Film > The Big Four
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Autore: Feel Good Inc    17/11/2013    9 recensioni
{ Dragon Trainer x Le 5 Leggende x Rapunzel x Ribelle }
#I. La ragazza dai lunghissimi capelli biondi si voltò a guardarlo e solo in quel momento il tempo tornò a scorrere, la realtà rivestì i panni dell’assurdità che era – un viaggio senza senso, la cima di una torre solitaria, un patto raffazzonato a cercare di dare un significato a questo nuovo mondo ancora tutto sconosciuto per entrambi.
«Mi farai volare?»

~
#IV. Il mattino seguente, il ghiaccio aveva formato una pozza ai piedi del letto, ma la mamma non aveva voluto credere alla sua storia e l’aveva sgridata perché non aveva voluto fare pipì prima di dormire.
~
#V. «Andiamo a vivere insieme, tu e io, un giorno. In un posto qualsiasi, ma insieme.»
~
#X. «Come sta?» le venne di nuovo in aiuto la voce di Jack, lontana.
Rapunzel li raggiunse. «C’è Sdentato con lui» disse soltanto, come se nient’altro contasse.

~
#XI. «Si può sapere che hai, Merida? Oggi non sei in te.»
«Oh, scusa, Punzie. Ho fatto uno strano sogno...»

{ Jack/Hiccup/Merida/Rapunzel }
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~ a thousand {years} more.

 

 

 

 

 

 

 

# illusione

 

 

 

«Ho combinato un disastro.»

Jack le fece spazio sullo stesso appiglio di roccia in cima alla cascata dove – così le aveva raccontato – l’aveva vista la prima volta, quando Hiccup era arrivato in groppa alla sua storia triste, quando la Principessa Perduta era ancora perduta per tutti. Non disse nulla, solo continuando a giocare con una palla di neve che andava sciogliendosi nel caldo tramonto scozzese.

«Mia madre» esordì Merida, incerta su come presentare la cosa nella luce meno ridicola possibile. «Anche se non è più la regina reggente, pensa che dobbiamo comunque consolidare le nostre alleanze con le altre famiglie di nobili del Paese. Così...»

«Così il matrimonio combinato è ancora valido» concluse Jack per lei, e Merida dovette soffocare un sospiro. Non era così semplice, accidenti. «Non devi averla presa bene.» Impossibile definire il suo stato d’animo; sembrava divertito, ma in qualche modo anche seccato.

«No, infatti» si rassegnò a confermare. «Sono andata da una strega.»

Jack si voltò per la prima volta a guardarla, sorpreso, ma neanche troppo. Il sole creava riflessi di fuoco sui suoi capelli di neve. Merida si chiese disperatamente quanto l’avrebbe trovato divertente.

«Per sbaglio» sottolinea, «per sbaglio l’ho trasformata in un orso...»

«La strega?»

«No! Mia madre.»

Jack rimase per un istante in un silenzio attonito, poi emise un verso inconfondibile – Merida avrebbe potuto giurare che fosse stata questa la prima cosa ad avere avvertito di lui; prima di vederlo, prima di sentirlo, in qualche modo conosceva già il suono della sua risata. Per un attimo si domandò se anche per Rapunzel fosse stato così... Poi si scosse, si ricordò di cosa stavano parlando e lo spintonò.

«Non c’è niente da ridere, Jack!»

 

 

Non c’è mai stato niente da ridere.

 

 

«Merida. So che la realtà è difficile da accettare.»

Lei si agita a disagio sulla seggiola di una scadente plastica bianca, attorcigliandosi un ricciolo attorno a un dito. Non è mai facile parlare con la figura in ombra, specie perché non le crede, non le ha mai creduto.

«Per favore, raccontami tutto daccapo. E questa volta sii sincera, d’accordo?»

Merida sospira. Sa già che non arriveranno a niente.

«E va bene. Sono nata nel regno di DunBroch, due anni dopo la legittima erede al trono. Quando lei fu rapita in culla, i suoi genitori impazzirono di dolore e abdicarono in favore del nostro ramo della famiglia reale. Poi, un anno fa, un ragazzo con un drago è arrivato nella mia terra e si è messo in testa di ritrovare la principessa. Dio solo sa perché. L’ho seguito perché ero preoccupata per lui, ma non l’avrei trovato senza l’aiuto di Jack Frost... Perché vede, Jack Frost esiste, del resto si trova qui anche lui...»

La figura in ombra non replica. Merida si raddrizza un po’ sulla sedia, prosegue con più decisione.

«Ho cominciato a credere in lui e sono riuscita a vederlo e a parlargli. Anche Jack era sulle tracce della principessa, perché sapeva che la sua carceriera era pronta a tutto pur di riprendersela e chiuderla di nuovo nella torre in cui l’aveva tenuta segregata per diciotto anni. Non mi chieda come si erano conosciuti, per favore. Qualche volta sospetto che Jack vada a ficcarsi apposta nei pasticci peggiori. Comunque, insieme li abbiamo trovati, tutti e due, Hiccup e Rapunzel, e li abbiamo aiutati a salvare Berk dalla Morte Rossa – lo sa, Hiccup poi era tornato a Berk, Rapunzel lo aveva convinto ad affrontare il suo passato prima che a restituirle il regno, e là c’era tipo la fine del mondo e se non fosse stato per Hic...» S’interrompe ancora e deglutisce. Ora arriva il difficile. «Quando siamo tornati a DunBroch, subito dopo l’incoronazione ufficiale di Rapunzel, ho mandato tutto a rotoli. Mia madre continuava a programmarmi la vita e io... io mi sono rivolta a una strega. Solo che non è andata come volevo... Io volevo solo farle cambiare atteggiamento, ma lei è diventata un orso. Cioè, un orso vero. Letteralmente. Da quel momento è andato tutto storto e...»

«Ed è per questo che sei qui.»

La voce della figura è una sferzata cattiva in un flusso di ricordi già di per sé piuttosto duri. Merida china il capo, sforzandosi di non piangere. Non piange mai, lei. Solo la figura in ombra riesce a condurla quasi fin lì.

«Quello che tu mi chiedi, Merida» riprende la voce, in un tono atono e gelido che le sembra di conoscere fin troppo bene – lei le parlava così, quasi sempre così... finché non è stato troppo tardi per parlare – «è di credere a una storia di draghi, di folletti delle nevi invisibili, di incantesimi e di streghe.» La voce assume una nota appena percettibile di rimprovero: anche così è ancora molto familiare. «Devi capire che mi è difficile, nel contesto, dare per scontato che tu mi stia dicendo la verità su ciò che ti ha portato qui.»

«Ma è così» protesta Merida, con uno scatto che la porta a tirarsi dolorosamente i capelli, ormai ridotti a un garbuglio informe tra le sue dita; «è la verità

«No, Merida, non lo è.»

«Insomma, cosa devo fare per farle capire che non sono pazza?»

«Cosa devi fare?» La voce della figura, a questo punto, è quasi compassionevole. Fa ancora più male del solito. «Oh, ma è molto più facile di quanto pensi. Devi solo smetterla di credere che tutte queste sciocchezze siano reali

 

 

~

 

 

Gli sedette vicino sforzandosi di non guardare la protesi metallica che aveva sostituito la sua gamba dal ginocchio in giù, provando l’ennesima fitta di rimpianto per il modo in cui era andato a finire il salvataggio di quello stesso mondo che gli aveva sempre voltato le spalle – e l’ennesima fitta d’imbarazzo perché non era riuscita a fare nulla, nulla se non baciarlo e mescolare le lacrime al suo sangue. Si sarebbe domandata per tutta la vita se per lui fosse contato più quello che non la sua canzone e i suoi capelli, ma sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo.

Hiccup le rivolse un mezzo sorriso e poi tornò a guardare il reame che, dopo una lunga giornata di festeggiamenti e speranze ritrovate, si preparava al sonno meritato di chi ha risolto tutti i problemi del mondo, dondolando nel vuoto quel suo nuovo surrogato di arto. Rapunzel fece scorrere la mano sul dorso di Sdentato, accoccolato lì accanto, e cercò di non pensare che sua madre – no: la donna che aveva sempre creduto sua madre – era caduta da un’altezza non molto più alta di quella della terrazza del palazzo. Il suo palazzo. La sua vera casa, dove già quasi si sentiva sola.

E pensare che non aveva mai avuto così tanti amici.

«Cosa farai, adesso?»

Come se intuisse i suoi pensieri, come se sapesse che lei aveva solo bisogno di non pensare, Hiccup esibì una stiracchiata e assunse un’aria sicura che non gli apparteneva – a meno che non ci fossero draghi selvaggi e giganteschi da spedire tra le fiamme dell’inferno. Rapunzel sapeva che faceva così solo per distrarla, e gli fu più grata che mai, più di quanto non lo fosse stata allora, all’inizio, quando era venuto alla torre e le aveva promesso che l’avrebbe fatta volare.

«Viaggerò. Sì, proprio come Jack – non mi fermerò mai. Non voglio tornare per sempre a Berk, adesso che ho scoperto quante cose meravigliose ci sono al mondo... Non si tratta più solo dei draghi.» Sorrise a qualcosa che forse vedeva solo lui, tra il mare e il cielo, tra le stelle e le luci fluttuanti che, aveva scoperto, erano lanterne. «E poi non ho intenzione di abbandonare Merida o te.» Arrossì di colpo; c’era abbastanza luce per vederlo, ma Rapunzel finse di non darvi peso. «Se non fosse stato per voi, io...»

«Lo so.»

Non c’era bisogno di parlarne. Nessuno di loro ce l’avrebbe fatta da solo, senza gli altri. Hiccup annuì e Rapunzel si chiese che cosa avrebbe fatto lei, d’ora in poi.

 

 

Nessuno di loro ha mai potuto fare nulla da solo, senza gli altri.

 

 

«Parlami di tua madre.»

Rapunzel sa che dovrebbe abituarsi a quella domanda. Arriva tutti i giorni, tutte le volte che viene a sedersi sull’unica seggiola dell’unica stanza dove non possono stare tutti insieme – dove ciascuno di loro è costretto a restare da solo. Eppure è sempre doloroso come fosse la prima volta.

«Non era mia madre» risponde automaticamente, memore delle parole di Merida. Non era mia madre e non è stata colpa mia.

«Va bene, allora» le concede con ostentata condiscendenza la donna dai lineamenti sfocati dalle ombre. «Parlami della persona che ti ha cresciuto come una figlia.»

Rapunzel non può sottrarsi. Non può mai farlo, del resto – per la stessa ragione per cui non può più festeggiare la Festa dei Fiori, o vedere le luci fluttuanti, o volare stretta a Hiccup sulle ali di Sdentato: non c’è via d’uscita da qui.

«Non mi ha mai permesso di uscire dalla torre» comincia in un sussurro, ben consapevole di quante volte abbia già raccontato questa storia. «Né di tagliarmi i capelli. Diceva che erano un dono, un bel dono da conservare per sempre e da proteggere a qualsiasi costo...» Chiude gli occhi. «Soltanto quando sono fuggita ho scoperto il perché. Non lo faceva per il mio bene, ma perché voleva che i miei capelli appartenessero solo a lei. Che servissero solo a lei... È stato Jack, alla fine, a dirmi tutta la verità, e ho subito sospettato che gli altri l’avessero capito da un pezzo. In quel momento l’ho davvero odiata, cerchi di comprendere..»

La donna senza volto ignora la sua pausa intrisa di qualcosa che a metà è rancore, a metà compassione. «Parlami di come è morta» la incalza, cruda.

Rapunzel batte le palpebre e cerca di riordinare le idee. «È stato un incidente. Mi aveva seguita fino a Berk... Sospettavo che non mi avrebbe lasciata andare per la mia strada senza fare nulla, ma non mi aspettavo di vederla lì. E a Berk c’era una guerra, una come non avrei mai immaginato che ce ne fossero. La Morte Rossa era un nemico così temibile che gli uomini non sarebbero mai sopravvissuti, non se Hiccup non fosse riuscito a collaborare con i draghi, invece che combatterli...» Soffoca un singhiozzo. «Ma a lei non importava dei draghi, era venuta solo per me. Non se n’è quasi accorta, quando la terra le è franata sotto i piedi. Mi teneva stretta per i capelli e... e Jack e Merida mi hanno tirata in salvo... e poi... poi...» Cerca di guardare la donna in penombra dritto negli occhi, ma non li trova, e forse è solo colpa delle lacrime nei suoi. «Mi ricordo che sul momento non me ne sono nemmeno resa conto. Hiccup era precipitato nel fuoco, solo questo sapevo. Non appena mi sono sentita libera, sono corsa da lui. E solo quando ho saputo che era salvo ho realizzato... che lei non c’era più. Non c’era più e in realtà non c’era mai stata. Non era mia madre.»

La donna senza volto resta a lungo in silenzio, e Rapunzel sa che non lo fa per riflettere sulle sue parole, ma perché lei stessa si renda conto di quanto suonino false. Però è la verità, Dio, è la verità. Non era sua madre e non è stata colpa sua.

«Che cos’è successo dopo?» chiede la donna, anche se sa benissimo cos’è successo dopo.

Rapunzel abbassa lo sguardo, segue con gli occhi il percorso sinuoso delle ciocche che le cadono dalle spalle per svolgersi su tutto il pavimento. Non è mai riuscita a tagliarli, alla fine; le sembrava sbagliato.

«All’inizio ho avuto una fase di rifiuto. Ho chiesto a Hiccup di riportarmi alla torre. È stata Merida a farmi capire che volevo uscire, che sapevo già benissimo che restando lì non avrei cambiato nulla di quello che era stato... Allora sono tornata a DunBroch, e sono tornata ad essere la principessa.»

La donna raccoglie in silenzio le cartelle e i documenti sparsi sulla scrivania davanti a sé. Poi si alza e, senza più mostrare interesse, esce dalla stanza.

«Raddoppiatele le dosi» la sente dire a qualcuno che l’aspetta nel corridoio, «come anche a tutti gli altri.»

La porta si chiude e Rapunzel si concede finalmente di piangere.

 

 

~

 

 

Quando se la vide galoppare incontro più veloce del vento, il primo pensiero di Hiccup fu che Merida volesse fermarlo. Smise per un istante di assestare la sella di Sdentato, e il drago lo fissò come per chiedergli perché esitasse. Hiccup gli diede una pacca rassicurante sul dorso e si mosse sulle gambe ben ferme – non ci aveva messo molto ad abituarsi alla protesi: era vero, adesso erano proprio uguali, lui e Sdentato – per fronteggiare Angus, che si fermava in quel momento con la lingua in fuori e i fianchi schiumanti a qualche passo da lui.

Merida smontò con uno svolazzo dei riccioli rossi. «Ci sono riuscita, Hic! Ho capito tutto!»

Hiccup scambiò un’occhiata con Sdentato. Non era la premessa che si aspettava. Tornò a fissarla e si rese conto di non averla mai vista così felice; era sempre stata sorridente, questo sì, a parte forse per la faccenda della sua gamba... Ma adesso era veramente, completamente felice.

«Hai capito tutto?» le fece eco, e nello stesso istante ricordò la storia della strega e del dolcetto. Spalancò gli occhi. «Oh!... Hai trovato l’antidoto?»

Merida rise e lo abbracciò, così improvvisa e impetuosa che Hiccup non cadde solo perché Sdentato aprì un’ala e lo sorresse. «Sono io l’antidoto. Ricucire lo strappo... Non si riferisce all’arazzo, si riferisce a noi. A me e alla mamma. Adesso so cosa devo fare!»

«Oh... Giusto» sorrise lui, ricambiando la stretta e cercando allo stesso tempo di ritrovare l’equilibrio. «Ma, uhm, se è così, non capisco perché stai abbracciando me.»

Lei smise di ridere e lo strinse un po’ più forte. Per qualche istante non parlò. Hiccup si chiese se non avesse detto qualcosa di sbagliato.

«Non lasciare che tuo padre senta ancora la tua mancanza» la sentì mormorare alla fine. «Torna da lui. Non dico subito, non dico per sempre, ma torna a casa, un giorno.» Si ritrasse quel tanto necessario a guardarlo negli occhi, a mostrargli un sorriso nuovo. «Non ti sto dicendo di andartene, bada! Ma Rapunzel aveva ragione. Se c’è una cosa che abbiamo guadagnato da tutta questa storia, è una famiglia.»

Hiccup comprese. Parlava di loro quattro, ma parlava anche di Stoick, di Elinor, dei genitori veri o falsi di Rapunzel.

Annuì. Qualunque cosa fosse accaduta, non avrebbero mai più perso quel che avevano trovato.

 

 

Se c’è una cosa che hanno guadagnato da tutta quella storia, sono loro stessi.

 

 

«Ed è così che è finita. Ti sei ritrovato qui. Proprio come i tuoi amici, vero?»

Hiccup tiene gli occhi fissi sulla forma dormiente di Sdentato. Prima di acciambellarsi in quel punto come un enorme gatto soddisfatto ha quasi incenerito il pavimento, ma lui sa per certo che l’uomo nell’ombra non vede neppure la bruciatura. Non risponde, limitandosi a pensare con rammarico che alla fine hanno perso tutto, tutto quello che avevano lottato così duramente per ottenere; non è rimasto altro che loro e la consapevolezza di essere soli. Jack continua a sentirsi invisibile, Rapunzel continua a sentirsi in colpa, Merida non ha mai superato la cosa dell’orso e lui...

«Ti ricordi com’è cominciata?»

Lui ha Sdentato, vorrebbe dire a se stesso, ma sa fin troppo bene dove vuole arrivare la domanda dell’uomo nell’ombra.

«Con i draghi» sospira. «È cominciata con i draghi.»

«Sii più preciso.»

«È cominciata col fatto che tutti combattevano i draghi per istinto, perché era naturale, perché era giusto. Io ero quello che non ci sarebbe mai riuscito. E quando mi sono trovato faccia a faccia con un drago – quando ho preso la Furia Buia» si corregge, felice del fatto che Sdentato stia dormendo e non possa sentirlo parlare di quel momento, «ho capito di essere diverso per davvero. Non è che non ho potuto. Non ho voluto uccidere un drago.»

Ricorda distintamente di aver raccontato questa storia anche agli altri. E sei stato il primo a cavalcarne uno, gli hanno detto.

L’uomo nell’ombra non è altrettanto bendisposto a vedere il lato positivo della cosa. La domanda successiva non ha affatto un tono incoraggiante.

«Dov’è il tuo drago ora, Hiccup

«Proprio alla sua destra» gli risponde brusco, senza un attimo di esitazione.

L’uomo non gli dà la soddisfazione di voltarsi a guardare. Del resto sanno entrambi che non può vederlo. Del resto è per questo che Hiccup è qui.

«Su almeno un punto della tua versione dei fatti siamo d’accordo, Hiccup.» L’uomo nell’ombra sparge sulla scrivania alcuni fogli solcati da righe e righe di valutazioni tutte uguali. «Il tuo sentirti e riscontrarti diverso, per tua stessa ammissione – è su questo punto che vorrei tu ti concentrassi.»

Hiccup serra le mascelle, preparandosi al seguito.

«Vuoi sapere come la penso io?» Non attende risposta. «Io penso che tu ti sia sempre sentito profondamente incompatibile, in aperto contrasto con l’ambiente che ti circondava fin dalla nascita. Tuo padre – correggimi se sbaglio – è il tipo di persona che si fa certe aspettative e non si cura troppo di nasconderle, non è vero?» Hiccup non si sogna nemmeno di correggerlo, e lui prosegue. «Ebbene, è proprio qui che entra in gioco il tuo drago. Attraverso di lui hai modo di esorcizzare la tua paura di non essere all’altezza, Hiccup. Lui è il tuo successo, non il tuo fallimento... Credimi quando ti dico che è una storia piuttosto comune nei giovani della tua età.»

No, pensa Hiccup, non lo è.

«L’unico aspetto... originale, se vogliamo metterla in questi termini... della tua situazione» conclude l’uomo, «è che è molto raro crearsi addirittura un drago come amico immaginario.»

Hiccup guarda tristemente Sdentato, lieto che l’uomo nell’ombra abbia almeno scelto di usare la parola amico.

 

 

~

 

 

«Posso farti una confidenza?»

Jack rimase sospeso nel vento fuori dalla finestra di Rapunzel, come aveva fatto innumerevoli volte in un altro luogo, quando lei era una bambina alle prese con gli incubi peggiori. «Dimmi.»

La Principessa Ritrovata giocherellò con la treccia che un’orda di efficienti dame di compagnia avevano assicurato per lei. Sembrava a disagio, ma un timido sorriso le splendeva sulle labbra.

«Quando ho lasciato la torre...» S’interruppe, forse in cerca delle parole giuste. Jack realizzò soltanto allora che quella era la prima volta che restavano soli da Berk, da quando lei l’aveva visto, non appena lui e Merida erano arrivati giusto in tempo per dare manforte a Hiccup... Forse per questo era nervosa. «Insomma, c’era qualcosa che volevo verificare.»

«Lo so» disse Jack, «volevi capire cos’erano le lanterne.»

«Sì, anche quello» ammise Rapunzel. «Ma soprattutto... sai... volevo trovare una conferma che tu esistessi.»

Jack rimase così sorpreso da perdere la corrente. Dovette appollaiarsi sul davanzale, e la ragazza si ritrasse appena. La guardò: era stata Merida la prima a vederlo davvero, e poi lei, e poi Hiccup – ma mai come adesso avvertiva così forte la consapevolezza di essere vicino a qualcuno. E allora ricordò una cosa.

«Mi stai dicendo che hai ancora quell’orrendo disegno che hai fatto a otto anni?»

Rapunzel avvampò e cercò di colpirlo, ma rideva quanto lui. Jack tornò a fluttuare nel suo elemento, pronto a lasciare il Paese per trasferire il freddo altrove, felice di sapere di non essere il solo ad aver trovato il proprio posto.

 

 

Mai come adesso avvertono la consapevolezza che il loro posto è – non importa dove – insieme.

 

 

«Se quanto dici è vero, Jack, spiegami come faccio a vederti.»

Jack sogghigna, dondolando la sedia su due gambe senza la minima intenzione di assumere un atteggiamento più decoroso. Vogliono trattarlo da pazzo. Ebbene, allora potrà anche prendersi qualche libertà.

«Sinceramente? Non ne ho la più pallida idea.»

La sagoma indistinta sospira. «È encomiabile il tuo modo di accettare le cose così come sono. Peccato che tu non riesca ad applicare questa capacità a tutto il resto della tua vita. Trovi facilissimo credere che i tuoi amici abbiano potuto riconoscere la tua esistenza per puro slancio di fiducia... ma non sai spiegare come sia possibile che il ghiaccio e la neve non facciano ciò che tu vuoi.»

Questa volta Jack si rabbuia. «È questo posto maledetto» non può fare a meno di giustificarsi. «È un posto sbagliato. Non è il nostro. Non c’è altro da capire.»

«Ma mi racconti che sei felice di vivere insieme agli altri ragazzi.»

Ci mette qualche istante per rispondere.

«Sì...» Non può negarlo, infatti. Non può negare che sia bello, svegliarsi la mattina e sentire Rapunzel cantare, giocare a cuscinate con Merida, sbirciare i disegni di Hiccup e nascondergli la sciarpa... Dopo tanto tempo passato da solo, senz’altra compagnia che quella dei Guardiani, gli stessi che lo hanno sempre visto soltanto come uno scherzo della natura, e della luna, anche, quella luna impietosa che non ha mai voluto rispondere al suo disperato perché – dopo tutto quel tempo, quei tre sono stati la cosa più bella che potesse capitargli. E fa male, fa male vederli tristi, fa molto più male che non riuscire più ad incantare la neve e il ghiaccio. «Sì» ripete, «ma questo non significa essere felici.»

La sagoma indistinta emette una sorta di risolino. Questa è una cosa nuova. «Non esiste la felicità, Jack.»

«No?» Jack alza le sopracciglia. «Strano. Sarà un secolo che Nord e Calmoniglio cercano di convincermi del contrario. Meraviglia, speranza, felicità... A dirla tutta ho cominciato a crederci, quando Merida e poi Rapunzel e poi Hiccup mi hanno visto.»

«Il punto, Jack, è che tu credi nelle cose sbagliate. E so che non è colpa tua, ma non potrò aiutarti finché non sarai disposto a collaborare...»

«La sa una cosa?» Jack fa ricadere la sedia di colpo, si sporge verso la scrivania, ma ancora non riesce a distinguere i tratti della figura. «Preferisco credere in qualcosa di sbagliato che in quella che secondo voi è la verità. E se questo mi rende un pazzo, tanto meglio. Non abbiamo più niente da dirci.» Si alza. «L’aspetto per il giro di iniezioni, dottore. Passi pure quando vuole, sa dove trovarmi.»

Percorre la stanza vuota fischiettando, lasciandosi alle spalle soltanto il silenzio.

 

 

~

 

 

 I have died every day waiting for you

Darling, don’t be afraid

I have loved you for a thousand years

I’ll love you for a thousand more

 

 

È la Festa dei Fiori, oggi, e le strade e le piazze sono di nuovo piene di musica e colori. Rapunzel fa sempre del suo meglio, ma è in questo giorno che dà il massimo di se stessa. A qualsiasi ora del giorno e della notte la si può trovare che danza, che canta, che dipinge un qualsiasi lastricato a colori vivaci. Non è mai sola.

«Si può sapere che hai, Merida? Oggi non sei in te.»

«Oh, scusa, Punzie. Ho fatto uno strano sogno...»

«Davvero?»

«Sì, c’eravamo noi quattro in questa strana stanza misteriosa, era quasi buio e a turno dovevamo parlare con qualcuno...»

«Io dico che prima di dormire mangi troppo, Merida

«Jack, smettila di prenderla in giro!»

«Lascia perdere, Hic, è più forte di lui, è così felice di essere qui che deve per forza mettersi in mostra...»

«Beh, potete darmi torto?»

Jack ha ragione, tutti lo sanno. Ridono insieme, e festeggiano un altro anniversario da che le loro vite, toccandosi, si sono colorate di luci nuove.

 

 

And all along I believed I would find you

Time has brought your heart to me

I have loved you for a thousand years

I’ll love you for a thousand more

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Ce l’ho fatta. Dio, ce l’ho fatta. *esulta da sola*

Eccovi infine la conclusione, la spiegazione del modernverse, il cosiddetto epilogo della storia forse più strana che abbia mai concepito. Ebbene sì, i quattro ragazzi vivono ai giorni nostri e sono rinchiusi in una sorta di piccolo manicomio, situazione che hanno deciso di fronteggiare inventandosi tutta una storia comune su ciò che hanno passato prima di finire là dentro – o forse no. Già, forse no. Universo parallelo, sogno, reincarnazione: sentitevi liberi di interpretare il brano finale come più vi piace. Non sono così cattiva, in fondo. ^^’

Le due strofe che aprono e chiudono quello stesso brano sono tratte da A thousand years, brano di Christina Perri che dà il titolo all’intero delirio headcanon.

Spero di avervi finalmente chiarito tutti i punti oscuri dell’intricata vicenda. Per qualsiasi dubbio chiedete pure, anche se non vi assicuro che io per prima abbia capito i retroscena di ciò che ho scritto. XD

Oh, un piccolo appunto che mi sembra doveroso: non ho volutamente specificato la fisicità dei dottori dell’istituto perché, nella mia testa, ciascuno dei personaggi tende a identificare lo strizzacervelli di turno con una figura legata a quel passato doloroso che è costretto a rievocare – quindi Merida vede Elinor, Rapunzel vede Gothel, Hiccup vede Stoick, e Jack probabilmente Nord (anche se la storia che porta Jack a diventare un Guardiano, come certo avrete rilevato, non è nemmeno menzionata perché qui preferisco restare sul canon: penso che in quell’epoca non si fosse ancora pronti ad accettare come quinta Leggenda quella di Jack Frost).

E ora passo a ringraziarvi tutti, o voi individui meravigliosi: ;^;

 

a Kiki75, EmmaStarr, Chandrajak, BeyonBday, kuma_cla, Fred Halliwell, PiccolaEbe, Ray08, KikiWhiteFly, ToLaura, Kelloggs Snowflakes, Hana Pond, ryoko96, Dance e Ucha per le adorabili e, a onor del vero, spesso fin troppo buone recensioni;

a Abby_Yakumo, Ai_il Fiore di Ciliegio, barricadeuse, chiara_directionislife, Chicca293, Cristie, Dance, Danielle_Lady of Blue Roses, elemontana, EmmaStarr, F13, Fifi97, Fred Halliwell, Gioia1998, giorgtaker, GufoScarlatto, iscizu, Kiki75, KikiWhiteFly, Lady V, Marina94, marotti92, Melardhoniel, mintheart, Miriam48, Morgana le fay, Nice to meet you, Night_chan, Nonhounnicknamefigo, Paramour_, RH_Simon, S h a i l a, Vaniglia_28, YueKono, _ F i r e, _Cris e _Niniel per aver avuto tanta fiducia in questa cosa da seguirmi “fin proprio alla fine”;

a bramsbaby, causapersa, Gioia1998, Kaity, marotti92, Nightingale_Ocean Soul, Ragazza Lupo, ripeer, Shadow Eyes e silvia brolin per averla aggiunta alle storie ricordate;

a cameliarossa_, Chandrajak, Chicca293, DJ_AmuStar, fairynight95, Gioia1998, H13, Harmony394, iwannabe_drunk, Jacqueline, Kelloggs Snowflakes, Kikki Dexter, KuroCyou, Leyna_s_heart, Mary143, Peroniana, PiccolaEbe, PioggiaDiLuglio, RH_Simon, ryoko96, S h a i l a e Zamieluna per averla aggiunta addirittura alle preferite;

nonché ai silenziosi ed egualmente encomiabili lettori che hanno sopportato secoli d’attesa per ritrovarsi a leggere... questo.

Semplicemente grazie. Non sono sicura che questa storia meritasse tanta attenzione, ma sono più che sincera nel ringraziarvi di cuore, perché questo mi ha spinta a scrivere ancora su di loro e non so se è un bene XD e non vedevo l’ora di farlo.

 

E niente, alla prossima, se vorrete.

Aya ~

   
 
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