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Autore: anicos89_    21/11/2013    0 recensioni
L'amore di una ragazza innamorata, raccontato e vissuto, tra le mura di un Café e tra le pareti del cuore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ogni giorno, da quel giorno, se ne stava in piedi d’innanzi alla porta del Aki‘s Cafè, con i raggi del sole che s’infrangevano sui vetri.
Tutto quello a cui riusciva a pensare, ogni volta che la intravedeva dalle velate tendine, era un sospiro. Già. Persino la sua mente sospirava.
Per il nervosismo, strappava senza freno le foglioline di uno dei due rovi posti ai lati dell’entrata.
Questo succedeva ogni mattina… da quel giorno.
Quando entrava, anche il suono della campanella messa dietro alla porta diventava soave, angelico.
Nella sua mente si preparava più e più volte a salutarla, ma vanamente.
«Buongiorno, Minako-san!» -Le ripeteva sempre sorridente una splendida fanciulla vestita da maid. 
«Gia…Gio-rno, Katsura-chan!» -E lei ricambiava con uno sciocco balbettio. 
«Il tuo solito tavolo è libero!» -Quando Katsura sorrideva, persino il sole rimaneva abbagliato dal suo splendore. 
«G-Grazie!» -Balbettare era diventata una parte di Minako; una sua caratteristica, ogni volta che parlava con Katsura. 
Era da un po’ di tempo che Minako Sebi aveva iniziato a frequentare, abitualmente,l‘Aki‘s Cafè. Si sedeva sempre al solito tavolo, proprio vicino alla finestra - per distrarsi con il passaggio delle persone che accalcavano i marciapiedi. Ordinava sempre il solito: crostata di more. Ma, per quanto potesse essere un posto confortevole, c’era sempre stato qualcosa che la metteva profondamente a disagio: la proprietaria! 

[Nome: Atsuko. Età: 28 anni. Stato civile: Single per scelta degli altri. Curiosità: Vive nell’appartamento sopra al Cafè con il suo gatto “Potato“]

Per qualche ragione, quella donna la scrutava ogni mattina con uno sguardo -come dire- omicida.
Avevano sempre delle conversazioni assurde. Continui battibecchi. Sempre la solita ramanzina che si ripeteva come un mantra.
Dopo che Minako si accomodova al tavolo, Atsuko si sedeva, come se nulla fosse, di fronte a lei; e con aria minacciosa iniziava a farle la solita predica. 
«Intendi farla durare ancora molto questa cosa?» -Disse la donna, con tono di voce arrogante, mentre incrociava le braccia per esprimere il suo dissenso.
«Giorno anche a te, Atsuko-sama!» -Almeno dalla sua, Minako aveva l’educazione, e anche una botte di sarcasmo -che l’aiutava molto.
«Mi dai sui nervi… con quella faccia… quella faccia da pervertita!» -Ovviamente, non si stancava mai di ricordarle il vero motivo per cui frequentava quel posto.
«O-Ohi! Ma che diamine dici?» -Disse “agitandosi“. Beh, sì. Faceva la finta tonta. Ma non poteva mica sgamarsi.
 Atsuko la fissava in continuazione. Era come se leggesse i suoi pensieri più… intimi.
Uno stress continuo. Da una parte si pentiva di fare colazione in quel posto, ma dall‘altra...;
“Daaaaah, voglio andare via da qui!” -Pensava tra sé e sé; per poi ripensare: “No, No! Pensa a Katsura. A Katsura. E soprattutto, alla divisa di Katsura!” -Inutile dire che Minako sapeva persuadersi molto bene.
«Ehi! Io sono ancora qui!» -Atsuko le urlò contro.
Minako alzò la testa e, esasperata, esclamò: «Lo so!» 
«Ho visto come guardi Katsura. Voglio che ti entri bene in quella zucca vuota: nel mio Cafè non si toccano le cameriere! Ma soprattutto, se solo oserai violare l‘innocenza del mio guadagno massimo (Katsura) ti assicuro che ti renderò la vita un vero inferno! Stalle alla larga!» -Ogni tanto -solo ogni tanto- Minako si chiedeva se Atsuko si rendesse conto che già gli rendeva la vita un inferno.
«Senti Atsuko…»
«Faccio sul serio, Minako!» -Stranamente, il suo sguardo divenne molto serio. Era davvero… inquietante!
«Anche io lo sono!» -Minako dibatté senza esitazione alcuna. Lo era davvero! Era dannatamente seria!
«Ecco la tua crostata di more!» -Con quei modi gentili e pacati, non c’era da stupirsi se fosse  la “pupilla” di Atsuko.  
«Ehm…» -La ragazza non riusciva a capire. Sia Atsuko che Minako si stavano, letteralmente, sfidando con lo sguardo. «Mi-Minako-san?» -Disse la ragazza poggiandole una mano sulla spalla.
«Katsura!» -Esclamò d’un tratto come se si fosse appena svegliata da un… incubo.
«Sì?» -Rispose la ragazza.
«Co-Cosa?» -Domandò Minako.
«Ho portato la colazione!» -Ri-disse con un amorevole sorriso.
«Oh, g-grazie!» 
«È il mio lavoro! Buona colazione!» -Katsura fece un leggero inchino, e poi si allontanò dal tavolo. 
«Ah, sei pessima! E ordina qualcosa di diverso, ogni tanto!» -Atsuko non aveva tutti i torti. «Ma a me piacciono le more!» -Le fece notare Minako.
«A te piacciono un sacco di cose!» -Le fece notare Atsuko.
«Mhmmgmm, anhe huesto è hero…»
«Insomma! Smettila di mangiare con la bocca piena, animale!» 
«Mi scusi! Vorremmo il conto!» -Una ragazza, vicino al bancone, agitava la mano per richiamare l’attenzione di Atsuko.
«A-Arrivo subito!» -Atsuko si alzò in piedi. «E tu! Ricorda quello che ti ho detto!» -Si premunì di ricordare a Minako.
«Mhm… herto!» -Disse masticando. 
«Ne riparleremo!» -Atsuko si allontanò scuotendo la testa. 
Nel frattempo, i minuti passavano. Minako mangiò quella buonissima crostata dalla frolla dorata e friabile; la crema Chantilly era soffice e delicata da sciogliersi in bocca; l'asprezza delle more avevano assorbito la dolcezza dello zucchero a velo. La finì in men che non si dica. Lasciò solo delle briciole nel perlato piatto dai contorni azzurri e dai disegni floreali. 
Da dietro al vetro, fissava il passaggio incessante della folla che faceva avanti e indietro sul marciapiede.  
«Minako-san!» -Katsura si avvicinò alla ragazza che si era addormentata.
Minako aprì lentamente gli occhi. Con voce rauca disse: «Sì?»
«Sono le 10:30!» -Katsura indicò l’orologio del negozio. «Se non ti sbrighi perderai il bus!»
«Oh… OH! Accidenti!» -Minako scattò in piedi. In preda all’agitazione non riusciva a trovare neanche la borsa che le era accanto. «La borsa! La borsa!»
«Tieni!» -Katsura le porse la borsa con un sorriso diverso dal solito: sembrava divertita da quel buffo comportamento. 
Minako afferrò la borsa dalle mani della ragazza: «Grazie, Katsura-chan!» 
«Buona giornata!» -Le augurò inchinando il capo. 
«A-Anche a te!» -Arrossì vistosamente. Nessuno avrebbe potuto resistere al visino di Katsura senza prenderlo tra le mani e baciare quelle labbra.
Minako si affrettò verso l’uscita. Ma una voce urlante gli si rivolse: «Ehi tu! Il conto! -Era Atsuko, che da dietro al bancone le fece notare che non aveva pagato il conto.
«Salderò al rientro dal lavoro. Promesso. -Disse frettolosamente Minako senza neanche guardarla; mentre pensava: “Sempre se ne ho ancora uno.”
«Quella ragazza mi fa venire il mal di testa!» -Atsuko si portò una mano sulla sua fronte.
Nel frattempo, dopo aver guardato quella scenetta, Katsura si era poggiata con i gomiti sul bancone, mentre aveva entrambe i palmi delle mani sotto al mento.
«Katsura… cosa c‘è?» -Chiese Atsuko.
«Sembrate andare molto d’accordo voi due!» -Disse allusivamente.
«Katsura-chan?»
«Sì capo?»
«Prenditi una pausa.»
«Eh? Come mai così all’improvviso?» -Katsura sgranò gli occhi e rimase basita.
«Fa' come ti ho detto!» -Atsuko indicò una stanza dietro al bancone.
«V-Va bene!» -La ragazza non domandò oltre. 
Quando Katsura entrò nella stanza, Atsuko borbottò con un sorriso: «Piccola sfacciata!»

Perdersi nei pensieri. Discutere. Sorridere. Vedersi. Con il timore che tutto possa cessare di essere. Tutto ciò, succedeva ogni mattina. 
Forse avrebbe dovuto smetterla di passare tutto quel tempo in quel Cafè. Ma le era impossibile negare l’evidenza. La corsa a perdifiato per raggiungere il bus che ormai era già partito, il sudore sulla sua fronte. Ansimava. Correva. Più forte. Urlava agitando un braccio: «AAAAH! Qualcuno! Qualcuno fermi quel bus!» 
Minako correva così forte che non si rese conto che il bus si era già fermato un metro prima. 
«Oh, Eh?» -Aprendo gli occhi notò che il bus non si trovava più davanti a lei.
«Oh cielo, Minako-chan, ancora in ritardo?» -Un uomo anziano, sdentato e con rari capelli bianchi a coprirgli le tempie, si affacciò dalla porta del bus.
«Kijirou-san! Grazie!» -La ragazza fece un sospiro di sollievo mentre inchinava il capo in segno di gratitudine.
«Voi giovani, sempre con la testa fra le nuvole! Ricordo che ai miei tempi pensavo solo a lavorare giorno e notte, notte e giorno nelle risai-…»
«…Risaie per dare un futuro a quegli ingrati dei miei figli.» -Minako continuò la ramanzina del vecchietto, che le ripeteva appena la sua mente se ne ricordava.
«Oh cielo, ho già raccontato questa storia?» -Il vecchio si grattò la testa incredulo.
«Mah, ogni mattina! Sta invecchiano!» 
-«Impertinente! Sali prima che ti lasci a piedi!» -Disse l’uomo agitando l’indice.
«Subito, Subito!»  -Minako salì entrambi gli scalini facendo un salto.

Ogni mattina era la solita corsa. Il solito trambusto. In quel Cafè i minuti trascorrevano troppo in fretta, Minako non ne rendeva conto, o forse ignorava il tempo? Più forte di lei era la voglia di vedere quella ragazza a cui pensava di continuo dal loro primo incontro.

Tempo prima…

Alla riapertura del Cafè, Minako, fu invitata da alcune sue colleghe, amiche di Atsuko -già, anche il suo brutto carattere aveva delle amiche-, che furono invitate a loro volta. 
Il locale aveva un’atmosfera calma e invitante. Non era molto grande, ma ogni cosa risultava al posto giusto. Un bancone con vetrina contenente ogni tipo di dolce; alle spalle uno scaffale con bottiglie di varie bevande alcoliche (e non) e una macchinetta professionale Gaccia per preparare il caffè.
Pochi tavoli con sopra adagiate tovaglie color ocra con ricami. Sedie a forma di poltrona in vimini. E le pareti di colore deciso con su appesi quadri armoniosi. 
Le cameriere non avevano la solita divisa cliché: le gonne era leggermente a palloncino e non troppo corte; e da sotto sbucava del merletto rosa pastello che “richiamava” il colore del grembiule. Niente codini. Ogni ragazza portava i capelli come riteneva più comodo e consono. 
Quella sera, Minako era particolarmente persa nei suoi pensieri. Aveva appena iniziato a lavorare come editore per una rivista di manga molto importante e il giorno successivo avrebbe dovuto tenere un incontro con un famoso artista. Ma poi, all’improvviso, la vide. Avete presente quando nei film il protagonista (o la protagonista) s'innamora a prima vista e rincretinisce assumendo un’espressione da ebete mentre guarda la sua bella il tutto a rallentatore? Ecco, Minako divenne quel cretino.
La divisa che ondeggiando lasciava intravedere le rosee ginocchia. 
-Ah, naturalmente, Minako fu colpita subito dall’animo gentile della ragazza.- 
I suoi capelli castani raccolti all’insù permettevano di ammirare il suo longilineo collo scoperto. Pelle di porcellana. Gli occhi profondi color terra e un viso dolce e gentile con un sorriso avvolgente.

«Katsura-chan, al tavolo 5!» -Disse una delle cameriere mentre era affaccendata a servire più tavoli.
«Subito! AAAHH!» -Katsura era così intontita dalla confusione che cadde a terra.
«Oh cavolo! Katsura-chan, stai bene?!» -Un’altra cameriera l’afferrò da sotto i) braccio per aiutarla ad alzarsi.
«Ahia, sì! Sono solo scivolata!» -La ragazza fece la linguaccia e un sorriso imbarazzato.

State forse pensando che in quel momento Minako si sia fiondata a soccorrerla come un principe sul suo cavallo bianco; e che magari avrebbe anche approfittato della situazione per iniziare una conversazione?  Beh, invece non si alzò affatto! No, non si alzò. Il perché? Perché era rimasta estasiata, dopo aver visto le sue mutandine con disegnato su un buffissimo gattino. Eh, no! Ripensando al loro primo incontro, sicuramente la personalità di Katsura non fu la prima cosa che la colpì di lei. 
Forse state pensando che i suoi sentimenti siano disgustosi, ma credetemi, non c’è niente di disgustoso in quello che Minako prova per lei.

Dopo quella sera, iniziò a fare colazione in quel Cafè. Ogni mattina! 
Qualche tempo dopo cominciò, sempre di più, a conoscerla meglio.

[Katsura Nakajima. Anni: 18 anni. Studentessa di storia dell‘arte. Lavora partime per pagarsi gli studi. Vive con i genitori, il fratellino e un pesciolino rosso.]

Già, forse Minako non avrebbe dovuto farle l’interrogatorio. Purtroppo, insieme alla sua conoscenza, iniziò ad approfondire anche quella con Atsuko, contro ogni suo volere. Forse vi sembrerà strano, o forse no, ma dicono che “casa” sia quel luogo in cui trovi ”amore”, e Minako in quel Cafè aveva trovato, stranamente, entrambe le cose.

La giornata lavorativa ormai stava per concludersi. Il sole aveva lasciato spazio nel cielo alla luna.

«Minako-san?»
«Sì?» -Minako rispose senza distogliere gli occhi dalle carte che aveva davanti.
«Tanto non te li pagano gli straordinari! Eheh!»
«Eh?» -Minako guardò l’orologio. Non si rese conto dell’orario.
«Oh! Hai ragione. Grazie, Midori-san!»
«Io devo andare. Il mio ragazzo sta aspettando. Buona serata, Minako-san.»
«Anche a te!»

Con molta probabilità, se la sua collega non le avesse fatto notare l‘ora tarda, Minako avrebbe continuato a lavorare per tutta la notte.
Minako inarcò la schiena sullo schienale e distese le braccia. 
«Basta così. Continuerò domani! Adesso è ora di andare al Ca-Ca-Cafè!» -Disse felice.
«Perché canticchi, Sebi-san?» -Un ragazzo dai capelli tinti di biondo si rivolse a lei chiamandola per cognome.
«O-Nii-san?!» -Esclamò Minako.
«O-Nee-chan?!» -Il ragazzo la sberleffò. Poi si buttò sulla sedia ed iniziò a girare. «Doovee staaaiii aaandaaandooo?»
«Mi sembra impossibile che tu sia il mio superiore!» -Minako, d’innanzi a quel comportamento infantile, ebbe un’aria rassegnata.
«E innnveeeceeee… lo…sooonooo… Oh cavolo, mi gira la testa!» -Il ragazzo fermò la sedia di colpo.
«Comunque, stavo andando al Cafè!» -Disse preparandosi.
«Oh!Oh!Oh! Ci vai molto spesso negli ultimi tempi! Porta il tuo fratellino con te!»
«Non se ne parla!»
«Dai… Ti prego!» -Anche se era il suo capo, si comportava davvero come un bambino.
«Non insistere! Ho detto di no! Adesso devo andare! Ci vediamo a casa!» -Le parole di Minako risultarono decise e ferree. Prese la borsa e si affrettò ad uscire dall’ufficio così in fretta che non diede il tempo a suo fratello di replicare o salutarla. 

Lei e suo fratello vivevano insieme. I loro genitori, con l’intento di riaccendere la vecchia fiamma dell‘amore, erano sempre in viaggio. Suo fratello aveva 24 anni (due in più di lei), ma si comportava come se ne avesse otto. 
 Anche se a casa comandava Minako, sul lavoro era lui il capo. 
Era grazie al suo attuale impiego, se lei lavorava per la rivista e nel mondo dei manga. Ma sarebbe ingiusto pensare che fosse una raccomandata. In realtà, fecero il colloquio lo stesso giorno, ma in settori diversi. Tempo dopo, l’azienda fu costretta dalla crisi a fare delle fusioni tra i vari reparti. 
Tuttavia, vi sarà sembrato ingiusto il suo comportamento verso suo fratello, ma se l’avesse portato con lei, molto probabilmente, si sarebbe sentito attratto da Katsura. Forse Minako era solo paranoica, ma si sarebbe sentita persa se avesse visto qualcuno stare accanto alla ragazza. Come avrebbe detto Atsuko: “Sei pessima!”.

Ogni volta che si ritrovava di fronte alla porta del Cafè, le iniziavano a tremare le gambe. Le mani si freddavano. La bocca le si seccava. E al “Ding Dong” del campanello, il suo cuore batteva forte come se avesse corso per chilometri. 
Ma cercava di trovare un pizzico di coraggio per entrare. Doveva entrare, era l’unico modo per vedere la persona che le provocava quelle sensazioni uniche.
Aprii la porta e, sforzandosi, con un sorriso disse:
«KA-Tsuko?!» -Minako cambiò subito nome. Il negozio era ormai vuoto. Le cameriere avevano finito il loro turno. E Atsuko era l’unica rimasta per chiudere il negozio.
«Tu guarda chi c’è! Cercavi Katsura?» Felice di deluderti: le ho dato la serata libera!»
«M-M-Ma per quale motivo?» -Esclamò Minako sbattendo, delicatamente, i palmi sul bancone.
«Beh, come vedi, siamo in chiusura. E poi, il locale è mio e faccio quello che voglio.»
«Ma…» -Minako si sentì indispettita. «Atsuko-chan, sei un demone!»-Disse con il broncio da bambina.
«Ti ringrazio! Sono 1200 yen!» -Atsuko le porse il palmo della mano.
«Cosa? Ma è un furto!»
«Su, su! Paga!» -Atsuko mosse la mano per “incitare” al pagamento.
«Tieni!» -Minako prese i soldi dal suo borsellino e li mise nel palmo di Atsuko facendo una lieve pressione in segno di dissenso.
«Minako…»
«Cosa?»
«..non farti del male…» -Disse Atsuko mentre riponeva i soldi nella cassa.
«Ma di che stai- »
«Lascia stare. Puoi andare!» -Atsuko interruppe la domanda di Minako.
«Cosa? Adesso mi stai cacciando?» -Chiese sbigottita la ragazza.
«Se vogliamo metterla così… Sì!»  
«So che questo locale è tuo, ma non avere quell’espressione soddisfatta, almeno. Sono pur sempre una cliente.» -Minako continuò a borbottare finendo per sbattere contro una persona con indosso una giacca di pelle nera come il carbone.
«Oh, scusa.» -Disse la persona.
Minako neanche le diede importanza. Continuò a camminare a testa bassa come un mulo.
Uscita dal Cafè, andò direttamente a casa. Si fece una doccia. Per cena si preparò un’insalata. E poi andò a letto. 
La sua mente non riusciva a pensare ad altro. Più pensava a Katsura e più si sentiva confusa. Poi, ad un tratto, nella sua testa si fecero largo delle domande: 
“Ma cosa pensa Katsura di me? 
Mi sto illudendo? 
Figuriamoci se a Katsura possa piacere un tipo come me, per di più una ragazza.” 
Si girò e rigirò nel letto. Poi sprofondò la faccia nel cuscino e si addormentò. Aprì gli occhi solo al mattino seguente; svegliata dal suono assordante delle sue tre sveglie.

Le sembrava di vivere in un sogno, in cui la protagonista si ritrovava sempre davanti alla stessa porta e al di là della quale, ad attenderla, c’era un qualcosa di ignoto. Tuttavia, lei sapeva che dietro a quella porta c’era la persona che amava, anche se quel sentimento, che la rendeva ingenuamente felice, stava iniziando a farle un po’ male. 
Quella mattina, decise di recarsi a lavoro senza entrare prima al Cafè.
Mentre aspettava l‘arrivo del bus, Minako sentì pronunciare il suo nome: «Minako-san!»
«Katsura…chan?!» -Era sorpresa di trovarla lì, dal momento che quello era il suo solito orario di lavoro.
«Come mai non sei al Cafè?» -Chiese Katsura con un sorriso.
«Vale lo stesso per te…» -Le fece notare Minako.
«Io? Mi preparavo per un appuntamento!» -Sorrise ancora una volta, con un sorriso ancora più bello.
«Oh, buon per te!» -Minako non riuscì a dire oltre. Era arrabbiata? No. Triste!
«Qualcosa non va?» -Domandò la ragazza dopo aver visto l’espressione di Minako.
«Sono stanca e devo sbrigarmi a ritirare delle tavole.»
«Ti dai molto da fare, eh?!»
«Faccio quel che posso.» -Non ci riusciva. Minako non riusciva a fare finta di nulla. Dentro di lei qualcosa aveva iniziato a rompersi. “Non va bene, sto agendo in modo strano.” -Pensò nella sua testa.
«Ah! Io devo andare, altrimenti Atsuko mi detrarrà i minuti dalla paga». -Katsura la salutò agitando la sua piccola mano.
«Va bene. Ciao.» -Dentro di lei sentiva davvero che qualcosa si era ormai rotto.

“Avevo un appuntamento!“ Questo era il pensiero che affliggeva Minako. 
Era strano come un sorriso il giorno prima fosse capace di riempirle il cuore, mentre il giorno dopo stava per frantumarglielo. Tante volte guardò la sua schiena, ma quel giorno fu diverso. 
Immaturamente, non andò a lavorare. Ritirò le tavole come da programma, e decise di lavorare a casa una volta rientrata. 
Bighellonò per tutto il quartiere sino a sera, pensando e ripensando che era follemente innamorata di una ragazza che non era neanche a conoscenza dei suoi sentimenti e che, con molte probabilità, non la ricambiava. 
Si sedette su una panchina al parco. Chinò in avanti la testa. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si sorresse la testa con entrambe le mani. Ad ogni pensiero, scuoteva nervosamente il capo.
“Forse dovrei parlarle. E se si sentisse disgustata? E se lasciasse il lavoro? Sicuramente Atsuko mi ucciderebbe! Ma voglio dirglielo. Dirle quello che sento. E se fosse sbagliato?”
Una miriade di pensieri lottavano per intasare la sua mente, ancora di più.
Poi, con aria decisa, balzò in piedi e, incurante delle persone che guardavano quel suo comportamento con aria impaurita, urlò: “Devo dirglielo!”
Prese la borsa ed iniziò a correre freneticamente. Più aveva voglia di arrivare e più sembrava che il tragitto si allungasse sotto la sua corsa.  Le gambe le facevano male e i piedi sembravano bruciare. Quando arrivò al Cafè, aprì d’impeto la porta:

«Katsura!» -Esclamò.
«Non c’è!» 
«Dov’è?» -Minako iniziò a farle domande a raffica.
«Aveva un appuntamento!» 
«Dove? Con chi? Dimmelo Atsuko!»
«Non lo so con chi!  E non aprire la porta in quel modo, mi spaventi i clienti!»
«Sai dove posso trovarla? Ti prego.»
Atsuko sbuffò e poi rispose esasperata: «Ha detto che avrebbe aspettato qualcuno al parco vicino alla fermata del bus. Non so altro.»
«Grazie!» -Quasi non aspettò la fine della risposta. Si precipitò fuori come azionata da una molla.
«Quella ragazza…» -Disse divertita Atsuko- :«Sta impazzendo!» 

Era dai tempi della scuola che non correva in quel modo. Se fosse stata una gara, avrebbe vinto, di sicuro. E anche se la testa chiedeva: Ma cosa stai facendo? Il cuore le rispondeva: Non mi importa, voglio solo vederla. Corri!
Appena vide la ragazza, urlò il suo nome:
«Katsuraaaaa!»
«Minako-san?» -La ragazza si voltò.
«Non puoi… farlo!» -Era stremata, affannata, dopo tutta quella corsa.
«Cosa?» -Katsura non riusciva a capire. 
«Questo! È sbagliato!» -Minako continuava a farfugliare.
«Eh?» -E mentre Minako blaterava, Katsura continuava a non capire.
«Questo appuntamento, non puoi farlo!» -Era esausta, ma trovò un briciolo di forza per guardarla negli occhi ed esprimere il tuo tormento.
«Per quale motivo?» -Il sorriso della ragazza venne sostituito da uno sguardo serio. 
«Mi dispiace. Mi piaci!» -Finalmente lo disse. Non le importava, a quel punto, della risposta. Aveva liberato il suo tormento.
«Ti dispiace che ti piaccio? È scortese.» -La ragazza parlò sarcasticamente.
«Io… » -Non sapeva più che altro dire. Senza fiato. Senza parole.
«Lo sapevo già.» -Il voltò di Katsura si illuminò. Il suo sguardo divenne gentile. 
«Eh?» -Minako, questa volta, era lei che non riusciva a capire.
«Venivi ogni giorno al Cafè solo per vedere me, vero?»
«G-Già…!» -Minako era imbarazzata. E si sentiva anche in colpa, dal momento che non ebbe cuore di dirle che andava al Cafè anche per quella deliziosa crostata.
«All’inizio sembravi come quei ragazzi che vengono al Cafè solo per spiarci sotto le divise.»
«Ah-…» -No! Minako non ebbe cuore neanche di rivelargli l’altro motivo.
«Atsuko, mi aveva accennato che provavi qualcosa per me, ma non potevo crederci, volevo sentirlo da te.»
A quelle parole. Minako le prese entrambe le mani e le strinse forte dentro le sue.
«M... Mi piaci! E… E non solo per la divisa.» -Il suo viso divenne rosso. Caldo. Sincero.
«Oh, davvero?» -Katsura fece quella domanda con viso innocente ma ironico.
«S-Sì. I-Il modo in tu riesci a brillare ai miei occhi è-» -Katsura la baciò interrompendo il suo disastroso tentativo di dichiararsi.
«Ka-Ka-Katsura-cha?! Tu appena hai mi…» -In quel momento, le funzioni vitali di Minako erano pronte ad un collasso collettivo.
«L’ho fatto!» -Disse la ragazza facendo una maliziosa linguaccia.
«P-Potresti rifarlo?» -Come se un bacio non fosse già stato troppo per Minako.
«Sì!» -Ma Katsura non se lo fece ripetere.

Stava succedendo. Le sue braccia intorno al suo collo. Riusciva a sentire il calore della sua pelle. La sua lingua sovrapposta alla sua. Era così paralizzata, in quel momento, che non riuscì a stringerla a se. Non avrebbe mai pensato che ci potesse essere qualcosa di più dolce di una crostata di more.

«Ti senti bene?» -Katsura si mordicchiò le labbra. 
«Non tanto…» -E a Minako stava per venire, sul serio, un accidente.
«Sediamoci!» -Katsura indicò la panchina.

Restarono sedute su una panchina del parco tenendosi mano nella mano con le dita intrecciate.

«Katsura, perché?» -Non riusciva a capacitarsi di quello che era accaduto. Non perché non potesse accadere. Ma perché era accaduto a lei, sul serio?
«Beh, tu non mi hai mai chiesto se mi piacevi.» -In fondo, Katsura non aveva tutti i torti.
«Però… il tuo appuntamento…?»
«Ti preoccupi per quello, Minako-san?» -Chiese inarcando un sopracciglio.
«Non che mi preoccupi, però…» -Minako non avrebbe mai voluto costringere Katsura a fare una scelta. 
Katsura iniziò a dondolare le gambe avanti e indietro. E poi disse: «Eri tu!» 
«Cosa?» -Minako rimase di sasso. Katsura stava davvero per dirle che...; 
«Il mio appuntamento, eri tu! Aspettavo te!» -Katsura la fissò in modo gentile.
«Ma come…» -Già. In qualche modo, Minako era stata, amorevolmente, raggirata.
«Ho detto ad Atsuko del parco; tu hai fatto il resto».
«Impossibile…» -Minako scuoteva la testa di continuo.
«Volevo che succedesse!» -Katsura sorrideva. Le stava donando il suo avvolgente sorriso.
“Sta sorridendo a me” -Pensò Minako.
«Vedi…» -Katsura le lasciò la mano e si alzò in piedi.
«In realtà mi sei sempre piaciuta! I tuoi capelli arruffati. La tua voce tremante che chiama il mio nome. La tua monotona colazione. Giorno dopo giorno, cresceva in me il desiderio di sapere di più su di te. Di starti vicino. Non l‘avevo mai provato per nessun altro. Forse è questo quello che chiamano “colpo di fulmine”? Non saprei. Ma una scossa mi sale su per la schiena quando ti parlo.» -Katsura non fu in grado di dire quelle cose guardando Minako negli occhi. Rimase in piedi a fissare il vuoto davanti a se. Le sue guance erano rosse.  
«I-Io…» -Minako, mentre cercava invano di sistemare con le dita i suoi arruffati capelli, piombò nell’imbarazzo più imbarazzante.
«Accidenti, è davvero tardi, devo andare al Cafè! Atsuko non mi pagherà se ritardo ancora. Ci vediamo dopo?» -Disse in modo amorevole Katsura.
«C-Certo!» -Minako esitò nel rispondere. Era come intontita.

La bocca di Katsura si avvicinò a quella di Minako e le diede ancora un bacio. Poi si allontanò. 
Era in uno stato così confusionale che, quella sera, Minako ritornò a casa senza neanche rendersene conto. Si buttò sul divano e poi buio totale. 

«Ehi! Ehi! Nee-chan! Se non ti sbrighi sarò costretto a licenziarti!» -Scherzosamente, il fratello di Minako cercava di svegliarla.
«O-Onii-chan?» -Minako rispose con la faccia ancora affossata nel cuscino. Poi scattò di colpo dal letto: «AH! Quanto ho dormito?»
«Da quando sei rientrata ieri sera.» -Rispose il ragazzo.
«Un sogno…» -Farfugliò la ragazza- «Devo andare!» 
Era incredula: tutto quello che era successo… era stato un sogno?
Il fratello non fece in tempo a capire, che Minako prese il giubbotto ed uscì di casa.
«Prendo la tua bici!» -Disse al fratello senza neanche voltarsi.
Un sogno. Possibile che Minako fosse così scioccata, dopo aver appreso la notizia dell’appuntamento di Katsura, da ricreare il suo desiderio nella sua mente?

Affranta. Delusa. Sfinita. Pedalò senza sosta. Arrivata al Cafè, sbattette la bici a terra. Prima di entrare, cercò di distendere con le mani le pieghe sui vestiti. 

«Buongiorno, Minako-san! Come mai così presto? Non è da te!» -Il solito saluto. Sembrava una mattina come un’altra. 
«Ka..tsura-chan!?» -Minako era spossata. A stento riuscì a dire il nome della ragazza.
«Sì?» 
Era così. Era stato solo un sogno. Katsura era stata un sogno.
«Tu…» -Minako non voleva sapere la verità. In cuor suo, non doveva sapere la verità.
«Io cosa?» 
Forse, Atsuko aveva ragione. Minako si era solo fatta del male.
«N-Nulla. B-Buon lavoro!» -Non pianse. Il groppo che aveva in gola era un macigno. Voleva solo uscire di lì.

Ma una mano le si appoggiò dietro la schiena.
«Non ricordavo di averti stropicciata così tanto ieri sera.» -Disse Katsura mentre le sistemava le grinze. Katsura continuò a guardarla: «Minako-san, stai ancora dormendo?»
«Ieri… Sera… Tu… Io…» -Resasi conto che, forse, non era stato solo un sogno, non riuscì più a mettere insieme una frase di senso compiuto. Arrossì. Tutto il suo voltò arrossì, e non solo perché aveva pedalato come se fosse al tour de France.
-Sì! Ieri sera! Noi!» -Quelle parole di Katsura. Il suo sorriso. Solo per Minako.
Minako si mise una mano dietro al collo, impregnato di sudore, e abbassò la testa cercando di nascondere il viso rosso come l’intonaco delle pareti del Cafè. Quel sorriso smosso dalla linguaccia. Quelle piccole mani affusolate giunte dietro la schiena e quella postura così innocente e maliziosa. Il suo carattere gentile. Il suono della sua voce. La amava. Tutto di lei! Non poteva farne a meno.
In quel momento, si rese conto che al suono del campanello non era solo il suo cuore a battere forte. 


 
  
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