Salve!
Questa storia ha
partecipato al concorso Arte e Anima, indetto e giudicato da Zia Esmy e Rowina.
Le ringrazio tantissimo per l’opportunità che ci hanno dato di scribacchiare,
ispirati dal concorso assai ispirante. Si è classificata terza, a pari merito con un'altra storia.
Il concorso proponeva di
scrivere una storia ispirandosi ad un’opera d’arte, tra cinque proposte. Questa
storia è basata sul famoso mausoleo chiamato Angel of Grief, ed è ambientata in
un mondo assolutamente immaginario, che si rifà all'immaginario comune
dell'Inghilterra vittoriana. Ho trasferito il mausoleo in un cimitero di quel
mondo (volendo far finta di essere corretti storicamente, l'opera è del 1894,
quindi non è un bestiale anacronismo!XD)
Il titolo della storia è una
citazione di "Sweeney Todd", grossa influenza per la storia, a livello di
concetti.
Shu, che ha sperimentato
cosa riesco a fare alle mie storie, si merita tutta la
dedica. Buona
lettura! If
only angels could prevail In una sera fredda come
questa, vedere due persone davanti allo studio legale Whitemoor è più
stupefacente del solito.
Sì, lo studio legale J.
Whitemoor. Attivo da sette anni. Cause sostenute: 342. Cause vinte:
73. Contrariamente a quel che
potreste credere, il migliore sul campo. Nel nostro campo. Anche perché siamo gli
unici, in questo campo... Entrano – li sento
parlare, dalla mia stanza. Spero che il distinto avvocato si sbrighi: c’è da
festeggiare, stasera! E festeggeremo alla grande, che a quel moralista intransigente piaccia o
no! Ehi, non fraintendete. Per me non esiste qualcosa di più sacro della sua
pallida e melanconica persona! Questa persona è
l’artefice della rovina del nostro studio legale. Solo che... La nostra
rovina coincide con il nostro successo. ... non capite,
eh? Facciamo così. Vi porto
all’inizio. E l’inizio è quella
persona, quando era ancora un bambino troppo serio, con lo sguardo proiettato
verso qualcosa che forse non esiste nemmeno. E’ vero, non l’ho mai
visto bambino. Ma l’ho visto uomo, e sono certo che non è cambiato
molto. Nemmeno il mondo è
cambiato molto, da allora. O forse,
invece... Ecco nonna Margaret. Ama
portare suo nipote al cimitero, invece che in qualche luogo più divertente per
un bambino di sei anni. Ma il nostro è un bambino riflessivo, che apprezza i
posti interessanti. Anche se non capisce bene la storia della gente dentro le
tombe... Immaginatevi un
pomeriggio di dicembre, gelido ma chiarissimo. E una sosta inaspettata: la nonna
deve salutare una vecchia amica, una signora vestita molto meglio di lei. Il
nostro bambino si mette a studiare il luogo. I suoi occhi incontrano una figura
candida: uno splendido angelo piangente, posato su una tomba, con la testa
reclinata. Solo a vederlo ti viene addosso tutta la tristezza del mondo. Si
domanda perché l’angelo pianga. Vorrebbe chiederlo alla nonna, ma lei sta
ripetendo all’amica frammenti di discorsi che il bimbo ha sentito spesso, senza
mai capire. Niente è peggio che finire in miseria quando hai conosciuto
tempi migliori! Lui non comprende né il concetto di miseria, né quello di
tempi migliori. In realtà, li comprenderà
a breve, ma all’epoca del suo primo incontro con l’angelo, la miseria per lui è
un dato di fatto, e non sa immaginare tempi migliori di quelli. Ci sono i suoi
genitori, che lo adorano, e in questo è molto più fortunato di tanti ragazzini.
E c’è la nonna, ovviamente. Che tempi migliori possono
esistere? La nonna smette di
lamentarsi, finalmente, e il nostro bambino può esporle il suo
dubbio. - Perché l’angelo
piange?- - In questa casa di
lacrime, non capisci perché un angelo piange?- Mai che la nonna ti dia
una risposta soddisfacente! Avrebbe dovuto chiederlo a qualcuno più
interessante. Mentre se ne vanno, getta
un’ultima occhiata alla figura bianca. Tra i fiocchi di neve che volteggiano nel
vento, l’angelo è molto bello. Anche se è davvero troppo triste. Meglio pensare
ai suoi genitori. In casa loro, la tristezza non può
entrare. La tristezza sarebbe
entrata quando il nostro bambino era cresciuto abbastanza da capire il concetto
di “tempi migliori” e lo scopo dei cimiteri. La madre morì quando lui
aveva quattordici anni, il padre due anni dopo. Nessuno dei due fu seppellito
nel cimitero tanto amato dalla nonna, dove riposavano i parenti che avevano
visto tempi migliori. I suoi genitori finirono nel minuscolo camposanto della
gente misera, come loro. La sera del funerale del
padre, il ragazzo e la nonna trovarono qualcuno ad attenderli, sulla porta di
casa. Un uomo benvestito, accompagnato da un tipo più
giovane. - Thomas Morris?- domandò
il giovane. - Sono io.- rispose il
ragazzo. - Devo informarla di
qualcosa che riguardava suo padre, e che adesso riguarda lei. Suo padre aveva un
debito con il qui presente signor Dawes.- - Lo so.- borbottò il
ragazzo. – Lavorava alla sua locanda per estinguere quel
debito.- - Temo che il debito non
sia estinto...- - Nemmeno con la morte?-
si riscaldò Thomas. – Volete che chiami lo spettro di mio padre dalla
tomba?- - E’ semplice.- Dawes
fece un passo avanti. – Il debito passa a te.- - E’ legale.- si affrettò
a confermare il più giovane. - Non si è mai sentito!-
strepitò Margaret, realizzando il significato della visita. – Non credere a
tutto quel che ti dice l’avvocato di un benestante!- - Ho qualche conoscenza
di legge, nonna. E’ la verità.- - Hai qualche conoscenza
di legge?- lo derise con garbo Dawes. –Apprezzabile.- - Andrò all’università.-
rispose Thomas, con piglio deciso. – Mio padre lavorava per lei, ma anch’io
lavoro, per permettermi gli studi.- Dawes sorrise, senza
lasciar intendere cosa ne pensava. Thomas abbassò la testa, rendendosi conto che
non aveva scelta. Dawes poteva denunciarlo e farlo arrestare, se rifiutava di
pagare, o di lavorare per lui. Quando non esistono
alternative... - Verrò.-
Sconfitto in pieno,
eh? Preferisco non
raccontarvi in dettaglio i sei mesi che seguirono, per il nostro ragazzo. Vi
porto direttamente al momento fondamentale. Le cose importanti ve le dirà lui
stesso. Eccolo, è lì, proprio
davanti al cimitero preferito di Margaret. Seguitelo, mentre entra, immerso nei
suoi pensieri cupi tetri come la distesa di tombe davanti ai suoi
occhi. Era tardi, anche se nel
cielo c’era ancora tutta la luce dei crepuscoli settembrini, e l’aria non era
fredda. Thomas però non se ne accorse. La sua vita veniva scandita da ben altro,
che dalle stagioni. Per lui, luce o giorni brevi, era la stessa cosa. Così come
era indifferente passeggiare per le vie della città o nel
cimitero. Ritornò in sé
all’improvviso. Si fermò, chiedendosi cosa gli fosse preso, per perdere del
tutto la cognizione del tempo, e sollevò gli occhi per capire dove
fosse. Davanti a lui c’era una
tomba candida, sulla quale sostava un angelo dolente. La stessa immagine che si
era impressa nella sua fantasia di bambino, in un giorno tanto lontano nel tempo
da parergli un sogno. Rimase a fissarla,
incantato come allora. Non si accorse dei passi quieti, né della presenza umana
che gli si era fermata accanto. - Tutti credono che se ne
stia a piangere per il caro estinto che dorme là dentro, ma
sbagliano.- In quel momento se ne
accorse eccome. Gridò di sorpresa, facendo ridere lo sconosciuto spuntato dal
nulla. Era un uomo alto e magro
come uno spettro, con lunghi capelli rossicci, a cui erano mischiati fili di
grigio. Indossava vesti scure, ridotte malissimo, anche se erano portate con una
certa dignità: bottoni perfettamente allacciati e cravatta in ordine. Nel
complesso sembrava uno spirito del posto, ma uno spirito
simpatico. - Che ci fai
qui?- - Passeggiavo...-
- Un bel posto, per
passeggiare.- - Ci sono finito per
caso. Ci venivo da piccolo.- - In un
cimitero?- - Con mia
nonna.- - Portava suo nipote in
un cimitero?- L’aria distinta e
miserabile dell’uomo e la gentile ironia nella voce piacquero al
ragazzo. - Mia nonna è un po’
strana.- ammise, abbozzando un sorriso. - Puoi ben dirlo. E ti è
rimasta la mania dei cimiteri?- - No. E’ che... Non avevo
una meta precisa. Mi sono ritrovato qui. E ripensavo a quando ero
piccolo.- - Oh. I ricordi. Finisce
sempre male, quando prendi quella strada.- - Altroché. Ero già
abbastanza depresso, ma ora è anche peggio.- L’uomo rise: senza
cattiveria, solo con un misto di rassegnazione, sarcasmo bonario e malinconia.
Il ragazzo si sentì afferrare il cuore da quella risata
insolita. - E come mai eri
depresso, ragazzino, se mi posso permettere?- Thomas abbassò la
testa. - Perché le cose vanno
male.- L’uomo non commentò,
eppure, il suo non era un silenzio indifferente. Semmai, era un invito a
parlare. - Quando ero piccolo...-
cominciò Thomas, trasognato. – Ho chiesto a mia nonna perché l’angelo stesse
piangendo, e anche lei era certa che lamentasse la perdita di
qualcuno.- - Sì, lo dicono tutti.-
ribatté l’uomo. – Ma non è vero. Sai, io credo che gli angeli facciano festa,
quando qualcuno se ne va e raggiunge terre migliori. Lui piange su questa città,
che ha perso l’anima. E’ una città abitata da gente arida, e l’angelo può
piangere per un secolo: non cambierà mai niente.- A Thomas quella
spiegazione sembrò molto più appropriata e vera di qualunque altra. Una città
senz’anima. Dove ci si approfittava dei più deboli, che perdevano pian piano il
coraggio di reagire, come stava facendo lui. Una città così triste da far
piangere persino gli angeli. - Credo tu abbia
ragione.- mormorò il ragazzo, e all’improvviso gli venne un’immensa voglia
unirsi all’angelo e piangere anche lui. Lottò per qualche lungo istante, per
trattenere le lacrime e comportarsi da persona adulta. Ma l’uomo, accortosi di
quei tentativi patetici, fece un’altra delle sue risate
tristi. - Idiota. Se piangono gli
angeli, puoi piangere anche tu, che almeno hai ancora qualche lacrima. Anzi,
piangi un po’ anche per me.- E Thomas si lasciò
andare. - Perché questo posto è
così ingiusto?- mormorò, quando si fu calmato. - L’uomo è naturalmente
portato all’ingiustizia.- - E non si può fare
niente?- - Ah, no. Quelli che
avrebbero ancora un po’ di cuore, come te, non hanno mezzi. E il cuore,
finiscono per perderlo in fretta.- Thomas si asciugò le
lacrime e scosse la testa. - Non voglio
perderlo.- - Allora perderai la
testa, temo.- Nonostante tutto, quella
risposta lo fece ridere, e ciò confermò la teoria dell’uomo: stava perdendo la
testa. - Non potrebbe darmi
qualche consiglio, l’angelo, invece di stare lì a piangere?- sospirò il nostro
ragazzo. - Ci ha provato,
poveretto. Nessuno l’ha mai ascoltato.- - Io lo
ascolterei.- - Si può sapere che cosa
ti tormenta così tanto?- - E’ il posto dove
lavoro...- - Hai un lavoro e ti
lamenti anche?- - Mi ascolti o vuoi solo
commentare a sproposito?- Il tipo spettrale
ridacchiò e chiese scusa a Thomas, facendogli cenno di andare avanti e
raccontare. - Lavoro ad una locanda,
per saldare un debito che mio padre aveva con il proprietario. La mattina vado a
scuola, il resto del giorno lavoro. Ma è tutto un correre senza senso. Quel che
guadagno va nelle tasche del mio creditore, a malapena sopravvivo, e non
riuscirò mai a pagarmi l’università.- - L’università?- Lo
domandò con il suo solito tono canzonatorio, ma a Thomas non suonò
offensivo. - Voglio studiare legge.
Ma non potrò mai farlo. Solo che... Se non ho un sogno, cosa mi fa andare
avanti?- - Perché non scappi? Ti
imbarchi... Vai in cerca di fortuna.- - Sarebbe una fuga. E c’è
mia nonna, qui. Sì, certo, in sei mesi l’ho vista una sola volta a malapena, ma
non posso abbandonarla. E poi Dawes mi beccherebbe, se tentassi di imbarcarmi di
nascosto.- - L’uomo per cui
lavori?- - L’uomo che mi
odia...- - Oooh, abbiamo dei
risvolti inaspettati. Sentiamo, perché ti odia?- - Non lo so! Io... penso che sia perché
capisco qualcosa di come si manda avanti una locanda. Prima facevo il contabile,
e le cose andavano bene. Poi, una volta, mi sono permesso di dargli un
consiglio. Allora all’improvviso è subentrato un contabile nuovo, e io mi sono
ritrovato a gestire le scuderie. E il mio debito è cresciuto misteriosamente, a
causa della mia presunta inettitudine.- Thomas smise di parlare. Aveva la
sensazione di sentirsi meglio, però, dopo aver sputato tutto quel veleno. E il
silenzio dell’altro lo invitò a continuare. – E poi c’è suo figlio. Spadroneggia
su tutti, è odioso. Una volta quella disgraziata della sua promessa sposa si è
fermata a parlarmi. E lui mi odia più di suo padre, da allora. Sai, credo sia
divertente e salutare, prendersi una vittima sacrificale e dargli tutte le colpe
del mondo...- - E’ tutto normale, in
una città come questa.- mormorò l’uomo, indicando la figura dolente che
continuava ad ascoltare le loro parole. – Il tuo amico Dawes è solo un altro che
ha perso l’anima. Quelli come lui vanno avanti. A quelli come noi, al massimo
restano un po’ di lacrime e una manciata di maledizioni. E qualche
angelo.- Il nostro Thomas avrebbe
voluto ribattere che non si doveva comunque perdere la speranza. Era un tipo
tenace, nonostante i guai. Beh, non era una buona serata. Non riuscì a dire
niente: rimase a guardare l’angelo, sentendosi inutile quanto quella figura
inanimata. - E’ tardi.- L’uomo ruppe
il silenzio. – Io sono il guardiano del cimitero, qua dentro ci vivo. Ma tu devi
tornare, immagino. Però, io , la sera a quest’ora, me ne sto con
l’angelo.- - E allora?- domandò il
ragazzo, senza capire. - Era per fartelo
sapere.- Thomas non era proprio
uno scemo, e qualche giorno dopo indovinò cosa farsene, di
quell’informazione. - Guarda chi si vede. Lo
sventurato aspirante avvocato.- Thomas, imbarazzato e
incerto sul perché aveva deciso di tornare, si accoccolò a terra, sotto la
protezione dell’angelo, e aspettò una mossa dell’altro. L’altro si era portato
dietro un alcolico non ben definito. Si accomodò accanto al ragazzo e prese un
sorso dalla bottiglia. - Sentiamo, cosa ti ha
combinato Dawes oggi?- - Non ho nemmeno capito
perché se la sia presa.- - Però se la deve essere
presa davvero...- commentò l’uomo, spostando bruscamente un ciuffo di capelli
scuri dal viso del ragazzo: rivelò un livido sotto l’occhio destro. Thomas
scacciò la mano dell’uomo e si rigettò il ciuffo davanti all’occhio. L’uomo fece
una risatina. - Ti
vergogni?- - E’ già abbastanza
umiliante senza doverne parlare.- - Va bene. Lasciamo
perdere.- - Comunque è stato il
figlio.- - Una persona
perbene.- - Li odio. Tutti. Dawes,
suo figlio e i loro servitori fedeli, che ne parlano male alle spalle e poi, di
fronte ai signori, fanno gli ossequiosi e fingono di essere dalla loro parte, e
a farne le spese sono quelli come me, che non c’entrano niente,
e...- - Respira.- lo interruppe
l’uomo. – E bevi.- Thomas prese una timida
sorsata e abbassò la testa. - E perché, tutto questo,
poi?- - Perché sei un bravo
nipote che non vuole abbandonare sua nonna, e uno studentello diligente che
ambisce all’università.- - ... però non è giusto
che la mia vita sia decisa da Dawes.- - La tua vita è decisa
dall’Ingiustizia, che regna sovrana su questa città, ragazzino. Un po’ come la
mia. E come la vita di mille altri. Ingiustizia ci tiene prigionieri, e noi
siamo fregati. Al massimo, abbiamo la pietà di quelli come lui.- concluse,
indicando l’angelo piangente, che avrebbe ben presto imparato a conoscerli
bene. La terza sera litigarono
un po’ su tutto: politica, filosofia, religione e la moralità degli alcolici. La
quarta sera l’uomo rivelò il proprio nome: Julian. Dalla quinta sera in poi, i
tre divennero inseparabili. Sì, i tre: il nostro ragazzo e il suo spettrale
amico decisero di accogliere nel loro piccolo circolo anche l’angelo. Non di
grande compagnia, ma a suo modo carismatico. Potrei stare qui a
raccontarvi tutte le loro serate. Sarebbe divertente: dialoghi pieni di arguzia
saporita e filosofia spicciola, l’ironia garbata di Julian e gli sprazzi di
speranza ribelle di Thomas. Una speranza, stupida e tenace, in qualcosa di
buono, per quelli come loro. E poi, Julian ascoltava
Thomas. Non è scontato come sembra. Per più di sei mesi, l’odio e la rabbia di
Thomas perdevano consistenza, trasformandosi in parole. Julian raccoglieva
tutto, senza commenti. A volte rideva dei drammi
di Thomas, perché era solito ridere dei propri, ma la verità è che sperava in
qualcosa di meglio, per quel ragazzo. Thomas era come il
riscatto della sua esistenza. Se il sogno di Thomas si salvava, forse anche
Julian si salvava. Le storie precipitano
tutte, ad un certo punto. So che lo sapete. Ecco, qui è dove questa
storia precipita. Molto, molto in fretta, e
molto in basso. Una bella mattina di
marzo, qualcuno ripescò un cadavere, nel vicolo dietro la locanda di Dawes. Non
ci volle molto a riconoscere il proprietario della locanda, ucciso da una
ventina di colpi di pugnale. La notizia si diffuse in un istante, e arrivò anche
al nostro ragazzo. E non è piacevole pensare
a come si sarà sentito. Pensate un attimo al tipo che era. Da quali emozioni
sarà stato travolto? Troppe, tutte
insieme... Un’ondata di immenso
sollievo, seguita da un senso di colpa così lacerante da togliergli il respiro.
Una goccia di pietà per quell’uomo malvagio – nonostante tutto, forse. E poi...
un presagio oscuro. Julian
stava pulendo le aiuole del cimitero, quando Thomas arrivò da lui, agitato come
una tempesta, sconvolto. - Dawes è
morto. L’hanno ucciso. L’hanno ritrovato stamani. E io mi sento in colpa. Gli ho
augurato il male così tante volte, dentro di me. E non devo sentirmi sollevato,
non devo, non è giusto...- - Calmati.-
Fin troppo privo di emozione, Julian. Thomas non vi prestò attenzione e continuò
a parlare. Poi si interruppe, all’improvviso. C’era qualcosa di strano, in tutta
quella calma. - ...
Julian?- - Non
parlare così in fretta.- - Julian,
tutto bene?- - Tutto
bene. Certo.- L’uomo era
sempre stato spettrale, ma questa volta il ragazzo sospettò veramente di avere
davanti agli occhi un fantasma. Non so bene
come fece Thomas a leggere in quel silenzio – ma so che quando cominci a
conoscere bene qualcuno, le intuizioni ti arrivano. Thomas ebbe
la sua intuizione, e in un istante si trovò davanti agli occhi uno
sconosciuto. - Sei stato tu?- Tutta la desolazione del
mondo scese negli occhi di Julian. - Non riuscivo più ad
ascoltare tutto quello che mi raccontavi...- rispose. - Ma non ti rendi conto
di cosa...- Disgusto, terrore, e
quella sensazione di gelo che ricopre ogni sentimento. Il Cielo voglia che né io
né voi dobbiamo provarla tanto spesso. Thomas si voltò e corse
via, più in fretta che poteva, per lasciarsi alle spalle quella persona che non
riconosceva. Sentì Julian che lo
chiamava, ma non si voltò. Era la prima volta che
Julian pronunciava il suo nome. Quando
questa storia è stata raccontata a me, non mi è stato rivelato molto dei giorni
che seguirono. Io non credo di avere la forza di inventare. Riuscite ad
immaginare cosa possono aver vissuto, entrambi? L’inferno.
Non saprei chiamarlo in altro modo. L’intuizione
mi dice che Thomas si sarà preso colpe immaginarie: avrà pensato che era stato
lui, a far defluire il suo odio per Dawes in Julian, attraverso le sue parole e
la sua rabbia... Non so cosa
possa aver pensato Julian, ma so quanto terribile sia il senso di
colpa. Inevitabilmente,
quei due si rividero, a breve. Si ritrovarono di fronte al loro terzo compagno,
una sera, che somigliava troppo ad un passato ormai
irrecuperabile. Se Thomas
sembrava privo di ogni energia, Julian aveva completato la sua mutazione in
spettro. - Vedi?-
Julian indicò l’angelo. La voce velata di ironia cortese era spezzata, debole. –
Ora piange anche per me. Perché ho fatto una cosa orrenda, e ho reso più strette
le catene dell’ingiustizia che imprigionano questa città.- - Julian. Tu... sei
ancora mio amico.- - Non merito
amici.- - Lo so che tu sei
consapevole di quel che hai fatto! Tu sei buono! Hai pensato che uccidere Dawes
fosse l’unica cosa da fare per aiutarmi, ma sono sicuro che te ne sei pentito un
attimo dopo. E...- E precipitiamo
ancora. Rumore di passi dietro di
loro, il cuore che perde un battito, per la paura, e una piccola folla con torce
e armi. Davanti a tutti, il figlio di Dawes, che aveva seguito Thomas,
sospettandolo dell’omicidio di suo padre. Di nuovo, l’inferno:
Thomas aveva appena rivelato a quella gente in cerca di vendetta il nome della
persona che aveva strappato la vita a Dawes. Il finale di quella storia poteva
essere uno soltanto, e lo sappiamo tutti. Julian spinse via Thomas,
per salvarlo da ogni pericolo. Thomas tentò penosamente di difendere Julian, ma
braccia più forti delle sue si misero in mezzo, tenendolo
lontano. In seguito non avrebbe
ricordato nulla. Nulla, se non grida, fiamme, e l’angelo orribilmente macchiato
di sangue. E’ a questo punto della
storia che arrivo io. Un commerciante di
stoffe, né povero né ricco, appena tornato da due anni di viaggi per mare. Era
aprile, e mi fermai al cimitero, a salutare i miei vecchi. La prima immagine che
ho di Thomas è quella di un ragazzino accoccolato ai piedi di quella splendida
tomba su cui piange un angelo. Non sono un tipo molto
serio, e neppure molto buono, ma ho una passione ardente per i guai, e devo aver
presentito quelli, quando mi sedetti accanto a lui, chiedendogli se aveva
bisogno d’aiuto. - Sai perché piange?- mi
domandò, indicando l’angelo. Non la risposta che mi
aspettavo... Immaginai che fosse un
po’ fuori di testa, ma ormai mi ero messo in testa che lo avrei aiutato – lo sa
il Cielo perché. - Beh,
no.- - Piange su questa città
che ha perso l’anima.- Interessante. Ma era
troppo disperato, per non prenderlo sul serio. - Ah, non è solo questa
città. E’ così dappertutto. Gli uomini fanno schifo.- - Lo so. Se solo gli
angeli potessero vincere, per una volta...- E io non credo che potrà
mai esserci qualcos’altro che mi spezzerà il cuore come quelle
parole. - Finché piangono, vuol
dire che c’è ancora un po’ di pietà, per questa città e questo povero mondo.-
risposi, senza capire cosa stavo dicendo. – Sarebbe peggio se anche gli angeli
si dimenticassero di noi.- Si mise a piangere,
silenziosamente, mentre io stentavo a riconoscere me stesso. Cominciai a capire
che la sua strada e la mia si erano legate, in quel momento, e che mi sarei
fatto carico della sua storia. - Io sono Eric. Dimmi se
posso fare qualcosa per te...- - Nessuno può fare
qualcosa per me.- Allora cominciai ad
esasperarlo, finché, con una serie di penose mezze frasi, mi raccontò la sua
storia. E senza saperlo, scrisse l’inizio di un’altra
storia. Quando ebbe finito di
parlare, avevo già preso la prima delle mie decisioni folli, di quelle che mi
hanno reso un uomo povero – ma soddisfatto di me. - Pagherò il tuo
debito.- Mi rispose con un paio di
offese. Insistei. Anche lui. Ma l’ho avuta vinta io, quella volta, nonostante
fosse già l’avvocato che è diventato. Il giorno dopo andai a
pagare il giovane Dawes. Thomas era libero dal debito. Invece gli assassini di
Julian Whitemoor, custode del cimitero, erano liberi dalla giustizia – nessuno
li aveva puniti. Thomas poteva frequentare la facoltà di giurisprudenza, ma la
sua fiducia nella giustizia era morta con Julian. Questo, però, è il punto
in cui la storia cambia direzione. Intestardito nel
ritrovargliela, quella fiducia, aiutai Thomas a pagarsi l’università e gli
suggerii l’idea di uno studio legale che prendesse le difese dei disgraziati
contro i potenti. La prima volta Thomas rispose che era inutile.
- E’ vero. Ma almeno la
gente più debole avrà qualcuno dalla sua parte.- Si mise a ridere – e sono
certo che quello fosse lo spettro della risata di Julian. Lo studio legale Julian
Whitemoor, che io finanzio, accetta solo cause perse in partenza, ed è per
questo che siamo alla fame. Ma Thomas è il mio più caro amico, e la persona che
ha , involontariamente, deciso il mio destino. Ormai, i suoi sogni sono
passati anche a me. E oggi ha vinto la
settantatreesima causa della sua vita. C’è Ed Fielder, di là, a
ringraziarlo di aver salvato il futuro dei suoi figli. Ha portato Tess, la
minore: non hanno soldi per pagarci, ma la piccola ha del talento artistico e
vuole disegnarci qualcosa, in cambio. - Va bene.- ha risposto
lui. – Nel cimitero più bello della città c’è una tomba sulla quale sta un
angelo in lacrime. Disegnami quell’angelo. Mi ricorda molte cose, sai.
Soprattutto, mi ricorda perché sono qui.- Li guardo svanire nel
buio, dalla mia finestra. E’ l’ora dei festeggiamenti. Ah, ma lui deve sempre
obbedire alla malinconia, e protesta che non è dell’umore giusto. Ma non
dimenticate che sono bravo a insistere. E’ una vittoria
facile. E’ molto stupido, lo so,
ma a volte penso che da quando Thomas ha messo in piedi la sua assurda attività,
l’angelo si sia un po’ consolato.
...e quasi dimenticavo i doverosi credits! Grazie all'ispiratrice involontaria, la mia cuginetta Elena, di sei anni. Navigavo in alto mare e non sapevo bene nemmeno che opera d'arte scegliere, e lei, di fronte alla mia felpa dei Nightwish con sopra l'Angel of Grief (l'hanno usato come copertina di Once), mi domandò: "Perché piange, l'angelo?"
Tutto è partito da lì.
E grazie alle mie consulenti, Simo (in quanto quasi avvocato) e Ceci (in veste di appassionata ed esperta di Ottocento), che si sono sorbite una serie di quesiti epici riguardo ad un ipotetico studio legale ottocentesco!XD