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Autore: mickey_    19/11/2013    1 recensioni
Ebbe la piacevole sorpresa di scoprire che le sue labbra erano effettivamente morbide come pensava, e sapevano di miele.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lips that taste of honey.

 

A Mickey avevano sempre dato fastidio le discoteche. La musica assordante come cocci scaraventati contro il muro, il calore di persone su persone asfissiante, quell'odore misto a profumi e sudore, l'euforia della gente dettata da eccessi di bevande alcoliche, ma anche l'arroganza. Non sapeva, in effetti, per quale motivo si trovasse lì. O meglio, lo sapeva, ma tuttavia non riusciva a capacitarsene, aveva di nuovo ceduto.

Un sospiro lasciò le sue labbra mentre si sedeva nell'angolo più remoto del lungo bancone, gremito di persone che chiedevano cocktail e attiravano l'attenzione dei barman schioccando le dita. Ma Mickey non era mai stato così scortese, né avrebbe mai avuto l'intenzione di esserlo, e per di più sapeva di non aver bisogno di attendere molto; Jared -il cameriere- sapeva che era lì. Infatti il ragazzo dai capelli corvini e rigorosamente ricci s'era avvicinato fino ad essergli davanti con un sorriso smagliante, come sempre.

«Qual buon vento porta la suora fuori dalla chiesa?!» chiese subito, alzando la voce per farsi sentire.

«Oh ma smettila!» sbottò lui, fingendosi offeso e ferito. Pensò che probabilmente quella domanda era diventata la sua preferita, quando lo vedeva lì. «Una Beck's, per piacere».

Jared fece un cenno d'assenso e si girò, per poi tornare nemmeno un minuto dopo, con la birra richiesta in mano. Gliela porse e si appoggiò con gli avambracci sulla superficie lignea del bancone.

«Trovato qualcuno di interessante?» gli chiese, volgendo lo sguardo alla pista.

Mickey scosse la testa, arricciando le labbra. «Non ancora, sono appena arrivato» rispose facendo spallucce, guardò anche lui la gente che ballava e saltava al suono della musica.

Si portò la birra alle labbra, le bagnò appena, prendendo poi un lungo sorso. Sospirò piacevolmente alla sensazione di freschezza lasciata dalla bevanda, stringendosi nelle spalle, e lasciò che gli occhi scivolassero sui ballerini scatenati. Nulla di ché.

«Ti lascio alla ricerca, Micks, mi chiamano».

Mickey mormorò un “a dopo” con un sorriso, prima di volgere nuovamente lo sguardo alla pista da ballo e al dj che si muoveva a tempo, divertito ed eccitato. Osservò una coppia strusciarsi l'uno sull'altro, con le labbra schiuse e le mani che accarezzavano ovunque; una ragazza si muoveva solitaria, ma con enfasi, con alcuni ragazzi che le andavano dietro, più in disparte; due donne ridevano ilari alzando le braccia al vento, girando su loro stesse. A Mickey piacque pensare che magari s'erano licenziate ed erano scampate alle grinfie di un terribile capo, e ora stavano festeggiando, o magari era solo una di quelle serate senza uomini, all'insegna del divertimento. Ma comunque scostò lo sguardo, disinteressato e annoiato, poggiando il capo ad una mano, e con l'altra bevve un altro sorso dalla bottiglia.

Poi lo vide. Inizialmente non l'aveva nemmeno notato, ma era lì ed era impossibile che la sua attenzione non cadesse subito su di lui. Non si dimenava esaltato dall'alcol, come il resto delle persone, ma lento, sinuoso, calmo, un po' come fosse un fiore mosso leggermente dal vento. Poteva risultare fastidioso, quel suo ballo, e stonato rispetto alla musica forte e movimentata, ma attirò del tutto Mickey, che si soffermò a guardarlo incantato.

Si alzò subito dopo, per poter avvicinarsi, poggiandosi ad un muro distante pochi metri da dove lui ballava, e frugò impaziente con una mano nella sua tracolla, prese il blocco di fogli e una matita, lo aprì ad una pagina libera e cominciò a delineare la sua figura. Osservandolo con più attenzione, il ragazzo, dai capelli castano chiaro e la pelle cerea, che non stonava e non lo faceva apparire pallido, aveva le labbra schiuse e umide, un piercing al labbro inferiore, che di tanto in tanto sfiorava con la lingua. Era estasiato dal suo stesso ballo, buttava la testa all'indietro e sorrideva, portando le mani a sfiorarsi le spalle, il petto nudo e pronunciato, si passava qualche volta la mano fra i capelli. Mickey riuscì a notare solo quando i riflettori si posarono su di lui, illuminandolo ancora di più di quanto non facesse da solo, che aveva le guance tempestate di lentiggini. Il viso arrossato dall'alcol e imperlato di sudore, lo rendeva ancor più bello.

Affascinato, Mickey lasciava andare quasi da sola la mano sul foglio color panna, ritraendolo con le mani tra i capelli. Ci mise poco per terminare quel primo disegno, e subito dopo lo ritrasse mentre si circondava con le braccia e accennava ad un sorriso beato. Alzava di tanto in tanto gli occhi per guardarlo e poter continuare al meglio la sua opera.

Ecco perché le discoteche attiravano Mickey, c'erano sempre strani individui che ballavano in modo diverso, ragazzi meravigliosi che lo ispiravano. Era il suo spirito artistico che lo portava dentro posti così affollati e che lui non riusciva a tollerare a causa del disagio che provava nel muoversi tra la folla di gente. Ma quando disegnava non vedeva più nulla al di là del suo soggetto, e non sentiva nulla se non la calma e la tranquillità. Riusciva ad avere sensazioni simili anche in una discoteca dalla musica chiassosa e rimbombante come quella. Il disegno era così, per lui: lo trasportava altrove, ovunque non fosse in quel preciso istante, e gli strappava via tutto ciò che indossava. Lo lasciava nudo, senza nulla. L'anima completamente esposta, i pensieri sprigionati, un turbine d'emozioni che decoravano i suoi disegni.

Un sorriso soddisfatto apparve sulle sue labbra, quando dopo una mezz'ora si accorse di averlo ritratto altre quattro volte, e in quella che stava terminando in quel momento era riuscito a disegnarlo ad occhi aperti, e aveva avuto la piacevole sorpresa di scoprire che erano di un azzurro scuro, quasi blu. Aveva riempito due pagine di bozzetti su quel meraviglioso ragazzo che l'aveva preso così tanto -più di quanto non l'avessero mai preso-.

La birra che teneva poggiata su un tavolino di lato era finita da un pezzo, premeditava di prenderne un'altra, ma rimaneva a disegnare. Era come se non si potesse staccare dal ritrarlo. Fu grato a Jared quando si vide un'altra Beck's davanti, e gli sorrise riconoscente.

«Vedo che hai trovato la tua musa ispiratrice!» disse quello ridacchiando, accennando alla pagina piena di disegni.

«Come sempre» fece Mickey con finta presunzione, ma un sorriso scherzoso ad illuminargli il volto, benché concentrato nell'espressione del ragazzo.

Bevve dalla bottiglia, schioccando appena la lingua al palato, e posò la birra sul tavolino, tornando a guardarlo. Si sorprese quando notò il suo sguardo su di sé. Era un qualcosa di caldo e gratificante, quel semplice scambio di occhiate fugaci tra loro, era piacevole. Il ragazzo s'era girato completamente verso di lui e continuava a muoversi, come se stesse ballando per intrattenerlo -era una sua impressione o si muoveva più sensualmente? No, doveva essere un'impressione. Mickey lasciò vagare i pensieri e gli occhi sul suo corpo, sulle mani che accarezzavano lascive il suo stesso collo. Lo osservò girare su se stesso e portare le mani alla cintura dei jeans, allentandola per far scivolare di poco i pantaloni. Pensieri poco casti gli giunsero alla mente, portandolo a scostare lo sguardo, posandolo nuovamente sul suo viso, notando quel meraviglioso sorriso che gli sta- gli stava rivolgendo? Sentì le guance in fiamme, ma rimase con gli occhi nei suoi, incapace di sfuggire a quel calore, quelle sensazioni all'altezza dello stomaco.

Quello sguardo lo indusse a cominciare un nuovo disegno, con un sorriso sulle labbra, come eccitato di esser stato guardato da lui, di esser stato notato.

«Uhh... Micks, sta venendo qua!» lo canzonò Jared dopo un poco, punzecchiandogli il fianco con le dita.

Lui strabuzzò gli occhi. «Cosa-? Ehi, no, Jar, torna qua! Non andartene, non-» uno sbuffo sonoro lasciò le sue labbra mentre si sbrigava a chiudere il blocco dei disegni, Jared ormai lontano, di ritorno al suo lavoro. Stava per infilare il blocco nella borsa quando vide l'ombra di qualcuno su di sé, e una voce vicino al suo orecchio.

«Non me li fai vedere?»

Era calda, decisa, melodiosa. Lo immobilizzò sul posto dopo essersi tirato su veloce, in un sussulto spaventato. Lo scatto gli fece cadere il blocco a terra. Appena se ne accorse fissò lo sguardo sulle pagine aperte -ovviamente, data la sua fortuna, erano quelle in cui lo aveva disegnato- e boccheggiò un paio di volte prima di chinarsi e raccoglierlo, rosso in viso per l'imbarazzo. Non voleva far vedere i suoi disegni. Mostrarli gli dava fastidio perché si sentiva spoglio. Sentiva di star mostrando tutto ciò che aveva, e lo metteva a disagio. Specialmente con qualcuno che non conosceva, a differenza, magari, di Jared.

«I-io, uhm...» ed ecco che emergeva quella parte timida e insicura di sé, mentre faceva per chiudere il blocco e riporlo nella borsa.

Si sentiva colpevole di aver usato quel meraviglioso viso per i propri scopi. Forse doveva essere punito per aver osato guardarlo per più di un'ora.

Il ragazzo fu veloce, però, e gli tolse delicatamente il blocco dalle mani, lo riaprì guardando i disegni fatti su di lui, lasciando un Mickey nervoso a contemplarlo ancora una volta. Da così vicino le lentiggini erano chiaramente visibili, e si ritrovò a pensare che era ancora più bello che visto a tre metri di distanza -in quel momento era lontano dai riflettori, non si muoveva, era fermo e concentrato-, e avrebbe voluto ritrarlo anche a quel modo. Probabilmente l'avrebbe ritratto per tutta la notte, se non se ne fosse accorto.

Picchiettava sulla stoffa dei jeans a disagio. Forse anche lui pensava che non avrebbe dovuto usufruire della sua bellezza. Erano pensieri stupidi, ma ne aveva piena la mente in quel momento.

L'espressione del ragazzo, dal sorriso ilare ed eccitato, sfumò. Le labbra assunsero una posizione rigida e seria, gli occhi si muovevano veloci sulle diverse pose che Mickey aveva ritratto, una mano ne accarezzava le linee decise, un po' calcate sul foglio sottile.

«Non sono granché, lo so, non credevo mi av-» “avessi visto”, avrebbe voluto dire, ma lui lo zittì alzando una mano.

«Sono bellissimi».

«Ah?» fece incredulo, inarcando le sopracciglia.

«Sei davvero bravo...» gli venne mormorato, col viso così vicino da metterlo a disagio.

Mickey si morse l'interno delle guance non sapendo cosa dire. Non era arrabbiato perché l'aveva disegnato? Eppure da quell'espressione così seria sembrava, o forse stava mentendo e i suoi disegni non gli piacevano. Sì, era probabilmente così.

Si riprese il blocco che gli stava porgendo, stringendolo al petto con fare possessivo e timido allo stesso tempo, gonfiando le guance. Non avrebbe dovuto vederli. Non disse nulla, gli rivolse un cenno, facendo per andarsene.

Quello, però, gli si parò davanti con gli occhi curiosi, chinandosi per poterlo guardare in volto, che Mickey continuava a tenere basso. «Ehi, dico davvero... non so come hai fatto a rendermi così bello!» scherzò, mostrandogli l'ennesimo sorriso.

Probabilmente perché lo sei pensò lui, guardandolo. Gli era di nuovo così vicino, e i giochi di luce sul suo viso erano ammalianti. La sua pelle lo incuriosiva, avrebbe voluto toccarlo per capire se fosse così morbida come sembrava, sfiorarne le lentiggini sulle gote, seguire la linea marcata della mascella con un paio di dita, e il contorno delle labbra carnose. Forse non avrebbe dovuto pensare certe cose, ma era inevitabile, e fu grato al buio che incombeva su di loro in quel momento -i riflettori ancora lontani- così da non far vedere l'evidente rossore che teneva, perché gli occhi erano scivolati sul suo petto nudo, sui muscoli leggermente scolpiti. L'aveva ritratto tutta la sera con tranquillità, ma avercelo davanti era tutt'altra storia. Si chiedeva perché diavolo non indossasse la maglietta che teneva nel passante dei pantaloni, almeno per fargli staccare lo sguardo da quel bellissimo corp-

«Sono Sebastian» gli disse il ragazzo, all'improvviso. «E tu come ti chiami?»

Si riscosse dai pensieri solo quando Sebastian alzò un dito a sfiorargli la guancia, e lui fece subito un passo indietro, turbato.

«Mi chiamo Mickey» bofonchiò scontroso.

Devo andarmene, decisamente pensò facendo un passo di lato, verso destra, ma Sebastian fece lo stesso bloccandogli l'andata. Provò con la sinistra, senza risultato. Se lo ritrovò davanti, di nuovo. Perché non voleva lasciarlo andare? Alzò lo sguardo innervosito, scoprendo un'espressione che lo lasciò perplesso, così intensa.

«Balla con me, Mickey».

Il suo nome, pronunciato da lui, gli apparve piacevolmente stupendo. Normalmente avrebbe declinato e se ne sarebbe andato, ma si ritrovò a togliersi la tracolla dalla spalla e la giacca. Poggiò il blocco a terra con le sue cose sopra, e lo seguì nella pista.

Rimase fermo imbambolato, non sapendo cosa dovesse fare -non ballava spesso!-. Eppure, fece tutto lui. Sebastian carezzò le sue spalle da sopra la camicia, scendendo per le braccia fino ad afferrargli le mani, portandosele ai fianchi nudi. Mickey li strinse impacciato, anche se sentendosi già meglio, e azzardò avvicinandolo a sé fino a far scontrare i loro petti. Gli mancò il respiro affogando nei suoi occhi. Sebastian ricondusse le mani sulle sue spalle, per poi intrecciargliele dietro il collo, poggiando la fronte alla sua.

Mickey nemmeno si accorse di star ballando -si muovevano insieme in un qualcosa di lussurioso, ma non eccessivo. Può sembrare strano ma il loro era un ballo lascivo, a tratti dolce, a tratti no. I bacini si scontravano donando loro piacevoli scosse lungo la schiena. Non era movimentato, quel ballo, eppure i respiri erano leggermente affannati: si scontravano quello dell'uno sulle labbra dell'altro, e viceversa. Mickey sentiva le labbra fresche, ma anche secche e desiderava ardentemente baciarlo. Gli giunse alla mente avventato, quel pensiero: desiderò baciarlo. Sfiorare le proprie labbra con le sue, constatare se fossero morbide come sembravano, sapere che sapore avesse un bacio con lui.

Sfiorò il naso col suo, preso da tutto quanto. La canzone morbida, i movimenti soavi, le sue mani fra i suoi capelli scuri, la vicinanza. Sentì il cuore battere furioso come non mai, e fu per quella novità che si allontanò dalla meravigliosa stretta. Il calore che c'era tra loro svanì, così come il resto. Svanì tutto. Mickey si sentì spaesato, Sebastian lo guardava interrogativo, quasi deluso, con le braccia lungo i fianchi e le labbra morse freneticamente.

Non era esattamente codardo, forse un po'. Forse timido, insicuro. Non sapeva nemmeno lui quale fosse la ragione che lo spinse al di fuori della pista per prendere velocemente la tracolla e fuggire. Uscì dalla discoteca, prendendo lunghi respiri sollevato dall'aria fresca, e senza guardarsi indietro raggiunse casa sua.

 


Due settimane dopo la consapevolezza di aver perso definitivamente il blocco con i disegni di Sebastian era evidente nel suo sguardo perso e amareggiato, abbastanza deluso da se stesso. Per quattordici giorni, o giù di lì, s'era dato dello stupido per esser scappato senza dirgli nulla, nemmeno un “ciao”. Avrebbe potuto chiedergli un cognome, un numero di telefono, lasciargli il suo e solo dopo andarsene. Ma per Mickey le emozioni nuove erano così dannatamente nuove e diverse da spaventarlo a tal punto da farlo fuggire, quando in realtà doveva buttarsi a capofitto nelle situazioni e affrontarle. Non ne era mai stato capace.

Era sdraiato stancamente sul divano, un braccio sugli occhi per coprire la luce del sole che entrava dalla finestra violento come una frusta. Lasciava vagare i pensieri a quella sera in discoteca: ricordava ogni minimo dettaglio del suo viso -l'aveva riprodotto su diversi fogli, appesi meticolosamente sopra il suo letto-, a differenza magari di persone appena conosciute di cui dimenticava subito il volto. Il che lo sorprendeva, e non riusciva a levarselo dalla testa, sentendo una tempesta fatta di onde e vento nello stomaco ogni qual volta ripensava al loro ballo. O anche solo a lui.

Aveva chiesto a Jared se lo conosceva, l'aveva pregato di chiedere a qualcuno di sua conoscenza nella discoteca, ma nessuno sembrava rispondere un nome all'attenta descrizione di Mickey. Se n'era fatto una ragione.

Il campanello lo distolse da quel vagare, ma comunque rimase sdraiato. Non aveva voglia di alzarsi, non in quel momento, e sperò che se ne andassero. Ma il campanello suonò di nuovo, e una volta ancora dopo, spingendolo a tirarsi su e strascicare i piedi fino alla porta. L'aprì di scatto, senza preoccuparsi di vedere chi fosse dallo spioncino. Per un attimo non se ne accorse -la luce del sole gli impedì di mettere a fuoco- poi lo riconobbe, Sebastian.

Aprì la bocca e la richiuse un paio di volte, senza sapere cosa dire. Ma fortunatamente per lui Sebastian parlò per primo. «Ecco -uhm, volevo restituirti questo» disse alzando un braccio, teneva in mano un blocco che Mickey subito riconobbe. «Non sapevo se potessi cercarti, e comunque ho perso un po' di tempo per trovare casa tua, e quindi ec-».

Mickey non lo lasciò finire, perché quella volta non avrebbe sbagliato. Si spinse in avanti per prendergli il volto tra le mani, e far scontrare le labbra con le sue in un bacio disperato e atteso, che presto sfumò in qualcosa di dolce, in carezze gentili e delicate.

Ebbe la piacevole sorpresa di scoprire che le sue labbra erano effettivamente morbide come pensava, e sapevano di miele.

 

mickey_

Non so precisamente da dove sia uscita. Non sapevo cosa scrivere, tentavo di buttar giù qualcosa senza risultato, poi è arrivata da sola. Ho aperto word e l'ispirazione ha fatto tutto da sé, a parte verso la fine, dove la mia ispirazione è stata SabsRingrazio inoltre Vinss per avermi sopportato, ed Eli. love ya babies. ♥ Spero piaccia a voi tanto quanto piaccia a me, perché ci ho messo il cuore.

  
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