Aveva
accarezzato con il muso la morbida pelliccia del topo. Con una voce sottile,
stretta in gola dal pianto, con una voce che stentava ad uscire, aveva detto,
“Devo
andare”.
Aveva
fatto fatica a lasciare andare il kimono del padre. Si era stretto a lui,
inspirando il suo profumo di pesche, intrecciando le dita nel suo morbido pelo
scuro. Aveva atteso che fosse il padre a staccarsi per primo, ma era stato un
moto di rabbia a separarli.
“Mancherai
a Leonardo” aveva detto l’altro.
Ancora
quel nome, aveva pensato Raphael. E si era staccato
in modo brusco da Splinter.
I suoi
occhi si erano illuminati di rabbia. L’aveva guardato un ultima volta con
quella maledetta rabbia negli occhi. E si era subito pentito di quello sguardo.
Non era questa la memoria che voleva lasciare.
Ma ormai
l’aveva fatto.
Aveva
lasciato scivolare la porta di carta di riso dietro di se. Senza forza, senza
far rumore. E se ne era andato. Aveva represso tutta la rabbia, aveva cercato
di controllarsi. Nessun’altro l’avrebbe sentito uscire.
Lo
scricchiolio del cavalletto non oliato aveva coperto un suo singhiozzo. Si era
stretto alla moto, che aveva accompagnato la sua salita, oscillando piano. Era
la sua via di fuga, la sua casa sicura, il fratello con cui poteva condividere
strade deserte e folli velocità, senza dover essere costretto a lottare per
ottenere quel piacevole muto assenso, che gli altri tre non gli donavano così
facilmente.
“Fermati
ragazzo, non fuggire ancora” ma questo sembrava ora dirgli la sua moto.
Era quello
che stava facendo. Stava fuggendo. Di nuovo. Da se stesso, da Leonardo.
Ora che lo
aveva pensato, il nome del fratello sembrava una così dolce parola, agra se
evocava spiacevoli ricordi, salata delle lacrime che avevano accompagnato lui
in tante notti. Agra dolce e salata, una strana combinazione che a tratti lo
affascinava, a tratti lo infastidiva.
Leonardo
era più grande di lui. Più calmo. Più responsabile. Più bravo a fare il capo.
Se Leonardo
scappava, non stava fuggendo davvero. Se Raffaello scappava, era un codardo e
un idiota.
Il rombo
del motore, prima più secco e quasi tossito, poi lentamente più sicuro e
familiare, come gli impulsi di un elettrocardiogramma, accompagnò il cigolio
della serranda che lentamente si alzava.
Il freddo
invernale lo investì di colpo. Ebbe quasi la sensazione che persino le strade
di New York lo respingessero. Suo padre, la moto e la sua città: forse avrebbe
dovuto restare.
Esitava.
In un
angolo buio del garage Lui lo osservava.
“Hai un
modo idiota di chiedere scusa, Raphie”
Un
cristallo scuro, liquido, gli graffiò la guancia. Una lacrima. Lui stringeva
fra le dita la maschera del fratello maggiore.
“Ho
bisogno di un eroe. Un eroe che ti salvi, e ti salvi subito.”continuava nella
sua testa il più giovane.
Raphael si era girato, ma
solo per un attimo. Per dare un ultimo addio a tutto. Per prendere la decisione
più difficile che potesse mai… aver solo immaginato
di dover prendere. Raffaello si era girato, senza però incontrare lo sguardo ferito
dell'altro. Altrimenti, non avrebbe dato retta alle sue emozioni.
La motò si impennò. Le sue ruote lasciarono un solco nero nel
garage. Raphael si perse nel gomitolo di strade.
“Quando
tornerai, noi saremo qui ad aspettarti” pensava Michelangelo. “Leonardo. E
anche Splinter”
Lasciò
cadere la propria maschera a terra, stringendo in un nodo stretto quella
dell’altro sugli occhi. Già sentiva il vuoto lasciato dalla testa calda. Ma
perché doveva essere così dannatamente orgoglioso e testardo e fiero? Perché
non poteva essere semplicemente come… Leonardo. No,
non poteva aver pensato questo.
Raffaello
viaggiava ad una velocità tale che la tristezza e la rabbia gli erano scivolati
di dosso e ora faticavano a tenere il passo con lui.