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Autore: DazedAndConfused    20/11/2013    2 recensioni
[Mark Lanegan]
Piccolo delirio nato in seguito al concerto di Mark Lanegan di ieri sera: ho provato ad immaginare il nostro brevissimo incontro dal suo punto di vista.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I close my eyes and see pretty colors

Dietro le quinte Mark tampona il proprio sudore con un piccolo asciugamano.

“Non so se l’avete notato, ma là fuori c’è un tavolo con un sacco di gadgets… Se potete, dateci un’occhiata; tra poco arriverà anche Mark, che sarà lieto di poter firmare autografi, stringere mani o anche semplicemente scambiare due chiacchiere veloci con voi… Ci contiamo, grazie ancora!” sono le parole che quel gran bastardo di Jeff ha appena rivolto al pubblico.

Gliel’ha sempre detto che, prima o poi, lo assumerà per fargli intrattenere quelle relazioni sociali che lui stesso non riesce a tessere da ormai mezzo secolo ma, ogni volta che Mark rilancia quest’idea, il chitarrista si limita a fare spallucce e rivolgergli un sorrisone dei suoi.

Lieto? Sono semplicemente al settimo cielo: non vedo l’ora di essere sballottato in mezzo a tutti ‘sti stronzi…

 

Quando lo vengono a prendere, Mark si è già cacciato in testa un insulso berretto grigio e dipinto sul volto la miglior espressione scazzata di cui possa disporre, sperando che questa possa essere un suggerimento velato per tutta la gente che sta per incontrare.

Peccato che non lo recepiscano.

Ma in fondo lo sapeva: che cazzo ci si può aspettare da una mandria di persone che non riescono nemmeno a inserire la vibrazione nel cellulare o che ululano il suo nome ogni due minuti?

Mark sguscia rapido oltre il banchetto ricolmo di magliette, statuine e vinili e si accomoda alla propria postazione, togliendo il tappo al pennarello e immaginando per un secondo che questo sia un coltellaccio da macellaio.

Dopodiché sospira tra sé e sé e si appresta a fare il proprio lavoro: firma pile di gadgets a testa bassa (valore medio degli acquisti: settanta euro, c’è pure gente che ha lasciato giù cento sacchi), finge di ascoltare i pipponi encomiastici e disgustosamente stantii delle fighette che gli miagolano di fronte, si ostina a mantenere incollata sul volto l’espressione arcigna e leggermente inquietante che ormai è diventata il suo marchio di fabbrica.

Non che in queste circostanze serva a granché, eh: più passa il tempo, più gli sfilano davanti persone che forse non hanno ancora capito di non avere a che fare con un tizio solare come quel gran dritto di McCready.

Le ultime parole famose: improvvisamente di fronte a lui si materializza un tizio sulla quarantina d’anni, che gli allunga rapidamente il vinile di Imitations e un altro cd e che gli scatta subito una foto a tradimento – amico, qui non ci siamo proprio.

Mark si morde la lingua e si concentra sulla linea lasciata dall’inchiostro e, solo quando alza il capo per restituirgli le cianfrusaglie, si accorge della scenetta raccapricciante che si sta svolgendo a pochi centimetri da lui: il bodyguard ha in mano l’iPhone della fighetta che, a sua volta, si è allungato sul bancone con un sorriso falsissimo e i pollici alzati, pronto per l’ultimo scatto da pubblicare su quella cagata di Instaqualcosa o come cazzo si chiama.

A Mark viene naturale ignorare l’obiettivo del cellulare e rivolgere al tizio un’occhiata colma di perplessità, ribrezzo e pena per l’idiozia di cui questi si sta facendo portavoce, e quasi gli sembra di aver sentito una risata in sottofondo.

Che qualcun altro, come lui, abbia notato la deficienza del tizio e abbia potuto ridere senza suscitare un caso diplomatico?

 

Finalmente il rompiballe se n’è andato – oltretutto aveva pure un berretto più merdoso del suo – e Mark può far finta di concentrarsi su chi viene dopo di lui: ha il capo chino e non vuole saperne di alzarlo manco per l’anticamera, ma il timido “hi” che annuncia il cambio di scocciatore gli fa quasi percepire una tregua dal mal di testa e dal nervoso che si sta trascinando appresso.

Quasi senza accorgersene, contraccambia il saluto.

Quando poi sul tavolo compare il biglietto del concerto – il biglietto, capite, non cento euro di merchandising appena comprato in fretta e furia! – sente perfino di poter provare un moto d’affetto per quella prima persona normale che gli è capitata davanti.
Mentre firma velocemente il pezzo di carta, la sente mormorare “thank you so much” e finalmente si decide ad alzare il capo: la prima cosa che i suoi occhi incrociano è un grande maglione a righe rosse, un maglione così terribilmente familiare, e capisce immediatamente che la figura fasciata da quel tessuto a strisce forse sa davvero chi ha davanti a sé.

Punta i suoi occhi in quelli della ragazzetta e ribatte con un “it was a pleasure”, frase che sa di non aver detto a cuor leggero: lo pensa per davvero, perlomeno lei non gli ha rotto i coglioni come tutti gli altri.
Dopodiché, quasi intenerito per l’espressione del suo volto, per l’entusiasmo genuino che è riuscito a percepire dai gesti nervosi e dal filo di voce che le è uscito flebilmente di bocca, Mark sente le proprie labbra piegarsi: è il primo vero sorriso della serata, e lui stesso sa che anche la ragazzetta capirà di aver appena realizzato un piccolo miracolo.
Per tutta risposta quella contraccambia il sorriso – il volto praticamente illuminato e le guance rosse – e, dopo un attimo, è già bella che sgusciata via.

 

Alla vista dell’ennesima vagonata di vinili da autografare, Mark riacquista il proprio proverbiale aplomb: in cuor suo sa di dover ringraziare quel tipino dagli occhi grandi e scuri per avergli ricordato come lui stesso fosse un tempo – semplice, sincero e senza fronzoli – e come si faccia a sorridere… e sa anche che, quando chiuderà gli occhi, non potrà far altro che vedere dei bellissimi colori: il rosso e il nero.

 

 

 

 

Angolo autrice.

Sull’ondata di feels vari e bombardamento d’ormoni (e, soprattutto, sotto la spinta significativa della mia dittatrice preferita AKA Kip), reduce dal meraviglioso concerto che Mark Lanegan ha tenuto a Mestre ieri sera, ho deciso di trasformare i miei deliri post-live in qualcosa di più… concreto.

So che questa fanfiction suonerà melensa e bla bla bla e di concreto forse alla fin fine non c’è un cazzo (e mi devo pure scusare per aver osato carpire i pensieri che possono essere frullati nella testolina di Mark: ah, caro, se ieri sera avessi saputo che ne avrei tirato fuori ‘sto abominio, col cazzo che m’avresti sorriso!) però ci tenevo ad esternare tutti i feelings che sto provando da un po’ di ore a questa parte: ho rischiato d’implodere svariate volte, questa ff non è altro che un’innocentissima valvola di sfogo.

Beh, che altro dire?

-Tutte le cose narrate in questa storia (eccezion fatta per i pensieri di Mark – “e ‘sti cazzi!” direte voi) sono successe veramente: credo che Mark sia sì burbero, ma ieri sera mi ha dato la conferma di essere anche un uomo fantastico.

-Gli insulti vari nei confronti del pubblico sono semplicemente le mie considerazioni: ho incrociato un sacco di gente cafona e spiacevole che però, per fortuna, non mi ha guastato la gioia di aver preso parte al concerto o/

… ovviamente la ragazzetta dal maglione alla Cart Cobbeìn sono io: ebbene sì, ho fatto la bastardata d’indossare una cosa del genere e, a quanto pare, ha fatto effetto :D

(e sì, ho anche riso per la figura dimmerda dell’idiota prima di me UHUHUHU)

-Jeff è Jeff Fielder, strabiliante chitarrista che sta seguendo Mark in tournée.

- Il titolo della fanfiction è un verso tratto da Pretty Colors, un brano di Frank Sinatra che Lanegan ha reinciso per il suo album di cover intitolato Imitations.

Non voglio soffermarmi ulteriormente sul sorriso di Mark – ho già delirato sul tale argomento con mezzo mondo, e di questo mi scuso profondamente – e vi lascio limitandomi semplicemente a dire che sia l’ottava meraviglia del mondo.

QUEST’UOMO E’ L’OTTAVA MERAVIGLIA DEL MONDO, STOP.

Non posso far altro che salutarvi e sparire via: ho iTunes con l’intera discografia di Mark che mi aspettano, bye! :D

 

Dazed;

   
 
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