Con passi di morbida seta scivola nel silenzio della selva.
Si destreggia sicura fra intrichi di alberi immani, che svettano alti e sicuri, perdendosi poi nella volta di fronde. 
Fame. 
La fame la spinge alla caccia, l’odore di piccole bestie striscianti, di quelle che volano fra i rami, le stuzzica il naso sottile.
Lei lo ignora. 
La sua preda è vicina, appena oltre quelle rocce, può avvertirne l’odore pungente, il calmo respiro, il battito del cuore. 
I muscoli si muovono fluidi sotto il nero manto oleoso, le vibrisse fremono. 
Si acquatta, immobile, ma vigile e tesa. Una molla pronta a scattare. 
La preda, ignara, continua a brucare. 
Il corpo di lei si contrae, vibrando quasi per la tensione. 
Scatta. 
Senza preavviso. Come una freccia scoccata da un arco si avventa. 
La preda sussulta, solleva la testa e piega le gambe sottili, si volta, corre ma è tardi. Lei gli è addosso, nera e selvaggia. Affonda le unghie nella schiena inarcata del cervo, lo sbilancia, lo fa cadere. 
Rapida come un sussurro gli agguanta la gola, sangue caldo ruscella tra le fauci serrate. 
Fame, sapore di sangue. 
Il cervo scalcia, si dibatte con foga inconsulta. 
Lei rinsalda la presa, penetra pelle, muscoli, ossa. Gli artigli delle zampe di dietro gli squarciano il ventre. 
Pochi istanti ancora. Il cervo ha smesso di lottare. Lei lo lascia, si rimette in piedi, ansante, il muso lordo di sangue. Ammira la sua preda con aria sorniona, poi, con calma, principia il suo pasto.