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Autore: the lost arch angel    27/04/2008    0 recensioni
memorie di una ragazza cellophane...
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I ’M DANCING WITH MYSELF

                                                                         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Iniziava il caldo, l’odiosa estate, con le sue ascelle pezzate e polpacci pallidi in mostra. Autobus soffocanti e strade in salita. I fichi dell’albero davanti casa di Sergio marcivano e si spiaccicavano sul marciapiede come gavettoni putrescenti.

Le chiazze di terreno nel giardino si facevano di marmo anche se le innaffiavi tre volte al giorno con la pompa. Il riverbero del sole accecava gli occhi neanche fossimo già ad Agosto. Le sere erano umide però, e l’aria ancora leggera.

Come quella sera, che ti veniva proprio di startene solo parcheggiato in un posto isolato a fumare pacchetti di Marlboro fino all’apocalisse.

 

Decisi di prendere in mano la situazione.

- Parliamoci chiaro, Alè. Tu vuoi che ci lasciamo -

Alessio espirò rumorosamente il fumo della sigaretta e sporse il braccio sinistro fuori dal finestrino della macchina come un camionista consumato.

- Non è questo. E’ che io tanto ti lascio comunque, insomma, che tu vuoi o…-

Continuava a guardare davanti a se. Chissà cosa c’era di speciale negli aloni dei moscerini spiaccicati sul parabrezza. Io lo guardavo morbosamente, in faccia, ogni suo movimento mi procurava un fastidio immenso. Parole ragionevoli, spiegazioni smozzicate, colpe equamente retribuite e tristezza mista a sollievo.

- E’ che io non ti amo più. Me ne sono accorto, da un pò e ho visto che le cose insomma…non andavano bene già da un pò no? E che tu ormai ti annoi con me…no, guarda che è vero me ne sono accorto sai? -

Stringevo spasticamente le mani perché non tremassero. Mi concentrai sui condomini illuminati alla mia destra, sembravano un presepe triste e post-industriale. Il silenzio, così pesante, quando tra di noi era sempre stato sereno e mai imbarazzante.

Gli sorridevo incoraggiante e mi dissi d’accordo con lui. Doveva succedere prima o poi no? Era comunque bello e strano lasciarsi così, senza rancore, pianti o strepiti no? Restare così, amici no? Ed era strano perché ero ancora così bella ai suoi occhi…

Annuivo energicamente. Ci vogliono muscoli facciali di ferro per situazioni così.

Dovevo promettergli che mi sarei circondata di una marea di amici, sissì. E che avremmo continuato a volerci bene, avevamo fatto un bel pezzo di strada insieme no? Già che bellezza. Mi diede consigli, raccomandazioni, lui. Era tutto così ironico che mi sarei messa a ridere sguaiatamente e a cantare Alanis Morrisette, se non avessi prima pensato che mi avrebbe presa per pazza. Gli diedi quello che voleva fino all’ultimo. Rimasi placida come una gatta stesa al sole tiepido dell’ultimo pomeriggio d’inverno.

Insistetti a raggiungere gli altri in piazzetta.

Una volta li ci dividemmo all’istante. Si allontanò subito, quasi a non voler far capire che eravamo arrivati insieme.

Lo dissi a Stefania mentre andavamo a comprare le sigarette al tabacchi nel Corso.

“ Mi serve un’amica “ smozzicai con sforzo.

Checco era evaporato come Bee Bee lo struzzo inseguito dal Coyote. Laura lontana a Roma, con le sue telefonate sonnacchiose e i suoi drammi egoistici per Marco Alberto. Il resto meglio perderli che trovarli.

Stefa si mostrò dispiaciuta e alla mia richiesta sorrise e mi abbracciò.

“ Ma certo “ mi rassicurò strofinandomi consolante la sua mano sulla spalla.

Tornata a casa in cucina, piansi quello che dovevo piangere. Poche lacrime e tanti singhiozzi soffocati, come fanno gli uomini nei film.

Da quel giorno in avanti ogni incontro con Alessio era una sensazione di sottile umiliazione. Era un pò come se non avessi più diritto a essere presente in mezzo a loro. Non dicevano nulla, ma lo sentivo.

 

Giorni dopo, a conferma dei miei sospetti maturati nella bile di una sera alla festa dell’ Unità, seppi che ero anche stata presa in giro.

Umiliata, calpestata, ignorata.

L’immagine di Alessio stretto a quello scorfano, anche prima che ci lasciassimo, bruciava più di un acido corrosivo.

 

L’amarezza e la vergogna mi stanno soffocando lentamente come serpi misericordiose. Fa sempre più caldo e io mi affanno a stare a galla. Mi sembra di stare in quel film con Vincent Cassel, L’Odio, che mi ripeto sempre come un mantra: Fino A Qui Tutto Bene.

 

Fino a qui tutto bene.  

 

 

 

* * *

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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