scendevano più, scomparse nel nulla, e che l’unico scalino rimasto era quello su cui poggiava i piedi. Delle crepe lo attraversarono in un istante e, un battito di ciglia dopo, stava precipitando nel nulla.
Sfrecciò tra basse nuvolette pallide, allontanandosi sempre più dalla luce del Sole, sprofondando inesorabilmente verso il basso; i ricci biondi sembravano fulmini che viaggiavano al contrario. Poi, come quella folle corsa era iniziata, finì.
Annabeth toccò terra come una piuma che si lascia cullare dal vento, ritrovandosi in un luogo conosciuto.
Il Giardino delle Esperidi, sul Monte Tam.
Nella sua mente esplosero una centinaia di domande sul motivo per cui era lì, seguita da altre considerazioni, ma il flusso dei suoi pensieri fu interrotta da un particolare in quel luogo. C’era un silenzio irreale.
Da quello che si ricordava, Atlante non aveva smesso di scagliare maledizioni contro Dèi e semidei da quanto era ritornato a reggere il peso del mondo; possibile che avesse smesso all’improvviso?
Aguzzò la vista, senza riuscire a scorgerne le figura. Ma vide qualcos’altro, o meglio qualcuno, che la fece raggelare. Una chioma nera ribelle camminava con decisione verso il punto in cui il cielo incontrava la terra, disarmata.
Testa d’Alghe, cosa hai intenzione di fare?, pensò in una frazione di secondo.
Gli corse dietro, comprendendo che non avrebbe ricevuto risposta. La maglietta del campo era smossa da un leggero venticello e, quando si appiattiva sulla sua schiena, si intravedeva il fisico allenato e i muscoli guizzanti. Annabeth era troppo occupata a raggiungerlo per dedicare più di un secondo al pensiero che fosse dannatamente sexy. Con un leggero fiatone, gli afferrò una spalla e lo scosse. Percy si voltò, come appena uscito da un sogno, e la fissò con iridi verdi e inespressive.
«Percy…» mormorò Annabeth, mentre la presa sulla sua spalla si allentava.
Il ragazzo sembrava non riconoscerla, anzi, la guardava come se fosse invisibile, attraversando il suo corpo. Si liberò della sua mano, le mostrò la schiena e riprese ad avanzare. Annabeth rimase indietro di qualche passo, poi si riscosse e lo raggiunse.
«Percy!» gridò, scuotendolo. «Che cosa stai facendo? E non fissarmi con quello sguardo da pesce morto, rispondi!»
Il figlio di Poseidone la squadrò, sbatté le palpebre e la fissò con occhi colmi di tristezza.
«Avanti, parla!» incalzò Annabeth, e Percy alzò lentamente un braccio, puntando l’indice dietro di lei.
Si girò, e sentì le ginocchia farsi molli. Fasciato da jeans a sigaretta e una maglietta nera, la chioma bionda accarezzata dal vento, Luke avanzava in automatico nello stesso luogo di Percy. Non è possibile, pensò, lui ormai è schiavo di Crono, sta organizzando le forze altrove. Eppure, era lì.
Si voltò di nuovo verso Percy che, però, si era allontanato, raggiungendo in contemporanea con Luke il luogo dove di solito stava Atlante. Così vicini, Annabeth non poté non comparare il fisico e i legami che condivideva con ognuno di loro. Poi, una risata spezzò quel silenzio irreale.
Davanti alla ragazza comparve la figura a due teste di Giano, il dio delle scelte. Annabeth ne aveva già avuto abbastanza di lui nel Labirinto di Dedalo e sentiva che anche quella volta non sarebbe venuto a riferirle una buona notizia.
«Devi scegliere, figlia di Atena» esordì. «Decidi chi vuoi salvare, perché l’altro sarà costretto a sorreggere il peso del mondo per l’eternità. Condanna uno, fai sopravvivere l’altro. A te la scelta.»
«Che cosa diavolo…?» articolò a stento la domanda.
«Non fare la finta tonta, Chase, sapevi da tempo che alla fine saresti stata posta di fronte a questo problema. Non sei preparata, Sapientona? Affari tuoi.»
E Giano scomparì in un puff azzurrino, lasciando al suo posto un contatore elettronico che segnava lo scorrere dei secondi.
Cinquantanove, cinquantotto, cinquantasette… come posso scegliere in nemmeno un minuto tra le due persone che amo di più al mondo?
Fissò gli occhi nell’oceano calmo di Percy, che la osservava con infinita tristezza, come rassegnato al suo destino. Ricordò il bacio che gli aveva dato e fu travolta da quel tiepido calore che la faceva sempre sorridere… cinquantasei, cinquantacinque, cinquantaquattro… ripensò alle folli imprese che aveva compiuto insieme a lui, a come si fossero salvati la pelle a vicenda… cinquantatré, cinquantadue, cinquantuno… e il sollievo e la felicità provati quando l’aveva rivisto insieme a Talia su quello stesso monte?
E poi guardò Luke, e il tempo per lei si fermò. Ricordò la sensazione che provava ad accarezzare con dolcezza la sua cicatrice, la sicurezza che le dava perdersi nei suoi occhi, al sapore vero e intenso che aveva sulle sua labbra la parola “famiglia”.
Come un pugno, il dolore per la sua perdita la fece cadere in ginocchio.
Il suo sguardo fuggiva da Luke a Percy, da Percy a Luke, e di nuovo da Luke a Percy, e Percy e Luke… e la sua vista si fece via via più sfocata, offuscata dalle lacrime che scendevano copiose dai suoi occhi. Nella sua mente, ricordi, emozioni, sensazioni, sapori, odori, si affaccettavano senza pietà, lacerandola in due.
«Le figlie di Atena hanno sempre un piano, no?» domandò a sé stessa in un sussurro, giocando nervosamente con i suoi capelli. «… sempre, hanno sempre un piano… anche io, sì, sì, c’è sempre un piano che posso trovare…»
I secondi erano scesi al numero dieci.
 «Le figlie di Atena hanno sempre un piano…»
Occhi su Percy, che le sorrise pallidamente.
Nove, otto, sette.
«Sempre…»
Sguardo su Luke, che alzò lievemente la mano in un cenno di saluto appena abbozzato.
Sei, cinque, quattro.
«Le figlie di Atena hanno…»
Abbassò le palpebre, stringendosi la testa tra le mani, disperata, abbandonandosi al pianto.
Tre, due, uno.

 «NO!»

Annabeth spalancò gli occhi, tirandosi su a sedere di scatto e rischiando di sbattere la testa contro il letto a castello. Ansimò pesantemente, stringendo la coperta per fermare il tremore delle mani.
Regolarizzò il respiro, il petto che viaggiava su e giù sempre più lentamente. Una gocciolina di sudore le rigò la fronte, si impigliò tra le sue ciglia, infine cadde sul lenzuolo.
Si riavviò i capelli, ma una ciocca le sfuggì, penzolandole davanti agli occhi. Era più chiara delle altre, quasi grigia, il segno lasciato dal peso del mondo. La riportò indietro con stizza, rabbrividendo.
Nessuno dei suoi fratelli si era svegliato, dopotutto, gli incubi erano il pane quotidiano dei semidei e non ci si allarmava se qualcuno si agitava nel sonno. Annabeth si concentrò solo su quello che doveva fare, cioè poggiare i piedi a terra e vestirsi. Il pavimento freddo risultò gelido sotto le sue piante calda.
Agguantò i suoi semplici jeans al ginocchio e la maglietta arancione del campo, svestendosi e indossando i nuovi abiti in fretta. Infilò un paio di converse e uscì dalla casa di Atena, diretta ai bagni. Camminò veloce e risoluta sull’erba, decisa a non incontrare nessuno per mettere ordine nella sua mente.
Era ancora presto, troppo per chi il sonno non sapeva quando l’avrebbe recuperato. Annabeth si perse nelle sue riflessioni, cancellando il sogno di quella notte.
Si accorse dopo un po’ di un rumore costante non troppo lontano da lei. Era una spada che fendeva l’aria. Cambiò direzione, dirigendosi verso l’arena di scherma. Lì, un ragazzo dalla ribelle chioma nera tranciava manichini con un’abilità sorprendente.
Annabeth rimase in piedi a osservarlo, riconoscendo ogni centimetro della sua pelle, seguendo attenta la linea della sua spina dorsale. Quando il ragazzo si fermò, ansimando un po’ per lo sforzo, e si voltò, notò su di sé il suo sguardo.
Le sorrise sia con le labbra che con gli occhi, ammiccò un saluto con il capo e disse: «Ehi, Annabeth.»
«Ehi, Percy.»
«Brutti sogni?» chiese, nonostante conoscesse già la risposta, e si avvicinò a lei, mettendo il cappuccio a Vortice.
«Ah ah.»
Si scambiarono un’occhiata tra l’imbarazzato e il complice.
«Ti… ti andrebbe un abbraccio?» domandò Percy, nascondendo gli occhi dietro il ciuffo scuro.
Annabeth allargò le braccia, invitando silenziosamente il ragazzo. Si strinse a lui, avvertendo sotto i polpastrelli i suoi muscoli sodi, sentendo l’odore di sudore misto al profumo della salsedine che si portava sempre dietro.
In quel momento, seppe che probabilmente la sua scelta era dettata dalla pura pazzia. Ma, considerando che le figlie di Atena avevano sempre un piano e contando che  lei non poteva essere da meno, non ci badò più di tanto, concentrandosi solo su quella stretta.
Si allontanò impercettibilmente, riuscendo a cogliere l’espressione rilassata e felice di Percy, e non poté impedirsi di sorridere.
Zero.


Angolino dell'autrice
Sto sfornando ff peggio di come Peeta sforna torte O.O
Finalmente Percabeth!
Emoji Anche se non smetterò di tormentarvi con Ade e Maria, questo è il mio contributo a quei due semidei.
So che è già uscita di recente una fanfiction con lo stesso titolo -l'ho recensita io stessa- e che trattano più o meno delle stesse tematiche, ma voglio sottolineare che non ho copiato né tratto spunto da essa, visto che avevo già in mente questa idea da un po'.
Ambientata dalla fine del quarto libro e l'inizio del quinto della prima serie.Lo 'zero' finale è per ricongiungersi al countdown del sogno, se qualcuno non l'avesse capito xD
Enjoy!

Water_wolf

 
  
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