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Autore: ForgiveYou    20/11/2013    0 recensioni
"E a volte parlo con lei.
E a volte parlo di lei. E quando ne parlo, è come se fosse ancora qua. E' come se vivesse."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rifiuto.
Depressione.
Collera.
Accettazione.

Si è scandito tutto secondo queste quattro fasi.
Il primo momento è stato il più facile, semplicemente mi rifiutavo di credere fosse possibile.
In fin dei conti è stato tutto così surreale, sin dal primo istante.

Quella notte la ricordo particolarmente umida, nebbiosa, ma in realtà erano i miei occhi impastati dal sonno e dal dolore a renderla opaca.
Non era nient'altro che la prima notte d'estate, una notte qualsiasi.
Il mio sonno pesante, privo di sogni, quella volta si era interrotto casualmente. O magari no.

Dei rumori provenivano dalla stanza dei miei genitori. Sussurri, battiti irregolari, il tintinnio di una chiave, l'apertura d'una serratura.
La curiosità ha sempre fatto parte della mia indole, così mi sollevai dal letto raggiungendo il corridoio confinante con la loro camera.
[...]In tutto ciò, mio padre è solo un'ombra scura, lontana, mentre il viso pallido di mia madre ancora posso vederlo.
I suoi occhi incrociarono i miei in un lampo e reagirono con la stessa intensità di quest'ultimo.
Un sussulto, un sorriso triste, forse una lacrima. Ma non si scompose più di tanto.
E' sempre stata una donna forte, lei.
Mi chiese cosa ci facessi in piedi e io le risposi, ponendole la stessa domanda.

Dove vai?” La mia ingenuità la fece quasi sorridere, fa sorridere anche me ora, a dir la verità. Mi fa sorridere di un sorriso amaro. Mi asciuga la bocca e bagna gli occhi.
In realtà io sapevo, dove stava andando. Avevo avuto anni ed anni, alle spalle, per imparare a controllare le mie emozioni.  
Così, quando mi accertai che i dottori avevano decretato che mia zia, quasi sicuramente, non sarebbe riuscita a sopravvivere a quella notte, sorrisi tristemente alla mamma e me ne tornai a letto senza proferir parola alcuna. Non versai neanche una lacrima, quella sera.


Avevo 12 anni, non ero pronta ad accettare.
Lei era il mio eroe.
Il mio punto di riferimento.
Era la mia seconda mamma, l'altra donna che mi aveva cresciuto.
Ed era morta.

Il mio periodo di rifiuto non durò a lungo però.
Passarono due, forse tre giorni. Non ricordo e forse è meglio così.
Quello che so è che subentrò la depressione.
Non sono mai stata brava a mostrare le mie emozioni, fu il funerale a distruggere, anche se solo per qualche ora, il mio muro d'emozioni.
Iniziai con qualche lacrima, tentando di contrastarla con un qualsiasi ricordo felice che potesse farmi sorridere.
Le lacrime però aumentavano e i ricordi non bastavano a sottomettere la tristezza. La felicità era passata, era intangibile. In quel momento sentivo solo un enorme peso sul cuore. Piansi, piansi tanto e a lungo. Talmente forte da sovrastare ogni pensiero. Talmente tanto, talmente forte, da costringere i miei parenti a trascinarmi al di fuori della Chiesa. Lontano dalla messa, dalla bara, dal suo corpo.
Da lei.

E ci riuscirono. Dopo quel giorno non piansi più.
Ero di nuovo forte, ero padrona delle mie emozioni, ero me stessa. Ed ero furibonda.
Non riuscivo a perdonarle d'avermi abbandonata, non riuscivo a perdonarla di aver ceduto alla morte. 
Non riuscivo a perdonare Dio, un Dio nel quale non ho mai creduto. Ma lui faceva parte di quel circolo, perché lei ci credeva. E quindi non riuscivo a perdonare neanche lui, per avermela portata via, per aver preso una delle poche persone a cui non avrei mai saputo rinunciare.
E poi, il peggio del peggio era che non riuscivo a perdonare me stessa.
Non riuscivo a perdonarmi di esser andata a trovarla così poche volte, all'ospedale. Non mi perdonavo le volte in cui ci avevo litigato. Non mi perdonavo le cattiverie che, a volte, mi erano sfuggite. Non mi perdonavo le parole dolci, i gesti teneri, le presenze, i sorrisi e le carezze, non li perdonavo, perché non erano mai stati abbastanza. Non li perdonavo perché lei meritava di più. Non li perdonavo. Non mi perdonavo. Non mi perdono.

Ora però piango. Piango spesso. 
Piango quando sono sola.
E a volte parlo con lei.
E a volte parlo di lei. E quando ne parlo, è come se fosse ancora qua. E' come se vivesse. 
Ed è così, vive dentro di me.


Ed un giorno, magari, spero non troppo lontanto, subentrerà l'accettazione.
Ma per ora mi fermo qui.

 
  
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