Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
Ricorda la storia  |      
Autore: Love_in_London_night    17/11/2013    9 recensioni
Prima storia sui 30STM... No ok, su Jared.
Dalla shot: "Aveva gli occhi accesi dalla curiosità Grace, raggomitolata sul divano con le gambe posizionate sul cuscino. Lei era così pura, carta bianca rispetto alla pelle di Jared. Lui dentro era più sporco che fuori, non era limpido come lei, era infettato, devastato e colpevole. Il turbamento delle sue sfaccettature si ripercuoteva sui segni che portavano il vessillo del disagio: le occhiaie sotto gli occhi, le guance scavate, il corpo emaciato.
Annuì stanco, crepato nel subconscio dove stava sobbollendo. Parlare con Grace aveva fatto molto di più di tutti i suoi monologhi introspettivi degli ultimi mesi, gli stava dando le risposte che cercava da tempo e che non era mai riuscito a darsi.
"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Aprile 2014

Odiava le feste di quel tipo, dove tutti sembravano amici, tutti intelligenti e invece erano i soliti falsi losangelini che facevano finta di conoscersi, fingevano di essere importanti e facevano a gara per vedere chi la sparava più grossa ma restava impunito.
Non sapeva neppure di chi fosse la casa, figurarsi il party.
Gran parte degli ospiti era formata da personaggi di spicco dello show business, ma gli altri invitati – i più numerosi – erano persone che si erano trasferite a Los Angeles nella speranza di essere notate e di sfondare nel mondo degli infiniti luccichii. Non andavano alle feste per vedere le famose star, ma partecipavano per dire di poter esserci e trovare gli agganci giusti.
Si sedette su un divano bianco e li guardò con fare svogliato mentre gli passavano davanti, fantasmi in una città piena di vita, anonimi in una massa di superficialità.
«Dio, ormai a questi party esclusivi partecipano pure cani e porci» fu Paris Hilton a proferire quelle parole, era passata dietro il divano con una di quelle persone che le stava accanto solo per avere il proprio quarto d’ora di celebrità. Il malcapitato annuiva convinto e schifato, come a rimarcare il concetto.
Jared alzò solo un angolo della bocca, cercando di contenere la risata sarcastica che lo avrebbe smascherato, la pecora nera all’interno del gregge patinato.
Trovava quasi un paradosso la sentenza di Paris. Non che lui avesse la presunzione di essere migliore di altri, ma doveva ammettere – almeno con se stesso – che qualcosa la sapeva fare; insomma, si era conquistato il suo posto nello star system. Aveva provato per anni a essere un attore, un musicista e un regista, non aveva raggiunto ancora la perfezione che si era prefissato, ma qualcosa di buono sapeva pur farlo.
Paris, dal canto suo, dove poteva dire di aver attinto la sua celebrità? L’eredità, certo, ma non era una dote personale che le apparteneva, non aveva un vero talento per qualcosa. Jared ridacchiò al pensiero: vero era che non era famosa per le sue doti oratorie, ma un altro discorso era il talento orale di cui mezza Hollywood era a conoscenza, ma non erano cose che si potevano divulgare ai quattro venti.
Indossava un vestito rosa shocking, un paio di sandali che fasciavano il suo quarantadue e la miglior aria di noia mista a superiorità che le veniva naturale. La guardò con attenzione, soffermandosi sulla mascella marcata e i piedi grandi; sarebbe stata una Rayon fantastica, ma pensava che lei non l’avrebbe preso affatto come un complimento, poi si ricordò la storia del talento e decise che le sarebbe mancato il cuore per impersonarla.
Rayon.
La verità era quel ruolo l’aveva cambiato nel profondo.
Era stato in tour per anni e continuava ad aggiungere date perché Rayon lo perseguitava. Aveva dovuto concludere il tutto a forza, costretto da Shannon che, come lui e Tomo, era provato da quel vivere frenetico a cui il tour li aveva costretti. Shan non conosceva i motivi del malessere del fratello, ma sapeva comprenderlo benissimo, aveva intuito che qualcosa non andava; così aveva deciso di darci un taglio.
Per questo motivo si ritrovava nella città degli angeli dopo un’infinità di tempo. Gli era mancata, ma non i suoi abitanti. A quell’anonima folla preferiva la gente che, più viva che mai, animava ogni sera i loro live, rendendoli ogni volta uno spettacolo irripetibile.
Il problema era uno: il tour e il gruppo servivano a non farlo fermare, perché se così fosse successo sarebbe caduto a pezzi, i pezzi che Rayon aveva lasciato di sé.
Aveva cercato di farla sua e, purtroppo, c’era riuscito. Come la malattia che l’aveva colpita, quel personaggio cosi controverso lo stava debilitando. Era stato così profondo da non riuscire a levarselo più da dentro, lo stava consumando.
Rayon non aveva lasciato Jared, Jared non riusciva a lasciar andar via Rayon.
La sentiva nel profondo, la vedeva in fondo ai suoi occhi, la percepiva in quel continuo senso di malessere che provava in ogni momento, quello che, ancora dopo mesi dalla lavorazione del film, gli scavava le guance.
Il Jared cantante era fiero del suo lavoro, l’ultimo album stava avendo un forte successo e anche il pubblico li ripagava con affetto durante i concerti. C’era solo il problema di ritrovare l’ispirazione per nuove canzoni, un leit motiv su cui incentrare l’album, ma avrebbe avuto tempo. O così continuava a ripetersi. Prima avrebbe raccolto i propri pezzi e, durante il percorso, le risposte sarebbero arrivate.
Ma a dirla tutta era preoccupato anche per quello.
Il Jared attore era provato. Rayon era lì, un’anima troppo concreta che vagava per la sua carne, non lasciando il posto ad altri ruoli, forse nemmeno al vero se stesso.
Il Jared umano, beh, accusava i colpi delle altre parti, caricandosi i pesi di sensi di colpa che nemmeno appartenevano a lui.
La verità era che, come Rayon, sentiva il disperato bisogno di essere salvato; non solo da lei, ma anche da se stesso.
Doveva imparare a perdonarsi, a essere meno intransigente nei suoi stessi confronti e a liberarsi da quel personaggio troppo ingombrante.
Fu distratto dal nodo alla gola che lo stava attanagliando da una giovane donna che, chiedendogli il permesso, si era seduta sullo stesso divano, lasciando tra loro lo spazio di un intero cuscino, come se dovesse sedersi qualcun altro.
L’aveva già notata tra la folla, come se nell’indifferenza che regnava in quell’ambiente lei fosse stata diversa. Non era brutta, ma c’erano donne obiettivamente più belle di lei, di sicuro più appariscenti. Eppure la naturalezza e la compostezza dei suoi modi, abbinati alla sobrietà del suo vestito comunque alla moda, la facevano spiccare nel mare di volgarità da cui erano circondati.
Lei gli sorrise cordiale, poi si concentrò sulla piccola folla agitata che scattava loro davanti.
«È come stare in un acquario» iniziò la ragazza dai capelli non molto lunghi «Tutti ti passano accanto, ma se sei fortunato sai che a dividerti da loro c’è quello strato trasparente che tu stesso ti costruisci per tenerli fuori. L’aspetto forse è per tutti, ma non quello che custodiamo dentro».
Lo guardò sconsolata da tutta la superficialità in cui stava soffocando. Non sopportava il suddetto genere d’ambiente, non faceva per lei, eppure lo faceva per Lynn, perché per il bene di una sorella si sopportava di tutto.
Jared non poteva crederci. In un posto simile, il più insulso e improbabile dove fare conoscenze interessanti, aveva incontrato una donna capace di parlare non solo con la bocca, ma anche con l’anima. Era così che si sentiva: un pesce fuori dal proprio habitat, un affogare lento e continuo, e lei l’aveva capito senza comprendere che gli stava parlando di una cosa così intima.
Anche Rayon sembrò ringraziarla per quella carezza così profonda.
«Scusa, magari anche tu vuoi essere come loro» l’aveva riconosciuto, in quel momento si rese conto di essere stata indelicata, magari a lui piaceva essere così, essere come loro.
«Profondo come il bicchiere di martini che stringono tra le mani? No, grazie» era risultato più duro di quel che voleva sembrare, quindi aggiunse il ringraziamento finale per addolcire la frase. La rabbia repressa che provava da tempo aveva iniziato a sgonfiarsi come d’incanto.
«Tu piuttosto, dato che non sembri apprezzare questa gente, cosa ci fai qui?» non gli era interessato, non fino a quel momento, ma era piacevole trovare una compagnia degna di essere approfondita nel corso di una simile festa, dove l’argomento principale erano gli stuzzichini piuttosto che le ultime tendenze in fatto  di capelli di Angelina e Natalie o Anne.
La ragazza sorrise, lo sguardo basso quasi a celare l’imbarazzo di quella verità un po’ scomoda «Lo faccio per lei» e con il mento indicò verso la propria destra, al centro dell’ampio salotto «È lei che spera di far parte di questo mondo. Cosa non si fa per una sorella, eh?!» alzò le spalle nel tentativo di giustificarsi.
La donna in questione, una bionda estroversa, giuliva ed estremamente a suo agio – il contrario di quello che appariva la ragazza seduta sul divano – era dove desiderava essere: al centro dell’attenzione. Riluceva, ma non aveva la stessa aura della sconosciuta che ormai aveva attirato la sua attenzione.
Jared abbozzò un sorriso timido, quella confessione gli aveva fatto tenerezza. «Credimi, posso capire benissimo cosa intendi» perché lui per Shannon avrebbe fatto lo stesso, e anche molto di più.
Lei lo fissò per la prima volta con attenzione «Scusami, non mi sono presentata, io sono Grace» allungò una mano mentre con delicatezza scivolava piano sul cuscino in pelle per avvicinarsi un po’.
«Piacere, io sono…»
Grace lo interruppe divertita «Ehi, so chi sei. Non amo particolarmente la gente di Hollywood ma vivo nel mondo civilizzato… E ascolto buona musica»
«Beh, mi fa piacere per i tuoi timpani, ma lascia che io possa sfoggiare l’educazione che mia madre mi ha impartito. Mi piace mostrare di essere garbato, almeno qualche volta» dopo aver sorriso le strinse la mano «Jared».
Per la prima volta dopo mesi si rivolgeva a una donna – un’estranea – senza provarci, solo per il piacere di conoscere qualcuno e vedere fino a che punto poteva spingersi. Dove finiva Rayon e arrivava Jared.
«L’educazione. Uno di quei precetti di cui il mondo è ormai a digiuno, purtroppo. È bello sapere che proprio le persone importanti non abbiano dimenticato la sua esistenza» non voleva risultare cattiva, ma da Lynn, sua sorella nonché aspirante attrice, ne aveva sentite di tutti i colori: vizi, capricci,  perversioni e maleducazioni varie.
Grace aveva una bella bocca, piccola ma talmente carnosa da formare un minuscolo cuore tra le due labbra che non riuscivano a toccarsi quasi mai, nemmeno quando tentava di frenare parole che non avrebbe dovuto pronunciare. Jared l’aveva notata e aveva pensato che, per la prima volta, non avrebbe voluto morsicarle ma solo continuare a sentirla parlare. Lo faceva lentamente, ogni frase era ferma e decisa e non usava mai un tono alto, il suo modo di parlare catturava. Grace con i suoi modi così eleganti e spontanei affascinava, e lui non poteva esserne immune.
Rayon non l’aveva reso sensibile, lui lo era sempre stato, aveva solo portato questo suo lato molto allo scoperto, rendendolo più fragile agli occhi degli altri, e non era questione di peso. Era sempre stato passionale, istintivo, permaloso, un animale a caccia in cerca di nuove prede. Le studiava, usava la sua tecnica collaudata di battuta per braccarle e loro, consce di essere al centro della sua attenzione, cadevano vittime del tranello senza troppa difficoltà, lasciando che si cibasse delle loro deboli carni.
Non erano una sfida per Jared, non le trovava interessanti come loro stesse si credevano, non c’era divertimento nel cacciare una preda che voleva essere vittima, era solo un diversivo, una distrazione che quella lei che ospitava non gli permetteva di godersi appieno da tempo.
«Quindi ascolti buona musica…» si concesse sarcastico e un po’ vanesio, era sempre bello sapere di far colpo su delle donne che sembravano essere tutte d’un pezzo, apprendere di aver colpito un orecchio un po’ più raffinato e, perché no, selettivo.
Grace assottigliò lo sguardo a mo’ di rimprovero, non abbandonando mai il sorriso. «Sì, voi mi piacete da tempo. Migliorate di album in album. Non adoro solo le sonorità, ma apprezzo i testi: mi domando sempre quanto di voi ci sia dietro ogni parola, cosa vi abbia portato a pensarla in questo determinato modo, e perché siete arrivati a pronunciare certe frasi. È affascinante».
Jared avrebbe voluto continuare a fissarla, eppure, ora che Grace aveva ravvivato la sua attenzione verso la festa, si era accorto che la casa non era poi tanto moderna, ma permeava uno stile personale e deciso, con mobili non troppo freddi ma comunque con stile. Adorava accorgersi dei dettagli, ed era stato proprio una lampada a catalizzare la sua concentrazione, poi spostatasi sul resto della casa.
Grace aveva notato il suo sguardo perso sull’ambiente, e aveva visto gli occhi cambiare. L’avevano colpita durante la presentazione non per il colore, quanto dietro a essi ci fosse nascosto. Erano occhi che spogliavano. Occhi diretti e sinceri che sul fondo mal celavano una tristezza mai vista prima. Occhi rispettosi e fragili, uno sguardo che non lasciava trasparire molto di ciò che Jared provava, ma ci si poteva leggere tante altre cose: la vita vissuta, le esperienze passate, il dolore che in qualche modo era trascorso e cessato.
Con lo sguardo attento sulle piccole cose le risultava ancora più bello e affascinante di quello che era, aveva catturato l’attenzione di lei tanto da farla arrivare fino a lì, tanto da spingerla a parlare con lui. Le piaceva perché quegli occhi avevano al loro interno passione, ma non avevano secondi fini se non quelli di parlare soltanto con lei, al contrario degli ospiti viscidi di sua sorella.
Portava bene i suoi anni Jared, ma l’espressione meravigliata e curiosa lo rendeva ancora più giovane. Assomigliava a un bambino che di ritorno da scuola trovava sul proprio letto un regalo inaspettato, la cosa che più desiderava in quel momento.
«Da cosa sei stato attratto?» la domanda di Grace era ingenua, ma lui non avrebbe voluto rispondere allo stesso modo.
Oltre a lei? Non poteva certo dirle che era caduto nelle sue trame senza nemmeno difendersi a suon di sarcasmo e fascino, perché di solito era lui a condurre il gioco e a dettare le regole, ma Grace gli trasmetteva sensazioni diverse, non poteva trattarla come se fosse come le altre. Non era una conquista, nemmeno una sfida; era un’incognita a cui trovare soluzione con calma, gustandosi il percorso e i pochi indizi a riguardo, perché forse una vera spiegazione non c’era.
«Da quella lampada. Vedi, può passare inosservata per chi non è appassionato del genere, ma ne esistono solo duecentoundici esemplari al mondo. Questa casa è differente da quelle che si vedono di solito a Hollywood. Non è presa dai giornali di architettura e design, non è finta, fredda e vuota. È arredata con pezzi che piacciono davvero al proprietario. Ha personalità, ha carattere. I padroni devono essere delle persone interessanti» sentenziò esaltato.
Vide Grace abbassare lo sguardo e sorridere, quasi ad assimilare quello che le sembrava un gran complimento.
«Jared… Cosa ne dici di andarcene?» era stata spudorata, stava sbagliando tutto, ma la sua compagnia le piaceva troppo per dividerla con le altre persone presenti a quel party, erano diventate di troppo. Era una stupida donna in preda all’agitazione di quei giorni; voleva fare, forse per l’ultima volta, qualcosa di totalmente senza senso solo per sé, per dimenticare le preoccupazioni per una notte.
Fu colto alla sprovvista, non si aspettava una simile proposta, non sapeva fino a dove Grace voleva spingersi. Ora che la sua fantasia era stata accesa, era sicuro che lei non fosse arrivata a pensare fino a dove era arrivato lui.
«E dove?»
«Dove vuoi, basta che mi porti via da qui» aveva sorriso incerta e colpevole, come se le pareti avessero iniziato a soffocarla restringendo di colpo gli spazi.
«Vado a recuperare la mia auto, tu aspettami vicino al cancello, pronta per scappare» aveva ricambiato il sorriso, ma aveva risposto con troppa velocità per non far trasparire la sua paura riguardo un suo repentino cambio di idee.
Non era andato verso l’auto, ma aveva corso e sgasato per arrivare all’entrata della villa il prima possibile, solo quando la vide – elegante come una ballerina di classico – svettare sul marciapiede si tranquillizzò.
Si sorrisero un po’ in imbarazzo, e Jared inserì la prima per allontanarsi da lì il più velocemente possibile; Rayon, il suo io cantante e il se stesso uomo erano in agitazione e non sapevano come comportarsi.
Lei non gli chiese dove si stavano dirigendo, e Jay la ringraziò perché non lo sapeva nemmeno lui. Solo quando vide un viale in salita verso una collina si rese conto di aver pensato di dirigersi a casa sua.
Ora Grace l’avrebbe additato come il solito porco approfittatore e avrebbe chiamato un taxi.
La donna scese dall’auto e inspirò l’aria più fresca rispetto alla pianura della città. «Qui si sta meglio. Da te non mi aspettavo niente di meno» spudorata e stupida, non lo conosceva nemmeno. Eppure su di lui si era fatta un’idea precisa che andava ben oltre il personaggio pubblico. Era stato a causa di quello che aveva scorto nel nero delle pupille, l’irrequietezza di un attimo che non avrebbe mai colto. Per lei era quella la parte migliore di Jared, la più difficile da raggiungere.
«Non sapevo dove andare, avevo bisogno di tranquillità… Se non vuoi entrare lo capisco» lo disse per giustificarsi, ma era stato ben attento a non scusarsi o a dire che gli dispiaceva, perché non era così. La compagnia di Grace era preziosa, un balsamo per quelle ferite così profonde che gli laceravano l’anima.
«Su, fammi vedere se questa casa ha personalità e carattere come penso» lo prese in giro. Era la prima volta che una donna si permetteva di prenderlo in giro e poi si dirigeva a casa sua, ed era la prima volta che lui non se la prendeva. La seguì, grato di quell’assenso mai apertamente pronunciato.
Non sapeva dire come, ma quella serata si era prolungata in una nottata all’insegna delle confessioni più disparate, intime che fossero o meno. Grace si era aperta con naturalezza, e ancora con più spontaneità lui l’aveva seguita a ruota. Ricordi, segreti, idee e aspettative si erano mischiati a battute, scherzi e doppi sensi. I pezzi dell’anima di Jared, davanti a tanta delicatezza, si erano fatti ancora più numerosi, più piccoli e più taglienti, Rayon stava sanguinando e lui era contento che qualche parte del suo essere si fosse spezzata ulteriormente, pensava fosse più facile ricomporsi essendo rotto del tutto.
Erano arrivati a parlare di inchiostro. «Quindi ogni tuo tatuaggio è legato a un momento preciso con il gruppo?»
Aveva gli occhi accesi dalla curiosità Grace, raggomitolata sul divano con le gambe posizionate sul cuscino. Lei era così pura, carta bianca rispetto alla pelle di Jared. Lui dentro era più sporco che fuori, non era limpido come lei, era infettato, devastato e colpevole. Il turbamento delle sue sfaccettature si ripercuoteva sui segni che portavano il vessillo del disagio: le occhiaie sotto gli occhi, le guance scavate, il corpo emaciato.
Annuì stanco, crepato nel subconscio dove stava sobbollendo. Parlare con Grace aveva fatto molto di più di tutti i suoi monologhi introspettivi degli ultimi mesi, gli stava dando le risposte che cercava da tempo e che non era mai riuscito a darsi.
«Questo» disse lei mentre indicava il polso «Mi piace molto, posso vederlo meglio?»
Lui annuì a cuor leggero, era come rivedere quei tre rovesciati e concatenati per la prima volta, come se si fosse reso conto solo in quel momento di aver dimenticato i Mars e non averli supportati a dovere nell’ultimo periodo.
Grace era affascinata, e si ritrovò a fissarlo con intensità. Quella spruzzata di colore – un rosso colpevole dei propri peccati – sembrava dargli vita, come se la rubasse nel frattempo al legittimo proprietario. La curiosità la portò a sfiorarlo con l’indice, nel contatto più intimo che ci fosse stato tra loro nella serata.
Jared alzò lo sguardo, come se il tocco l’avesse scottato.
Spaventato, aveva lo sguardo rotto di chi era stato colto in fallo, come se Grace avesse accarezzato non solo il suo nervo scoperto, ma il motivo del disagio di cui prima avevano parlato senza scendere nei dettagli.
Poteva sentire Rayon ruggire indignata, perché le crepe dell’anima avevano iniziato a pulsare. La verità era che lì in compagnia di Jared stava bene, ma era stato solo grazie al parziale annullamento di lui che lei era riuscita a stabilirsi nelle sue ferite, perché un’anima integra non avrebbe retto una tale disambiguazione. La verità era che Jared, stremato da quel ruolo, si era arreso a mani basse, mostrando a Rayon le sue deboli difese. Era stato travolto senza rendersene nemmeno conto.
Qualcosa però in quel momento era cambiato, e a Rayon non stava bene.
Grace notò il cambiamento: la pelle sotto le sue dita si era tesa, così come i lineamenti dell’uomo. Aveva smesso di percorrere i segni dell’inchiostro nella paura di aver fatto la cosa sbagliata; dubbio che venne confermato da lui stesso.
Una singola lacrima spuntò dall’occhio di Jared per scivolare lungo la guancia mentre non smetteva di fissarla con quell’intensità che la fece sentire nuda e completamente disarmata, le stava mancando l’aria tanto era disperato e sincero quello sguardo.
Era così che doveva andare. Grace doveva incontrare Jared, Jared dove incontrare Grace, dovevano fuggire insieme, parlarsi racchiusi nel loro mondo, aiutarsi. E a volte accadeva anche altro: se gli occhi non si limitavano a guardare ma assorbivano la persona, la portavano su una strada senza ritorno. In fondo, anche quello era amore. Un tipo diverso, che non poteva essere consumato, che faceva bene e male, perché era destinato a succedere e non ci si poteva opporre.
Solo quando tolse l’indice dal tatuaggio un’altra lacrima scese come una lama sulla guancia «Ti prego, non smettere».
Era una richiesta così disperata che Grace non seppe obiettare, non lo voleva nemmeno. Continuò a seguire le tracce dell’inchiostro come a voler lasciare il solco nella pelle di lui.
La verità era che Jared stava capendo tutto.
Da quando Rayon si era insinuata in lui con tutta la sua forza distruttrice non era riuscito a dedicarsi ad altro con il cuore, l’organo con cui il trans più si divertiva nella sua solitudine. Il suo essere cantante, il suo essere se stesso erano stati schiacciati, inibiti da questa presenza così ingombrante.
Perché erano i tre lati di Jared su cui si basava: l’essere attore era la parte più difficile, perché si ritrovava sempre a rappresentare personaggi a lui diametralmente opposti, e Rayon ne era stata l’apice, troppo facile per lei entrare nel suo cuore e prenderci domicilio. Ma c’erano altri due lati che, volendo, si muovevano di pari passo. Perché il Jared cantante non aveva maschere come quando recitava, era se stesso, era l’uomo che compiva grandi cose e non c’era alcun filtro a separare quello che era da quello che faceva.
Ora, dopo tempo, aveva capito che era stata Rayon a frenare tutte le idee sul nuovo album, sui testi delle canzoni future e un tema da concatenare in tutto il cd.
Ecco perché Grace era apparsa fondamentale, perché serviva qualcuno che aprisse a Jared, solo Jared, gli occhi. E serviva una scossa, quella che il tocco di lei gli aveva dato.
Si era raggomitolato con la testa sulle sue cosce, mentre disinteressandosi di mostrarsi fragile le mostrava le triadi sul braccio, ancora più vicine ai lati dell’attore, del cantante e dell’uomo che erano parti così nitide in lui. Piangeva, dimentico di dover essere forte, volendo mostrarle la sua fragilità che da troppo aveva tenuto rinchiusa come se fosse stata la colonna portante della sua forza, mentre ignorava deliberatamente il suo essere animale che molte volte l’aveva visto in azione proprio su quel divano.
Piangeva senza timore, lo sguardo chiaro fisso in quello scuro di lei, ogni lacrima una parte di Rayon che se ne andava, lo liberava dallo sporco che lo opprimeva da troppo tempo. Non si dissero più una parola perché gli occhi di Jared raccontavano la storia che non avrebbero mai vissuto, i segreti inconfessati che avrebbero voluto portarsi nella tomba, facendo piangere anche Grace.
Era passata alle triadi e al tatuaggio all’interno dell’avambraccio, aveva capito che qualcosa in lui cambiava a ogni millimetro sfiorato, lo poteva vedere in quelle iridi ancora nere come la pece, ma meno disperate e insicure. Ogni lacrima diventava più rara, ogni centimetro del suo corpo diventava più forte. Eppure Jared era ormai scisso in tre parti, rotto.
Grace non avrebbe saputo dire quale amava di più, sapeva solo di essere sopraffatta da tutto ciò. Poteva l’amore eterno durare una notte? Jared gliel’aveva appena insegnato.
Gli occhi azzurri in quell’istante erano tranquilli come non li aveva mai visti, ma erano ancora inconsapevoli; Jay aveva compreso che la sua anima era distrutta, ma dal giorno successivo avrebbe dovuto preoccuparsi di capire come andare avanti e ricostruirla daccapo. Non riguardava Grace quel processo, era solo un fatto personale, ci avrebbe pensato dalle prima luci dell’alba.
Le carezze di lei erano diventate tranquille e delicate, meno laceranti di quanto fossero state prima. Ma più si guardavano e più lacrime solitarie rotolavano lungo il volto, quella notte sarebbe stata l’unica per loro ed entrambi ne avevano coscienza: troppo presi dalle loro vite e dai loro problemi non potevano dedicarsi l’uno all’altra come avrebbero voluto e meritato. Nonostante Grace non avesse parlato, non c’era bisogno di alcuna spiegazione, anche lei aveva i propri demoni, se no non si sarebbe ritrovata in sua compagnia. Aiutare Jared era equivalso a fare qualcosa anche per se stessa, la sensazione salvifica di quegli occhi azzurri aveva funzionato anche per lei.
Quando l’uomo chiuse gli occhi, dopo aver detto addio a Rayon nel suo cuore, Grace si abbassò piano sul suo viso, depositando la copia di un bacio sulle labbra di lui, che non rispose al gesto troppo legittimo e doloroso nella sua imperfezione; erano a conoscenza di non potersi concedere di più, anche se non avrebbero saputo spiegarne il motivo, non avevano abbastanza elementi sull’altro per sbilanciarsi.
Jared si addormentò dopo poco con le lacrime che Grace aveva depositato sulle sue guance, mentre lei se ne andò nel silenzio del loro amore mai nato e già consumato, perfetto nella sua irrealizzabilità.
 
Aprì gli occhi verso le undici. La cosa che più lo stupì non fu tanto l’essersi svegliato così tardi, ma il semplice aver dormito. Lui soffriva d’insonnia: la sua mente non contemplava il concetto di mettersi in stand-by e dormire, non poteva permetterselo davanti a tutti i suoi progetti e i rispettivi problemi, era ormai abituato a riposare per un paio d’ore, continuare a lavorare e poi ricadere di nuovo in quello stato di finto relax che si concedeva.
Aveva dormito una cosa come nove ore e, dopo un’infinità di tempo, si sentiva riposato, rigenerato. Era una bella sensazione, non aveva nulla da dire in contrario; probabilmente avrebbe provato a farlo più spesso.
Si diresse in bagno, curioso. Voleva vedere se qualcosa di diverso in lui c’era. Almeno poteva dire di conoscersi abbastanza bene.
Tolse la maglietta, appoggiò le mani sul lavandino e analizzò il proprio riflesso, attento. I segni viola sotto gli occhi chiari erano meno marcati, il colore era sì pallido ma meno malsano, gli occhi… Beh, quelli erano tornati a essere un po’ più vividi, il nero meno inquietante, il tormento che Grace aveva letto in fondo a quei pozzi si stava allontanando.
Aveva più di quarant’anni e sapeva di portarli con più che una certa dignità, ma negli ultimi mesi il peso di quel tempo gli era piombato addosso: la stanchezza accanto agli occhi, l’esperienza a circondare i sorrisi, le preoccupazioni a solcare la fronte. Eppure, dopo quella notte, si sentiva più giovane. Le impronte del tempo non erano più così marcate, ma piuttosto distese, come lui dal risveglio di poco prima.
Fissò con concentrazione il riflesso del sé migliore alla ricerca di qualche indizio sulla presenza di Rayon, tuttavia tutto taceva.
Era stato come alzarsi e, dopo aver passato tutte le fasi del lutto, ricominciare a vivere; non importava se si parlava di una perdita di qualcuno, della fine di un amore e del ritrovare se stessi, un giorno il dolore finiva e tutti i pezzi che prima si erano rotti tornavano a combaciare. Certe esperienze segnavano, non si era più gli stessi di sempre, però forse si era addirittura migliori.
Jared sapeva di non dover cercare Grace perché, così simile a lui, aveva capito che quel giorno lei non avrebbe dovuto esserci, perché lui doveva rimettere insieme ciò che lei gli aveva definitivamente distrutto.
Era amore, una delle sue tante sfumature. L’amore istintivo e incosciente che si formava da una scintilla per scatenare un incendio, anche platonico. Quello che legava a un gesto o un’idea e non la lasciava andare per tutta una vita, anche se la si passava con persone diverse da quella che l’avevano fatta scaturire, ed era stato così per entrambi nella notte appena trascorsa.
«Rayon?» sussurrò incerto all’altro sé, ma non ebbe risposta. Non faceva male, non lo spezzava più, non doveva combattere contro se stesso. Qualcosa si stava rimarginando in lui.
Il transessuale era passato da essere un’entità scomoda, ingombrante e distruttrice all’essere ciò che aveva sempre dovuto: un bellissimo e indolore ricordo. Doveva rimanere chiuso nel passato per permettere a Jared di andare avanti, lasciare spazio al suo io più autentico, fare posto a un nuovo personaggio che, però, non lo distruggesse come aveva fatto lei.
L’inchiostro toccato da Grace iniziava a ribollire, il sangue a circolare nelle vene con più forza, il cuore pulsava come se fosse una batteria.
Corse a guardare il display del telefono, ma al posto di rispondere ai messaggi e alle chiamate di Shan e Tomo e del suo staff lo spense. Non voleva essere disturbato, la frenesia che si impossessava piano di lui voleva dire solo una cosa: ispirazione.
Si sedette sul tappeto dopo aver trovato dei fogli puliti e alcune biro per poi dar sfogo alla sua fantasia: un simbolo, delle parole, alcune frasi. Si era alzato solo per recuperare i testi delle canzoni che aveva scritto per l’album precedente e qualche frase scarabocchiata durante il lunghissimo tour, le avevano tenute perché considerate buone, ma ora avrebbe potuto rivederle e, soprattutto, perfezionarle.
Era quello che voleva: ritrovare se stesso, il combaciare tra l’uomo e il cantante, a quello doveva partecipare anche l’attore, prima o poi, per renderlo solo e soltanto Jared. Un passo alla volta, perché sapeva che gli equilibri non erano mai facili da trovare, soprattutto per uno dalle mille sfaccettature come lui.
Sì fermò solo quando scrisse due parole così complementari da ricordargli una cosa sola.
Grazia e salvezza.
Grace.
 
Alzò il viso dai foglia la mattina dopo, si era addormentato verso le due con la faccia sul tavolino, tra future canzoni e spartiti mezzi pieni di note cancellate e non.
Stropicciò la faccia per tentare di svegliarsi, ma non funzionò. Optò per una doccia, aveva bisogno di sciogliere la schiena dolorante dopo quella notte d’inferno, si era ripromesso di imparare a sostituire carta, penna e spartiti con il computer; forse era più asettica come cosa, ma almeno si sarebbe potuto addormentare con il portatile nel letto, al posto di schiantarsi dal sonno sui mobili più bassi che aveva nel soggiorno.
Poi si accorse di aver dormito per la seconda notte di fila: nonostante l’orario non del tutto consono a dei bioritmi normalmente umani, era riuscito a riposare. Le occhiaie erano sparite, il viso era meno tirato e lo sguardo aveva recuperato una certa tranquillità.
A Rayon non aveva nemmeno pensato, sentiva solo di avere posto dentro di sé, un posto da riempire con passione.
Grace.
In quell’istante scattò il panico. Non sapeva come rintracciarla, magari lei non lo voleva nemmeno, dato che non aveva lasciato nessun recapito.
Ma lei era stata la sua salvezza, il mezzo della sua espiazione più intima. La sensazione della notte prima era cancellata, l’impossibilità non faceva più parte di lui, ora che stava ricomponendo i propri pezzi. Si diede dello stupido per non aver pensato a lei prima.
Passò in rassegna la casa alla ricerca delle chiavi dell’auto, l’unica speranza che aveva era di tornare  alla casa della festa e chiedere ai proprietari informazioni a riguardo. Doveva ritrovarla a tutti i costi, ne aveva bisogno.
Prese le chiavi dal piano, sapeva di trovarle lì dove le gettava di solito quando era di fretta. Non pensò ad altro se non a raggiungere il prima possibile la villa del party di due giorni prima. Come aveva potuto lasciare passare più di un giorno?
Nonostante fosse sempre stato un autista prudente fu normale, in quel particolare caso, pestare sull’acceleratore. Capiva finalmente cosa provasse Shan alla batteria, il senso di potere che doveva sentire ogni volta che il pedale faceva partire il colpo secco e deciso che faceva scaturire dalla cassa, il fatto che partisse tutto quello da lui, che fosse più forte o meno. Così si sentiva Jared: ogni spinta sul pedale sentiva l’auto rispondere ai propri desideri, un passo in più verso un qualcosa che lo faceva stare bene o che, comunque, avrebbe potuto, se solo ne avesse avuto la possibilità.
Parcheggiò l’auto nelle vicinanze e si annunciò al citofono con il proprio nome e cognome. Non gli piaceva fare leva sulla propria fama, ma doveva ricorrere a ogni mezzo pur di non perdere tempo.
Oltrepassato il corto percorso lastricato si trovò davanti una ragazza dall’aria famigliare in un abito raffinato color cipria. Aveva i capelli lunghi e biondi raccolti in uno chignon laterale e sembrava elegante, eppure in lui aveva risvegliato una sensazione diversa, molto più eccentrica. Era così concentrato su altro che anche se ci avesse pensato un giorno intero non sarebbe mai arrivato a capire dove l’avesse già vista.
«Sì?» disse lei mentre trafficava con la chiusura di un orecchino «Jared Leto... Eri alla festa l’altra sera. Hai dimenticato qualcosa?» e gli fece cenno di entrare, mettendo a disposizione la casa per la sua ipotetica ricerca.
Jared fu felice di quell’inaspettata cordialità, forse quella ragazza sarebbe stata disposta a dargli le informazioni che cercava.
«Ciao. No, in realtà non ho dimenticato nulla. Sono qui per chiederti informazioni su una ragazza che ha partecipato alla festa. Saresti disposta ad aiutarmi?»
Lynn adorava i gossip. Si appoggiò allo stipite con un sorriso furbo e l’aria interessata. «Certo, se la conosco mi farebbe piacere esserti d’aiuto».
Se non fosse stato così agitato per il suo continuo rincorrere informazioni riguardo Grace l’avrebbe baciata per la gratitudine, poco ma sicuro. Era sempre convinto che nel mondo dovessero esserci più slanci d’affetto, specialmente tra uomo e donna. Se erano fisici era pure meglio.
«Sto cercando una certa Grace. Alta poco meno di te, capelli castani fino alla base del collo con le punte più chiare, come le mie» e per essere sicuro che lei avesse appreso appieno il concetto si prese una ciocca tra le dita e la agitò.
Aveva iniziato sicuro la sua introduzione, ma poco dopo perse forza, di più non sapeva dire: non conosceva il suo cognome, non sapeva dove abitava né dove lavorava, anche se si ricordava che gli aveva detto di lavorare nella redazione di un giornale di moda non molto famoso come designer.
La ragazza ridacchiò divertita «Stai cercando Grace?! È mia sorella. In effetti vi ho visto parlare quella sera, poi però vi ho persi di vista»
Ecco chi era, la sorella! Era irriconoscibile nascosta dietro l’immagine così sobria di quel giorno.
«Sì esatto, lei. Sapresti dirmi dove abita?»
Lynn rise di nuovo «Beh, fino a ieri qui, da oggi è senza domicilio per un paio di settimane. Oggi è dai miei»
«Questa casa era sua?» era confuso, ora capiva l’espressione soddisfatta di lei davanti ai commenti positivi che lui stesso aveva fatto sulla casa. Jared si sentiva come quella lampada pregiata che Grace aveva posizionato nel soggiorno. Aveva ben chiaro sin dalla sua presentazione che lei non si concedesse a tutti, ed era lusingato di poter rientrare in quella piccola cerchia. Era lui stesso una persona pregiata che lei aveva ritenuto di far entrare nella propria orbita, lo stesso ragionamento che il cantante aveva fatto, troppe volte adescato da gente che lo cercava solo per trarne beneficio. La casa che li aveva ospitati era riuscito a trasmettergli le stesse sensazioni della stessa Grace, facendogli capire quanto fosse una persona genuina, senza barriere a separarla tra chi era e chi appariva, ma soprattutto da chi la meritava.
Tra cui lui.
«Oh sì, vivevamo insieme. Ora è tutta mia! Anche se penso che mi mancherà viv…»
La interruppe, cercando di fare mente locale riguardo tutte quelle informazioni «Mi puoi dire dove abitano i tuoi, per favore?»
Un sorriso comprensivo si dipinse sulle labbra di Lynn. Stava abbandonando l’entusiasmo per quella sorpresa man mano che capiva il senso dell’interessamento di lui. Negli occhi di Jared c’era una speranza pericolosa e pura, un qualcosa che le dispiaceva spegnere, ma era necessario fosse lei a farlo in quel momento.
«Non lo so… C’è un gran trambusto e la tua presenza lo accrescerebbe soltanto» si morsicò un labbro, amareggiata.
«Ti prego…» odiava essere supplichevole, ma la situazione lo necessitava.
Lynn sospirò, sapeva di aver davanti un osso duro che non avrebbe ceduto di fronte alle sue incertezze e al suo cuore romantico. Decise così di gestire le cose a modo suo: gli avrebbe rivelato dove trovare la sorella, ma gliel’avrebbe fatta vedere solo a cose fatte.
«Ok, diciamo che la puoi trovare tra quattro ore, o poco prima, alla Cappella di Downtown, all’imbocco della via principale se vieni da Hollywood».
Jared tirò un sospirò di sollievo, ormai era solo questione di tempo.
«Grazie, davvero»
Lynn, però, era triste «Prego. Anche se non so se poi mi ringrazierai ancora» ma prima che lui la potesse interrompere la giovane riprese: «Scusa, ma ora devo andare anche io. Il tempo stringe e non vorrei arrivare in ritardo, la mia famiglia ha bisogno di me»
«Certo. Scusa il disturbo, non so davvero come ringraziarti» forse avrebbe potuto metterla in contatto per qualche ruolo minore in qualche film e vedere di che stoffa era fatta.
«Non farlo, mi sentirei meno in colpa» gli sorrise e chiuse la porta, conscia di aver fatto la cosa giusta nonostante il barlume di un amore appena nato negli occhi di lui.
 
Dopo aver lasciato casa della sorella di Grace aveva deciso di dirigersi a Downtown per non perdere altro tempo. Aveva evitato la zona in cui avrebbe potuto incontrarla per non bruciarsi l’opportunità che la sorella di lei gli aveva offerto. D’altronde non era sicuro che Grace volesse vederlo, se ne era andata senza lasciare il minimo indizio dietro di sé, era convinto volesse dire qualcosa, dato che in quella sera la ragazza gli aveva parlato più con i propri silenzi.
Aveva girato così per le vie secondarie dell’immenso quartiere e aveva spiluccato un piatto di pasta in un ristorante italiano che del sapore del paese originario della scritta non aveva nulla.
Era tornato ad assaporare, con calma, l’aria frizzante di quella città che tanto gli era mancata nel turbinio della sua stessa anima crepata e rigenerata. I pensieri in quei momenti vuoti erano così forti da stordirlo, non gli permettevano di capire come doveva sentirsi.
L’unica certezza era quella di sentirsi diverso rispetto a un paio di giorni prima, quando Rayon era prepotente e lui era distrutto, e il merito era solo di Grace.
Mancavano venti minuti alle cinque e Jared, munito di impazienza, si era portato nei pressi della Cappella. Si era sistemato dall’altro lato della strada, sotto un giovane albero che gli conferiva la giusta riservatezza agli occhi dei passanti, non voleva essere notato.
Aveva deciso che da lì avrebbe avuto una visuale migliore per scrutare tra la folla, capire dove Grace sarebbe apparsa ma soprattutto dove si sarebbe diretta, perché nei pressi c’era un hotel con una sala conferenza molto attrezzata, una sala da tè elegantissima, la Cappella e altri posti in cui una persona avrebbe potuto andare.
Rimirò la strada vibrante di vita illuminata dal sole che, con lentezza, si abbassava svogliato verso l’orizzonte, bagnando ogni cosa con i propri riflessi arancioni. Inspirò l’aria e trovò in essa note di foglie di tè verde, una fragranza esotica e rilassante che agì in positivo sui nervi.
Era focalizzato sulle sue sensazioni interne.
I suoi molteplici lati, lenti e inesorabili, stavano tornando a formare una sola anima. L’uomo e il cantante non avevano bisogno di far pace perché erano la stessa persona da tempo. Il sé attore, invece, era un vuoto che con i propri limiti si stava riavvicinando al Jared più vero, rendendolo integro e forte come non era da tempo, come era prima della venuta di Rayon.
Fu il suono di una porta pesante che si apriva a risvegliarlo dalla sua analisi di redenzione.
Un nugolo di persone uscì dalla porta della Cappella dalle pareti bianche che tanto gli ricordava il Messico, facendo un discreto rumore.
Vestiti eleganti e colori pastello animavano quella piccola folla festante, intorno a due persone che, immaginò, avevano da poco formato una coppia.
Gli sembrò di scorgere due occhi famigliari, ma a sua sorpresa non erano quelli di Grace.
Era lo sguardo dispiaciuto che già aveva incontrato quella mattina. Un allarme scattò in lui, tanto che la sua triade, i suoi lati più controversi e forti del carattere, si riunirono nella sua sola persona per dagli forza. Dopo molto tempo aveva ritrovato la sua unità.
Gli occhi della sorella della ragazza che era stata la sua salvezza – donna di cui avrebbe dovuto imparare il nome – lo fissavano triste. Lei lo vide con la coda dell’occhio dall’altro lato della strada e gli mimò con le labbra un ‘mi spiace’ di cui Jared, anche se a distanza, percepiva il dolore.
Vide di spalle un fotografo fare spazio ai protagonisti, facendo aprire la gente per lasciare lo spazio a loro di uscire dalla cappella e a lui per scattare le foto.
Poi capì.
In piedi, sull’uscio, c’era un uomo in un completo nero ed elegante e un’aria totalmente felice. Accanto a lui una donna con un vestito bianco, semplice ma sbarazzino, che portava tra i capelli mossi e non molto lunghi un fiore viola, lo stesso colore del bouquet.
Il sorriso di lei incrinò la bocca di Jared, contagiato da quel gesto così sentito e totalizzante, senza però dimenticare il proprio dolore.
Rayon, in quel momento, era un ricordo più che lontano. Sembrava quasi un’allucinazione.
Grace era una sposa bellissima.
Ora capiva come mai la sorella l’avesse messo in guardia e gli aveva chiesto di non ringraziarla per quello che agli occhi di lui era parso come un aiuto bello e buono. Aveva pensato che, se avesse saputo del matrimonio avrebbe agito in modo imprevedibile, magari cercando di mandare all’aria l’evento.
Alzò un angolo della bocca. L’avrebbe fatto? Ovvio che sì, era Jared Leto e ottenere quello che voleva era il suo diktat personale, sarebbe corso in chiesa durante la cerimonia pur di fare qualcosa di memorabile a proprio vantaggio.
La sorella di Grace doveva conoscere la sua fama, per questo aveva deciso di mostrargli la sorella solo a cose fatte. Sorrise amaro, perché era stata furba e non avrebbe mai puntato sull’astuzia di una ragazza che all’apparenza sembrava parecchio ingenua. L’aveva sottovalutata e questo gli aveva fatto cambiare idea sui pregiudizi nei suoi riguardi. Non ce l’aveva con lei, ma con se stesso per non aver agito prima, quando ne aveva avuto l’opportunità.
Fu ridestato dai suoi pensieri dalla forza dello sguardo di Grace, puntato su di lui e richiamato dagli stessi occhi azzurri di Jared che, sfacciati, la fissavano come se la folla attorno a lei non ci fosse.
Gli sorrise in imbarazzo, colta in fallo. Gli mormorò un ‘ti voglio bene’ che forse voleva dire molto di più e Jared si prodigò nel discorso più lungo che avesse mai fatto.
Sempre dall’ombra dell’albero annuì appena, ingoiando il nodo della sconfitta che si era annidato nella gola.
Con gli occhi le raccontò la storia che aveva immaginato per loro. Una cena, la bocca di Jared a morsicarle le costole e poi i seni durante il sesso in preda alla passione più cieca. Una casa con un grande portico su cui sarebbero stati seduti su un dondolo a guardare il tramonto. Magari a Los Angeles, magari in Louisiana oppure che ne sapeva, in Colorado. I capelli erano lunghi e grigi, i sorrisi gentili e appagati. Un cane e il nulla riempito solo da loro. Niente fedi alle dita, il rimorso di non aver avuto figli quando potevano averne e non li avevano voluti. Il sesso fine a trovarsi e distruggersi. Le litigate. Il naso di Jared che, nel gesto più intimo che avesse mai fatto, percorreva il profilo del viso di Grace. Una passeggiata mano nella mano. I seni sodi di lei che gli riempivano la bocca ma non saziavano la voglia che aveva della donna, perché non ne aveva mai abbastanza. Le notti insonni a lavorare ai suoi progetti mentre lei dormiva nel loro letto, disturbata dalle chiacchiere di lui con Shan e Tomo. Lei che avrebbe disegnato per loro simboli e avrebbe curato le immagini del gruppo. Il vento tra i capelli mentre stavano seduti sulla spiaggia di Venice Beach e il profumo dell’altro ad accarezzare le narici, accompagnando i ricordi di una vita che non sarebbe avvenuta mai.
Vide brillare negli occhi di Grace due lacrime di commozione, perché anche lei aveva visto tutto quello, l’aveva visto prima di lui, ancora quella notte. Ecco perché era fuggita, perché aveva altri progetti e non poteva credere che una sola notte di amore eterno e appena accarezzato potesse cambiare tutto.
E nonostante la commozione lui poteva vedere la felicità che provava con il suo nuovo marito. Una felicità che Jared non avrebbe potuto garantirle, forse nemmeno darle, per il semplice fatto che lui non era cosi.
E quella storia mai nata era avvenuta per mille motivi sbagliati.
L’aveva scritto lui stesso in una canzone che qualcosa iniziava con una fine.
Grace era stata la sua salvezza. Aveva rimesso insieme i pezzi accarezzando soltanto i cocci che di lui erano rimasti. Rayon era andata via cedendo a una tale forza, anche se aveva il tocco delicato delle sue carezze e delle lacrime che lui era riuscito a smuoverle.
La sua sola presenza aveva fatto trovare a Jared un buon motivo per rimettere insieme la sua anima.
Grace tornò a dedicarsi al marito, che non aveva lasciato andare la mano di lei nemmeno per un secondo, e agli ospiti che si congratulavano per il lieto evento.
Jared stette immobile ad ascoltare ciò che avveniva dentro di sé.
Non era crollato, perché ormai era saldo, intero. Era stato il cuore a fare un rumore strano.
Era il rumore di un cuore rotto, la melodia che stava facendo da sottofondo ai suoi pensieri, la stessa che dava un senso alle parole scritte il giorno prima sui fogli abbandonati sul tavolino di casa sua.
Tutto aveva assunto un senso.
Grace. Il bacio. L’amore. Le parole. La musica. Rayon. Il cuore spezzato. La redenzione. La salvezza. L’espiazione.
Il cantante. L’attore. L’uomo. Jared.
Sorrise al marciapiede nella sua solitudine fin troppo affollata da quei sé così variegati. La sera in cui l’aveva conosciuta lei gli aveva confidato che avrebbe voluto sapere quanto di loro c’era nei testi, chi li scrivesse e cosa li portasse a tutto quello. Beh, l’abito bianco che lei stessa indossava le aveva dato un’inconscia risposta.
Era l’amore a smuovere tutto: per un’altra persona, per la vita stessa, per la musica. Era l’energia che scorreva dentro ogni piccola cosa, ogni cuore spezzato, ogni debolezza a dare vita alle note, alle parole.
Il nuovo album sarebbe stato il frutto della debolezza che lui stesso aveva sperimentato e della conseguente redenzione; doveva ricordare al mondo che essere umani era un pregio e non un difetto.
Grace, ascoltandolo, sarebbe stata l’unica a capire che le canzoni le scriveva Jared di suo pugno, che ogni singola frase veniva dal suo vissuto, perché avrebbero parlato di lei e di quell’intimità che avevano condiviso in una lacrima disperata e in un matrimonio che, come una parete trasparente che divideva i pesci nell’acquario da chi li osservava, li avrebbe tenuti lontani, almeno fisicamente.
Grace sarebbe stata la sua musica, non avrebbe mai potuto avercela con lei, perché Grace l’aveva spezzato per poi rimetterlo in piedi, a modo suo.
Gli aveva ridato ciò che aveva perso e stava cercando da mesi.
Aveva sentito il cantante e l’attore stringersi intorno all’uomo.
Lei gli aveva ridato se stesso.
Grace l’aveva salvato.
Perché a soffrire in quel momento era Jared, perché a cantare i loro segreti sarebbe stato sempre lui.
Jared. Solo e soltanto Jared.



Buonsalve a tutti coloro che sono sopravvissuti a questa cosa soporifera.
Come potete notare è la prima volta che scrivo in questo fandom, e forse anche l'ultima, anche se non nego che qualche altra idea riguardo i Mars c'è, ma potrebbe essere più idiota e ormonale, tipo.
Volevo dire che non so davvero se ci ho preso o meno, perchè sono entrata nel trip dei 30STM solo dopo il concerto di Milano, dove ero andata per accompagnare mia sorella e ascoltare sì della buona musica, ma che conoscevo quasi per sbaglio, con l'orecchio di chi ascolta le chart di MTV, per intenderci.
Quindi è da due settimane che mi sto buttando a capofitto nel fandom e in loro, in tutto quello che si possa trovare.
Mi scuso se non è stata di vostro gradimento o se non avete trovato l'idea di Jared che vi siete fatte.
Spero solo che dopo questa noia siate ancora vive!
Ringrazio tantissimo Jess per aver realizzato il banner che trovate in cima alla storia, la trovate qui: Jess Graphic.
Se invece volete trovare me potete farlo nel mio gruppo: Love Doses.
Sbaciucchiamenti, Cris.

 
   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars / Vai alla pagina dell'autore: Love_in_London_night