«Naruto.
Voi e le Truppe Alleate andate a dare una mano al Primo. Madara
dev’essere sigillato.»
«Aah è
vero, c’è ancora lui!»
Nonostante
tutta la fatica fatta per estrarre i bijuu dal corpo di
Obito per sconfiggerlo, non era ancora finita. Non erano finite le battaglie,
non era finita la sofferenza, non era finito il dolore.
Restava,
se possibile, l’ostacolo più difficile da abbattere, la minaccia più grande.
Perché
se Obito era solo un ragazzo accecato dal dolore, che aveva commesso degli
errori e si era ritrovato a gestire un potere più grande di lui, Madara era cattiveria, era violenza, era la forza di un
odio ceco e brutale che non potevano sperare di contenere. Madara
era l’espressione più pura della guerra.
Madara era potenza.
Naruto cominciò a correre alla volta del campo di battaglia tra lo Shodai Hokage e il più grande dei leader degli Uchiha.
Correva più veloce che poteva, il chakra concentrato nelle gambe per rendere i
muscoli più scattanti, più resistenti.
Nella mente solo il
pensiero disperato di voler fermare tutto. E la paura di non farcela. La
tremenda, paralizzante paura di non essere abbastanza forte, abbastanza capace
da riuscire a mettere la parola fine a
quella situazione assurdamente fuori controllo e poter finalmente tornare a
casa, tornare a Konoha. C’erano tante cose che
bisognava fare e lui non poteva permettersi di perdere. Bisognava spazzare le
macerie, ricostruire i villaggi e gli animi, edificare la pace, la pace vera,
piangere i caduti…
La tensione si trasformò
presto in lacrime di fuoco che cominciarono a rigare il viso del jinchuuriki, offuscandogli la vista e costringendolo a
fermarsi per riprendere il controllo.
Non si era mai sentito così
fragile Naruto, così impotente e debole, così
arrabbiato e deluso da se stesso per star cedendo nel momento più importante,
proprio quando c’era solo da stringere i denti e concentrare le forze per
l’ultimo, indispensabile sforzo.
Non riusciva a fermare i
singhiozzi, i denti stretti tanto da far male, le mani affondate nella terra.
All’improvviso, però, si
sentì afferrare per le spalle e sollevare di peso da terra. Neanche il tempo di
rendersi conto di cosa stesse accadendo che accusò un forte colpo all’altezza
dello stomaco. Piegò in avanti il busto per la violenza del pugno, e
immediatamente gliene arrivò un altro in pieno volto, tanto forte da fargli
sentire in bocca il sapore del sangue, intenso e ferroso.
Cominciò a rispondere a
quelli che capì essere i colpi di Sasuke con odio,
infierendo sul suo corpo con violenza, finché i pugni non diventarono morsi, e
i morsi baci, baci rabbiosi, bisognosi, agognati.
Poteva sentire sulle lingua
il sapore dell’altro, unito a quello salato delle proprie lacrime, e quello
acre del loro sangue mischiato. Gli succhiò il labbro inferiore, per poi
morderglielo forte, forse per fargliela pagare per i pugni iniziali, o di tutti
gli anni di dolore passati in sua assenza…
Impresse nella sua mente lo
stampo morbido delle labbra di Sasuke premute contro
le proprie, la sensazione delle loro lingue che si cercavano, si accarezzavano,
lottavano, il calore del suo respiro sulla propria guancia, e, finalmente,
capì. Capì che Sasuke era tornato, che Sasuke era davvero lì con lui, al suo fianco, che avevano
combattuto insieme per riportare la pace, e che avrebbero continuato a farlo.
Capì che ci sarebbe stato tempo, dopo, per capirsi, finalmente, e litigare,
magari, prendersi di nuovo a pugni fino a non avere più fiato, fino a guarirsi
e perdonarsi l’un l’altro a furia di colpi. Capì che avrebbe fatto qualunque
cosa purché restasse, purché potesse riscattare il nome di Itachi
e degli Uchiha e ritrovare il suo posto a Konoha, con lui, a costo anche di lasciargli il posto da Hokage, magari.
Capì, che quel tempo,
però, ci sarebbe stato solo a patto di sconfiggere Madara
e fermare, finalmente, la guerra, compiendo quell’ultimo, sovrumano sforzo.
Si separarono sudati,
feriti e ansanti, e rimasero a guardarsi per un po’, finché Sasuke
non ruppe il silenzio.
«Allora, Usuratonkachi? Hai smesso di frignare come una ragazzina?»
«Oh, Sas’ke,
ti giuro che dopo te la faccio pagare»
In quel dopo c’era
tutto, c’era la forza ritrovata e tutta la speranza e la fiducia di riuscire a
sconfiggere Madara. Insieme.
«Vedremo, dobe. Adesso andiamo»
«Andiamo». E dicendo
questo, Naruto si preparò a creare il più potente e
importante Oodama Rasen-shuriken
della sua vita.
ndHebi.
Diciamo che questa storia brevina
si è scritta praticamente da sola, quando ho letto l’ultimo capitolo di Naruto. Quindi che dire, fatemi sapere cosa ne pensate,
perché, che via sia piaciuta o che vi abbia fatto un po’ schifo (o un po’
tanto), non mi offenderò assolutamente, in quanto non c’entro proprio nulla!
Ok la smetto di dire boiate.
Grazie di cuore a chiunque passerà, Hebi.
PS. Ancora una volta un grazie grande,
grandissimo a sesshy94, che non si
lamenta mai se le scasso le balle con le mie storie e le mie paturnie. Ti
prometto, cara, che ti farò fare Santa insieme a Itachi!