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Autore: Miss Kon    21/11/2013    0 recensioni
Allora chiarisco subito che la storia ha toni NONSENSE, non ha motivo di essere scritta, è uno squarcio di vita quotidiana a Las Noces durante la saga appunto di Las Noces (PRE-scontro finale alla falsa Karakura per capirci), usata come escamotage per sbirciare un po' i sentimenti di alcuni arrancar e nulla di più.
L'ho scritta alcuni anni orsono, l'ho ripescata e mi è dispiaciuto il fatto di non averla mai pubblicata quindi rimedio qui oggi.
Spero possa piacere, enjoy!
[...]
“Facciamo un gioco”
Era partito tutto così. Nulla di malvagio o di terribile.
Un semplice e innocente gioco. Di quelli che fai quando ti annoi in maniera atroce, quelli che fai quando fuori piove e tu non hai nulla da fare se non guardare le gocce di pioggia che si infrangono sui vetri, diventandone poi le fredde lacrime.
La voce che aveva fatto quella proposta, tanto inopportuna tra quelle bianche mura quanto inaspettata e ben accolta, lo aveva fatto con un tono candido e innocente. Degno quasi di un bambino.
Ma di certo chi lo aveva proposto non era un innocente bambino. Anzi tutt'altro.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Espada, Jaggerjack Grimmjow, Nnoitra Jilga, Schiffer Ulquiorra, Szayel Aporro Grantz
Note: Missing Moments, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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ALPHABET.
~Play with you~


“Facciamo un gioco”
Era partito tutto così. Nulla di malvagio o di terribile.
Un semplice e innocente gioco. Di quelli che fai quando ti annoi in maniera atroce, quelli che fai quando fuori piove e tu non hai nulla da fare se non guardare le gocce di pioggia che si infrangono sui vetri, diventandone poi le fredde lacrime.
La voce che aveva fatto quella proposta, tanto inopportuna tra quelle bianche mura quanto inaspettata e ben accolta, lo aveva fatto con un tono candido e innocente. Degno quasi di un bambino.
Ma di certo chi lo aveva proposto non era un innocente bambino. Anzi tutt'altro.
Comunque fosse il silenzio prolungato e carico di una leggera curiosità stava dando segno a chi aveva fatto la proposta che poteva di certo essere qualcosa di bello e divertente, e sopratutto che partecipanti ne avrebbe trovati. Cosa che rendeva ancora migliore la cosa.
“Un gioco? Non essere idiota Grantz!”
La voce era roca e sgarbata, eppure non presentava una particolare fermezza o convinzione nella voce, semplicemente noia e scetticismo per quell'idea reputata dalla persona che aveva parlato altamente idiota.
Dal canto suo Szayel non si era scomposto molto a quella affermazione, e tirandosi su con il medio della mano destra gli occhiali aveva semplicemente sorriso e fatto la miglior faccia tosta che riusciva a propinare alla gente quando voleva convincerla dell'innocuità delle sue idee e trovate.
“Oh, andiamo Nnoitra, cosa vuoi che sia? Qui comunque non potremmo far altro che aspettare quindi tanto vale riempire l'attesa con qualcosa di divertente. Come un gioco...”
La sua voce nel pronunciare l'ultima parte della frase era diventata più bassa, e quasi cantilenate come stesse invitando un bambino troppo cocciuto ad accettare le caramelle che gli stava offrendo.
Nnoitra a sentire quel tono si era voltato dall'altra parte pronunciando un semplice e stizzito “tch” chiaro segno che per lui potevano fare quel cazzo che volevano bastava che lo lasciassero in pace.
Quella situazione lo rendeva nervoso, agitato e di conseguenza più incazzoso del solito. E visto che già di solito era un personaggio da prendere con le pinze in quella situazione Jilga diveniva ancora più intrattabile.
Strano che non fosse già partito a imprecare e lanciare insulti a mezza voce. Ma forse era solo questione di tempo. Molto poco tempo.
D'altro canto si trovavano chiusi in quella stanza da diverso tempo, forse da più di cinque ore. Non che fosse realmente importante poi, il tempo ha senso se lo percepisci scorrere, se puoi averne una sensazione del passaggio. Ma tra quelle bianche mura il tempo era impercettibile, poteva scorrere quanto voleva ma per quello che si poteva percepire era come se fosse fermo. Come la putrida acqua stagnate di una pozzanghera.
Solo la noia aumentava e per alcuni il nervosismo ma alla fine la situazione era sempre ferma lì sul solito punto.
Erano stati chiamati lì in cinque da sua eccellenza Aizen.
Il motivo non lo conoscevano bene, semplicemente gli aveva detto di recarsi in quella stanza poi non era successo più nulla se non che dovessero attendere. Un motivo in parte gli era stato riferito, o meglio gli era stato fatto capire.
Sembrava, infatti, che recentemente fossero successi un paio di atti violenti in uno degli innumerevoli corridoi, di quel palazzo, troppo tersi per poter accettare una simile ingiuria. E sembrava quindi che ci fossero dei sospettati.
Che cosa idiota. Sembrava veramente uno di quegli stupidissimi giochi umani in cui devi indovinare chi è il colpevole in base a diversi indizi. Fatto stava che tra i fantomatici indiziati c'erano loro cinque.
Ed eccoli quindi lì, chiusi tutti e cinque in una stanza troppo piccola per animi tanto violentemente diversi e infinitamente inconciliabili.
“Un gioco, hai detto?”
La voce tenue e morbida della donna, che stava seduta compostamente sulla bianca sedia ad occhi chiusi, si propagò subito alle orecchie di tutti i presenti colpendoli uno alla volta di sorpresa.
Il propositore stesso del gioco ci mise un po' ad incassare appieno la frase della donna, posta a dare di nuovo spazio alla sua idea.
Forte di ciò, e facendosi apparire un sorriso immensamente divertito e soddisfatto, Szayel decise di esplicare più cose riguardo al divertente giochino che aveva in mente. “Certo”
A questo punto le cose si erano fatte più interessanti per tutti i presenti che ascoltavano attentamente, pur non dandolo a vedere, lo scambio di battute tra i due espada.
“E in cosa consisterebbe?”
La voce di Harribel era come sempre pacata e tranquilla, la scena ora differiva da prima solo perché la donna aveva deciso di dischiudere le palpebre svelando i suoi occhi color pastello.
“Oh, ma è semplicissimo. Si tratta di fare l'alfabeto..”
“L'alfabeto?!?”
La voce che si era intromessa nel dialogo tra i due era stata sgarbata e violenta, cosa che aveva portato Aporro a voltare la testa verso chi aveva parlato, guardandolo con una leggere aria di sufficienza, per quanto la persona in questione fosse un esponente degli espada più in alto di lui nell'ordine gerarchico.
“Certo Grimmjow...”
A quella risposta la sexta espada aveva aggrottato ulteriormente la fronte cercando di capire che cazzo avesse in mente quel pazzo sadico di Grantz. Ma prima che potesse esplicare un altro dubbio qualcosa lo fermò, anticipandolo.
“..e più precisamente cosa intendi con fare l'alfabeto?”
La voce della terza espada aveva riportato all'ordine i presenti, facendo tornare la discussione sul gioco di per sé.
Soddisfatto dal ricevere una domanda utile al proseguimento della sua spiegazione l'octava espada aveva nuovamente sorriso divertito apprestandosi a riprende la spiegazione del gioco che aveva ideato la sua perversa mente.
“Intendo dire che per ogni lettera dell'alfabeto uno di noi deve dire una parola, si parte ovviamente dalla A e si prosegue in ordine, a turno ognuno di noi deve dire una parola iniziante con la lettera che gli tocca...”
“Tutto qui?”
La voce di Harribel pur mantenendosi calma come sempre presentava una certa nota di curiosità. Probabilmente anche per lei la noia si stava facendo sentire.
Ancora una volta soddisfatto dalla perspicace domanda della donna l'uomo aveva rinnovato il suo sorriso soddisfatto.
“Oh, certo ma c'è una condizione la parola che si dovrà dire dovrà essere collegata a quella direttamente precedente, ad esempio Cicatrice e Dolore...insomma tutte le parole devono essere una associata all'altra, mi sono spiegato?”
La domanda, posta con tono mite e gentile, nel sotto celava una certa intenzione a chiarire a tutti che ormai i il dado era tratto e quindi che il gioco sarebbe finalmente iniziato.
Il silenzio prolungato e riempito da una certa curiosità aveva dato a Grantz la risposta che aspettava, o meglio che era intenzionato di ottenere a tutti i costi, cioè sì.
“Chi inizia? E come si decide chi segue a chi?”
Harribel era arrivata come sempre a dire ad alta voce ciò che semplicemente un po' tutti i presenti, Szayel escluso, si stavano chiedendo.
“Oh è semplice anche questo chi dice la parola sceglie a chi tocca dopo, facile no?”
“E chi inizia?”
“Perché non inizia Ulquiorra?”
Proferendo quelle parole lo scienziato si era voltato verso la cuarta espada, indicandolo con un plateale gesto del braccio. Ulquiorra però, pur sentendosi chiamato in causa, sembrava non aver intenzione di dare ascolto alla cosa.
“In fondo te ne sei stato zitto fino ad ora”
A quell'affermazione il moro finalmente si era deciso distogliere lo sguardo apatico dalla fine finestrella da cui un piccolo spiraglio di sole fittizio entrava.
“Allora?”
La voce di Szayel si era fatta incalzante e abilmente invitante al fine, più che di convincerlo, di farlo agire e quindi parlare partecipando al gioco.
Ulquiorra dal canto suo si era limitato a voltarsi osservando l'octava espada.
Il silenzio apatico della cuarta espada era per i presenti un più che esplicito invito a sbrigarsi, in fondo di quel gioco gli fregava poco, bastava solo che potesse poi tornare alla sua indifferente contemplazione.
Szayel decise quindi di non farsi attendere troppo a lungo.

“Bè' iniziamo con ordine per cui...A...”
“Abominazione...”

L'atto, il sentimento del detestare, dell'avere in orrore.



“Interessante...posso sapere il perché di questa scelta?”
La voce di Szayel si fa attenta e curiosa, sapeva che quel gioco gli avrebbe rivelato cose divertenti e interessanti. E ciò non poteva che essere per lui motivo di perversa gioia che però si premurava di celare.

Quello che il mondo prova nei miei confronti. Io sono un essere orribile,un mostro, un abominio. La gente mi teme, mi ritiene un essere disgustoso. Questo perché loro, che si credono la perfezione in me non ne vedono, e per ciò mi odiano oltre modo. Ma non importa.
In fondo è sempre stato così.
È questo che significa essere hollow, essere abomini, aborti della ragione e figli non solo mai nati ma anche mai riconosciuti dall'umanità. Imperfette creazioni mal riuscite.
Costantemente prive di qualcosa.
Per questo l'umanità desidera distruggerci quanto prima. Miseri e sciocchi esseri umani, convinti di avere in mano la propria esistenza.
Persone che non si rendono conto che essa non ha alcun significato. Come la loro paura e le loro parole


.
“Non ha rilevanza”
La sua voce era sempre fredda, non tradiva nessun sentimento come sempre ma a Szayel quella risposta suonava come un'occasione unica come non mai per poter curiosare nell'asettica anima del moro. Occasione a dir poco allettante.
“Ti sbagli tutto ha la sua rilevanza...”
Come sempre la voce dello scienziato era accomodante e lasciva, oltre che come sempre portatrice di insidie nascoste tra quelle parole troppo curiose e apparentemente innocue.
A Ulquiorra comunque la cosa non toccava. Di certo Grantz non lo preoccupava e la sua curiosità era ben facilmente ignorabile per una persona come lui, fu l'intervento inopportuno e inaspettato di Grimmjow a rendere la situazione meno stabile.
E meno piacevole per il moro.
“Che c'è? Per caso la signorinella che hai rapito per Aizen ti ha detto che gli fai schifo?”
Nella voce del numero sei c'era disprezzo e una certa nota di sfida. C'erano due cose che essenzialmente Grimmjow adorava, fare rissa con qualcuno di forte e gettare merda in faccia a persone che come Ulquiorra lo reputavano solo una stupida bestia, a stento degna di guardarli in faccia.
E quella che si trovava davanti ora era una situazione che gli concedeva di fare entrambe le cose, come poter resistere ad una così succulenta occasione servita oltretutto in un piatto d'argento?
Ulquiorra intanto a quell'affermazione si era voltato verso di lui scoccandogli uno sguardo di disgustata superiorità, posta chiaramente a fare da risposta alle parole fuori posto dette poco prima.
In un attimo Grimmjow si era sentito salire il sangue al cervello e con esso anche l'istinto di saltare addosso al moro per dilaniarli il collo. L'unica cosa che lo fermava era fervida intenzione di farlo inviperire avvelenandolo a più non posso.
Solo allora si sarebbe divertito sul serio.
Digrignando i denti e contorcendo la bocca in una strafottente espressione di divertimento l'uomo si era quindi rigettato alla carica.
“Beh, che cazzo è quello sguardo? Unh? Ti da fastidio che dica a voce alta i tuoi segretucci?”
Questa volta lo sguardo di Ulquiorra aveva cambiato cipiglio, divenendo improvvisamente più gelidamente affilato. Se quella stupida bestia di Grimmjow lo stava sfidando cercando di irritarlo, avrebbe ben presto ricevuto pan per focaccia.
“Vedi Grimmjow, l'unica cosa che mi da fastidio è sentire la tua voce pronunciare simili sciocchezze con tanta convinzione. Noto che l'aver perso un braccio non ti è servito minimamente a imparare ad usare il cervello”
Questa volta era stato il moro a fornire un ben calibrato affondo all'interlocutore, facendo logicamente forza su quello che da sempre era il punto debole -e punto forte- della sexta espada: la sua irruenza e la sua incapacità di mantenere lucidità.
Jeagerjaques aveva fatto un pessimo errore a cercare il confronto con Ulquiorra tanto più se il confronto voleva metterlo dal punto di vista di risposte taglienti, e il doversene rendere conto suo malgrado gli stava facendo perdere in fretta il controllo. Man mano che quell'inutile discussione proseguiva -per quanto questa fino a quel punto consistesse in pochissime battute- si sentiva pompare violentemente nel corpo adrenalina miscelata pericolosamente al suo distruttivo istinto omicida. La lucidità così se ne stava andando, premessa eccellente per far degenerare pesantemente la situazione.
“Stk! Non accetto prediche da un sudicio e meschino cane da guardia”
Il tono ormai nella sua voce era marcatamente irato, e sembrava più un feroce ruggito che una voce vera e propria. Comunque fosse il tono di certo non spaventava Ulquiorra che sfruttando il vantaggio che aveva ottenuto colpendo Grimmjow sul “recente” fatto della perdita del braccio si preparava a rispondere ulteriormente al fine di distruggere quel poco che restava.
Ma prima che realmente ognuno dei due potesse dar spazio ad altre repliche e a tentativi di rissa una voce si intromise a, se non quietare quanto meno a gelare entrambi i contendenti della discussione.
“Smettetela. Tutti e due”
Il tono era freddo e perentorio, e l'ultima parte della frase era stata proferita quasi fosse una legge divina col chiaro intento di paralizzare entrambi, quietando così la situazione.
Entrambi a quell'ordine non potevano che ubbidire chiusi in un ostico silenzio, d'altro canto era difficile poter andare contro Harribel sperando anche di uscirne vivi. Ed entrambi sapevano che non solo non ne valeva la pena, ma sarebbe pure stato dannosamente pericoloso.
Sbuffando stizzito quindi Grimmjow si era trovato a doversi calmare tornando ad appoggiarsi al muro su cui prima trovava pigro sostegno, mentre Ulquiorra si era richiuso nella sua fredda calma, tornando quindi a guardare fuori dalla solita sottile e meschina finestrella.
Tutto ciò sotto lo sguardo vigile e palesemente divertito di Szayel, sguardo che di certo non poteva sfuggire alla terza espada che in replica aveva osservato l'octava espada con freddo e velato rimprovero.
La cosa di certo non fece poi molto scomporre Szayel che comunque preferendo non gettare benzina sul fuoco, quantomeno non ancora, aveva deciso di optare la soluzione di riportare il discorso in carreggiata cioè sul gioco.
“Allora signori ora che la situazione è tornata calma che ne dite di continuare col gioco?”
Il silenzio che si era venuto a fermare malgrado tutto e tutti a quella domanda si era riempito di nuovo di leggera curiosità mista ad una certa dose di astio.
Il gioco non era innocuo, poteva esserlo, ma di certo non lo era tanto più ora che era iniziato.
E questo Szyael lo sapeva. Eccome se lo sapeva, era fin troppo certo che un gioco del genere in una simile situazione, e ancor più in un simile luogo con simili personaggi non poteva che divenire profondamente e perversamente pericoloso.
Diffida sempre da ciò che sembra stupidamente innocuo.
Mai accettare le caramelle da uno sconosciuto.
Formulando quel pensiero divertito e osservandosi attorno compiaciuto Szayel aveva deciso che comunque ormai era tempo sul serio che la prossima persona fosse scelta per dire la sua.
Per prendere parte a quel simpatico e malsano gioco che era iniziato molto sadicamente e pericolosamente, quindi esattamente come aveva voluto il suo creatore.
“Bene Ulquiorra, perché non ci dici chi deve essere il prossimo?”
A quella domanda il moro si era voltato e guardandosi attorno con indifferenza aveva osservato uno per uno tutti i presenti fino a trovare il prossimo a cui sarebbe toccato.
Per una attimo il suo volto e ancor più i suoi occhi si erano soffermati su una persona, e voltandosi per tornare alla sua contemplazione della finestra, e del magro paesaggio che si scorgeva da essa, semplicemente aveva detto un nome. Il nome della persona su cui si era soffermati quei due secondi in più.
Senza nessuna particolare o plateale azione. Lo aveva semplicemente detto.
“Nnoitra...”





Il suo nome era risuonato appena in quella stanza, mentre il respiro della persona chiamata in causa si arrestava un attimo, per riprendere poco dopo con un sonoro e scocciato sbuffo.
“Non rompetemi il cazzo. Io a 'sta merda non ci gioco”
Il tono era scocciato e non mancava di tradire una nota acida e stizzita.
Sul serio di partecipare a quel gioco, in cui una semplice parola aveva rischiato di far scatenare rissa tra Ulquiorra e Grimmjow, il numero cinque non c'aveva voglia tanto più se forniva a Szayel il pretesto di poter approfittare degli altri usandoli costantemente come stupidissimi topini da laboratorio. Di quelli che metti in un labirinto con il formaggio per vedere se riescono a trovarlo e se quindi riescono a sopravvivere.
Tutte puttanate. Lui non era la cavia di nessuno, tanto meno di un essere come Szayel.
Con lui i aveva collaborato solo per ottenere il suo scopo, di lui poi non gli importava poi molto. Anzi.
Per lui era meglio averci a che fare il meno possibile.
Per i suoi gusti parlava troppo e in maniera fuorviante. Oltretutto filosofeggiava cinicamente su tutto, il che glielo rendeva abbastanza vomitevole come personaggio.
Di fatto però Grantz non era certo il tipo di personaggio che si lasciasse volentieri sfuggire soggetti di studio, per quanto i suoi interessi cambiassero abbastanza velocemente, complici di quella sua natura capricciosa e lasciva, non era il tipo da lasciare in sospeso un esperimento, sopratutto e a maggior ragione se era un esperimento estremamente divertente.
“Suvvia Nnoitra, perché non vuoi giocare? In fondo si tratta solo di dire una semplice parola e il nome di chi deve dire la lettera successiva, poi sarai lasciato in pace...perché è questo quello che tu vuoi no?”
Ancora una volta la voce di Szayel si era fatta cantilenante e melodiosa. Ancora una volta stava cercando di convincere un bambino ad accettare le sue caramelle, avvelenate.
Di certo lo scienziato non era intenzionato a perdere neppure una delle sue cavie, per quanti capricci o lamentele facessero.
E le sue intenzioni, svelate da quel tono di innocuo invito, non potevano che dare su' ai nervi a Nnoitra che d'altro canto non voleva che essere lasciato in pace, e quale metodo migliore se non dargli ciò che voleva per poi togliersi dai coglioni?
“Stk! Basta che ci si sbrighi!!”
Il sorriso già dipinto sul volto dello scienziato se possibile a quelle parole si era allargato maggiormente, ma intenzionato a non dare troppo a vedere la sua soddisfazione Granz semplicemente aveva deciso di inclinare un po' la testa verso il basso al fine di nasconderlo.

“Bene allora tocca alla...B...”
“Bestemmia”

Epiteto ingiurioso contro Dio, la Vergine o i Santi. Imprecazione, maledizione. Sentenza di così evidente falsità da offendere chi l'ascolta.



“Divertente scelta...posso chiedere il motivo?”
La voce che era arrivata come sempre era quella di Grantz che ora osservava Nnoitra con un certo e mal celato interesse.
In tutta risposta all'inopportuna e indesiderata domanda Jilga si era voltato guardando in cagnesco chi aveva fatto la domanda.
Per nulla scoraggiato però il numero otto era tornato presto alla carica.
“Che c'è Nnoitra? Per caso sei diventato credente?”
A quella domanda Nnoitra aveva alzato lo sguardo per poi riportarlo poco dopo verso il numero otto e senza parlare si era limitato a guardarlo storto, solo dopo diversi attimi di silenzio si era poi deciso a rispondere.

È ciò che tutti voi -e il mondo- vedete in me. Vedete e sentite una bestemmia, rivolta al vostro cielo e al vostro misero e schifoso Dio. Dio diverso da persona a persona. Quanto mi fate vomitare stupidissimi vermi buoni solo a strisciare piagnucolando.
Il vostro credo che si fonda solo su un ideale di bellezza mi dà la nausea. Come la vostra vicinanza. Io non sono bello e quindi non sono degno di far parte del regno. Ma chi se ne frega, voi tutti siete delle merde il cui destino è finire schiacciati. Voi non avete la più pallida idea di che cosa sia una vera bestemmia, io sì. Io solo, che non prego perché ho ucciso il mio Dio, conosco le vere bestemmie.



“Non sai proprio farti i cazzi tuoi, eh Grantz? Oltretutto il gioco consiste nel dire solo una parola non nell'essere psicanalizzati da te...”
Come sempre sia la risposta sgarbata sia il tono acido, marcato da un chiaro intento di non voler sentire repliche, non avevano nessun effetto sullo scienziato interessato come non mai a capire.
Ma prima che potesse porre altre domande Nnoitra, capite velocemente le sue intenzioni, si era anche già apprestato a rivoltare le frittata.
“Perché ora non parli tu Szayel?”
Per un attimo l'affermazione, incassata malamente, aveva zittito l'uomo. Non si aspettava che Jilga potesse sfuggirgli tanto più ponendo lui sotto i riflettori in cui aveva posto gli altri per poterseli “studiare”.
“Allora?”
La domanda, posta con un leggero tono di irriverente sfida, aveva fatto risvegliare Szyael dalle sue riflessioni, il quale aveva ben deciso di sottostare docilmente alle regole del suo stesso gioco, in fondo di parlare gli sarebbe toccato comunque.

“Tocca alla C...quindi”
“Esatto...”
“Contrizione”

Sentimento di chi si pente dei propri peccati commessi e si ripropone di non commetterne altri
. Il mondo dice di averne, ma non ne hai mai avuta esattamente come me. Nessuno ha reale istinto di pentirsi del peccato di cui si è sporcato le mani e la bocca. Nessuno mai ammette i propri errori conscio della punizione.
Sarebbe come consegnarsi spontaneamente al proprio carnefice. Tutti si pentono, chiedendo scusa o perdono ma ciò che voglio non è la vera remissione dei peccati quanto la grazia e l'assolvimento, così da scampare alla punizione.
Ma io non prego mai per i miei peccati, per lavarli via da questo mio immondo essere, io prego perché essi mi entrino nella carne fino a penetrare le mie ossa.
Solo così ha senso per me commetterli.



“Buffo detto da te, visto che tu non conosci il pentimento”
La voce di Harribel era arrivata all'improvviso, e inaspettata aveva colto di sorpresa tutti. Era stata in silenzio per diverso tempo e l'unico motivo per cui era tornata a parlare era per puntualizzare negativamente su un aspetto di Szayel.
Non era difficile immaginare quanto per Harribel, la cui essenza era il sacrificio, fosse riprovevole il comportamento lascivo e viscido di quel folle dell'octava espada.
E ancor più non era di difficile predizione il suo scetticismo a sentirlo pronunciare una parola tanto estranea al suo essere.
In tutta risposta Szayel aveva semplicemente sorriso bonariamente ponendo sul suo volto un'espressione di innocua noncuranza, e aveva alzato le spalle accompagnando il gesto da una plateale apertura delle braccia.
“Che vuoi farci? Io sto solo al gioco, nulla di più”
Le sue parole, proferite col suo solito e semplice tono, lasciavano trasparire però un certo divertimento, dato per lo più dal turno che gli era toccato.
Dal canto suo Harribel sembrava trovare interessante la scelta di quella parola da parte del numero otto.
“Dimmi Grantz, visto che tu hai indagato su chi ti ha preceduto e ora sei tu sotto inquisizione, perché hai scelto questa parola?”
La domanda della donna, in parte attesa da Szayel, non poteva che portarlo a sorridere nuovamente di rinnovata e perversamente strana gioia.
“È semplicemente legata alla parola precedente, infondo bestemmiare è peccato, e al peccato è associato il pentimento...”
“Ma anche la punizione...o la perseveranza”
La voce della terza espada si faceva più ferma e la sua intenzione era chiaramente giocare a Szayel lo stesso gioco a cui lui aveva sottoposto gli altri, cosciente anche che presto sarebbe toccato anche a lei.
Lo scienziato intanto, conscio delle intenzioni della donna, stava già pensando a come far deviare le cose in suo favore. A lui di certo piaceva studiare gli altri, ma di essere studiato lui non ne voleva sapere.
Anche perché non riteneva che gli altri fossero né degni né in grado di studiarlo.
L'occasione, inoltre, per sviare l'argomento gli era proprio dinnanzi, servita comodamente in un piatto d'argento. “Ma certo, ma solo contrizione aveva l'iniziale che desideravo. Piuttosto Jeagerjaques...”
Nel momento stesso in cui quel nome era stato pronunciato lo statico silenzio in cui era chiuso l'espada in questione venne rotto, finendo in frantumi come un bicchieri caduto -o gettato- a terra.
Grimmjow aveva spalancato i suoi occhi di scatto voltandosi rapidamente verso il punto da cui aveva avuto origine il suono.
Il numero sei stava per dire qualcosa ma prima che avesse il reale tempo di fare qualcosa in più che aprire la bocca lo scienziato lo aveva anche già anticipato continuando il discorso dalla lunga pausa che aveva volutamente lasciato al fine di prendere in pieno l'attenzione della persona chiamata in causa.
“È da prima che te ne sta lì in silenzio, perché ora non parli tu?”
Il tono della voce, a primo ascolto poteva sembrare un invito gentile, quasi premuroso, ma difficilmente una simile cosa era pensabile detta da Szayel. Dalle sue labbra infatti qualsiasi parola proferita con qualsiasi tono usciva storpiata in sfaccettature e aspetti infidi.
Quelle parole infatti alle orecchie di Grimmjow suonavano più come una sorta di canzonatoria sfida, a provare a vedere se era in grado di superare quel divertente giochino. E di fatto Grantz proprio con quel tono le aveva proferite interessato come non mai a mantenere fissa la sua posizione di scienziato e osservatore, togliendosi finalmente dalla parte dell'osservato.
“Non rompere Grantz non ho mai detto che avrei partecipato al tuo gioco”
La sua voce roca tradiva un certo fastidio e un nervosismo forse dati dal precedente scontro con Ulquiorra. Era infatti difficile che si fosse completamente calmato.
“Ma non hai detto neppure il contrario per cui perché ora che sei chiamato in causa semplicemente non giochi? In fondo non è nulla di pericoloso...”
Questa volta il tono era palesemente di sfida ricoperto da una melensa e falsa intenzione gentile, messa lì più a presa in giro che altro.
A questo punto il gioco era fatto, infatti era difficile immaginare Grimmjow capace di rifiutare una sfida tanto più se posta con chiaro tono di derisone.
“Stk!”
Il tono di quell'affermazione scazzata e irritata era per Aporro un invito più che chiaro a sbrigarsi, visto ormai la sfida era stata accolta, anche se non in maniera verbalmente esplicita.

“Benissimo, tocca alla...D...”
“Dannazione”

Dannare, l'essere dannato, perdizione eterna dell'anima. Di cosa o persona che fa perdere la pazienza.



“Oh, che scelta peculiare...immagino anche abbia un perché”
Come sempre a porre la domanda era stato lo scienziato, riappropriatosi finalmente della sua situazione di vantaggio, che con occhi sadicamente curiosi si divertiva a cercare di scrutare dentro quelli di Grimmjow, pieni di una mal celata rabbia.

Ho sentito chissà quanta gente pregare il lacrime affinché la mia anima subisse la condanna dell'eterna perdizione.
Ho sentito chissà quanti ipocriti augurarmi ogni qualsivoglia male. Mi fanno vomitare tutti.
Sudici e immondi esseri a cui è stato concesso di vivere.
Voi cosa cazzo ne sapete della dannazione?
La mia vita a prescindere è una dannazione, un'eterna condanna a scontare ogni male che ho procurato. Una dannazione partita dal più basso gradino dell'inferno, in cui sono nato, e proseguita con perseveranza e costanza in tutto il mio tragitto.
Dannazione con cui convivo tutt'ora, dannazione che è l'essenza stessa del mio essere.



“Non sono affari tuoi. Volevi che giocassi? L'ho fatto, oltre non rompere”
La sua voce era ferma e carica di decisione posta a frenare la curiosità dello scienziato che come sempre lo portava a frugare nelle menti altrui con l'intento spesso del semplice gioco.
Gioco a cui il numero sei non intendeva prestare attenzione e sopratutto non intendeva prestarsi come cavia.
Ma a rompere il flusso del dialogo tra i due fu l'intervento di una terza voce che da prima era restata in silenzio.
“Temi forse l'inferno Grimmjow? O forse temi la punizione?”
Quella frase aveva avuto sulla sexta espada lo stesso effetto di una doccia fredda e non solo perché la voce che aveva proferito quelle parole era gelida quanto perché il proprietario, che si era voltato verso di lui, sembrava volergli leggere l'anima svelandone le sue paure.
Grimmjow, costretto sulla difensiva digrignando i denti si era posizionato un passo avanti con tutta l'intenzione di scattare in avanti ad attaccare Ulquiorra.
“Chiudi quella fogna Ulquiorra”
L'ordine, per quanto il tono fosse marcatamente irato e di avvertimento, non aveva nessun effetto su di Ulquiorra che pronto stava già per replicare.
Prima che però la situazione degenerasse ancora una volta fu provvidenziale l'intervento Harribel, posto con il medesimo tono di voce che aveva fermato i due ancora al primo dialogo.
“Fossi in voi mi fermerei. Ora dovrebbe toccare a me per cui proseguiamo con il gioco”
Per quanto malvolentieri, a quell'invito entrambi si vedevano costretti ad accettare, in silenzio quindi entrambi si erano andati a riposizionare dove erano prima.
Uno a contemplare lo spoglio deserto che si vedeva dalla fine finestrella e l'altro ad appoggiarsi sul muro guardando distrattamente il soffitto.
Szayel, dopo aver aspettato alcuni minuti, per vedere la situazione tornare alla statica forma di prima, finalmente si era deciso a parlare, mandando avanti il gioco.

“Benissimo, come hai già detto dovrebbe toccare a te per cui ti tocca la...E...”
“Eterna dannazione”

Perdizione eterna dell'anima che non ha fine, duraturo. Senza inizio e senza fine.
Nulla di più connaturato a noi Hollow di ciò. Nasciamo dalle maceria di un'anima distrutta e viviamo cibandoci di nostri simili per poter alleviare questo disgustoso dolore che ci brucia nel petto facendoci inveire contro il cielo.
Nulla in noi ci distoglie dal continuo tormento della nostra incompletezza e della nostra costante imperfezione che ci rende esseri costantemente assetati e affamati, destinati però in eterno ad avere sempre lo stomaco vuoto e la gola arsa dalla sete.
La nostra vita, così lunga da sembrare eterna, è la nostra eterna dannazione.



“Curiosa scelta anche se devo ammettere non era impossibile immaginare una cosa simile”
“Deduco quindi che la motivazioni oltre a conoscerla già , non ti interessi neppure”
Più che simile ad una domanda, il tono in cui la donna aveva posto la frase era più simile ad un, se non ordine, chiaro invito a non aggiungere repliche o curiosità indesiderate.
Il gioco doveva in fondo proseguire e sopratutto Harribel non aveva assolutamente nulla da rivelare, la sua natura, legata profondamente al sacrificio, era spiegazione fin troppo esplicita della sua scelta.
Szayel cosciente di ciò e sopratutto curioso di vedere il ricominciare del gioco per sapere cos'altro avrebbe rivelato aveva deciso di accettare di buon grado la cosa.
“Che il gioco allora prosegua dicci chi scegli come prossimo”
A quell'invito, che era stato fatto dal numero otto con voce incalzante e con una leggera tonalità di fremente curiosità, era già stato ben accolto dalla donna che stava già rimuginando su chi dovesse essere il prossimo.

“per la...F...”
“Falsità”

Qualità di ciò che è falso. Ipocrisia


.
La voce era giunta leggera e cantilenante. Sembrava sbucata dal nulla come un serpente che dopo aver strisciato in silenzio nell'ombra usciva fuori all'improvviso per attaccarti -e avvelenarti-.
Un sottile -e affilato- sorriso, indecifrabile se non a chiunque quanto meno ai molti, era il punto da cui quelle parole erano sgusciate fuori per giocare.

La falsità. Che nome terribile per indicare un semplice diletto dell'animo, diletto che consiste nel dire banalmente quello che gli altri vogliono sentire o si aspettano di sentire. È divertente potersi avvantaggiare di una simile cosa.



Tutti al suono di quella parole si era voltati simultaneamente, chi più sorpreso chi meno. Ognuno comunque stupito di quella presenza lì.
Dal canto suo il nuovo arrivato si era limitato a inclinare leggermente verso destra la testa continuando a sorridere sotto gli sguardi dei cinque espada.
Solo dopo diversi minuti, probabilmente spesi ad osservarli anche se era impossibile stabilirlo visto gli occhi costantemente chiusi, l'uomo si era deciso a parlare.
“Oh, scusate che sbadato! Non vi ho detto ancora perché sono qui. Pare che sia stato trovato il colpevole di quegli atti incresciosi per cui voi siete liberi. Vi porgo le scuse di sua eccellenza per avervi dovuto trattenere qui tanto a lungo inutilmente”
Nella sua voce, apparentemente gentile, non c'era nessuna reale traccia di dispiacere e neppure di rammarico, sembrava calma e cantilenante come sempre. In realtà ad ascoltarla bene quella voce tradiva una leggerissima traccia di divertimento abilmente mascherata da un tono pacato.
E altrettanto abilmente era nascosta -dietro quel sorriso sempre uguale e dietro quegli occhi sempre chiusi- la sua espressione realmente divertita nel guardare uscire uno alla volta, disposti in una svogliata e scomposta fila indiana, i cinque arrancar che fino a quel momento era rinchiusi tra quelle quattro monotone pareti a giocare per cercare di ingannare il tempo, in attesa di chissà cosa.
Una volta usciti tutti e dispersi tra gli innumerevoli e infiniti corridoi di quell'immenso palazzo, sul volto di Ichimaru per quanto impossibile potesse sembrare il sorriso sembrava essersi allargato maggiormente prendendo una configurazione ancora più perversamente e sadicamente divertita.
“È proprio divertente giocare”
La frase appena sussurrata -sibilata- si era anche già dispersa, prima ancora di finire, tra quelle mura come se non fosse mai stata detta.
D'altro canto ad udirla era stato solo la medesima persona che l'aveva pronunciata, quindi era veramente come se non fosse mai stata detta.
  
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