Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Ricorda la storia  |       
Autore: Irina_89    28/04/2008    9 recensioni
“Tappati quella bocca ed ascoltaci.” La minacciò Tom, indicandola con l’indice.
Poteva essere anche ricoperta di ematomi, a lui non gli importava. Dopo quello che gli aveva fatto – dopo averlo ferito nell’orgoglio di Sex Gott – lei, per lui, valeva meno di zero.
Inge si portò le mani sulla bocca ed assunse un’espressione spaventata, vagamente somigliante all’urlo di Munch.
“Questa qui continua a prendermi per il culo!” farfugliò altamente stizzito al fratello.
“Ascolta, cosa hai preso da casa nostra?” chiese senza troppi giri di parole Bill, non concedendo alcuna attenzione a Tom, che incrociò le braccia al petto e sbuffò sonoramente, per poi sentire la risposta della ragazza.
“Solo uno passaggio per il carcere.” Sorrise beffarda, appoggiandosi con i gomiti al tavolino.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Home'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ATTENZIONE

Sopravvivere

Another Second Time Around

“Furto in casa Kaulitz.” Annunciò la bionda giornalista in primo piano sul grande schermo al plasma. “Non abbiamo prove sufficienti per poter dare un nome al responsabile, ma per ora i proprietari hanno denunciato la scomparsa di soldi, gioielli e l’ultimo premio che i ragazzi avevano vinto. È parso strano alla polizia, che molte altre cose di valore non siano state nemmeno -”

Il televisore venne spento improvvisamente ed otto paia di occhi si girarono verso l’uomo che stava compostamente seduto sul divano con il telecomando in mano.

“Perché hai spento?” si lamentò una voce, cercando di mantenere un tono abbastanza serio in modo da non suscitare ulteriori ire del suo amico, che – versandogli un bicchiere colmo di coca-cola sui lunghi capelli castani – gli aveva già espresso elegantemente il suo dissenso per ciò che aveva già deriso.

“Perché ti ostini a chiedere una macedonia in testa?” rispose un esile ragazzo seduto sull’altra estremità del divano con le gambe incrociate, agitando una bottiglietta di succo di frutta.

“Lo facevo per sapere se avevano notizie dei tuoi gioielli.” e soffio una risata. Subito, un ragazzo con corti capelli biondi diede una sonora gomitata contro costole dell’altro, facendogli trasformare la risata in colpi di tosse. “E tu, Bill, calmati” lo ammonì, minacciandolo con l’indice. Questi sbuffò rumorosamente, scuotendo la sua chioma leonina in faccia al fratello – seduto vicino a lui – che starnutì per un ciuffo di capelli che gli aveva solleticato il naso.

“Tom! Sei un cretino! Mi hai sputato tra i capelli!” urlò isterico Bill.

“Colpa tua che li vuoi tenere a questo modo! Cosa cambiava se oggi te li legavi?” berciò lui a sua volta.

“Molto! Sarebbe come chiedere a te di tenere il tuo coso nelle mutande invece che altrove!” gridò il fratello, ricordandogli di due sere fa, quando lo aveva trovato in atteggiamenti piuttosto intimi con una sconosciuta ragazza sul divano della loro immensa casa.

“Almeno io lo uso!” ribatté Tom. L’accusa del fratello non lo aveva nemmeno toccato, ma il suo tono superiore l’aveva colpito in pieno. “Servirebbe anche a te del movimento, ogni tanto.” Decretò con un mezzo sorriso strafottente.

“BASTA!” urlò l’uomo, rintronando Tom, che era accanto a lui, e impedendo a Bill di poter controbattere. “Perché diavolo non volete capire che la situazione è seria? Non è né il momento, né il luogo per iniziare a lanciarvi insulti! Potete fare la coppia in crisi quando sarete tornati a casa vostra! Ora fate silenzio!” e si portò una mano alla fronte. “È colpa vostra se ho questo mal di testa.” aggiunse serrando gli occhi. “Portami un antidolorifico ed un tranquillizzante” ordinò poi all’assistente sulla porta.

“Il tranquillizzante lo vuole anche Tom!” fece Bill, rispondendo deciso all’offesa che suo fratello gli aveva fatto subire.

“Bill, invece, chiede un po’ di viagra!” rise Tom, alzandosi di scatto dal divano e iniziando a correre per la stanza, inseguito da un Bill incazzato e pronto ad incenerirlo con gli occhi, oltre che a strozzarlo.

“Legateli. E dopo portatemi doppia dose di ciò che ho chiesto.” sospirò David, scivolando scomposto sul divano. “L’intervista di oggi sarà un completo disastro, me lo sento.” e iniziò a massaggiarsi le tempie, come se quel gesto potesse farlo riprendere dall’esaurimento nervoso.

***

Era una settimana che andavano avanti così. Non era più possibile.

Sì, c’era stato un furto in casa loro. E allora? Cosa gliene fregava alla stampa di sapere l’ammontare dei soldi rubati?

Saranno cazzi nostri?, pensava Tom.

Ma la cosa che lo preoccupava maggiormente era il non essere ancora riuscito a capire l’importanza della domanda: perché il cassetto dei tuoi boxer era in un tale disordine?, che più volte gli era stata posta.

Bill aveva risposto con la sua insormontabile diplomazia in certe questioni – perché cercavano cose di valore alla cieca –, precedendo il fratello, il quale aveva per la testa un’unica risposta, per niente conforme a ciò che David gli aveva imposto di fare e dire.

Ma che cazzo ve ne frega? Siete gelosi che i miei boxer abbiano avuto successo, mentre i vostri rimarranno sempre ignoti al mondo, oltre che sudici? E poi non è vero che me li hanno rubati!

Ma molte altre furono le domande a cui persino Bill, inizialmente, si dimostrava esitante nel rispondere, sia a causa dell’insensatezza che dell’ovvietà. Cosa doveva rispondere, quando gli chiedevano quali fossero – secondo lui – i volti dei rapinatori? E quando domandavano il perché, chiunque avesse rubato, avesse scelto casa loro?

Tom, se avesse potuto, avrebbe risposto sempre alla stessa maniera, senza farsi troppi problemi. Ma visto che Bill sapeva già cosa avrebbe potuto dire, ogni volta che con la coda dell’occhio vedeva la bocca di Tom iniziare a muoversi, il suo cervello elaborava istantaneamente una qualunque risposta per i giornalisti.

Il susseguirsi di queste folli interviste – in cui l’infinita logorrea del cantante aveva trasformato l’accaduto in un copione da film – furono la causa della stanchezza che aveva segnato profonde occhiaie intorno agli occhi dei due gemelli. Occhiaie così scure che Bill avrebbe potuto lasciare perdere la matita nera intorno agli occhi per qualche tempo, e darsi ad un viola naturale.

Per questo motivo, i Kaulitz lottarono ad ogni intervallo tra un’intervista e l’altra per riuscire ad ottenere almeno un paio di giorni di riposo, che Jost concesse con adeguate minacce, se non si fossero ripresentati in forma allo scadere del tempo a loro concesso.

Ovviamente i due, pur di stare un giorno intero a poltrire sui loro letti, avrebbero accettato questo ed altro.

***

“Bill!” lo chiamò Tom da dietro la porta della sua stanza.

Un sonoro mugolio giunse alle orecchie del rasta, confermandogli che l’aveva svegliato.

“Ma stai ancora dormendo?” esclamò colto alla sprovvista. Va bene che suo fratello dormiva oltre la media – come lui del resto –, ma erano quasi venti ore di fila che non usciva dalla sua stanza! “Comunque, io esco con Georg e Gustav. Vieni anche tu?”

Suo fratello non rispose.

“Bill!” lo chiamò ancora, battendo una mano contro la porta. “Ma mi senti?”

“Avrei preferito di no…” farfugliò una voce impastata dal sonno, dall’altra parte della porta.

“Ascolta, io ora esco…” ripeté Tom, aggiustandosi la visiera del cappello.

“L’hai già detto…”

“E allora, se hai sentito, perché non mi hai risposto?”

Un altro mormorio che sembrava un tentativo di sbuffare fece capire a Tom che suo fratello non aveva ancora collegato del tutto il cervello, quindi sarebbe stato meglio non chiedergli cose troppo complicate.

“Vabbè, io vado… e – tranquillo – mi faccio anche la tua, come sempre. Ci vediamo domani mattina.” E proseguì per il corridoio fino alle scale. Poi sentì una porta aprirsi, si girò e vi trovò affacciato un individuo che ebbe serie difficoltà a riconoscere come Bill. Aveva i lunghi capelli neri arruffati, sotto ai quali poté notare i suoi stessi occhi, ma ancora contornati dalla matita che non aveva tolto la sera prima per la stanchezza, e che ovviamente era arrivata fino alle guance.

“Alla buon’ora!” lo salutò Tom.

Bill alzò con eleganza e raffinatezza un dito, salutando a sua volta il fratello con quel gesto non del tutto nobile.

“A cosa lo devo?” chiese scettico.

“Mi hai svegliato” e lo guardò torvo.

“Volevi entrare nel guinness dei primati come la persona che è riuscita ad entrare in letargo?”

“No, volevo solo dormire. Ma sembra che tu voglia raggiungere il primato come rompicoglioni”

“Oggi sei simpatico quanto un dito nel -”

“Tom! Vaffanculo!” sbraitò, prima di richiudere violentemente la porta dietro di sé.

Tom scese le scale, piuttosto interdetto: il comportamento di Bill poteva essere paragonato alla sindrome pre-mestruale delle donne. L’unico problema era che lui non aveva il ciclo, quindi doveva essere davvero spossato.

Meglio non stargli vicino, allora…

***

La cosa che poteva ripagare Bill più di ogni altra cosa, in quel momento, era non fare niente tutto il giorno. Dopo che Tom gli aveva dato il buongiorno – alle otto di sera – non era più riuscito a chiudere occhio. Era, quindi, sceso in cucina a prendere qualcosa da mangiare (ovviamente non cose troppo sofisticate da preparare. Gli bastavano gli avanzi della pizza del giorno prima, che riscaldò – non senza problemi – nel microonde), e tornò con il piatto in camera sua. Mangiò, guardando un film, ma poi la stanchezza si impossessò di nuovo di lui, e cadde ancora una volta nelle ormai note braccia di Morfeo.

Improvvisamente, un tonfo sordo, proveniente da fuori, lo riportò alla realtà, facendolo scattare a sedere. Sbuffò e prese nota mentale di ripagare Tom con la stessa moneta. Com’era possibile che suo fratello fosse un perfetto esemplare di inciviltà?

Erano solo le…

Si girò verso la sveglia sul comodino.

… le due e mezza! Certe volte gli sembrava di vivere con una persona cresciuta nella foresta Amazzonica!

No, rifletté un attimo. Un selvaggio sarebbe molto più educato di Tom…

Poi, un altro rumore, come se qualcuno cercasse di entrare ma non avesse le chiavi.

No, Tom non avrebbe avuto problemi a svegliarlo, attaccandosi a peso morto al campanello, pensò Bill, iniziando a sentire dei brividi di paura lungo la schiena.

Una porta si aprì. Sembrava proprio quella d’ingresso.

Bill, con le orecchie pronte a cogliere ogni altro minimo rumore, scese dal letto e si avvicinò alla porta. Forse Tom aveva ritrovato le chiavi all’interno delle tasche senza fondo dei suoi pantaloni.

Passò, poi, qualche attimo di silenzio.

Strano, però. Di solito Tom, ovviamente facendo tanta confusione quanto le sue energie potessero permettergli, si trascinava stancamente verso camera sua. Questa volta, invece, sembrava piuttosto silenzioso.

Ma ancora più strano: non era ancora andato ad avvisare Bill del suo ritorno. Ogni volta che rientrava di notte, infatti, prima di andare nella propria stanza, Tom passava da quella del fratello e batteva una mano sulla sua porta un paio di volte. Ormai quello era un gesto che faceva in automatico da anni!

Il moro iniziò a preoccuparsi davvero troppo, così tanto che le mani avevano iniziato a sudargli.

Poi, chiuse gli occhi e sospirò. Sarebbe andato a vedere cosa era successo. Dopotutto, se non era Tom chi mai doveva essere? Ladri? No. Lo escludeva a priori, visto che aveva già avuto una loro visita la scorsa settimana. Non potevano tornare nel solito luogo! Erano come i fulmini! Mai due volte nello stesso punto.

Forse.

Girò lentamente la maniglia della porta ed uscì, camminando altrettanto lentamente ed in punta dei piedi, rischiando più volte di perdere l’equilibrio e cadere. Scese le scale, sperando che il terzo scalino non cigolasse come al suo solito, cosa che fortunatamente non fece, e si accostò allo sgabuzzino. Aprì la porta con delicatezza ed afferrò la prima cosa che riuscì a trovare – una scopa – per poi impugnarla come arma per un’eventuale invasione.

Cercò di avvertire qualche altro rumore che gli permettesse di individuare l’ospite, ma niente. Sembrava che si fosse volatilizzato.

Bè, meglio così…

Non fece in tempo a rilassare i muscoli che aveva teso ed a sospirare, che sentì come se qualcosa sbattesse contro un mobile. E il “cazzo!” che seguì quel colpo, fu la prova evidente che qualcuno era sul serio entrato in casa. E la voce non era quella di Tom. Assolutamente. A meno che non avesse fatto un’operazione alle corde vocali, per renderla più femminile, quella voce apparteneva sul serio ad una donna.

Che Tom se ne fosse portata una a casa? Era forse impazzito? Cioè… ulteriormente? Come gli era passato per quella sua testa di portare una ragazza a casa loro? Anche se per la finezza con la quale si era espressa era proprio adatta a lui, era severamente vietato portare fans in casa!

Ma era inutile dirglielo, visto che lo faceva in continuazione, nonostante la regola…

Però, non sentiva altri ‘rumori’ che caratterizzavano quei momenti. Quindi, che non fosse Tom?

Allora era proprio un ladro! O meglio, una ladra!

Ma non gli importava del sesso, fosse stato anche un trans, ora lui sarebbe entrato dentro quella stanza e gli avrebbe fatto cambiare idea sulle sue intensioni.

Si avvicinò, per niente sicuro di ciò che avrebbe potuto fare una volta che si fosse trovato davanti a lei. E se fosse stata armata? Bill impallidì a quel pensiero, immobilizzandosi proprio davanti alla porta della porta dello studio. C’era la possibilità di fare una brutta fine e lui stava andando incontro a questa possibilità quasi a braccia aperte.

Forse, se fosse rimasto rintanato in camera sua sarebbe stato meglio. Però, poteva sempre provare a tornarci, no?

Non ebbe il tempo di riuscire a trovare una risposta a ciascuna delle paranoiche domande che gli stavano affollando la testa, che la porta dello studio cigolò e si aprì.

Il primo pensiero di Bill fu l’essere stato fortunato a non averla aperta lui, perché se così fosse stato, sarebbe stato scoperto grazie a quel fastidioso stridio. Ma subito dopo impallidì per la seconda volta. Stava per trovarsi faccia a faccia con un ladro! Anche se era femmina…

C’era solo la luce della luna che trapelava dalle persiane semichiuse dello studio e della sala alle sue spalle ad illuminare i due individui e proprio quando Bill fu certo di vedere quella donna uscire dalla stanza, alzò la scopa e colpì l’intrusa.

Doveva averla sul serio colta alla sprovvista, perché questa cadde a terra, battendo la testa contro la porta dello studio.

Una piccola parte di Bill, subito si sentì in colpa per aver dovuto colpire una persona, ma dopotutto…

… o lei o me…

Si avvicinò impercettibilmente alla ladra, che era stesa a terra. Aveva le mani vuote, coperte solo da un paio di guanti neri che nascondevano solo il dorso e il palmo.

Bill sospirò. Era disarmata.

Subito lui corse ad accendere la luce per illuminare un po’ di più l’ingresso, per poi tornare dalla sua vittima.

Appunto. Vittima.

Bill iniziò a preoccuparsi vedendo che la ladra – che a guardarla meglio non poteva che avere una ventina d’anni – non si rialzava. Che l’avesse uccisa? Ma non c’era andato troppo forte! Era anche vero, però, che era una donna. Le donne non erano resistenti come gli uomini…

Ma forse, non era del tutto morta… già, poteva essere solo svenuta. O forse era in coma!

Il moro sbiancò ancora una volta. L’avrebbero arrestato e portato in prigione per ciò che aveva fatto!

Però, era legittima difesa! Ma si poteva parlare di legittima difesa, se l’aggressore era disarmato e non aveva aggredito proprio nessuno?

Non credo…

Ma era una ladra! Qualcosa avrebbe pur dovuto valere questo!

Fece due passi verso la ragazza, si accucciò vicino a lei e le posò una mano sulla spalla, scuotendola leggermente.

“Oh, non sei morta, vero?” sussurrò timoroso.

Lei non rispose e Bill si sentì in dovere di fare qualcos’altro per risvegliarla. Iniziò, quindi a schiaffeggiarla lievemente sulla guancia con la mano libera dalla scopa.

La ladra strizzò gli occhi ed emise un flebile lamento.

Era viva! Bill si sentì sollevato da un intero mondo che stava pensando sulla sua testa. Non sarebbe stato incriminato come assassino.

“Ehi, svegliati! Forza!” picchiettò ancora un po’ sul suo viso.

La ragazza si mosse e si mise seduta, portandosi una mano alla testa, proprio dove Bill l’aveva colpita.

“Come stai?” le chiese il moro, piegando la testa di lato, seriamente preoccupato, ma più che per lei, per se stesso.

“Ma cosa -” e si interruppe, aprendo gli occhi e realizzando. “Oh cazzo…”

Bill la guardò, leggermente allarmato dal suo risveglio. Ok. Aveva appurato che non era morta e che non era in coma. Ma ora?

Lei, intanto, nel tentativo di capire meglio cosa le fosse successo, fece scorrere gli occhi per tutto l’ingresso, per poi farli posare sulla scopa che il giovane teneva ancora in mano.

“Tu!” e indicò Bill con tono accusatorio. “Tu! Ma che cazzo hai fatto?” sbottò lei, indicando, ora, la scopa.

“Che cazzo hai fatto tu! Questa è casa mia!” eruppe Bill a sua volta.

La ragazza sembrò trattenere il fiato per qualche attimo ed improvvisamente si alzò, iniziando a correre verso le scale.

Bill, per niente pronto ad una cosa del genere, rimase immobile a guardarla scappare senza capire.

Ed una volta che il suo cervello ebbe dato la notizia a tutto il suo corpo di muoversi, il ragazzo corse dietro alla fuggiasca.

Merda! Non puoi farla franca!

Quando, dopo aver salito tutta la rampa di scale, si rese conto di averla persa di vista, non poté far altro che provare ad entrare in una delle tante stanze che riempivano il piano superiore della casa, sperando che fosse quella in cui la ladra si era nascosta.

Aprì, quindi, la porta già socchiusa della prima stanza – la camera degli ospiti – ed entrò. Là dentro non c’era nessuno.

Forse sotto il letto… si accovacciò ed alzò le coperte del letto, per infilarci sotto la testa.

Niente. Solo polvere. Prima o poi avrebbe dovuto pulire.

Proprio in quel momento, sentì la porta dietro di sé chiudersi di colpo, al quale lui trasalì e batté la testa contro il letto.

Porca…

Subito si alzò, massaggiandosi la testa e catapultandosi nel corridoio, per poi scendere le scale correndo scompostamente a causa dell’agitazione. E proprio per questo, il manico della scopa, che ancora teneva in mano, si impuntò davanti alle sue gambe, facendolo inciampare e cadere per le scale.

Urlò per tutta la caduta, serrando gli occhi e portandosi le mani davanti agli occhi, finché non andò a sbattere contro qualcosa. O qualcuno. La ragazza venne travolta nella caduta libera del moro e con lui scivolò gli ultimi gradini.

Quando finalmente si fermarono – con somma gioia di entrambi – Bill scese da sopra di lei, per farla rialzare, ma non senza prenderla per un braccio, in modo da evitarle ogni altro tentativo di fuga, che già gli era costato un bernoccolo in testa.

“Tranquilla, dolcezza. Non scappo.” Sbuffò lei.

“Sono un maschio.” precisò Bill, colpito un po’ nell’orgoglio, anche se ci aveva fatto l’abitudine ormai.

“E io sono la regina Elisabetta…” sbuffò di nuovo la ragazza.

Lui la guardò torvo. Possibile che tutto a lui doveva succedere? Non solo una rapina in casa sua una settimana prima, ma anche una seconda! E per giunta lui si era dato anche alla cattura del ladro! Cioè… ladra.

La ragazza imitò il suo sguardo torvo, aggiungendo a questo una scansione su di lui tale da innervosirlo. Di fatto, anche lui si soffermò, poi, sul proprio abbigliamento. Effettivamente, poteva mettersi qualcosa addosso.

Indossava i suoi stretti boxer neri e una maglietta arancione sopra. Non era proprio il massimo dell’eleganza. Dopo questa constatazione, però, si mise ad analizzare la ragazza.

A parte i due occhi che erano diventati due fessure, che guardarle per troppo tempo implicava un’immediata morte, aveva un viso dai fini lineamenti, con qualche lentiggine qua e là. Le labbra non erano particolarmente carnose, ma belle rosee. Il piccolo naso, leggermente all’insù, le dava quell’aria sbarazzina degna di una giovane ragazza. Non azzardò guardare il colore degli occhi per paura di rimanere fulminato dal suo sguardo, e quindi si spostò ad osservare i capelli che contornavano il suo viso. Poteva capire che erano mossi da quei due ciuffi leggermente più corti che le scendevano morbidi ai lati del volto, mentre gli altri li teneva legati in una lunga coda. Ma quello che lo meravigliò maggiormente fu il colore. Erano rossi. Ma non rossi rossi. Erano più un rosso ramato.

Possibile che una ragazza come lei, che Bill dovette ammettere, non era per niente male, potesse essere una ladra? Bè, stava per rubare in casa sua, quindi era possibile. Molto possibile.

“Hai finito di fissarmi?” domandò seria lei. “Vuoi anche che mi spogli?”

“Cosa?” farfugliò Bill, riprendendosi dall’analisi, forse troppo minuziosa.

“Mi stavi fissando. Odio essere fissata.” Spiegò a tono duro e minaccioso.

“Ah…” fece Bill, intimorito dalla sua voce. Bella sì, ma pericolosa.

Poi, lui si alzò, tirandola per il braccio per portarsela dietro. L’avrebbe rinchiusa in una delle camere e avrebbe chiamato la polizia. Dopotutto, lei stava per rubare in casa sua! E anche se era giovane, carina – e pericolosa – era pur sempre una criminale.

La ragazza obbedì, ma proprio mentre stava cercando di stabilire un equilibrio sulle proprie gambe, doloranti per la caduta, la caviglia le cedette, facendola accasciare per terra.

“Oh! Che ti prende ora?” chiese preoccupato il moro, chinandosi accanto a lei.

“Oh! Ma saranno cazzi miei?” gli rispose finemente.

Bill sbuffò. E dire che stava cercando di essere gentile con lei.

“Hai bisogno di aiuto?” si sforzò di chiederle ancora una volta.

Lei roteò gli occhi. “Bè, se vuoi che io ti segua, sì…”

“Ti fa male la caviglia?”

“No, il dito…” fece scocciata la ragazza.

Il moro alzò un sopracciglio.

Lei sospirò. “Se sono cascata, secondo te è perché mi sente un dito?”

Giusto.

Bill le passò un braccio intorno alla vita e l’aiutò ad alzarsi, per poi darle sostegno mentre saliva le scale.

Gli venne, poi, da chiederle perché non si stava più ribellando. In fondo, per una semplice slogatura avrebbe potuto cercare di fuggire di nuovo, non era niente di così grave – anche se lui per primo si sarebbe dato malato terminale e sarebbe stato a letto tutto il giorno.

Tradusse quel suo pensiero a parole.

“Perché in carcere almeno mi danno da mangiare…” rispose lei e soffiò una risata malinconica.

“Ah, capsico”

Poteva allora farsi catturare subito, no?

Bill l’accompagnò sul letto della stanza degli ospiti, esattamente quella dove prima lei aveva provato rinchiuderlo, e si assicurò che la finestra non fosse aperta – anche se dal primo piano sarebbe stato un po’ difficile scappare. Poi uscì dalla stanza, chiudendola a chiave e portandosi la chiave con sé.

Andò in camera sua per recuperare il cellulare. Avrebbe chiamato Saki, in modo da sapere precisamente cosa fare con quella ragazza…

Metti che lui la voglia portare via da qui per evitare che si venga a sapere di un altro tentativo di furto…

… e poi anche Tom. Anche lui viveva in quella casa e quindi era più che giusto avvertirlo che c’era una ladra nella camera degli ospiti.

Ma proprio quando Bill finì di cercare il numero di Saki nella sua rubrica digitale, suo fratello si attaccò a peso morto – degno di lui – al campanello della casa.

Quando si dice tempismo…

Buttò il cellulare sul letto e corse ad aprire al fratello, altrimenti la sua testa sarebbe esplosa per colpa di quell’assordante ronzio.

“Porca miseria, Tom! Ma le chiavi mai, eh!” sbottò Bill.

“Tanto ci sei tu che mi vieni ad aprire.” E alzò le spalle entrando.

“Ci credo! Mi assordi con il campanello!” e sbatté la porta.

“A me non dà mica noia.” Fece completamente rilassato lui, togliendosi la grande felpa e buttandola sulla spalliera del divano.

“A me sì! E anche la tua felpa!” e la indicò con un dito smaltato, per poi indirizzare il dito all’attaccapanni, completamente occupato solo dai giacchetti di Bill.

Tom biascicò un “che palle!” e andò a mettere il suo pseudo giacchetto sull’attaccapanni.

“Sta sicuro che lo troverò il modo di lasciarti fuori almeno per una notte intera, senza che tu debba torturare le mie potere orecchie e la mia testa!”

“Fammi un fischio quando l’hai trovato.” Rise Tom, attraversando l’ampio ingresso, per poi fermarsi nel centro. “E quello?” e diresse lo sguardo verso un borsone nero ai piedi della porta dello studio.

“Deve essere il suo borsone” pensò Bill ad alta voce, avvicinandosi alla porta.

“Suo?” alzò un sopracciglio Tom, incrociando le braccia al petto.

“Sì, c’è una ragazza qui che -” iniziò a spiegare Bill, gesticolando come al suo solito.

“Come come come? Tu che mi fai tutte le volte due palle così…” e mimò la grandezza – l’esagerazione non è mai troppa! “… perché non devo portare ragazze in questa casa, proprio tu!, ne hai portata una qua dentro?” e schioccò la lingua. “Mi deludi, Bill.” e soffiò una mezza risata.

Il fratello, già abbastanza irritato per la serata vissuta, arrivò al limite. Prese un cuscino dal divano e lo tirò a Tom, che ovviamente lo evitò ridendo.

“Prima che tu mi interrompessi…” disse, calcando parola per parola. “… stavo dicendo che stanotte è entrato un ladro in casa. Il ladro in questione è una ragazza che sta rinchiusa nella stanza degli ospiti di sopra…”

“Ci si è rinchiusa lei per scappare da te?” chiese scettico Tom.

“Vaffanculo!” rispose Bill, per niente intenzionato a reggere le battutine provocanti di suo fratello in un momento come quello. “Ce l’ho messa io!”

“Hai catturato un ladro?” si meravigliò, forse con troppo entusiasmo il rasta, per niente convincente.

“Diciamo di sì…” tossì lui. “Comunque, ora chiamo Saki e chiedo che devo fare.”

Ma Tom non lo stava già più ascoltando. Si era avvicinato alla borsa e, dopo essersi seduto per terra, si era messo ad analizzarla. Poi la aprì e ne rovesciò rumorosamente il contenuto sul pavimento.

Quando Bill si accorse degli occhi pericolosamente sgranati di Tom, si avvicinò a lui per capirne la causa.

Sul pavimento dell’ingresso, oltre ad un Tom in coma, c’era il primo premio che vinsero. Il premio annuale dei Comet Award che avevano vinto come miglior gruppo.

“Non mi dire…” riacquistò la parola Tom. “… che questa ladruncola voleva rubare il nostro premio!” ringhiò.

“Bè, se era nella sua borsa non credo che lo volesse solo portare a spasso.” Rispose con una punta di sarcasmo, sapendo bene quanto Tom tenesse a quel loro primo premio.

“È morta.” Decretò lui, prendendo il premio, riportandolo nello studio e correndo a velocità impressionante – per quanto i suoi abiti potessero permetterglielo – verso la stanza della criminale.

“Ehi, Tom! Aspetta!” cercò di fermarlo il fratello invano. L’unica cosa da fare era raggiungerlo.

Già a metà scala, Bill poté sentire i colpi di suo fratello sulla porta. “Apri!”

“Non voglio essere incriminato come complice di omicidio! Perché non mi lasci chiamare Saki e poi, con calma, ne parliamo?” disse il moro, una volta raggiunto Tom.

“Apri questa porta. Ora!” Bill, leggermente intimorito dalle parole del fratello, non se lo fece ripetere due volte, anche perché molto probabilmente la seconda non ci sarebbe nemmeno stata e Tom avrebbe potuto iniziare a prendere la porta a spallate per buttarla giù.

Bill inserì la chiave nella serratura, che scattò e la porta si aprì, rivelando una ragazza seduta educatamente su un lato del letto che osservava i due gemelli. “Voi il silenzio proprio non sapete dove sta di casa, eh?” commentò lei.

“Tu!” la indicò Tom ruggendo.

“Io!” si indicò la ragazza con lo stesso tono incazzato del rasta.

“E non farmi il verso!” sbottò stizzito.

“Mica ti faccio il verso!” replicò anche lei stizzita.

“Tom, questa è alla tua altezza in quanto rompicoglioni…” constatò Bill, portandosi un dito sotto il mento e spostando il suo peso sulla gamba sinistra.

Tom sospirò, come se stesse cercando di riacquistare il controllo di se stesso. “Hai cercato di rubare in casa nostra!” la accusò, poi.

Lei assunse un’espressione pensierosa, aggrottò la fronte e con aria seria rispose. “Sì!”

“E lo confessi pure?” intervenne Bill incredulo.

“Posso negare?” alzò le spalle.

In effetti, non era possibile negare.

“Come hai fatto ad entrare in casa?” domandò Tom, come se fosse sotto interrogatorio.

“Quando? La prima o la seconda volta?” chiese con tono innocente.

Tom ebbe la sensazione che la sua mandibola avesse toccato terra. “Cosa? Sei stata tu a rubare una settimana fa?”

Lei annuì.

Bill sgranò gli occhi incredulo.

Ok. I giornalisti volevano sapere come se lo sarebbe aspettato il volto del rapinatore? Bè, tutto il contrario di lei.

“Ad ogni modo, la prima volta ho trovato il cancello sul retro aperto e non c’era l’allarme. Oggi ho scavalcato il muro che circonda la casa e sono stata fortunata a non trovare di nuovo l’allarme.”

“Colpa dei giornalisti che avevano assediato il cancello principale! Poi, nella fretta, ci siamo dimenticati pure di inserire quel coso.” farfugliò Tom, riconoscendo che era colpa sia sua che di suo fratello se tutto questo era successo, ma cercando lo stesso di salvare la faccia a tutti e due.

“Tom! È colpa tua!” capì al volo l’altro.

“Perché mia?” obbiettò stizzito il ragazzo.

“Chi è uscito per ultimo da dietro una settimana fa? Se non avessimo lasciato il cancello aperto non ci sarebbe stato nemmeno il secondo!” gli ricordò il moro, guardandolo con aria superiore.

“Primo: non c’è ancora stato il secondo furto. Secondo: ma chi se lo ricorda chi è uscito per ultimo! Ed anche se fosse colpa mia, sei tu che sei uscito senza dirmi niente! Terzo: la seconda volta, potevi inserire l’allarme!” si difese, per poi lanciargli un’occhiata inteneritrice.

“Ma ero in casa! Mica mi aspettavo certe visite!” ed indicò la ragazza, che assisteva alla scena del tutto falsamente coinvolta. “Vabbè, l’importante è che ti abbia preso…” sospirò Bill, sempre rivolto a lei, contento, in un certo senso, che la nottata fosse finita in quel modo.

“Ti correggo, mi sei caduto addosso…” puntualizzò la ladra.

“Comunque ora sei qui, quindi non importa più come ci sei arrivata…”

“E di certo non ci resterai per molto!” concluse Tom.

“Ne puoi stare certo. Ti immagini vivere con due perfetti idioti?” lo sfidò la ragazza.

“Oh, tu! Chi ti credi di essere?” e Tom le si avvicinò minacciosamente.

“Inge!” rispose semplicemente.

“Come?” alzò un sopracciglio il rasta.

“Chi mi credo di essere. Inge. È il mio nome.” Sorrise beffarda.

Tom iniziò a stuzzicarsi con la lingua il suo piercing. Le cause di quel gesto potevano essere due: o stava cercando di sedurla, o era al limite della pazienza. E visto che aveva pure stretto le mani a pugno e che dalle sue orecchie era quasi possibile veder fuoriuscire del fumo, il secondo era il motivo più evidente.

“Vado a chiamare Saki.” Annunciò Bill, uscendo dalla stanza per tornare in camera sua a prendere il cellulare.

“Non sei granché come ladra.” Disse Tom, allentando la tensione sulle proprie mani e incrociando le braccia al petto. Voleva riprendersi la rivincita. E quale sarebbe stata la mossa migliore, se non quella di farla sentire un’incapace?

“Ma so fare molte altre cose.” Gli sussurrò maliziosa, ribaltando i tentativi del ragazzo.

“Ah sì?” Tom accettò la sfida, avvicinandosi maggiormente a lei.

“Vuoi vedere?” e si sporse leggermente dal letto verso il suo viso.

Poteva lui, Tom Kaulitz, tirarsi indietro? No, mai. Doveva farle vedere chi comanda! E in quella casa, in quel momento e per certe cose, il padrone indiscusso era proprio lui. E tra poco lei l’avrebbe capito.

Tom la guardò. Le sue labbra erano ancora piegate in quel sorrisetto malizioso e beffardo, così come i suoi occhi. Spostò il suo sguardo fugacemente anche al resto del corpo. Era discreta. Molto discreta.

E poi, quei capelli rossi non erano poi così male.

Lei si inumidì le labbra con la lingua, provocandolo maggiormente.

Ingenua, pensò Tom, avvicinandosi a lei, posandole una mano sotto il mento. Credi forse che tu possa vincere questa sfida?

Quando le loro labbra furono alla distanza di un soffio, lui chiuse gli occhi. Ma Inge si allontanò e con un’adeguata ed esperta preparazione, gli sputò sul viso.

Tom rimase immobile per qualche secondo, senza aprire gli occhi. Lei non disse più niente, rimanendo ferma sul letto con un sorriso strafottente sulle labbra, mentre lui, cercando di respirare profondamente per non fare esaurire le ultime briciole della sua pazienza, con la mano si pulì l’occhio destro dalla saliva della ragazza, che aveva preso a scendere anche lungo la guancia.

Poi si rialzò in tutta la sua altezza. Sospirò un’ultima volta e aprì gli occhi.

“Bill. O chiami Saki. O io la uccido.”

¤°.¸¸.·´¯`» «´¯`·.¸¸.°¤

Continua...

_________________________________________________________________________________________________________________________

ATTENZIONE: I Tokio Hotel non mi appartengono e con questo mio scritto non voglio dare rappresentazione veritiera della loro personalità. No scopo di lucro.

***

Lo so, lo so... non ho ancora concluso le altre ff... ma è più forte di me...^^"...

Quest'ispirazione è arrivata qualche tempo fa... e devo dire che è già prossima alla conclusione...^^"... quindi non dovrebbe portarmi via troppo tempo..^^"

Spero vi sia piaciuto questo primo capitolo. fatemi sapere lasciando un commentino..

Lascio già un grazie a tutti coloro che solo leggeranno..=P

Baci!!

_irina_

  
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: Irina_89