Serie TV > Quantum Leap / In viaggio nel tempo
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Autore: Lys40    20/11/2013    1 recensioni
"Alia era libera. Il Bene aveva trionfato ancora una volta. Ma il Male ritorna sempre. Dopo oltre dieci anni di attività il Progetto Quantum Leap stava per affrontare la sua parte oscura e l’eterna lotta si sarebbe accesa ancora una volta, immane." Scritta tanto tempo fa, una prova di coraggio per Sam e per Al....
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Progetto Quantum Leap. Centro di Controllo.
“Non può essere vero! Deve pur esisterci un modo!” esclamò Verbeena, respingendo i fogli delle analisi.
Nathan Lester la guardò tristemente e scosse la testa. “Credi che se ci fosse, non avrei già provato?”
Verbeena aveva alzato troppo il tono della voce e parecchi tecnici della Sala Controllo voltarono preoccupati la testa: era raro che la bella psichiatra di colore si agitasse tanto. La dottoressa Beaks sentì di aver attirato l’attenzione e tentò di nascondersi dietro un sorriso. Ma dentro di lei tutto stava andando a pezzi. Solo lei e Lester ora conoscevano la verità, a parte naturalmente...
“Lui lo sa?”
Nathan sorrise amaramente. “E da quando è possibile nascondere qualcosa ad Al Calavicci?”
Ancora una volta Verbeena dovette lottare contro le lacrime: non era vero, semplicemente non era possibile, ma quei piccoli fogli erano lì davanti a lei a ricordarle come stavano davvero le cose: Al stava morendo.
Scorse di nuovo le brevi note del laboratorio e i grafici annessi: tutte le cellule cerebrali erano state danneggiate da un massiccio shock neurologico, la loro struttura era stata totalmente sconvolta ed il loro grado di deterioramento era lento, ma costante. I dottori del laboratorio non si erano sentiti di fare una prognosi, ma in fondo alla pagina spiccavano, più evidenti di una scritta al neon, le poche righe che implacabilmente Ziggy aveva aggiunto all’analisi puramente umana e che concedevano non più di 48 ore di vita all’ammiraglio Calavicci.
Nathan guardò Verbeena curvarsi sui fogli, improvvisamente invecchiata, distrutta e provò una gran pena per lei; in quanto a lui aveva superato anche quello stadio. Le cose stavano così e ormai non c’era neanche più il tempo per la disperazione. Tutto quello che rimaneva da fare era prepararsi alle prossime, devastanti ore e soprattutto impedire ad Al di compiere altre follie.
“Verbeena, devi aiutarmi.”
La dottoressa Beaks non dette segno di averlo udito e lui le toccò gentilmente un braccio.
“Verbeena, tutto bene?”
La sua risposta gli giunse da lontanissimo. “Dov’è Al adesso?”
“Credo che sia con Ziggy, controllando i suoi progressi nella localizzazione del dottor Beckett.”
Ella alzò di scatto la testa. “Nathan, non deve tornare là dentro. Morirà.!”
“E’ quello che stavo tentando di dirti. Devi convincerlo a lasciar perdere. Non sopravviverebbe a un altro incidente e nelle condizioni in cui è, qualunque sforzo eccessivo gli sarebbe fatale...” Si interruppe e si tolse gli occhiali, passandosi una mano sul volto pallido.
Verbeena lo guardò attentamente. Al e Nathan erano amici da tanto tempo, non così stretti quanto lui e Sam, ma comunque si conoscevano da secoli. Da quando era iniziato il Progetto si era abituata alla sua alta figura nel Laboratorio Medico; era come se, attraverso gli occhi di Al, fosse arrivata a conoscerlo profondamente anche lei ormai. Perché ora aveva quello strano sentimento, la sensazione che le stesse nascondendo qualcosa?
“Tu non mi stai dicendo tutto, non è così? C’è dell’altro.”
Il dottore non rispose subito, le sue dita giocavano con le lenti, ma il suo silenzio era già di per sé significativo. Finalmente parlò.
“Al mi ucciderebbe se sapesse che ti sto dicendo questo, ma al punto in cui siamo...” si decise a guardarla in faccia, “C’è una remota possibilità.” Verbeena trattenne il fiato e aspettò. “Qualcosa che ha a che fare proprio con la Camera Immagini.” continuò lui.
Si interruppe e la dottoressa vide che guardava oltre la sua spalla. Seguendo il suo sguardo vide che dall’altra parte della stanza era entrato Al. Cercò di sembrare naturale e disse sottovoce, “Cosa c’entra la Camera Immagini?”
“Al è convinto che ristabilendo il contatto con Sam, si creerebbe una specie di reversione del processo.” disse con lo stesso tono sommesso.
“Ziggy che dice a proposito?”
“Ziggy dà un 65% di possibilità, ma...” si interruppe di nuovo.
“Ma?” incalzò Verbeena, impaziente.
“Ma ci sono probabilità ancora maggiori che lo shock del contatto ristabilito lo ucciderebbe sul colpo.” disse lui, guardandola fisso. “Al è deciso ad andare in ogni caso. Vuole ritrovare Sam, anche a costo della sua stessa vita. Ogni tentativo di dissuaderlo è stato vano. Non so più che fare: può farcela o può morire, non c’è una terza possibilità.”
Verbeena tacque per un momento, rielaborando ogni cosa nella sua mente. Sapeva che Lester aveva ragione e sapeva anche, per lunga esperienza personale, che non c’era modo di impedire ad Al di andare in cerca di Sam... o della morte, dal momento che aveva deciso.
“Parlerò con Al, ma non credo che mi darà molto ascolto. Non quando c’è anche la salvezza di Sam in gioco. Nathan, tra me e te, qual’è la tua opinione personale in tutto questo?”
Lester lanciò un’occhiata furtiva all’ammiraglio, chino sui tracciati che Tina gli aveva appena procurato. “Se dipendesse solo dalla sua volontà, ti direi che Al tornerà sano e salvo dalla Camera Immagini, so che lui la pensa e l’ha sempre pensata così. Ma purtroppo non dipende solo da lui... non lo so, Verbeena, sinceramente non me la sento di dire niente. Tu sai qual’è il nostro compito,” aggiunse con un mesto sorriso, “Raccogliere i cocci. Gli staremo accanto e staremo pronti ad ogni eventualità. Di più non ci è concesso.”
Verbeena annuì e lo guardò con riconoscenza; Al non aveva mai sbagliato una volta nello scegliere un amico e l’uomo stanco, ma pieno di combattività che gli stava davanti ne era una prova indiscutibile.
Dall’altra parte della stanza, Al li stava fissando, inosservato. ‘Sono contento che tu gliel’abbia detto, Nathan,’ pensò, con un sorriso, ‘Non che approvi del tutto, ma avevi ragione, non potevo tenerglielo nascosto. Non si possono affrontare cose del genere da soli’. Considerò un momento la strana sensazione di deja vù nel citare quella frase, ma non riuscì a ricordare: la testa gli faceva male e sapeva che il dolore non sarebbe andato via presto. Quando rialzò gli occhi, per un breve momento incrociò gli occhi di Verbeena: quello che vi lesse dentro lo commosse profondamente; neanche lui era solo, non poteva più avere questa presunzione, ora ne era certo. Cercò di sorriderle prima di tornare al lavoro. ‘Non angosciarti, Verbeena. Avremo ancora tempo per gli addii.’
 
 ***
 
Chino sulla sua consolle di lavoro, Gooshie controllava attentamente gli ultimi tracciati di Ziggy: tra meno di un quarto d’ora sarebbero stati pronti per ristabilire il contatto con il dottor Beckett. Poi si accigliò all’improvviso. “Ziggy, le tue ultime previsioni?”
Il computer ibridi esitò leggermente prima di rispondere. “13.8 minuti al contatto.”
La risposta era giusta, i tracciati pure. Pure qualcosa non andava; la velocità di ricerca di Ziggy si era pressoché duplicata negli ultimi venti minuti, era come se all’improvviso il computer avesse recuperato tutte le sue funzioni, migliorandole. Come se quel qualcosa che aveva provocato il corto, improvvisamente avesse deciso di lasciarla andare. Ma era stato davvero così?
Il programmatore capo guardò preoccupato l’ammiraglio, che si trovava lì vicino e aprì la bocca per parlare, ma all’ultimo minuto decise di tenere i propri dubbi per sé. L’ammiraglio aveva già abbastanza problemi per conto suo, questo era certo, senza pure dover affrontare la preoccupazione di quelli che probabilmente erano solo congetture. Ziggy stava funzionando di nuovo al massimo delle sue capacità e questo solo contava.
“13 minuti al contatto.” Gooshie fu contento di poter annunciare.
 
Perfetto. Stava andando tutto bene. I calcoli erano stati alterati solo del minimo necessario. La Camera Immagini avrebbe funzionato al suo meglio quando l’ammiraglio fosse entrato. Le leggere alterazioni che aveva immesso nel suo ‘collega’ erano state troppo minime perché quello stupido programmatore potesse leggerle, e anche se se ne fosse accorto, lo avrebbe interpretato come un proprio errore. In ogni caso troppo tardi per fermare il conto alla rovescia. 12.9... 12.8.5... 12.8...
 
 
Progetto Lucifero. Caverna di Detenzione.
Gli occhi di Sam erano chiusi, il suo respiro regolare. ‘Non pensare a nulla, rilassati e concentrati.’ si disse, mentre lentamente le sue braccia cominciavano a dare lievi strappi agli anelli fissi al muro. Di quando in quando qualche immagine minacciava di affacciarsi alla sua mente, immagini del Progetto, dell’orribile sorriso crudele di Zoey, di una donna di nome Alia che aveva conosciuto tutto questo e di Al... ‘No! Non ci pensare. Concentrati!’ Ed ecco, finalmente sentì qualcosa, come un movimento interiore dell’energia che governava la stanza, ma non era la stanza, erano gli anelli. In qualche modo stavano cedendo. Sam Beckett raddoppiò i suoi sforzi, cercando di non sentire lo sfinimento che si impadroniva del suo corpo e della sua mente. Presto, doveva fare più presto.
Poi, improvvisamente sentì che era arrivato il momento e allora, con un’unica mossa brusca e decisa, svelse gli anelli dal muro e si liberò. L’improvviso movimento gli fece perdere l’equilibrio e cadde in ginocchio. Accanto a lui, quelli che erano stati due solidi anelli di metallo, si trasformarono in una massa liquida e inconsistente, fino letteralmente a svanire. Una parte della sua mente considerò affascinata il fenomeno, ma c’erano cose più importanti cui pensare. Quello era stata solo la prima mossa, bene o male era ancora prigioniero in quella maledetta stanza, ma se solo la porta si fosse rivelata dello stesso materiale...
Un’ondata di debolezza lo attraversò da capo a piedi e per un attimo Sam non riuscì più a mettere a fuoco quanto lo circondava. Cercò di prendere dei profondi respiri, di rilassarsi, ma questo portò solo nuova stanchezza e nuovo stordimento. Era come se quel posto lo stesse consumando e, dentro di sé, Sam sapeva che c’era molto di vero in quel pensiero.
Si raddrizzò con uno sforzo, mettendosi in piedi solo per una pura questione di volontà e lentamente si avvicinò alla porta. Doveva uscire di lì, trovare un modo per saltare indietro, fuggire da quella trappola e tornare al suo tempo. Doveva trovare Al...
 
 
“Ci sta riuscendo, Zoey! Si sta liberando. Sei sicura che faccia parte del piano? Lothos vorrà la tua testa altrimenti.” disse Thames, con una punta di sadismo nella sua voce.
Accanto a lui, davanti al vetro nascosto, la direttrice del Progetto non disse nulla, ma si limitò a guardare Sam che cautamente studiava la porta.
“Povero sciocco, come se fosse facile uscire di qui!” mormorò la donna, quasi rivolta a se stessa.
Thames fece per annuire soddisfatto, ma qualcosa nel tono della voce di Zoey gli suonò stonato. La osservò meglio: era pallida, gli occhi troppo grandi in mezzo al volto smagrito. Non era mai stata una bellezza nel vero senso del termine, ma aveva qualcosa, come un’aureola di perfidia e potenza che poteva condurre alla dannazione, qualità che generalmente usava proprio a questo scopo. Beh, ora, in qualche modo, tutto questo scomparso o quanto meno attutito e la cosa lo metteva estremamente a disagio. Ma, a pensarci bene, tutte le volte che tornava dopo aver fatto “visita” a Lothos, la temibile collega appariva sempre un po’, come dire, sotto tono. Molte volte Thames si era chiesto cosa succedesse giù nei sotterranei, ma poi si affrettava a scacciare in fretta il pensiero, irritato per quella debolezza; in fin dei conti, fin dalla sua gioventù, aveva imparato piuttosto in fretta il motto “Ognuno per sé e il Diavolo per tutti”, regola generale in quel posto.
Perciò, anche questa volta, assunse un tono ironico e sferzante. “Cosa c’è? Sentiamo compassione per il bel dottore?”
Zoey si voltò lentamente verso di lui e per un attimo quello che lesse nei suoi occhi, lo fece indietreggiare: non era solo disgusto e disprezzo, era un odio puro, primordiale, che brillava negli occhi accesi, con una luce simile a quella della sfera di Lothos. Che le avesse fatto il lavaggio del cervello?
Ma così com’era venuta, l’espressione scomparve e Zoey riprese il suo consueto atteggiamento distante e ‘superiore’. “Non essere sciocco e avverti piuttosto Lothos che Beckett è pronto per l’esperimento finale.”
“Non è necessario.” disse la voce meccanica di Lothos da uno degli altoparlanti. “Ho tenuto d’occhio costantemente la situazione. Presto anche l’ammiraglio sarà qui. Tenetevi pronti. Il contatto sta per essere ristabilito.”
Thames si allontanò verso un interfono nel muro e chiamò, “Guardie, settore 8. Pronti tra dieci minuti.”
Rimasta momentaneamente da sola, Zoey riprese ad osservare Beckett nel suo attento e assolutamente inutile esame della porta della Caverna. Ma la voce di Lothos si intromise insinuante nei suoi pensieri.DAVVERO UNO SPRECO DI MATERIALE, NON E’ VERO?”
Zoey non alzò la testa verso gli altoparlanti, dal momento che quello che udiva avveniva solo nella sua testa, ma si limitò ad annuire. “Lo credo anch’io. Quanto ci vuole ancora perché possa avere la mia vendetta?”
PAZIENZA, ZOEY, PAZIENZA. LA FESTA NON SAREBBE COMPLETA SE MANCASSE UN INVITATO. PER ORA GODITI LO SPETTACOLO DI UN CONDANNATO A MORTE MENTRE CERCA DI LIBERARSI DALLA RAGNATELA.”
Zoey non rispose, ma in quell’angolo remoto della sua mente, che neanche Lothos poteva raggiungere, la voce di un’amica perduta da tempo, continuava a tormentarla. “Forse ha ragione lui, Zoey. Forse possiamo essere libere!”
‘Sei una sciocca, Alia.’ pensò, ‘E’ colpa di lui e di quelli come lui se esistono cose come Lothos. Non saremo mai libere.’
 
 
Progetto Quantum Leap.
Improvvisamente la stanza si mise a girare intorno ad Al, che dovette aggrapparsi a un tavolo per non cadere. Una mano lo soccorse, aiutandolo a stare in piedi, fece per allontanarla, infastidito, convinto si trattasse del dottor Lester, ma quando alzò il capo, incontrò gli occhi di Verbeena Beaks.
Distolse lo sguardo in fretta, continuando ad infilarsi la giacca, ma poteva sentire quegli occhi anche dietro le spalle. “Non guardarmi, così, Verbeena!” sbottò alla fine. “Sto bene, non sono ancora un caso da ricovero.” Ma le mani gli tremavano e non riusciva ad aggiustare il nodo della cravatta rossa; prima che potesse fare un gesto, Verbeena si era mossa e lo aveva aiutato.
“Grazie.” disse Al, asciutto e controllò l’orologio: cinque minuti.
“So che sei convinto di quello che stai facendo, ma Nathan continua a ripetermi che è un’assurdità. Sei proprio sicuro di volerlo fare?” lo supplicò, impotente, la dottoressa.
Al emise un breve sospiro esasperato, poi chiuse rapidamente gli occhi, mentre un’altra ondata di dolore gli attanagliava la testa. Cinque minuti al contatto, era il tempo che gli rimaneva, di più non avrebbe potuto...
Aprì gli occhi e guardò Verbeena. “Sono contento che Lester te l’abbia detto, davvero. Comunque l’avresti scoperto prima o poi e credo anche che ti abbia detto della Camera Immagini. Devo andare, Verbeena! Lo faccio per Sam e lo faccio anche per me. Non ho alcun desiderio di morire. Non ora, non finché Sam non sarà tornato a casa. Per cui, fidati di me ancora per una volta, ok?” Sfoderò uno dei suoi sorrisi affascinanti, un po’ debole a dire il vero, e uscì dallo studio. Alla donna non restò che guardarlo andarsene e sperare di non aver sprecato un’occasione per dirgli addio.
Il Centro Controllo era regno di un’attività frenetica, tenuta qualche modo a freno da Gooshie, che stava calibrando per l’ultima volta i delicati strumenti di Ziggy.
“Gooshie, siamo sicuri che stavolta andrà tutto bene?” gli chiese Al, aspettando il collegamento.
“Le funzioni di Ziggy sono tornate operative al 100%, ma, ammiraglio...” Il programmatore si fermò, ancora insicuro dei propri sospetti.
“Ammiraglio Calavicci,” lo interruppe Ziggy, “Il contatto avverrà tra 1.4 minuti. Le consiglio di entrare subito nella Camera Immagini. La proiezione olografica è instabile.”
Al lanciò un breve sorriso a Gooshie. “Pare che il tempo abbia deciso per noi.”
Mentre saliva la rampa era consapevole della presenza di Nathan Lester e di Verbeena alle proprie spalle, personali angeli custodi, o forse testimoni di un’esecuzione. Cercò di non pensarci: il suo livello vitale era ormai ridotto al minimo e davanti a lui la Porta ondeggiava come sul ponte di una nave. Stava accadendo tutto troppo in fretta e sperò di non essere stato avventato nel rifiutare l’aiuto di Verbeena. Ma dietro quella porta c’era Sam e forse il demone che gli stava distruggendo la testa e prima di morire Al Calavicci non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione per guardare in faccia il suo avversario di sempre. La Porta si richiuse alle sue spalle e l’immagine familiare delle pareti bianche e della sommessa luce blu della Camera Immagini andò in mille pezzi, sostituita da un'altrettanto familiare luce rossa.
 
“HAI FATTO UN BUON LAVORO...ZIGGY. NON AVRO’ PIU’ BISOGNO DI TE, ORA. L’AMMIRAGLIO E’ ENTRATO NELLA CAMERA, IL TUO COMPITO E’ FINITO.” Sussurrò la strana interferenza all’interno dei meccanismi del computer ibrido. Ziggy non era stata in grado, in quelle poche ore, di spiegare né di segnalare a Gooshie la Voce che si era impadronita di lei, annidandosi nel suo nucleo centrale, là dove interagivano le cellule cerebrali di Sam e di Al. Ma ora, che finalmente la presenza se n’era andata, tutto era chiaro. Se fosse stata umana, Ziggy avrebbe pregato per l’ammiraglio. Così invece non poteva far altro che prendere atto del proprio fallimento e prepararsi a risponderne ai suoi creatori.
 
“E’ scomparso! L’ammiraglio Calavicci è sparito dalla Camera Immagini!” gridò Gooshie, in preda al panico.
Verbeena e Lester si mossero all’unisono, preparandosi ad entrare nella Camera, ma la voce di Ziggy li interruppe. “E’ inutile, dottori. L’ammiraglio non è più all’interno della Camera Immagini.”
“Cos’è successo, Ziggy?” chiese Verbeena, con voce tesa.
“Ho dovuto sigillare la porta per evitare una contaminazione radioattiva,” disse il computer, evitando la domanda, “L’accesso sarà di nuovo possibile tra esattamente 15...”
“Ziggy! DOV’E’ AL??”
Ci fu un breve momento di pausa, rotto solo dal sommesso ronzio del computer. “L’ammiraglio... è stato rapito.”
  
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