Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Ricorda la storia  |      
Autore: Dragasi    23/11/2013    3 recensioni
Schiavo numero 23. Quello era il suo nome, se nome si poteva chiamare.
Un ragazzo senza nome, senza libertà e senza speranza in un futuro migliore. Tutto sembra cambiare per il meglio quando incontra una strana creatura che si fa chiamare Homunculus. Ma non tutto è ciò che sembra, e presto arriverà il momento di rimediare ai propri errori...
La dedico a una mia amica, Izzy, che mi ha prestato tutti i volumi di Full Metal Alchemist e con cui mi diverto troppo a parlare del nostro argomento preferito :D
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hohemheim Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Schiavo numero 23. Quello era il suo nome, se nome si poteva chiamare.
Non si ricordava di essere mai stato libero, fino al giorno in cui tutto era iniziato.
Venduto, maltrattato, perso ai dadi e ceduto ad un nuovo padrone, bastonato, venduto di nuovo, aveva provato a fuggire ed era stato frustato, maltrattato, venduto ancora, picchiato, denutrito, ceduto per eredità, venduto poco dopo ed era arrivato l’ultimo padrone.
Nonostante tutto quello che la vita gli aveva fatto, nonostante non avesse mai conosciuto la libertà e invece della stessa avesse conosciuto solo la paura, paura di poter essere ucciso se il suo padrone l’avesse voluto, se chi lo puniva non si fosse fermato in tempo, aveva sempre mantenuto l’ottimismo e il sorriso, niente era riuscito ad abbatterlo o a scalfirlo.
Non stava poi così male con l’ultimo padrone. Mangiava abbastanza, se faceva il suo dovere veniva ignorato e il padrone lo puniva solo se non lo vedeva lavorare.
L’ultimo padrone era un alchimista e solitamente gli faceva riordinare il laboratorio. A volte lo chiamava e gli prelevava del sangue per degli esperimenti, per molto tempo non capì a cosa gli potesse servire, poi un giorno comprese tutto.
Stava pulendo il pavimento del laboratorio, su un braccio aveva una fasciatura, qualche giorno prima il suo padrone gli aveva prelevato un’enorme quantità di sangue per qualche esperimento e poi l’aveva rispedito a lavorare con la fasciatura e semicosciente. Stava lavorando tranquillo quando sentì una voce:– Ragazzino… Ehi, tu ragazzino… ehi… prooonto?! Ci sei?! –
Non ci fece caso e continuò a fare il suo lavoro, l’ultima cosa che voleva era avere guai con il suo padrone.
La voce continuò:– Ho capito. Mi stai ignorando, eh? Da questa parte… Ancora un po’ più vicino… ecco, proprio qui –
Questa volta si girò un po’ incuriosito, si chiedeva se non fosse qualche diavoleria creata dal suo padrone. Sapeva che avrebbe dovuto continuare a lavorare, ma la curiosità era tanta e decise di scoprire da dove arrivava la voce per poi rimettersi al lavoro.
Spostò lo sguardo sullo scaffale e vide un’ampolla con dentro una massa nera sospesa, una massa sferica che sembrava fatta d’ombra.
La voce parlò ancora e lui capì che era quella palla d’ombra a parlare.
– Sono qui – disse la palla.
La osservò un momento, finalmente aveva capito da dove arrivava la voce, adesso poteva tornare a lavorare con l’anima in pace.
Si rivolse a quella specie di ombra:– Ora ho un sacco da fare, tornerò più tardi –
– Ma co…?! – rispose la palla un po’ sorpresa, appena si riprese continuò:– Dico, dovresti essere almeno un po’ impressionato o sorpreso, no? –
Lui non si scompose e continuò il suo lavoro rispondendo in tono pacato:– Hai intenzione di darmi qualcosa se ti dico che lo sono? –
La palla gli rispose di nuovo, con un tono che sembrava soddisfatto:– Non hai timore di niente, eh? La cosa mi piace. Dimmi, qual è il tuo nome? –
Infatti, lui non aveva timore di niente, e perché avrebbe dovuto? Con tutto quello che aveva vissuto perché avrebbe dovuto avere timore? Tanto a nessuno importava niente dei suoi sentimenti e delle sue paure, l’unica persona a cui importava qualcosa di lui era il suo padrone che si preoccupava solamente di vederlo lavorare.
Rispose a quell’ombra continuando a passare lo spazzolone sul pavimento:– Numero 23 –
Dall’ampolla uscì di nuovo la voce:– Numero 23? Non voglio numeri, dimmi il tuo nome –
Si fermò un momento e si appoggiò allo spazzolone e disse:– Non ne ho. Non sono altro che uno schiavo – l’ultima parola la disse come se stesse sputando, odiava dirla. Per le persone libere quella parola era il nome di qualcosa che consideravano poco più di un oggetto animato. Spesso avevano più riguardo per il bestiame che per uno schiavo.
La palla d’ombra continuò a parlare, e decisamente lui iniziava ad averne abbastanza.
– Schiavo… parli di quegli esseri umani a cui vengono negati diritti e libertà che vengono comprati o ceduti per il volere di altre persone? –
Guardò perplesso la piccola sfera nera e chiese:– Ceduti? –
Lui aveva cambiato cinque padroni, l’alchimista era il sesto, però era sempre stato comprato… una volta era stato perso ai dadi e un’altra volta il figlio del suo padrone l’aveva ottenuto alla morte del padre. Ma gli sfuggiva quella parola…
– Certo, hai mai sentito parlare di cose come “trasferimento di proprietà per accettazione di eredità”? –
Rimase in silenzio guardando quella palla nera in attesa di una spiegazione più semplice, ma quella non arrivò.
– Cielo, ma sei stupido allora! –
Si spazientì, e poi aveva ancora un mucchio di lavoro da fare. Urlò all’ampolla:– E lasciami in pace! –
La palla riuscì comunque a richiamare la sua attenzione:– Sei stato tu, vero? Quello che mi ha dato il proprio sangue –
– Sangue? – si portò la mano al braccio con la fasciatura e continuò:– In effetti il mio padrone mi ha prelevato molto sangue dicendomi che gli serviva per degli esperimenti –
– È grazie al tuo sangue che sono potuto nascere. Grazie. “Numero 23” ha un so che di freddo. Se ti dessi io un nome per ringraziarti? –
Guardò l’ampolla allibito. Ma quella specie di ammasso d’inchiostro chi si credeva di essere? Espresse il suo pensiero ad alta voce, ma quella si limitò a promettergli di dargli un nome grandioso. La palla iniziò a borbottare una sfilza di sillabe che a quanto pare doveva essere il suo nome. Lo fermò:– È troppo lungo –
Dopo avergli di nuovo dato dello stupido disse:– Che ne dici di Van Hohenheim? –
– Credo che potrò ricordarmelo –
– Si scrive così, aspetta ma tu sai leggere o scrivere? –
La sua risposta fu negativa e la palla rimase solo un momento in silenzio prima di fargli promesse di grandezza legate alla cultura e alla conoscenza.
Hohenheim lo ascoltò incantato, poi alla fine gli pose una domanda:– Ma tu chi sei? Come posso chiamarti? –
– Chiamami semplicemente Homunculus –
 
L’Homunculus gli insegnò a leggere, a scrivere e a far di conto e lui lo insegnava agli altri schiavi.
Quello era il loro unico modo per sperare di ottenere qualche miglioramento per le loro condizioni. Si impegnava nello studio e dava tutto sé stesso nell’insegnare agli altri quello che imparava. Aveva, però, il terrore di quello che gli sarebbe successo se il suo padrone avesse scoperto le sue nuove capacità… non voleva neanche immaginare la reazione del suo padrone.
Il suo timore un giorno si realizzò. Era in cortile con gli altri schiavi e stava insegnando a scrivere alcune parole usando un semplice ramoscello sul terreno battuto quando sentì la voce fin troppo familiare, ma poco ben voluta, del suo padrone:– Ma cosa cavolo state facendo brutti idioti? –
Ci fu una fuga di tutti gli schiavi che tornarono di corsa ai loro lavori, mentre lui rimase lì dov’era, impietrito e terrorizzato, un brivido gelato gli percorreva la schiena.
Il suo padrone lo afferrò per il bavero della sua casacca strappata e consunta e gli urlò contro:– Tu, razza di buono a nulla, vuoi restare senza cena? –
Pensava peggio, decisamente peggio, si affrettò a rispondere con tono sommesso:– Mi perdoni, padrone –
L’omone, che corrispondeva per altro al suo padrone, notò le scritte per terra e gli chiese:– Sai scrivere? Sono stupito –
– So scrivere, leggere e fare un po’ di calcoli. E me la cavo anche con l’alchimia, padrone, perché non lasciate che diventi il vostro aiutante? –
 
E quel giorno iniziò la sua scalata al potere. Passava intere giornate a studiare i libri del suo padrone. Studiò e imparò, applicò e corresse, fino ad ottenere la libertà. Ma a quale prezzo… se l’avesse saputo avrebbe preferito rimanere schiavo a vita.
Il re di Xerxes voleva l’immortalità e l’Homunculus, lo stesso che gli aveva insegnato i mezzi per ottenere la libertà, l’aveva ingannato.
Il giorno tanto atteso, per cui erano stati sacrificati centinaia di innocenti era arrivato. Tutto era pronto per rendere Sua Maestà immortale, ma si accorsero troppo tardi che erano stati ingannati.
Hohenheim osservò impotente il compiersi di un’enorme reazione alchemica che vide solo due sopravvissuti: lui e l’Homunculus.
L’Homunculus aveva preso le sue sembianze usando metà delle anime di Xerxes e l’altra metà le aveva messe dentro Hohenheim, dentro colui che lui chiamava padre. Aveva trasformato Hohenheim in una pietra filosofale.
Alla fine della reazione Hohenheim si guardò intorno, ma dovunque posasse lo sguardo vedeva solo corpi senza vita.
Qualcosa si mosse nell’ombra, portava le vesti del re. Hohenheim appoggiò un ginocchio e un pugno a terra dicendo:– Maestà siete salvo! –
Non era il re, e la verità lo lasciò impietrito. L’uomo che portava le vesti del re era Hohenheim stesso.
Il secondo Van Hohenheim iniziò a parlare:– Ti piace il tuo nuovo corpo? –
– Che fine hanno fatto tutti quanti? –
– Ti ho reso immortale al prezzo della vita di tutti gli abitanti di Xerxes. Per la verità della metà, l’altra metà è dentro di me –
Il vero Hohenheim rimase sconvolto, tutta Xerxes, i suoi compagni schiavi, la gente innocente, Sua Maestà, tutti erano morti. Un unico sopravvissuto, lui Van Hohenheim, lo schiavo numero 23.
Urlò di disperazione piangendo la perdita di quella povera gente.
 
Scappò da Xerxes, verso il deserto, verso est. Scappò e nel suo viaggio iniziò a capire che la gente di Xerxes continuava a vivere in lui, e nel piccolo uomo dell’ampolla.
Iniziò a parlare con le anime che teneva dentro di sé, a conoscerle e a trovare punti in comune con loro.
Conobbe bambini, anziani, giovani carpentieri, altri schiavi, donne, e a tutti spiegò quello che era successo.
Venne salvato da dei mercanti di Xing che lo portarono nella loro nazione. Lì insegnò a quel popolo l’Alchimia, che loro chiamarono arte Rentan.
Gli anni passavano e lui non invecchiava, e un giorno decise di andare ad Amestris.                                    
Lì conobbe una giovane donna, Trisha, e provò l’amore, un sentimento che non avrebbe mai pensato di poter provare da quando l’Homunculus l’aveva reso immortale.
Quella donna, così fragile, delicata e dolce ricambiò il suo amore nonostante lui fosse un mostro.
Lei lo sapeva, ma lo amò lo stesso. Dal loro amore nacquero due figli, che lui amava sopra ogni cosa, ma sapeva che non si meritavano un padre come lui, non si meritavano un mostro.
Parlò con la sua adorata Trisha e decise di partire, partire per tornare ad essere un uomo mortale.
Non riuscì a tornare in tempo, Trisha morì prima del suo ritorno e i suo figli se ne andarono.
Edward divenne alchimista di stato, un cane dell’esercito, e Alphonse aveva un’armatura come corpo. E tutto solo perché lui non era stato capace di essere un padre.
Adesso poteva rimediare, almeno un poco. Poteva distruggere quello che il suo padrone aveva creato, poteva aiutare i suoi figli a salvare Amestris e a riottenere i loro corpi.
Il suo compito era di incontrare il piccolo uomo nell’ampolla e distruggerlo.
 
I sotterranei di Central City, quella era la dimora dell’Homunculus.
Era ormai vicino, estremamente vicino.
Entrò nella stanza del piccolo uomo nell’ampolla.
L’Homunculus era seduto, nemmeno lui era cambiato nel corso degli anni. Parlò:– Sei solo? Pensavo venissi insieme ai fratelli –
Una piccola palla d’ombra, tutto era iniziato da quella sfera nera impertinente creata con il suo sangue. Maledisse di nuovo il suo padrone, negli anni l’aveva maledetto moltissime volte, ma non gli bastava ancora.
Rispose:– Non penso che siano necessarie così tante persone per punire un moccioso disubbidiente, dico bene piccolo uomo nell’ampolla? –
L’Homunculus si alzò e si girò verso colui che gli aveva donato la vita:– Schiavo numero 23, tu mi hai donato una parte del tuo corpo, ma stavolta sarai tu a diventare parte del mio –
Il piccolo uomo nell’ampolla si sbagliava, lui aveva 536.329 alleati dalla sua parte e tutti con lo stesso obbiettivo: uccidere l’Homunculus.
 



Il Piccolo Angolo dell'Alchimia di Dragasi
Vi prego di essere indulgenti, è la mia prima fanfiction su Full Metal, spero che vi sia piaciuta e che siate riusciti ad arrivare fin qui. 
Detto questo vi saluto e vi ringrazio per l'attenzione. A presto.
P.S. Se avete voglia lasciate una recensione, e tranquilli non sono come Ed!
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Dragasi