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Autore: FABRIZX    18/11/2013    5 recensioni
In un luogo lontano da noi, ma forse meno di quanto pensiamo, una piccola storia si svolge ai margini dello sguardo della gente.
È la storia di uno strano incontro, e dei pensieri di un uomo.
È la storia di un gesto semplice, tanto da poterci sembrare fin troppo difficile.
È la storia di un momento di un viaggio, ma anche, forse, del cuore del viaggio stesso.
Il misterioso viaggio di Johnatan.
Che proprio ora, sta giungendo nei pressi di una città come tante...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  • Jonhatan -

 

In una città, appena sul limitare delle luci aranciate delle strade, appena oltre sguardi che scorrevano come le foglie morte sullo stesso grigio delle zone d'ombra, un piccolo battito debole lo era sempre di più.

Un soffio delicato e ferito, tenue fino all'impercettibilità, sarebbe stato facilmente nascosto dalla debolissima brezza, se qualcuno lo avesse cercato.

Riflessi di una luce elettrica, anch'essa aspirante riflesso del giorno, erano ormai più vivi nei ricordi lontani che nel presente dimenticato.

Suoni sconnessi di passi si alternavano sulle strade, mentre ogni sorta di persone le attraversavano spedite, saettando con gli occhi senza cercare realmente nulla, o fissando nel vuoto, interiore o esteriore che fosse. Pochi fortunati osservavano davvero, contemplando strani mondi dentro se stessi, o uno spettacolo estraneo che si rifiutava di mostrar loro la sua vera natura. Quasi tutti erano in compagnia di qualcuno, e tuttavia erano soli.

Fu in quell'inconsapevole concerto stonato che batterono i passi ritmati di Johnatan.

Un suono secco e preciso tagliava con strana discrezione i rumori della città, mentre un uomo disegnato negli scuri contorni di un cappotto nero avanzava nel torrentello di gente, e qualcosa di ciò che fissava sembrava tuffarsi nel suo lucido sguardo grigio, che scintillava opaco sotto l'ombra del nero cappello.

E, nella varietà di figure che scivolavano nelle luci discordi, Johnatan era l'unico che realmente guardasse in qualche direzione. E quella direzione era avanti. Perchè Johnatan non era un passante, ma un viaggiatore. E soprattutto, perchè Johnatan aveva una missione da compiere.

Da più tempo, forse, di quanto riuscisse a ricordare, viaggiava per compierla, e ora l'aveva portato lì. Una città come tutte le altre, senza qualcosa che valesse la pena cercare, e Johnatan la attraversava pensando alla prossima meta, e al contempo osservando ogni cosa. Si strinse nel cappotto con una mano guantata, dopo aver avvertito una stretta di freddo al petto. Gli passò subito, e continuò a camminare, pensando a molte cose insieme. Per un verso, pensava e valutava cosa avrebbe dovuto fare ora, e questo gli richiedeva di pensare attivamente. Al perchè, da tempo, pensava solo raramente. Non avrebbe saputo dire se per convinzione o per inerzia. Non che gli importasse granchè.

Nello stesso tempo, era all'erta, e cercava costantemente un qualunque segnale che potesse guidarlo, qualcosa da cui stare in guardia, o qualcosa da ispezionare, che gli rivelasse nuovi dettagli o segreti.

Questo procedimento, invece, ormai lo compiva d'istinto, allenato dall'esperienza, senza più bisogno di dover pensare. Così d'istinto, in effetti, da non notare più dei dettagli importanti.

Almeno, non consciamente. Talvolta, la sua mente filtrava qualcosa, per poi riportarlo alla sua attenzione in un secondo momento, quando quel dettaglio acquisiva un senso.

Fu per questo motivo che Johnatan non seppe di aver seguito con estrema attenzione gli sguardi degli altri passanti, finchè non gli cadde l'occhio sull'unico punto che essi evitavano.

La zona d'ombra del vicolo laterale.

Da un lato, non si può veramente dire che avesse guardato per caso in quella direzione. Dopotutto, aveva ispezionato accuratamente ogni scorcio al suo passaggio. Dall'altro, fu quanto di meno intenzionale avrebbe potuto fare. Ragion per cui osservò con maggiore attenzione quell'angolo buio che aveva deviato il suo sguardo, così imprevisto da essere apparentemente invisibile a chiunque non fosse disposto a vederlo.

E mentre osservava, si fermò di scatto. Non andava veloce, quindi non l'avrebbero notato in molti, ma il suo movimento cessò praticamente all'istante, passando da lento a nullo, senza alcuna apparente decelerazione intermedia. E Johnatan, immobile, stette in piedi, affilando lo sguardo e aprendo una sottile fessura nella penombra abbandonata, bandita dalla stessa luce che sfiorava, e vide infine ciò che nascondeva, senza nemmeno volerlo, nel leggero velo steso su forme indistinte.

 

Un cumulo di immondizia poggiava come esausto, riverso contro uno dei muri del vicolo buio, e sopra di esso stava buttata, fredda e fragile, una figura ben più misera, avvolta in qualcosa di abbastanza informe da bloccare uno sguardo, ma altrettanto sottile da non fermare affatto il freddo che si avviava a diventare invernale.

Il corpo pallido e abbandonato di una donna.

Johnatan si avvicinò, osservando quella figura senza bellezza, volto scavato e vestiti laceri, capelli sottili e occhi svuotati. Non ebbe bisogno di avvicinarsi per capire che era morta da pochissimo. Poteva quasi vedere quel poco di colore rimasto che finiva di andarsene, come per uno strano pudore. Tirò su col naso, stringendo gli occhi, restando a fissarla, la bocca che si apriva e chiudeva impercettibilmente, balbettando un silenzio sottile.

Dalla sua posizione, dedusse che era scivolata verso il bordo del mucchio dopo aver perso definitivamente le forze, mentre cercava di spostarsi. Osservando più in là distinse una depressione nel cumulo, in cui si trovavano alcuni sacchi lievemente schiacciati e una coperta bucherellata, totalmente incapace di fornire una qualsiasi protezione dal freddo. Aveva dormito lì, fino a poco prima, quando si era mossa, probabilmente a causa del brivido freddo che l'aveva finita.

E quel punto, dalla strada, era del tutto invisibile. Se Johnatan fosse arrivato mentre era ancora in vita, non l'avrebbe mai vista. Non avrebbe ugualmente potuto far nulla.

Poi un pensiero lo colpì. Uno di quei pensieri che ogni tanto stilettavano il fondo della sua coscienza. Pensieri che lo ferivano, o di cui si pentiva subito, senza tuttavia scacciarli mai, come se gli insegnassero comunque qualcosa.

Avrebbe fatto qualcosa, se l'avesse vista ancora viva? O non se ne sarebbe piuttosto andato per la sua strada, dopo aver registrato per il futuro un dettaglio del paesaggio, nella mente un vago accenno di riflessione sulla miseria in cui l'uomo riduce l'uomo, pensando alla sua missione, e lasciandola al suo destino, lontano dalla luce?

A pensarci, non l'avrebbe voluto. Ma sarebbe stato capace di evitarlo, se le cose fossero andate diversamente? Non ne era affatto certo.

Paradossalmente, immaginò, il fatto che fosse morta proprio nel momento

(giusto)

del suo passaggio sembrava dargli un'occasione di salvarsi l'anima. Chissà se non...

Respinse il pensiero con violenza. Di certo, un'anima innocente non sarebbe stata sacrificata per lui.

Ma perchè, si chiese, chi gli diceva che fosse innocente?

Rimase un attimo fermo, con un espressione strana, come schifato da se stesso. Ma perchè, aveva qualche importanza?

Dietro di lui, la strada si svuotava sempre di più. Realizzò di essere rimasto fermo più a lungo di quanto pensasse, mentre il tempo si era come dilatato. Deglutì, conservando uno sguardo impenetrabile, e fece un passo in più nel buio. Un refolo di brezza rimbalzò sulle pareti del vicolo sollevando l'orlo della sua giacca scura.

Con un movimento che quasi accennava a voltarsi, volse in basso lo sguardo. E incontrò gli occhi della donna. Per un lungo momento, Johnatan rimase di nuovo paralizzato, mentre ogni pensiero astratto, ogni costruzione artificiosa, ogni complicata questione di coscienza scivolava giù dalle sue spalle come fango madreperlaceo, e si trovò a fissare la semplice verità di quella morte sola, che la luce non si degnava nemmeno di disprezzare. Lì, al confine dentro di noi.

Percepì frammenti di speranze spezzate, e preghiere incompiute di una lunga agonia, sempre lì, appena ad un passo dal muro che nessuno sapeva

(voleva)

vedere. Si sorprese a provare ad immaginare la miseria di quella vita reietta come quella di qualcuno che gli fosse vicino. Qualcuno che in effetti lui non aveva (e lì, per un'attimo, credette o temette che la sua morte sarebbe stata così. Ma respinse il pensiero, pentendosene. La sua solitudine, almeno in parte, l'aveva scelta e accettata. Non aveva il diritto di paragonarsi alla creatura spezzata che aveva di fronte).

Si chiese perchè stesse facendo un pensiero del genere. Non volle rispondersi.

La pensò di nuovo come un'estranea. Non sapeva se avrebbe dovuto sentire qualche differenza, ormai.

Tirò fuori una mano dalla tasca, e la scosse come a scacciare qualcosa, insieme alla testa. Basta pensare.

E poi, era fin troppo tempo che stava lì, fermo, senza fare nulla di utile.

Nell'attimo fra questo pensiero e il formarsi dell'intenzione di andarsene, Johnatan contrasse il volto e si fermò, chiudendo per poco gli occhi grigi.

Quando li riaprì, aveva preso la sua decisione. Avanzò, mentre il tacco delle sue basse scarpe scure tornava a risuonare ritmicamente, ed estrasse l'altra mano dalla tasca. Tirò di nuovo su col naso e si sistemò il cappello, poi fu al bordo del cumulo di rifiuti. Fissò uno sguardo intenso su quello che si sarebbe potuto dire il più misero, annuì al nulla, e con un solo movimento sollevò il corpo emaciato.

Se la sistemò in braccio come una principessa, con attenzione, e rimase un secondo a pensare che avrebbe forse fatto più fatica a spostare i sacchi su cui era distesa.

Girò sui tacchi e si diresse fuori dal vicolo, guardando di sbieco il suo fardello. In qualche strano modo, sembrava più serena, e le membra senza sostegno erano abbandonate in un modo che faceva pensare che avesse cercato di mettersi comoda. Sorrise impercettibilmente e con amarezza al pensiero, poi una sensazione sgradevole lo colpì. Fu quasi con doloroso stupore che realizzò cosa fosse: l'odore del cadavere, o meglio degli scarti che lo circondavano. Era morta da pochissimo, dopotutto, per cui la decomposizione non era ancora in corso. In caso contrario, sarebbe stato ancora peggiore.

Per un attimo, Johnatan pensò con dispiacere che pur non essendo particolarmente pregiato, il tessuto dei suoi abiti era comunque di una certa qualità...

Scosse di colpo la testa, come se si fosse tirato uno schiaffo. Ce l'aveva con se stesso. Quanto poteva essere stupido!

Quanto poteva essere umano...

Svoltò ancora una volta, ripercorrendo la via per cui era entrato in città (allontanandosi dal percorso della sua missione, gemeva una parte di lui). Il suo passo cadenzato procedeva inarrestabile, mentre il corpo della sconosciuta, avvolta in panni che non avrebbero permesso quasi a nessuno di capire subito cosa stesse guardando, ballonzolava lentamente. A Johnatan non piacque. Rallentò, risistemandosela in braccio e tenendola stretta con forza e delicatezza maggiori.

Era quasi arrivato alla sua destinazione.

Una ventata fredda si alzò di colpo. Johnatan tossì per schiarirsi la gola, senza un motivo preciso, mentre il vento lambiva lui e la donna. Nessuno dei due potè sentir freddo.

Per i minuti successivi, si perse nelle domande sussurategli dal viso martoriato che portava con sè, e in quelle che lui stesso si rivolgeva, avanzando fuori dalla notte illuminata e cieca della città, verso lo sguardo silente dei boschi ombrosi oltre le strade. Alzando lo sguardo, vide ciò che cercava.

Al limitare del bosco, una catapecchia fra gli alberi, in cui scintillava una debole luce sfrigolante.

Johnatan si diresse verso un albero in ombra, e adagiò la donna, seduta, tra le sue radici. Si alzò, posandole sulla testa una sorta di carezza rassicurante. Forse ce l'aveva più con se stesso. Si diresse verso la casupola, e bussò con la mano guantata. Si guardò la giacca, consapevole dell'odore di rifiuti. Sperò che non gli creasse problemi, e in quel mentre la porta si aprì, e l'uomo magro e spaurito che abitava lì, e che quella sera, qualche ora prima, si era ritirato in casa chiudendo porta e finestre all'avvicinarsi di uno sconosciuto forte e vestito di nero, si trovò paralizzato di fronte a lui nel rettangolo luminoso della porta, desideroso solo di scappare, incapace perfino di tentare di farlo. Johnatan lo sentì immediatamente. Gli parlò, tentando di sorridere, ma gli riusciva un po' difficile. Arrivò perfino a levarsi il cappello, chiedendogli cortesemente qualcosa. L'altro, sebbene in soggezione, ingobbito e un po' tremante, si calmò visibilmente, pur evitando all'inizio di guardare Johnatan. Il discorso continuò per un po'. Johnatan fu perfino invitato ad entrare, declinò gentilmente, gli fu chiesto ancora, entrò per qualche secondo, mentre il suo strano ospite parlottava fra sè con un sorriso stupito, come se fosse sorpreso di essere ancora sano e salvo. Johnatan ripetè la sua richiesta. L'uomo si affrettò ad annuire più volte, e si mosse a passettini, biascicando scuse superflue. Johnatan si fermo con un mezzo sorriso. Rimase ancora per poco in quella casetta sperduta, attendendo che l'altro tornasse.

Ne uscì portando con se qualcosa di pesante e ingombrante, che tuttavia reggeva senza sforzo particolare. Si chiese però come avrebbe fatto a portare entrambi i suoi fardelli.

Si rispose che ci avrebbe pensato al momento di farlo, e raggiunse l'albero di poco prima, cercando la sua pallida compagna di viaggio. Quando la vide provò un assurdo sollievo.

Perchè aveva pensato

(temuto)

di non trovarla più lì?

Si strinse nelle spalle, deridendosi, e appoggiò il peso datogli dall'uomo nella casetta.

Dopo un paio di difficili e goffi tentativi, riuscì a caricarseli entrambi, lasciando la donna in una posizione dignitosa. Stava scomodo, faticava di più, e non vedeva granchè bene dove andava. Non gli importava.

Con un lieve grugnito, si rimise in cammino, puntando nel bosco, verso qualcosa che intravedeva in lontananza, lontano dalla casa, di cui non voleva invadere lo spazio, e dalla città, in cui evidentemente non c'era posto per loro. E fu di nuovo lì, con i suoi pesi freddi, nel fiato caldo della fatica, mentre qualche stella buttava giù un'occhio curioso. Alle spalle, luci di frettolosa indifferenza diventavano sempre più lontane.

Tra una ventata e l'altra, alle volte inciampando, raggiunse la sua meta. Una radura, piccola e riservata, si apriva tra gli alberi, sotto il cielo d'autunno poco nuvoloso. Johnatan fece qualche passo verso il bordo della radura, e posò di nuovo a terra la donna, più delicatamente possibile. Fece un breve ed intenso respiro, poi si tolse i guanti e li lasciò cadere a fianco di lei. Voleva compiere il prossimo passo a mani nude.

Tirò di nuovo su col naso, e strizzò gli occhi, respingendo una certa stanchezza. Poi si chinò rapidamente, e afferrò il peso ingombrante della pala datagli dall'uomo nella capanna. Avanzò verso il centro della radura, osservando la delicatezza dei fiori, la morbidezza umida dell'erba. Si sentì accolto. Sperò che quell'accoglienza non fosse solo per lui, o che non sarebbe stata in qualche modo cambiata da ciò che stava per fare. Con rabbiosa energia, afferrò la pala, e affondò di colpo nel terreno la lama metallica, spezzando con un tonfo il terreno quieto e sonnacchioso.

E così continuò, per vari minuti, colpo dopo colpo, con foga, non pensando a nulla.

Di fronte a lui, una terra di colpo avida ingoiava a più riprese il metallo, risputandolo insieme a nugoli di terra fredda, strana creatura le cui fauci sembravano tuttavia aprirsi con gentilezza, secondo un disegno che diveniva sempre più chiaro, sempre più netto. Johnatan scavò più forte, più svelto. Gli sembrò che la sua amica sconosciuta (non seppe mai perchè avesse pensato a lei in quel modo) lo guardasse, con un misto di speranza e curiosità. Affondò ancora più forte. Gli sembrò quasi che avrebbe potuto rendere la fossa più calda, se avesse scavato più in fretta.

Diede l'ultimo colpo col viso arrossato, il sudore della fronte che colava al di sotto degli occhi, in grosse gocce.

Ma era sudore?

Si asciugò con una mano, senza badare più a quale odore avesse, se terra, sudore, metallo... o altro.

Rimase a riprendere fiato. Aveva finito in poco tempo, si disse.

Si voltò verso la donna, e annuì, rivolto a chissà chi.

Per la terza volta la sollevò, anche stavolta con più delicatezza della precedente. Per la terza volta la portò in braccio, per la terza volta la depose, adagiandola compostamente in quell'umida terra, che tuttavia era da molto tempo il primo e l'unico posto che la accogliesse volentieri. E fu mentre faceva questo che senti di aver imparato ad amarla.

Ad amarla come dovremmo amare chiunque abbia bisogno di aiuto.

Non ebbe tempo nè voglia di rifletterci. Si guardò intorno, e per qualche secondo pensò di lasciarle un fiore. Lasciò stare. Non voleva disturbare oltre la quiete di quel rifugio così gentile. E poi, gli sembrava che ci fosse fin troppa somiglianza fra il pallido corpo delicato, e gli steli diafani che tentavano di sopravvivere al lento cammino dell'inverno.

Tuttavia, prima di iniziare a ricoprire la fossa, gli sovvenne in mente qualcosa. Forse c'era un'omaggio che poteva ancora rendere...

Non aveva i mezzi per renderlo come si rende ai grandi o agli eroi, ma forse sarebbe stato più appropriato per questo. Di più, gli parve quasi ipocrita.

Infilò una mano nelle nere pieghe della giacca, e armeggiò per un po', alla ricerca, finchè trovò il peso familiare del metallo freddo e rifinito, e lo estrasse sotto le stelle.

Nell'ombra della sera, sotto una luna debole, la pistola sembrava ancora più scura del solito, e fuori posto, come perplessa dallo strano compito che le era affidato. Johnatan non se ne curò, impugnandola con ferrea sicurezza e guardando la donna, ancora più pallida per contrasto. Levò il braccio fino all'altezza del volto e rimase fermo per qualche istante, mormorando mentalmente qualcosa, che parve un saluto..

Levò il braccio ancora più in alto, verso il cielo.

La pistola, antica e raffinata, roteò tre volte durante il movimento, reagendo al più piccolo movimento della mano esperta di Johnatan, e la canna nera puntò verso le stelle. Un'altro dei suoi tipici attimi di pausa. Johnatan tirò su col naso, per l'ennesima volta, e fissò negli occhi chiusi di quella donna sola uno sguardo di ferro.

Sparò il primo colpo, e tutto tuonò con lui.

Ricordò racconti di un altro tempo, quando i cannoni suonavano per i caduti di battaglie che quasi nessuno più ricordava. Qualcosa che sembrava un sorriso affiorò sulle labbra di Johnatan. Chissà con che altro genere di nemico aveva combattuto lei?

Più insidioso di ciò che si affronterebbe con una pistola, forse. Perchè era negli sguardi della gente come lei. Nella miseria da cui non vedeva più come uscire... e forse nel suo stesso cuore.

Sparò il secondo colpo, guardando davanti a sè, e la radura stessa sembrò risuonare e unirsi a quell'omaggio per una figlia dimenticata dello stesso padre. Il terzo colpo lo sparò guardando le stelle, e avvertì come un senso di attesa. Gli parve che mancasse qualcosa. Fece per abbassare la pistola, e sentì il peso dei colpi rimasti. Sorrise ancora, mestamente. Se doveva rendere omaggio, perchè non renderlo fino in fondo?

Tese di nuovo il braccio, con fermezza, di nuovo guardò la donna, e tre rapidi colpi tuonarono, uno più potente dell'altro. Nel rimbombo dell'ultimo sparo, il vento si alzò e spazzò la radura, e fiori che mai nessuno vedeva si chinarono verso la donna che tutti avevano dimenticato. Johnatan abbassò la pistola, la ripose e chinò il capo. Stette così, per alcuni attimi. Niente da dire. Niente a cui pensare. Solo quella radura, che il vento aveva lasciato di nuovo a se stessa. Altro sudore gli scese giù per il viso. Se di sudore si trattava. Annuì, per riempire il vuoto che in un attimo aveva sentito in sè, e si voltò. Ad attenderlo, restava solo la pala.

 

 

Johanatan camminava, a passo costante, senza voltarsi. Si dirigeva verso la città, che avrebbe attraversato in fretta, fermandosi solo il minimo indispensabile per dormire.

Dietro di lui, una tomba segreta, e un uomo con una pala, che forse ora aveva un po' meno paura del mondo. Un paio di volte pensò con divertita invidia a quell'ultima della terra che gli passava avanti nel regno dei cieli. Scacciò in fretta il pensiero. Si augurò che fosse davvero così, e per una sola volta si voltò indietro. Si strinse nella giacca, mentre il vento freddo si alzava di nuovo, con quegli strani intervalli, e gli parve di sentire un tocco di gratitudine...

O magari, era solo molto stanco.

 

La mattina dopo, Johnatan si svegliò presto, e partì per la sua missione, camminando spedito verso l'alba. Ad un passante, complice il sonno residuo della mattina, le strane ombre ondeggianti della sua giacca dietro di lui sarebbero potute sembrare un paio di ali...

 

 

 

 

 

 

 

 

FABRIZX

   
 
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