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Autore: taisa    20/11/2013    5 recensioni
Goten ha un problema, ma per aiutarlo Gohan è costretto ad affrontare dilemmi mai dimenticati.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gohan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A SPECIAL PLACE

 

Il cielo era di un bel azzurro, limpido e senza nuvole. Il sole splendeva sulla superficie terrestre e al mondo non esisteva luogo migliore di quello per ammiralo. Sospesi in quell’azzurro all’apparenza infinito, contrastato dal colore brillante delle montagne verdi. Sembrava che la natura si fosse svegliata di buon umore, quella mattina.

Gohan non poteva fare a meno di sentirsi a suo agio in quell’immenso spazio infinito, da solo sospeso tra l’arcata celeste e i boschi, i prati e le piante che abitavano sotto di lui. Sfrecciava ad una discreta velocità, godendosi il vento che gli sfiorava il viso, portando con sé un profumo di fresco primaverile. La brezza gli entrava sotto gli abiti, sollevandogli la maglietta che indossava e rinfrescando la pelle a ogni soffio.

Volava ad occhi chiusi, permettendo tutti gli altri sensi di inebriarsi di quanto il mondo aveva da offrire, tanto sapeva già dove stava andando, non aveva certo bisogno della vista.

Un sospiro profondo, per un ultimo momento di beatitudine, prima di riaprire le palpebre e tornare, letteralmente, con i piedi per terra. A pochi metri da lui una casupola dalle mura bianche sorgeva in mezzo al nulla. Casa.

La sua discesa fu lenta e senza fretta, planò fino a toccare l’erba davanti alla porta. Poggiò una suola poi l’altra e con un altro respiro profondo lascio invadere le proprie narici con l’odore dell’erba fresca.

Prima di aprire il portone si sistemò lo zaino sulle spalle. Non era pesante, almeno non per lui, e si era quasi dimenticato di averlo ben saldo sulla schiena. Con entrambe le mani lo afferrò saldamente, compiendo gli ultimi passi prima di varcare la soglia.

“Ciao mamma!” urlò appena dentro, rendendo nota la sua presenza a chiunque occupasse la casa. “Bentornato” gli giunse la voce della donna dalla cucina, evidentemente alle prese con la cena. Gohan sorrise, e con passo deciso si accinse a raggiungerla per farle avere la spesa che ancora si trovava nelle sue mani.

Nell’attraversare il salotto qualcosa attirò la sua attenzione. Il tavolino era ancora ricoperto da un piccolo vassoio sulla quale erano adagiate due tazze di caffè, ormai vuote, e mezza ciotola di biscotti. Il giovane sorrise, sua madre doveva aver avuto ospiti, e pensava di sapere di chi si trattava. Decise di comportarsi diligentemente, come gli era stato insegnato, e deviò il suo percorso per riportare il portavivande in cucina.

La conferma dei suoi sospetti arrivò quando riconobbe lo zainetto colorato del fratellino abbandonato in un angolo della stanza. Strano, si ritrovò a pensare, Goten doveva rientrare più tardi. Successivamente liquidò quel concetto ritenendo che doveva avere delle buone ragioni e, a dire il vero, era contento che il bimbo fosse rincasato. Gli piaceva passare un po’ di tempo con il piccoletto.

Quando raggiunse la cucina si ritrovò ad osservare la madre esattamente dove si era aspettato di vederla. Davanti ai fornelli, mentre controllava il contenuto di tre o quattro pentole e padelle che, magicamente, si sarebbero presto tramutati nel loro pasto.

Gohan poggiò il vassoio accanto al lavello, lo svuotò riponendo tutto al proprio posto. Si sfilò lo zaino dalle spalle e fece altrettanto con le vivande che era andato a comperare. Poi si guardò attorno, sperando di rintracciare il fratellino, ma di lui nessuna traccia. Bizzarro, il piccolo monello era solito segnalare la propria presenza mentre era intento a giocare o a guardare la televisione. Nulla di tutto questo, a parte l’armeggiare costante di sua madre con le vettovaglie il resto era solo silenzio.

“Mamma” la chiamò concentrandosi su di lei e Chichi sollevò lo sguardo regalandogli un piccolo sorriso, prossima a prestargli la massima attenzione. “Pensavo che Goten fosse tornato dalla casa di Trunks, dov’è adesso?” domandò incuriosito, senza accorgersi di trattenere il fiato.

Chichi sospirò, poi tornò ad armeggiare con coltello e patate. “Bulma l’ha riaccompagnato qualche ora fa. Ma era strano quando è tornato, anche lei mi ha detto che ha notato che era un po’ giù” sollevò lo sguardo e lo portò oltre la finestra, “Non so cosa sia successo, ho provato a parlargli, ma non sembra volermi raccontar nulla”.

Gohan si accostò alla donna, cercando con lo sguardo lo stesso punto che stava fissando lei. Fu facile accorgersi di quella macchiolina arancione in mezzo al verde delle montagne. Le spalle curve e la testa china sembravano confermare il racconto della madre. “Provaci tu, Gohan, magari a te da ascolto” gli suggerì lei, tornando a guardarlo con speranza. Il ragazzo annuì e senza farselo ripetere una seconda volta si avviò verso la porta di servizio che dava verso l’esterno proprio lì in cucina.

Da lontano, mentre i suoi piedi sferzavano tra l’erba, osservò attentamente la figura del bambino che si guardava pensieroso le scarpe. Cosa potesse affliggere così un ragazzino di quattro anni, Gohan non poteva immaginarlo. Così senza proferire parola si accomodò accanto a lui sul manto erboso, quasi sperando che fosse il piccolino a cominciare una conversazione, consapevole tuttavia che questo non sarebbe mai successo.

Alle sue spalle sentiva l’occhio vigile della madre che, apprensiva, osservava i figli da lontano in attesa di sapere cosa si sarebbero detti. Forse inventandosi un dialogo basandosi sul linguaggio del corpo.

Da parte sua Gohan allungò le gambe, poggiò le mani sul prato e sollevò il mento per guardare il cielo limpido che aveva abbandonato appena pochi minuti prima. “Allora, Goten, com’è andata dal tuo amico Trunks?” domandò dopo alcuni minuti di silenzio, voltandosi per osservare il viso del bambino sotto l’ombra di un piccolo albero. Non ottenne risposta.

“Tu e Trunks avete litigato?” gli chiese dopo alcuni secondi e, dopo una piccola esitazione, Goten scosse il capo in senso negativo.

Lo conosceva abbastanza bene, sapeva che, lentamente, e senza troppa insistenza il fratellino avrebbe vuotato il sacco, non avendo la capacità di trattenersi troppo a lungo. Almeno, tra loro due funzionava spesso così. Gohan, quindi, si rilassò completamente, si lasciò scivolare al suolo, usando le braccia come cuscino. Avrebbe giocato a secondo te a cosa somiglia quella nuvola, ma il cielo era talmente limpido che c’erano gran pochi sfoghi per la fantasia.

“Il papà di Trunks lo porterà al Luna Park la prossima settimana” farfugliò infine Goten, osservandosi le dita minute mentre giocherellava con un filo d’erba. A quella rivelazione il maggiore non poté trattenersi. “Davvero?!” esclamò con voce stridula, mettendosi seduto, colto dalla sprovvista. Paradossalmente la sua voce era quella di un quasi adolescente, troppo fanciullesca per essere quella di un adulto, troppo grossa per essere quella di un bambino risultando buffa mentre cercava di suonare grande. Accorgendosi della perplessità sul volto dell’altro, che per la prima volta lo stava guardando, cercò di ridarsi un contegno. Tossì. “Ehm, volevo dire… sul serio?” si corresse cercando di passare per una persona contenuta.

Goten annuì, prima di concentrarsi nuovamente sull’erba che stava torturando “Io non sono mai andato al Luna Park” gli fece presente e senza bisogno di essere troppo puntigliosi entrambi erano consapevoli che il piccolo nemmeno sapeva cosa fosse. Ma questo non era in discussione.

“Capisco” fece Gohan, prendendo sottobraccio il mini-Son e tirandolo a sé, “Vuoi che chieda a Bulma se puoi andarci anche tu? Scommetto che Trunks e suo padre saranno contenti di averti lì con loro” lo consolò con un sorriso, ma il piccolo non rispose come si aspettava. Scosse lentamente la testa con negazione.

“Non voglio andare al Luna Park” contestò un po’ a sorpresa, costringendo il fratello a mollare la presa per poterlo guardar meglio in faccia. “No? E allora qual è il problema?” volle sapere, questa volta con una malcelata curiosità. Goten ci rimuginò su per un po’, come se stesse valutando se togliersi o meno un grosso peso dalle spalle.

Chinò di più il capo, osservandosi le scarpe come se esse potessero dargli la soluzione al problema. Le sue piccole dita si fermarono, lasciando lentamente cadere al suolo il filo d’erba a cui era toccata la sorte miserevole di sfogo. “Gohan…” riprese poi, con voce sottile e appena percepibile “Pensi che papà mi avrebbe mai portato al Luna Park?” domandò timidamente per poi sollevare nuovamente la testa sul maggiore.

Per Gohan quello fu un momento terribile, il cielo divenne, nella sua mente, terso e scuro, come se qualcosa stesse per minacciare tutto ciò che abitava al di sotto di esso. Un brivido gli percorse tutta la spina dorsale, come se la temperatura fosse improvvisamente scesa. Il suo sguardo perse completamente quella tranquillità che possedeva un attimo prima e un groppo gli ostruì la gola.

“Gohan, cosa aspetti?! Il colpo decisivo! Dagli il colpo di grazia immediatamente!”

“Colpo di grazia? Eh eh… è ancora presto, papà…”

Dopo aver deglutito più volte si voltò anch’egli verso il fratello, scoprendo la speranza e l’aspettativa che avevano i suoi grandi occhi neri. Gli sorrise, cercando di nascondere quello che era, a tutti gli effetti, un senso di colpa che segretamente non era mai riuscito ad estinguere. “La verità, Goten, è che papà non ti avrebbe mai portato al Luna Park” disse, concentrato il più possibile a controllare la tonalità della propria voce. “Però sono sicurissimo che ti avrebbe portato a pescare” aggiunse notando la punta di delusione che cominciava a farsi largo nello sguardo del minore. Poi sorrise il più possibile, cercando di eliminare ogni segno del suo disagio.

“Sei stato bravissimo, Gohan. Ne sono davvero felice!”

“Pescare?” gli chiese di rimando il bambino, dimostrando il suo interesse per quello che sembrava essere molto divertente. Gohan annuì cacciando tutti i pensieri negativi, tornando ad indossare un sorriso genuino. “Certo!” esclamò, poi tornò a farsi pensieroso, “Sai che facciamo, fratellino? Domani mattina ci alziamo presto e, io e te, andiamo a pescare come faceva papà. Ti insegnerò lo stile Goku, ti assicuro che è meglio di qualsiasi tipo di pesca tu possa immaginare” affermò il più grande, mostrandogli un dito in un atteggiamento da maestrino, mentre si immaginava il padre che si lanciava giù da una scogliera per spaventare tutti i pesci.

Il risultato fu di vedere il piccolo Son scattare in piedi, tornando quello di sempre, allegro e pieno di energia… proprio come papà. “Davvero fratellone? Me lo prometti?” volle sapere, sprizzando felicità da tutti i pori. Gohan rispose con un semplice cenno affermativo del capo e un enorme sorriso. “Evviva!” esclamò l’altro, slanciando le braccia verso il cielo azzurro e, senza aggiungere nient’altro, si mise a correre verso la casa gridando ai quattro venti “Mammaaaaaa!”.

Gohan, dal canto suo, sorrise ancora una volta seguendo con lo sguardo i movimenti del bimbo, poi qualcosa nella sua mente lo distolse da quel pensiero. Sospirò profondamente e si rigirò verso le montagne. Il suo sguardo andò a cercare le nuvole, domandandosi inevitabilmente se suo padre, nell’aldilà, avesse assistito a quella scena.

 

 


Sovrappensiero era rimasto a fissare l’orizzonte per un tempo che era parso infinito. Nella realtà, quando decise di alzarsi, erano passati solo pochi minuti. Si issò con calma, fece sparire le mani nelle tasche dei pantaloni e si avviò verso la piccola casa bianca immersa nel verde della natura.

“Sei stato molto bravo con tuo fratello, Gohan” lo accolse la voce di sua madre, appena rientrò dalla porta della cucina. Il ragazzo sollevò lo sguardo per osservarla, notando un sorriso disegnato sulle labbra. Cercò di fare altrettanto, ma ne uscì qualcosa di non troppo convincente, tuttavia sua madre non ci fece caso o non si soffermò a notarlo.

Il giovane la osservò come mai aveva fatto prima di allora. I gesti quotidiani della donna erano studiati e calcolati nei minimi dettagli, sembrava tutto normale, come se nulla fosse cambiato. La verità, si accorse Gohan, era che tutto era cambiato da quando papà aveva sacrificato la sua stessa vita per rimediare ad un errore che il ragazzo non si era mai completamente perdonato.

Dentro di sé sapeva perfettamente che nessun’altro lo additava celatamente di essere l’artefice di quel destino. Sapeva che Chichi non lo guardava con occhi diversi, che lui era suo figlio e lei lo amava come il primo giorno senza alcuna riserva. Sapeva che Goten viveva senza un padre, ma non per questo accusava il fratello di aver commesso uno sbaglio che era risultato fatale, anzi, forse nemmeno ne era consapevole. Sapeva che nessuno degli amici tanto legati a Son Goku riteneva il figlio l’artefice della sua morte, accogliendolo a braccia aperte ogni volta che entrava nelle loro case.

Era solo lui stesso, nell’intimità della sua anima, a rivedere costantemente il momento in cui il suo ego aveva sopraffatto la ragione e gli aveva permesso di prendere la decisone più sbagliata della sua vita.

Gohan osservò il viso di sua madre, mentre questa continuava imperterrita a compiere i suoi gesti quotidiani. “È stata una bella idea quella di accompagnare Goten a pesca, domani” gli stava dicendo ignara dei pensieri che affliggevano il figlio.

Guardò con attenzione gli occhi stanchi, le occhiaia e il viso che confronto a qualche anno prima era smagrito leggermente. Se la immaginò mentre passava la notte a fissare la parte vuota del letto, come se gli anni si fossero congelati a cinque anni prima, quando l’ennesimo cattivo aveva portato via suo marito.

“Dì a tua madre che il tuo papà le chiede scusa”

“Scusa” la bloccò d’un tratto, costringendola a riportare lo sguardo su di lui, “Vado a studiare un po’ prima di cena, se non ti dispiace” affermò avviandosi verso l’uscio che dalla cucina dava alla sala da pranzo, sapendo che lei non lo avrebbe di certo trattenuto. “Certo, vai pure” la sentì infatti dire alle sue spalle.

 

 


Le parole sui libri erano diventate solo macchie di nero su una superficie bianca, non avevano alcun senso. Gli occhi di Gohan decisero, di propria iniziativa, di chiudersi lentamente decretando che per quella giornata avevano lavorato abbastanza. La testa si fece pesante e con altrettanta calma andò ad appoggiarsi sui libri che non stava più leggendo.

Restò così per quel che parvero secondi, prima che una mano si appoggiò delicatamente sulla sua spalla. “Gohan” lo chiamò una voce famigliare al suo fianco. Il cervello restò in sospeso nel nulla, fino a quando la persona accanto al lui non decise di scrollargli la spalla con una gentilezza quasi estrema. Lo chiamò nuovamente, e ancora.

I suoi occhi si riaprirono adagio. La prima cosa che vide furono le dita della mano, poi il braccio. “Gohan” udì quella voce ed alzò lo sguardo, riuscendo finalmente a scorgere il viso bonario e sempre sorridente di suo padre. “Papà?” farfugliò ancora un po’ frastornato. Lui annuì e gli regalò uno di quei suoi sorrisi che negli anni tanto gli erano mancati, “Ciao Gohan” gli disse con garbo, mentre il ragazzo si stropicciò gli occhi ancora confuso.

“Dove…?” si domandò il giovane guerriero, guardandosi attorno e riconoscendo immediatamente la propria stanza. Tutto normale, nulla fuori posto. Con lo sguardo cercò istintivamente l’orologio a parete appeso dalla parte opposta della camera, ma per qualche motivo non riuscì a leggervi l’orario. “Che ore…?” chiese poi, volgendo lo sguardo verso suo padre che si limitò a guardarlo di rimando con quel sorriso che non si era ancora spento. “Vieni con me, figliolo” gli rispose invece Goku, abbandonando la presa della sua mano e cominciando ad avviarsi, senza attendere risposta, verso l’ingresso della camera da letto.

“Aspetta, papà” gli urlò dietro Gohan, mentre osservava la schiena del genitore svanire dietro l’uscio, lasciandolo nuovamente solo. Fissò la porta chiusa per qualche istante, poi scattò in piedi, frettoloso di raggiungere il padre.

Poggiò la mano sul pomello, ma non riuscì a sentire la superficie fredda e liscia sotto il proprio palmo. Spalancò l’ingresso, aspettandosi di vedere l’interno delle casa, trovandosi invece a fissare alberi e piante, prati e rocce. Montagne, nuvole e un cielo azzurro. E un fiume, che scorreva senza sosta davanti ai suoi occhi. “Ma che…?” si domandò volgendo lo sguardo da destra a sinistra. Roteò su se stesso, scoprendo ben presto che anche la casa alle sue spalle era sparita nel nulla. Quelli erano i Monti Paoz, ne era sicuro, ma non era un luogo accanto all’abitazione. Impiegò ancora qualche secondo prima di riconoscerlo.

Aveva quattro anni, circa l’età di Goten, la prima volta che suo padre lo aveva accompagnato lì. Era un periodo diverso, quando il suo solo pensiero era di conoscere ogni specie vivente che abitava in quei boschi. Quando non era ancora il figlio di un alieno venuto per distruggere il pianeta sulla quale viveva, per poi fortuitamente cambiare idea. Era prima di esser costretto, suo malgrado, a diventare un guerriero. Prima delle battaglie.

Sospirò, sperando di cogliere i profumi di quel luogo, ma come aveva temuto il suo olfatto non riuscì a percepire nulla.

Si guardò nuovamente attorno, cogliendo la figura di suo padre seduto accanto al fiume, intento ad osservare lo scorrere dell’acqua. Con passi esitanti si avvicinò, scoprendo che nemmeno i suoi piedi producevano rumori. C’era silenzio tutto attorno, non un uccello cinguettava in cielo.

Quando raggiunse il genitore si accomodò al suo fianco, limitandosi a concentrarsi sull’acqua che non produceva alcun fruscio.

“Qualcosa non va figliolo?” gli chiese Goku, osservandolo con aria pensierosa. Gohan scosse il capo, “C’è qualcosa di sbagliato. Tu non puoi essere qui. Tu…” fece una pausa e sospirò profondamente “Tu sei morto” ammise con notevole sforzo. Goku guardò suo figlio e gli sorrise. Poi, come per magia, cominciò a svanire nel nulla, dissolvendosi come la nebbia.

“PAPÀÀÀÀ”

Gohan osservò la sagoma svanire restando per meno di un secondo, poi fu la volta del panorama che sfumò con lo stesso effetto.

 

 


“…han! Gohan, svegliati!” udì una voce in lontananza “Gohan!”. La mano delicata era appoggiata sulla sua spalla scuotendolo con veemenza nella speranza di poterlo destare. Gohan aprì gli occhi ed osservò la sua stanza. La mano, il braccio, la voce, il viso. “Fratellone?” gli domandò Goten, chinando il capo di lato per poterlo osservare in viso. Il maggiore si stropicciò gli occhi, sollevando il capo dai libri. “Che ore sono?” domandò ancora un po’ frastornato, notando l’alzata di spalle che sembrò essere la risposta. Ovvio, il bimbo ancora non aveva imparato a leggere l’ora. I suoi occhi scuri cercarono l’orologio, scoprendo che erano le sei e mezza.

“D’accordo” annunciò alzandosi dalla sedia ed accarezzando il capo del fratellino che, puntualissimo, lo aveva svegliato all’ora stabilita, “È ora di andare a pesca!” annunciò, suscitando nel più piccolo un’esultanza rumorosa. “Shhhh! La mamma sta ancora dormendo” gli fece notare il maggiore e Goten, imbarazzato, si poggiò entrambe le mani alla bocca.

Gohan gli sorrise, era davvero buffo quel bambino. “Goten, oggi ti porterò in un posto davvero speciale” gli disse accompagnandolo verso l’ingresso, chiudendo la porta alle loro spalle.

“Gohan è ormai in grado di sostituirmi per qualsiasi cosa”

 


FINE


 


Stavo facendo un po’ di pulizia sul mio computer e mi sono casualmente imbattuta in una cartella dove si erano nascoste alcune vecchie storie, scritte ai tempi, che per qualche motivo avevo scartato.

Le ho rilette e ho pensato che almeno questa meritava un’occasione in più, così ho deciso di pubblicarla. Magari piace di più a voi che alla mia personalità sempre troppo autocritica.

 

 


Nel dettaglio, in questa storia i dialoghi scritti in corsivo appartengono direttamente al manga e avvengono durante il CellGame.

  
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