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Autore: LyraWinter    16/11/2013    0 recensioni
OS legata alle vicende di "Never let me go". Missing moments che si colloca dopo le vicende dell'ottavo capitolo, evocando alcuni episodi del passato della protagonista, Annie Morgan.
"Era stato in quel momento che Annie aveva avvertito una morsa allo stomaco, perché quell’albero così pieno di affetto, di vita, di ricordi e pensieri le aveva fatto pensare improvvisamente a quello suo padre amava allestire al centro della sala del Bed and Breakfast della sua famiglia. Si era resa conto di non aveva mai sentito così tanto la lontananza di casa in quei tre anni come in quel momento; eppure, mentre si guardava in giro incantata pensava che non vi era nemmeno stato un momento, da quando era partita da Cape Cod, in cui si era sentita al suo posto come in quello, al centro della sala dell'appartamento di quattro perfetti sconosciuti destinati a diventare, molto presto, la famiglia che aveva lasciato negli Stati Uniti".
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Non lasciarmi'
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Alla Lu, che é Camden e tutto ciò che significa per me.

A Erica, perché senza di lei nessuno di questi soggetti enormemente disagiati sarebbe qui.

A Veronica, che oltre ad aver qui trovato marito, mi ha istruita sull'a me ignoto mondo del calcio.

Britannico.

(risate, grazie)

 

 

 

 

 

HOW LONG WILL I HOLD YOU?

(canzone della storia)

 


L'unico modo sicuro di prendere un treno è perdere quello precedente.
Pierre Daninos, Vacances à tout prix.





 

Ecco, il suono del giapponese era una cosa a cui Ethan Cartwright non si sarebbe mai abituato.

 

Dopo quasi quattrocento giorni e più o meno duecentomila yen spesi dalla sua azienda per fargli imparare qualcosa di quella lingua, tutto ciò che gli era entrato in testa erano state quattro frasi di importanza vitale, che lo avevano aiutato a sopravvivere, ma che a nulla gli erano servite sul mondo del lavoro: "dov'é il bagno" (banale, ma utile per scongiurare il rischio di doversi fare capire con gesti imbarazzanti), "uramaki al salmone con molta salsa di soia, grazie" (recitato rigorosamente trattenendo il fiato), "dov'é il reparto del té" (domanda necessaria per orientarsi all'interno di quelle metropoli che i giapponesi osavano chiamare supermercati) e, infine, "avete la Guinness? ne prendo una fredda, possibilmente" (giusto per non dimenticare le sane abitudini casalinghe).

 

Un'altra cosa che a cui non si sarebbe mai abituato, sarebbe stata l'efficienza dei trasporti pubblici.

 

Non che a Londra le cose non funzionassero, ma l'impeccabilità del servizio, la pulizia di treni e stazioni e la rigorosità con cui venivano gestiti imprevisti e disagi nella capitale giapponese lo avevano colpito sin da quando, il giorno del suo arrivo, una voce nasale aveva comunicato che la società dei trasporti si scusava profondamente per i cinque minuti di ritardo che avrebbe subito il treno a causa di una scossa di terremoto. Nella sua città probabilmente avrebbero chiuso per precauzione l'intera linea per almeno un giorno, comunicando il tutto su un' obsoleta lavagna bianca apposta davanti ai tornelli.

 

Eppure, pensava Ethan mentre si lasciava cullare dal lieve dondolio del treno che lo conduceva all'Haneda, persino l'affollata, sporca, caotica metropolitana di Londra aveva finito per mancargli, alla lunga. O forse era solo che il desiderio di tornare a casa, alla vita di sempre che gli faceva vedere tutto con gli occhi di una complessata quattordicenne in preda a vomitevoli crisi di nostalgia?

 

Impegnato com'era a porsi simili dubbi esistenziali, quasi non si era accorto che una voce metallica stava comunicando qualcosa di molto importante, a giudicare dagli sguardi spazientiti del resto dei passeggeri.

 

Dannazione, pensò tentando almeno di cogliere le ultime due parole del messaggio. Ma non vi fu niente da fare: per quanto si fosse impegnato, non era riuscito a cogliere nemmeno una parola. Maledetto giapponese.


-Scusi, domandò incerto all'uomo che gli sedeva di fronte, pregando che conoscesse qualche parola d'inglese.

 

Questo sorrise interrompendo l'agonia di quello sforzo con una risposta impeccabile, -C'é stato un guasto. Il treno si interromperà alla prossima stazione.

 

-Merda! esclamò impallidendo, strappando una risata al suo interlocutore. -Mi scusi, é che ho un aereo da prendere...

 

-Non si preoccupi, la capisco. Senta, io alla prossima fermata sarò a casa. Se vuole l'accompagno con la macchina.

 

Ecco: non solo i trasporti funzionano in maniera eccellente, ma nei rari casi di avaria, persino il servizio di pronto intervento é inappuntabile. In questo paese sono dei mostri. Peccato per la lingua...


-Io non so che dire...lei é gentilissimo, non vorrei esserle di disturbo.

 

L'uomo agitò le mani davanti a sé -Si figuri, ho finito di lavorare per oggi. E l'aeroporto non é così lontano da qui. Torna a casa dalla famiglia?

 

Ethan soffocò una risata, pensando a quale fosse l'aggettivo migliore per descrivere gli strani soggetti che lo attendevano con impazienza a casa: -quasi.

 

-La fidanzata, magari?

 

Aprì la bocca più volte per rispondere, rendendosi conto, infine, di non avere nulla da dire. Aveva sempre considerato i suoi coinquilini la sua famiglia, molto più che i suoi parenti reali. Era con loro che aveva condiviso gli anni del College, del Ph.D, del primo lavoro: nella casa sui Camden Locks era diventato un uomo, anche se non era così sicuro che quello di allora fosse lo stesso che, in quel momento, stava seduto su un treno giapponese, con uno zaino fra le braccia, ad attendere pazientemente di poter prendere l'aereo di ritorno alla sua vita di sempre. Per quanto patetico potesse sembrare, una sola era la ragione per la quale si domandava chi fosse quell'Ethan che era partito per Tokio un anno prima con una valigia di speranze sottobraccio e rispondeva al nome di Annie Morgan. La non più fidanzata che non lo attendeva a casa. A essere sinceri non lo attendeva e basta, visto era stato lui stesso, in un momento di rabbia, a invitarla senza troppe cerimonie a "crescere" e "tornarsene indietro, a guardare in faccia i fantasmi del passato che la tenevano troppo impegnata per poter costruirsi un futuro". Sì, più o meno dovevano essere state quelle le parole con cui era riuscito nell'impresa in cui ogni parente o amico di Annie aveva fallito: farla tornare a casa, a Cape Cod, dopo sei anni di volontario esilio.

 

Fortunatamente, prima che l'uomo ripetesse la sua domanda, uno scossone fece sobbalzare entrambi, mentre il treno si fermava permettendogli di glassare elegantemente sull'argomento.

 

-Siamo arrivati.- Disse alzandosi per recuperare la sua valigia in fondo al vagone.

 

La voce metallica che aveva comunicato il guasto qualche minuto prima, ricominciò a parlare ai passeggeri ripetendo, con ogni probabilità, lo stesso messaggio senza che lui, ancora una volta, comprendesse una parola. Infine, Sconsolato e amareggiato vi rinunciò completamente con una scrollata di spalle: dopotutto, stava tornando a casa e, fortunatamente, a Londra le sole occasioni che avrebbe avuto di sfoggiare le capacità acquisite, sarebbero state unicamente quelle in cui avrebbe dovuto ordinare "uramaki al salmone con tanta salsa di soia, grazie". Ma in quello, grazie al cielo, era un asso.

 

Piano piano tutti i passeggeri cominciarono ad alzarsi, creando un piccolo ingorgo che non gli permise di raggiungere nuovamente il suo gentile accompagnatore. Attorno a lui le persone diedero segno di manifestare i primi sintomi dell'ansia tipica di chi, d'un tratto, si vede scombinare i piani per un contrattempo inaspettato. Dopotutto, pensò sorridendo, tutto il mondo é paese: é comunemente noto che chiunque odi i servizi pubblici della propria città, efficienti o no, e sarebbe pronto a boicottarli con ogni mezzo in suo potere fino al fatidico momento in questi non subiscono un malfunzionamento. Allora, all'improvviso, treni e autobus paiono divenire linfa vitale di ogni passeggero, fedeli amici senza i quali non si può fare a meno di vivere. É normale dunque che, ai malcapitati passeggeri, uomini, donne, vecchi e bambini che siano, un inconveniente simile appaia una tragedia della portata di una catastrofe naturale: non passò infatti molto, che Ethan cominciò a percepire turpiloqui di ogni genere e sfumatura, alcuni così fantasiosi che, ad avere un registratore in tasca, li avrebbe volentieri catturati per studiarseli con calma nella solitudine della sua stanza. Ironia della sorte, comprendeva meglio quelli di una semplice comunicazione di emergenza pronunciata con voce trillante e scandita.

 

Eppure, pensava, sono proprio eventi simili che, a volte ti cambiano la vita: un percorso diverso da casa al lavoro che cambia la solita routine, una pasta al cioccolato anziché alla crema a merenda, magari comprata nel caffé dove non ti fermi mai, un esame non superato all'università, un treno perso.

Non erano infatti passati che tre anni da quando il suo personale Sliding door aveva causato una brusca inversione di rotta nella sua vita. Se poi tale evento potesse essere considerato una catastrofe, quello non sapeva ancora valutarlo con razionalità, ma ciò di cui invece era perfettamente consapevole era che, da quel giorno di metà dicembre di tre anni prima, nulla era più stato lo stesso.

 

 

-Ultima fermata: a causa di lavori di manutenzione, questo treno si fermerà in questa stazione. Per sapere quando riprenderà la sua corsa, prestate attenzione agli annunci.

Ethan non era decisamente il tipo di persona che perdeva facilmente la pazienza. Se si escludevano le sere in cui, smessi i panni dello studente modello, si infilava la maglia di John Terry, dando prova che anche un piccolo lord come lui, se stimolato con i giusti mezzi, può trasformarsi nel più sboccato fra gli scaricatori del porto di Southampton. E i pomeriggi in cui sua madre lo incastrava a fare studiare sua sorella minore, Susan, che aveva la capacità di concentrazione di un bambino di due anni affetto da grave forma di iperattività. E ogni volta che Nathalie, la sua coinquilina, occupava il microscopico ingresso del loro appartamento con il suo transatlantico, ovvero una bicicletta giallo limone con un cestino talmente grande che avrebbe tranquillamente potuto fungere da seggiolino per un adulto della sua stazza e due identici festoni dei colori dell'arcobaleno che sventolavano dall'ingombrante manubrio azzurro cielo; il che succedeva, in pratica, ogni volta che rientrava in casa dall'università.


Dunque, a parte questi momenti in grado di fargli perdere il lume della ragione, in fin dei conti era un tipo piuttosto paziente e, ringraziando il cielo, anche pacifico altrimenti quella sera di dicembre, alla comunicazione che la corsa della Northern era stata interrotta per lavori di manutenzione, sarebbe impazzito davvero.


E, invece, quando la voce metallica aveva terminato di scusarsi per il disagio, si era limitato a sprofondare sulla sedia su cui si era accasciato in attesa della metropolitana, stropicciandosi gli occhi esasperato. Era stata una giornata esasperante: dicembre, in dipartimento, non era mai stato un mese facile, ma quell'anno, con un corso che gli era stato interamente affidato e con il suo tutor che gli aveva chiesto di esaminare una pila di casi alta quanto tutta la sua scrivania più Lafayette, il gatto obeso di Helen accovacciato sopra, si stava rivelando quasi impossibile gestire una giornata con tempi compatibili con quelli del sistema terrestre. Come se ciò non bastasse, a casa sua pareva scoppiato il finimondo: James, suo coinquilino e migliore amico, si finalmente lasciato, dopo due anni di agonia ed estenuanti tira e molla, con la fidanzata storica, nonché quinta occupante dell'appartamento in cui viveva. Tutto sarebbe stato perfetto se non fosse stato che la ragazza aveva deciso di mollarli su due piedi, sparendo nel nulla senza fare avere sue notizie. L'evento che aveva spinto Helen, Nathalie e lui a festeggiare in gran segreto scolandosi un'intera bottiglia di Jagermeister in sua memoria dunque, alla fine gli aveva donato un posto vacante in casa, una quota d'affitto in più da pagare e il simpatico ruolo di baby sitter di un venticinquenne in piena crisi d'abbandono. Oltre a una sbronza epocale dalla quale si era ripreso dopo aver smaltito i postumi del giorno dopo e i postumi dei postumi che gli avevano torturato il fegato e la testa per le quarantottore successive.


E ora la linea della metropolitana interrotta. La questione non avrebbe comportato una tragedia così grande -Camden Town distava solo una ventina di minuti a piedi dalla sede della sua facoltà- se non fosse stato che erano le sei del pomeriggio, dal cielo scendevano copiosi fiocchi di neve paragonabili a coprimozzi dalle sette della mattina stessa e che quello era l'orario in cui persino a piedi, in una città come Londra, rischiavi di rimanere imbottigliato. Aveva affondato le mani nelle tasche alla ricerca di qualche banconota perduta per pagare un taxi, ammesso di trovarne uno con tutta quella neve, quando si era ricordato che aveva speso gli ultimi soldi nelle lamette e nella birra da bere durante la partita di quella sera. Nell'esatto istante in cui si era chinato per raccogliere la tracolla appesantita dai documenti che si era portato a casa però, un flash gli aveva attraversato la mente e aveva rivisto davanti a sé la sportina di Tesco nella quale aveva lanciato le bottiglie di birra e le lamette, giacere sbilenca a fianco della macchinetta per ricaricare la Oyster Card.


-Merda,- aveva imprecato strofinandosi il viso con le mani.


Stava soppesando se gettarsi sotto al treno in arrivo fosse stata una soluzione più conveniente che presentarsi a casa da James in quelle condizioni senza birra, quando un eccesso di rabbia palesatosi sotto forma di una colorita imprecazione tipicamente americana era risuonato nella stazione, superando il volume dei Vaccines che gli rimbombavano nelle orecchie.


-Ma che cosa ho fatto di male io, nella mia vita? Eh?


Alzare gli occhi e trovarsi davanti la certezza vivente che per quanto male tu possa sentirti, c'é sempre qualcuno messo peggio di te, lo aveva fatto sorridere, anche se forse non avrebbe dovuto.


Dall'altra parte della banchina, Annie Morgan, la dottoranda di Letteratura comparata conosciuta quella mattina nei corridoi della UCL, avendo come lui appena appreso dell' interruzione della Northern, aveva gettato a terra la tracolla che tracimava di libri e vestiti gettati alla rinfusa e da cui pendevano inermi un paio di cuffie colorate. Aveva i capelli castani imbiancati e bagnati dalla neve, il respiro affannato, il viso arrossato e completamente scamiciata: nel complesso, lei sì che doveva aver perso la calma.


Si era sollevato sorridendo fra sé e sé, avvicinandosi all'estremità della banchina.


-Qualcosa mi dice che hai bisogno di una mano, questa volta.


All'udire la sua voce, la ragazza si era voltata di scatto. In quel momento Ethan aveva ipotizzato che due sarebbero potute essere le reazioni della ragazza nel vederlo: avrebbe potuto cominciare a imprecargli contro, oppure si sarebbe potuta girare e sparire inghiottita dalla tromba delle scale, vergognandosi del suo scoppio di rabbia. E invece, cosa del tutto inaspettata, alla sua vista Annie aveva sospirato di sollievo, poi, improvvisamente, aveva cominciato a piangere, coprendosi il volto con le mani.


-Merda,- si era ritrovato a esclamare di nuovo mentre in tutta fretta raccoglieva la sua roba e si lanciava a rotta di collo lungo la banchina, verso le scale che gli avrebbero permesso di cambiare binario,-non ti muovere sto arrivando!


Due rampe di scale, tre innocenti passanti travolti e quattro imprecazioni dopo, si era trovato finalmente dalla parte opposta, dove Annie non si era nemmeno presa la briga di raccattare la sua roba e si era accasciata contro il muro, scossa da singhiozzi e sorrisi imbarazzati.


-Potevi dirmelo che non volervi più vedermi!- aveva esclamato appoggiando le mani alle ginocchia per riprendere fiato.


-Scusa,- aveva mormorato fra le lacrime lei, tentando di asciugarsi il viso con il cappotto beige impiastricciandolo con strisce di rimmel scuro. -Mia zia mi ha chiuso fuori di casa, cambiando la serratura e adesso é partita e Dio solo sa quando tornerà... ma io ho bisogno di entrare in casa, c'é tutta la mia roba, i miei vestiti, il mio computer...


Lui aveva strabuzzato gli occhi per la sorpresa. -Perché lo ha fatto scusa?


-Perché é pazza!- si era ritrovata a rispondergli Annie con il tono di voce più alto del dovuto. -Stanotte quando sono tornata a casa stava facendo sesso tantrico nel mio letto! D'improvviso si era bloccata, lanciandogli un'occhiata perplessa in risposta alla sua espressione basita.


-Ecco forse questa non é una cosa opportuna da rivelare a uno sconosciuto...


Nonostante fosse sconvolto, Ethan si era ritrovato a sorridere di quella storia, non potendo fare a meno di provare una gran pena per lei. Aveva frugato nella tasca alla ricerca di un fazzoletto da porgerle, mentre questa riprendeva a parlare.


-Ho il telefono scarico e, ovviamente, il mio caricabatterie si trova al di là di una porta blindata chiusa a doppia mandata. Non posso avvertire nessuno dei miei conoscenti così stavo cercando di raggiungere il St. George's, dove lavora una mia amica, per chiederle le chiavi di casa sua. Ma, ovviamente, laggiù arriva solo la Northern che, guarda caso, é interrotta. Non mi é ancora entrato il versamento della borsa di studio, quindi non posso nemmeno permettermi la più squallida delle pensioni...perfetto. Mi ritroverò a dormire in biblioteca. Spero che il custode, accorgendosene non mi cacci fuori.


Ethan era scoppiato a ridere. –Senti, se la soluzione deve proprio essere la biblioteca, io te ne propongo una migliore. Se ti adatti a dormire su un divano in salotto, io un posto letto, posso offrirtelo. Puoi fidarti, non sono un pazzo maniaco, quindi garantisco che non ti salterò addosso durante la notte. Non posso assicurarti niente sulla stabilità mentale dei miei coinquilini, specialmente in questo periodo...ok, no così ti sto spaventando. Il succo é che sono normale e che sono anche abbastanza sicuro che un'ottima cura per quelle lacrime potrebbero essere un paio di biscotti e una tazza di té fumante.


Anche Annie era infine scoppiata a ridere, asciugandosi rincuorata il viso con il fazzoletto che lui le aveva passato.


-Che c'é? le aveva domandato offeso, con espressione innocente -Sono inglese, per noi tutto si risolve con té e biscotti! Vieni, dammi qualcosa che ti aiuto.

Poi, assicuratosi sotto il braccio la pesante borsa la cui tracolla aveva ceduto sotto il peso degli oggetti stipati al suo interno, si era avviato verso l' uscita su Goodge Street.

 


 

 

***

 

 

 

"Conferma il pagamento?"

 

L'ennesimo affitto versato senza sapere se sarebbe mai tornata indietro. Un altro mese in cui la sua camera di Londra sarebbe rimasta chiusa e vuota, a ricoprirsi di polvere, in attesa che qualcuno aprisse la piccola finestra sul Regent's Canal per fare entrare quel vociare e quelle musiche divenuti per lei i rumori di casa. Un altro mese senza sapere che fare della propria vita, senza un lavoro, una vera occupazione, con mille idee in testa e nessun progetto concreto, solo un appartamento troppo vuoto e minimalista per i suoi gusti e un telefono che suonava insistentemente, senza che lei desiderasse rispondere a quasi nessuno dei numeri che la cercavano senza sosta. Aveva attivato la modalità silenziosa, nella speranza che chiamate indesiderate non la disturbassero in quegli attimi di quiete che si concedeva fra un colloquio, una serata a teatro con il suo fidanzato, Landon, una cena a casa dei genitori di lui e un pomeriggio di shopping con quella pazza di sua cugina Nicole. E un estenuante pomeriggio con sua madre, naturalmente, che non perdeva occasione per tentare inutilmente un approccio con lei, da quando si era trasferita a New York.

 

Si coprì le gambe infreddolite con il maglione più pesante che era riuscita a scovare nell'armadio di Landon quella mattina, appoggiando il mento sulle ginocchia rannicchiate pensando che se c'era una cosa che non sopportava di quel posto era proprio il silenzio: al trentesimo piano non giungeva un rumore, tutto sembrava immerso in una bolla in cui luci e colori penetravano proiettando le immagini della città come in un film muto.

 

Un debole bop la destò dai suoi pensieri obbligandola ad abbassare lo sguardo sullo schermo del cellulare: Nat, lesse con una fitta di nostalgia.

 

"Ti prego, torna a casa. Io quei due, da sola, non riesco a reggerli. Non ho la pazienza di Ethan, né la tua capacità di rendere umanamente accettabile quell'animale di James. Se mi vuoi bene salta su un aereo e salvami da morte certa".

 

Si sforzò di ridere ma, per quanto l'idea di Nathalie da sola alla prese con quei due pazzi di Helen e James e i loro folli problemi di coppia che finivano sempre per coinvolgere anche tutti loro sembrasse alquanto divertente, non riuscì a fare a meno di provare una fitta di nostalgia che, per qualche istante, le fece mancare il fiato. O forse era solo la schermata della pagina clienti della Barclays che continuava implicitamente a sollecitarla a prendere in mano la sua vita e decidere cosa farne, una volta per tutte.

 

 

 

 

 

-Allora, ci sono tre cose da mandare a mente, se vuoi entrare a casa nostra e uscirne viva.

 

Si era voltata distrattamente verso Ethan, seduto davanti a lei con le guance arrossate dal freddo e i piedi sulla base del suo sedile, nel vano tentativo di asciugare, davanti al bocchettone del riscaldamento, le polacchine di camoscio scuro impregnate di neve. Fuori, dopo una giornata costellata di fitti e pesanti fiocchi che erano prepotentemente caduti dal momento in cui si era alzata, aveva finalmente smesso di nevicare e il cielo, rischiarandosi, rifletteva i suoi bagliori rossastri sulla coperta di neve che si era depositata a terra e sugli alberi, tingendo l'aria di un colore giallo rosato che solo a Londra aveva ammirato. Era ormai metà dicembre e tutta la città era pronta per la venuta del Natale: la neve, attorno agli alberi addobbati a festa e ai piedi delle vetrine lucenti, rendeva ancora più splendenti le luminarie sparse per le strade, sulle case e nei negozi. Quando la città assumeva quei colori, sarebbe stata a fissarla per ore, incantata come una bambina, tuttavia Ethan se ne stava in paziente attesa davanti a lei e, dopo lunghi minuti di silenzio imbarazzato, le aveva finalmente rivolto la parola, quindi si era forzata a voltarsi per ascoltarlo. Dopotutto la stava salvando da una notte in biblioteca, quindi forse era il caso di prestare attenzione a cosa avesse da dirle quel dottorando di legge dalla parlantina troppo facile e il viso sempre allegro. Se ne stava lì e la fissava, con quel ghigno semiserio che non lo abbandonava mai, per quello che aveva potuto constatare ogni volta che lo aveva incontrato. Aveva un sorriso sincero, stampato su viso rotondo, che illuminava ancora di più un paio di occhi così azzurri che più volte si era ritrovata a domandarsi se indossasse un paio di lenti a contatto, prima di rispondersi che forse era solo un effetto dovuto al violento contrasto con il ciuffo rossiccio di capelli che nemmeno la neve era riuscita a sconfiggere. O ancora al richiamo della camicia azzurra che spuntava sotto alla giacca di velluto a coste marrone che si stringeva sul petto per proteggere dal freddo di quel pomeriggio di settembre. L'ennesimo inglesuccio slavato con la voce da giornalista della BBC e l'aria da Principe Filippo capitato per sbaglio nel XXI secolo, l'avrebbe etichettato sua cugina Nicole, passando oltre senza degnarlo di uno sguardo. Eppure c'era qualcosa nell'espressione di quel ragazzo che la metteva di buonumore, nonostante tutto ciò che le era capitato durante la giornata, infondendole una tranquillità e una calma raramente provate di fianco a qualcuno.

 

Gli sorrise, incoraggiandolo a proseguire.

 

-Ho due coinquiline: Helen e Nathalie. Mai contraddire Helen, se non vuoi passare i trenta minuti più brutti della tua vita. É una delle ragazze più straordinarie che abbia mai conosciuto, determinata, stacanovista, piena di talento. Non a caso a venticinque anni, suona quattro strumenti, fra cui il violino e segue uno dei cantanti emergenti più famosi della città. In più compone musiche per spettacoli di vario genere e documentari. É un po' come la mamma di tutti noi, un tipo severo e riservato, che può apparire altezzoso sulle prime, ma fidati se ti dico che é molto diversa da quello che vuole apparire.

 

Annie annuì silenziosamente, mentre Ethan riprendeva il suo racconto.

 

-Nathalie é pazza. Non pazza nel senso reale del termine, ma diciamo che non esistono schemi nei quali la si possa inquadrare. Non é simpatica, dolce, timida, vulcanica, isterica: é Nathalie. Secondo lei il tofu é un cibo e ogni argomentazione che sostenga il contrario scatena di norma una filippica di ore circa la crudeltà di coloro che uccidono povere bestie innocenti per cibarsene con barbara soddisfazione. D'altra parte, darle corda, ti fa accedere di diritto alla schiera dei "giusti", ovvero di coloro che si nutrono di tutte quelle cose da ruminante che cominciano per veg e bio di cui abbiamo il frigorifero stipato. E fidati se ti dico che tu non vuoi essere una "giusta".

 

Annie assunse un'espressione così sconvolta che Ethan non ebbe dubbi su come la pensasse sull'argomento.

 

-Dalla tua faccia posso dedurre che non sei anche tu una maniaca salutista, grazie al cielo,- le disse sollevato.

 

-Per carità,- esclamò Annie con un gesto secco della mano. -E la terza cosa?

 

-Ah sì certo. James. Mai e dico mai lasciarlo partire a parlare di musical, teatro o simili. Studia legge per sport anche se l'unica cosa che possiede dell'avvocato é la parlantina. Non sta zitto nemmeno se gli premi un cuscino in faccia. E credimi quando ti dico che alla terza volta che lo senti affermare l'indiscussa superiorità della performance di Ramin Karimloo nella parte di Enjolras, vorrai maledire il giorno in cui Shönberg é stato colto dall'illuminazione che l'ha portato a comporre l'intero repertorio de Les Miserables.

 

-Non ho capito niente di quello che hai detto, ma ne deduco che la parola "West End" debba essere bandita dalle conversazioni serali,- aveva ironizzato Annie.

 

-Esattamente. Anche se probabilmente stasera sarà ancora troppo impegnato a lagnarsi per le sue pene d'amore, per tentare di indottrinarti.

 

-Che gli é successo?

 

-Nulla di grave,- le aveva risposto Ethan con un vago gesto della mano. -Si é lasciato con la sua fidanzata storica.

 

-Ma...,- aveva tentato di obiettare lei.

 

-Oh, tranquilla! Stanno insieme da quando hanno diciott'anni, ma probabilmente già a venti a James non importava nulla di lei. È solo troppo pigro e sfaticato persino per troncare la loro storia, così ha atteso pazientemente il giorno in cui lei avrebbe aperto gli occhi e lo avrebbe lasciato. Finalmente, si é decisa e lui ora sembra inconsolabile ma, se lo conosco bene, la sua più grande preoccupazione é che ora non avrà più chi gli appaierà i calzini e gli preparerà la tisana con il miele per la voce.

 

Annie era scoppiata a ridere di gusto, mentre Ethan si faceva serio e proseguiva con il suo racconto.

 

-Il disastro é che ora non abbiamo idea di come pagare l'affitto. Oltre al fatto che, se troveremo un nuovo coinquilino, mi toccherà andare a dormire con lui nella doppia, rinunciando alla mia meravigliosa e comoda stanza con il terrazzino fra i tetti,- aveva concluso stringendosi le spalle, come per dire "così é la vita".

 

-E tu, giovane cavaliere che salva donzelle in difficoltà, che segreto hai?

 

Ethan aveva inarcato le sopracciglia, perplesso.

 

-Mi hai detto tre cose da sapere sui tuoi coinquilini, ma non mi hai raccontato nulla di te. So che sei ricercatore dottorando alla UCL, che i tuoi hobbies sono lanciarti in difesa di povere donzelle senza un domicilio per poi consolarle con tazze di té, che le segretarie con i boccoli biondi hanno un debole per te e poi...che altro devo sapere?

 

-Non molto...sono una di quelle persone che verrebbero definite noiosamente normali,- le aveva risposto lui stringendo le spalle.

 

-Non é possibile. Nessuna strana mania o scheletro nell'armadio che sarebbe meglio non riesumare? Dai, tutti ne hanno una! Io per esempio, non riesco a dormire con i piedi scoperti. E mi trasformo nella peggiore delle fangirl quando vedo apparire qualunque cosa riguardi anche solo alla lontana il tennis.

 

Ethan aveva taciuto pensieroso per qualche secondo. -Mmm...sono a tratti maniaco dell'ordine. E ho una predilezione per le camicie che si trasmette di generazione in generazione, evidentemente, visto che anche mio padre non può farne a meno,- aveva infine tentato di giustificarsi abbassando con aria colpevole lo sguardo verso la camicia dal collo perfettamente inamidato.

 

Annie aveva annuito seria, mangiucchiandosi un'unghia. Aveva poggiato il mento sul ginocchio piegato e gli aveva domandato: -Nella vita cosa fai, oltre che lo schiavetto dentro alla UCL?

 

-Lavoro saltuariamente per mio supervisor....

 

-Nessuna passione, o sogno nel cassetto?

 

-E chi non ne ha? le aveva domandato con un sorriso timido. -Quando ero ragazzo sognavo di diventare calciatore.

 

Annie aveva sgranato gli occhi, sorpresa. -Davvero giocavi a soccer? gli aveva domandato mordendosi immediatamente la lingua quando si era resa conto dell'irrimediabile errore appena commesso. Come da copione, Ethan, aveva chiuso gli occhi inspirando profondamente, facendo evidentemente appello a tutta la calma di cui era capace.

 

-Senti Annie, mi stai simpatica. Non rovinare tutto subito.

 

-Football, scusa,- si era corretta frettolosamente sfoderando l'espressione più innocente che riusciva.

 

-No, non é "football, scusa. Aveva puntualizzato con disappunto Ethan. -C'é una sottile differenza che voi yankee non cogliete...perché ridi? le domandò offeso, vedendola sghignazzare nel vano tentativo di mascherare il suo divertimento con una mano premuta sulle labbra.

 

-Credo di aver appena scoperto la quarta cosa da mandare a mente per entrare in casa tua e uscirne viva.

 

Aveva drizzato la schiena e assunto un'espressione compita, cominciando a parlare con impeccabile accento inglese: -Non toccare l'argomento football con Ethan. Potresti rimanere incastrata in una lunga dimostrazione della sottile differenza fra il soccer degli yankee e il puro football inglese. E, fidati, tu non vuoi scoprire quale sia.

 

Ethan era scoppiato in una lunga risata, ammirato. Aveva sollevato le mani in segno di resa e le aveva risposto infine: -touché. Ora vieni, la prossima fermata é la nostra.

 

Era stato in quel momento che Annie si rese conto che non gli aveva nemmeno chiesto dove vivesse. Aveva naturalmente riconosciuto Camden High Street, ma il quartiere era grande e, da quel che aveva sempre saputo, non tutte le zone da quelle parti erano poi così sicure.

 

-Seguimi.- Ethan le aveva tolto la tracolla rotta dalle braccia per assicurarsela sotto il braccio, invitandolo a seguirla.

 

Il quartiere di Camden l'aveva sempre affascinata. Ovunque, orde di turisti incuriositi da quel luogo pittoresco, passeggiavano con il mento sollevato verso le fatiscenti opere in cartapesta che pubblicizzavano i prodotti venduti nei negozi che si aprivano sulla strada. In mezzo a loro, gli abitanti si facevano strada a fatica, schivandoli con passo sicuro e avvezzo a tale confusione. Ragazzi con improbabili tenute, che solo a Londra potevi incontrare, vecchi nostalgici ricoperti di tatuaggi, piercing e capi d'abbigliamenti in pelle, timidi venditori orientali che si affannavano per appiopparti ogni genere di prodotto, ragazzine con coroncine di fiori in testa, occhiali da vista colorati e lunghe gonne che toccavano terra, si scattavano foto facendo ogni genere di smorfia. E, infine, nei pressi dei Camden Locks, ciclisti che si facevano largo lungo il canale, facendo la gimcana fra runners convinti, coppie che passeggiavano con coni gelato in mano e ogni altro genere di leccornie che si potevano acquistare a poche sterline nelle bancarelle che sbucavano un po' ovunque. E, nell’aria, nelle bancarelle, nel mercato coperto, musica, rumore di passi, voci allegre, fischi.

 

Tuttavia quella sera, la neve sembrava aver smorzato i toni, abbassando il volume su tutto il quartiere. I pochi turisti che si erano avventurati fra le strade e lungo il Regent's Canal camminavano in religioso silenzio, come per ammirare la bellezza di un quartiere che si era fermato sotto quel primo, vero, saluto dell'inverno. Annie ricordava di aver chiuso gli occhi, appoggiandosi alla ringhiera che la divideva dal canale e di essere rimasta così a lungo, immersa in quella pace anomala, respirando l'aria frizzante che le aveva arrossato il viso.

 

-Ci sei? Ethan doveva essersi girato verso di lei già da qualche minuto, fermandosi a osservarla con espressione indecifrabile in viso. Non sembrava spazientito, ma soltanto incuriosito dal suo bizzarro comportamento. Le aveva sorriso d' improvviso, vedendola imbarazzata per essere stata colta in un atteggiamento così trasognato.

 

-É bello da queste parti, quando nevica, vero? Si era infine limitato a domandarle allungandole il braccio, invitandola a prestare attenzione alle scale bagnate.

Si era fatto largo fra gli incerti passanti, che camminavano con cautela sulla neve, poi d'improvviso, si era infilato sotto un'arcata che Annie, impegnata com'era a guardarsi intorno non aveva nemmeno notato per poi era fermarsi davanti a un portoncino così piccolo che per oltrepassarlo avrebbe dovuto senza dubbio chinarsi. Annie lo aveva osservato incuriosita piegarsi a sollevare lo stuoino sotto il quale erano depositate due lettere.

 

-Non abbiamo la cassetta postale,- le aveva spiegato stringendo le spalle, come per giustificarsi. -I turisti la intasavano con ogni genere di rifiuto, quindi abbiamo pensato che sarebbe stato opportuno adottare un'altra strategia. Le lettere confidenziali le facciamo lasciare al negozio di souvenir, quelle inutili qui sotto lo stuoino e le bollette...beh quelle direttamente laggiù!- le aveva detto indicando con la testa il bidone dell'immondizia, che si trovava ai pochi metri dall'entrata.

 

Poi, aveva infilato la chiave nel portoncino scuro invitandola ad entrare con un cenno del capo: -casa dolce...dannazione Nat!!!!- Aveva urlato senza riuscire ad aprire la porta. -Non sei in grado di portare la bicicletta al piano di sopra?! Tutti i giorni é la stessa storia!

 

-Fattela con Helen! Aveva urlato di rimando una voce delicata, quasi infantile, dal forte accento irlandese. -Dice che sporco i muri con le ruote!

 

Annie aveva seguito incuriosita Ethan che, sbattuta in malo modo l’enorme bicicletta gialla in un angolo del corridoi etto d’entrata, si era diretto come una furia su per le anguste scale.

 

-Helen, ti prego, non é possibile che ogni volta che rientro in casa io mi inciampi su quella dannata bicicletta! Ho le gambe ridotte peggio di un campo minato!

 

Alle sue spalle, Annie era finalmente riuscita a focalizzarsi sull’appartamento che si apriva davanti a lei, spalancando immediatamente gli occhi per lo stupore. L'angusta scala si apriva su di un open space luminoso e aerato da una porta finestra a tutta altezza che, se il senso dell'orientamento non la ingannava, doveva guardare verso la piazzetta centrale dei Camden Locks. Alla sua sinistra, una cucina laccata di rosso, contrastava con una parete ricoperta di nero, su cui gli inquilini avevano disegnato e scritto con gessetti colorati, incorniciando così fotografie e ricordi di ogni genere.

 

Di fronte a lei, un enorme divano, anch'esso foderato di rosso, celava parzialmente alla sua vista un grande televisore incastrato fra un pianoforte di legno scuro e una tastiera a cui erano poggiate tre chitarre e un ukulele verde acido. Tutt'intorno, mobili di legno grezzo tracimavano di libri, vinili e cd incastrati praticamente ovunque. E infine, la sua attenzione era stata completamente catturata da un grande albero tracimante di palline e oggetti di ogni forma e colore, fra i quali Annie riconobbe anche piccole lettere, post it scritti a mano, biglietti di cinema o teatro, oltre che cioccolatini, ai cui piedi si trovavano già una montagna di piccoli pacchi e bigliettini.

 

Era stato in quel momento che Annie aveva avvertito una morsa allo stomaco, perché quell’albero così pieno di affetto, di vita, di ricordi e pensieri le aveva fatto pensare improvvisamente a quello suo padre amava allestire al centro della sala del Bed and Breakfast della sua famiglia. Si era resa conto di non aveva mai sentito così tanto la lontananza di casa in quei tre anni come in quel momento; eppure, mentre si guardava in giro incantata, pensava che non vi era nemmeno stato un momento, da quando era partita da Cape Cod, in cui si era sentita al suo posto come in quello, al centro della sala dell'appartamento di quattro perfetti sconosciuti destinati a diventare, molto presto, la famiglia che aveva lasciato negli Stati Uniti.

 

 

 

 

 

"Confermi il pagamento?"

 

Annie fissò per qualche istante ancora lo schermo, tormentandosi l'unghia del pollice destro. Poi, con un gesto rapido della mano, premette il tasto di invio e si riavviò il ciuffo di capelli che le era caduto sulla fronte. In quel momento, una folata di vento, spalancò la finestra che Landon di solito lasciava socchiusa, per fare circolare l' aria dopo essersi preparato la colazione e uno spiffero di aria gelata la investì in pieno, facendola rabbrividire.

 

Era sceso il freddo, su New York. Un clima prematuro e assolutamente anomalo, per l'inizio di novembre, anche in una città come quella: tremando, si alzò per chiudere la finestra, ma quando l'aria frizzante le colpì il viso, si rese conto di non aver alcuna voglia di farlo. Afferrò invece la coperta di lana che stava poggiata sul bracciolo del grande divano scuro di Landon e si arrampicò così com'era, in pigiama e calzini, su per la scala a chiocciola che dalla sala dell'appartamento, conduceva direttamente al terrazzo privato ricavato sul tetto.

 

La città sotto di lei, troppo in alto per riuscire a distinguere i rumori che provenivano dalla strada, sembrava un grande gigante mollemente disteso in riva al mare. Un silenzio irreale l’ avvolgeva, dandole la fastidiosa percezione di trovarsi in un ambiente artificialmente isolato. Pensò al silenzio di Cape Cod, così diverso, fatto dello sciabordare delle onde, dello stridulo verso dei gabbiani, del soffiare incessante del vento, più che dell’assenza assenza totale di suoni. E infine, ricordò il rumore di Londra, che l’accompagnava perennemente: il vociare dei turisti che brulicavano sotto le sue finestre, il cicaleccio dei suoi coinquilini, il suono della chitarra di Nat, il continuo canticchiare di James, le note delicate delle dolci melodie composte da Helen e il costante sottofondo della musica di Ethan; mai, nelle sue giornate in Inghilterra, vi era stato un silenzio tale da infonderle un senso di disagio e inquietudine come in quel momento.

D’improvviso, si sentì incredibilmente sola in quel terrazzo lontano da ogni rumore. Fu in quel momento che qualcosa le si depositò sul naso, costringendola ad alzare gli occhi al cielo. Poi, una, due tre e infine centinaia di altre, impercettibili gocce lievi e gelate si unirono, finché non si rese conto che aveva cominciato a nevicare da qualche minuto e lei era rimasta così incantata che nemmeno se ne era accorta.

 

E, mentre guardava stranita ed estasiata il cielo farsi sempre più bianco, nell’ovattato silenzio di quel terrazzo al trentesimo piano, il rumore di un aereo la distrasse. Si voltò di scatto, ma fece appena in tempo a individuarne la provenienza che questo era già sparito nel nulla, dietro ai grattacieli di Manhattan. Fissò nella sua direzione per qualche istante, stranita da quel rumore poi, con un ultimo sguardo al cielo grave, si apprestò a rientrare in casa.

 

 

 

 

 

Informiamo i gentili passeggeri che fra qualche istante, atterreremo all’aeroporto John Fitzgerald Kennedy.

La temperatura, a terra, è di zero gradi centigradi e vi comunichiamo che da qualche minuto ha cominciato a nevicare.

Nel pregarvi di restare seduti fino al completo arresto dell’aeromobile,

vi auguriamo un buon soggiorno e rimaniamo a vostra disposizione per qualunque richiesta o necessità.




















Note di un'autrice sbertucciata.

 

Ebbene sì, l'avevo promesso e ripromesso a tutte e alla fine l'ho fatto. Vi ho presentato uno stralcio di vita di Annie a Londra.

Per chi giunge da queste parti senza conoscermi, la ragazza in questione, Annie Morgan, é la protagonista della mia long in corso "Never let me go". Questa OS, che temporalmente si colloca esattamente dopo l'ultimo capitolo pubblicato, rievoca però il primo incontro con Ethan Cartwright e gli altri tre coinquilini (Helen Parker, Natalie Finnegan e James Clarke, con cui divide l'appartamento di Londra, città dove frequenta il dottorato in Letteraura comparata.

 

Per chi segue Never let me go, so che nei primi capitoli si parla di un passato leggermente diverso. La realtà é che "Camden tales" (il racconto che prima o poi scriverò davvero che tratta di Annie a Londra) non doveva esistere. I quattro suddetti disagiati, infatti, non sono frutto della mia fantasia, ma di quella di Sam Vega, che é la mia be(r)tuccia la quale, per farmi un regalo, tempo fa scrisse un' OS ispirata alla mia storia. Qualche tempo dopo, davanti a un té, molto probabilmente, é nata l'idea di fare qualcosa di quelle meraviglie e pensa che ti ripensa, é nata l'idea di Camden. E, da qui, la voglia di pubblicarne qualcosa di incredibilmente fluff, molto leggero e ad alto rischio carie ai denti che mi ha portato a scrivere questo racconto più o meno natalizio (In realtà è tutta colpa del pandoro e della confezione speciale per le feste della Nutella, ma preferirei soprassedere su ciò).

 

Il tutto era per dire che probabilmente occhi attenti noteranno qualche incongruenza con quello che viene detto nei primi capitoli di NLMG sul passato di Annie, ma sappiate che mi sto adoperando per adattare il tutto prima di pubblicare il prossimo capitolo.

 

Detto questo...ah sì, mi scuso per eventuali refusi, ma la storia é stata scritta di getto, pubblicata e non betata e chi mi conosce sa quanto io sia un asso nel non accorgermi, nemmeno se rileggo venti volte la stessa frase, degli errori che ho fatto. Vogliate scusarmi, sempre stata un po' rintronata.

 

Infine vi lascio il link al mio gruppo, Sing for the wind, fear not for tomorrow, dove si parla delle mie storie (poco) e di tante cosine completamente inutili: se vorrete entrare ne sarà più che felice e vi accoglierò con té e biscottini, come quel piccolo lord di Ethan.

 

Un abbraccio a tutti!

 

Lyra

 

 








   
 
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