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Autore: Muni    24/11/2013    1 recensioni
"L’essere umano è una creatura molto particolare. È un animale, mammifero, che ha avuto la capacità di espandersi in ogni parte del globo. Certi lo definiscono la creatura più intelligente del pianeta, ma d'altronde, quei “certi” sono sempre esseri umani.
Non si può negare che l’essere umano sia considerato tra i più intelligenti per via della propria inventiva. Il suo attaccamento alla vita, così breve nell’arco dell’intera Esistenza, lo porta ad ideazioni sempre più eclatanti, a scoprire nuove forme di conoscenza. All’essere umano piace sfruttare la propria mente; per creare, per distruggere, per far felici i propri simili, per mentire.
Tra tutti gli animali è davvero una delle creature più strambe. Tra di loro esistono esemplari fantasiosi cui piace immaginare che l’universo sia pieno di creature aliene, che provengono da molto lontano.
Sarebbe tutto più semplice, se anziché guardare oltre, si soffermassero su quello che hanno vicino: quel qualcosa che passa loro accanto, continuamente, e che dimenticano di vedere.
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Genere: Commedia, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo Primo

Mille Occhi Invisibili Osservano




 
 

 
L’essere umano è una creatura molto particolare. È un animale, mammifero, che ha avuto la capacità di espandersi in ogni parte del globo. Certi lo definiscono la creatura più intelligente del pianeta, ma d'altronde, quei “certi” sono sempre esseri umani.
Non si può negare che l’essere umano sia considerato tra i più intelligenti per via della propria inventiva. Il suo attaccamento alla vita, così breve nell’arco dell’intera Esistenza, lo porta ad ideazioni sempre più eclatanti, a scoprire nuove forme di conoscenza. All’essere umano piace sfruttare la propria mente; per creare, per distruggere, per far felici i propri simili, per mentire.
Tra tutti  gli animali è davvero una delle creature più strambe. Tra di loro esistono esemplari fantasiosi cui piace  immaginare che l’universo sia pieno di creature aliene, che provengono da molto lontano.
Sarebbe tutto più semplice, se anziché guardare oltre, si soffermassero su quello che hanno vicino: quel qualcosa che passa loro accanto, continuamente, e che dimenticano di vedere.
 
 
2005, 11 Maggio, Milano, Italia – ore 17.40
 
La stazione delle ferrovie nord era gremita di gente come sempre, e il caldo primaverile cominciava a farsi sentire. Riccardo si trovava seduto in una delle panchine della stazione, intento a fare schizzi della gente che passava, avanti e indietro dinanzi a lui. Sembravano tutti incuranti di quello che accadeva loro attorno, del complesso mosaico che formavano. Riccardo apprezzava la vitalità della folla, il modo in cui ogni persona procedeva secondo un proprio ritmo e il ritmo poi della marea umana che formavano tutte le persone insieme. Lui stava aspettando Nicholas McEwan, di ritorno dall'Inghilterra dove abitava suo padre. Si erano conosciuti al terzo anno di liceo, un istituto artistico. La prima cosa che Nicholas gli aveva detto era stata: “I tuoi genitori ti hanno chiamato Riccardo perché l’intero corpo scolastico potesse prenderti in giro a vita, Della Rocca, oppure non si sono capacitati della ridicola assonanza tra il tuo nome e il tuo cognome?”
Era sempre stato un tipo difficile con la tendenza ad allontanare le persone con battute argute (non sempre divertenti) e un cinismo che sfociava spesso nel nichilismo. Per quanto, ogni volta che gli avesse fatto notare questa cosa, Nicholas si fosse preoccupato di spiegargli con dovizia di particolari tutte le differenze tra il pensiero cinico di derivazione socratica e il nichilismo, nietzschiano. Alla fine a unirli era stato il comune amore per la musica e per gli spinelli. Avevano passato interi pomeriggi senza parlare, in compagnia di una canna e un buon cd di musica, oppure suonando chitarra e basso.
Nicholas lo raggiunse, zaino in spalla e sigaretta spenta tra le dita, giocherellandoci come faceva spesso nei luoghi chiusi, in attesa di poter uscire all’aperto per poterla accendere. Era difficile capire cosa gli passasse per la testa, ma Riccardo aveva imparato a cogliere diversi segnali: giocare con la sigaretta era segno di nervosismo e noia, oltre che impazienza. Ma soprattutto noia: il viaggio doveva essere stato davvero lungo.
« Ehi. »
Riccardo lasciò il blocco sulla panca e si alzò per abbracciare l’amico, che ricambiò con molto meno slancio e una limitata pacca sulla spalla.
« Com’è andato il viaggio? »
« Come al solito. »
« Però sei in orario, l’ultima volta sei atterrato con quasi un’ora di ritardo. Come sta l’uomo impegnato? »
« Come al solito. »
« Scommetto che ti ha dato un pacchetto di assegni, blaterato qualcosa riguardo l’appartamento e ribadito idiozie riguardo l’università. »
« …Come al solito. »
« Giuro che se lo ripeti ancora una volta ti uccido, Nick. »
Il ragazzo, alto e biondo, gli concesse un rapido sorriso. Una cosa piuttosto rara per l’inglese, le cui capacità espressive rasentavano quelle di un comodino. Ottimo per appoggiarci sopra la lampada e la sveglia, ma ben poco funzionale quando si tratta di sentimenti e conversazioni. Certo, Nicholas non sarebbe stato granché utile neanche come comodino, vista e considerata la sua capacità innata di distruggere le sveglie. Durante il periodo scolastico riusciva a romperne almeno una al mese. Mai stato un tipo mattiniero.
« Sei venuto in auto? »
« Yep. Ma ho parcheggiato un pelo lontano, dobbiamo farci un pezzo a piedi. Questa zona è un casino e poi sembrano esserci solo posti per residenti. Alla fine ho dovuto posteggiare in una zona a pagamento. »
Nicholas si limitò ad annuire in silenzio. Sistemato lo zaino con dentro il quaderno degli schizzi in spalla, i due si mossero verso l’uscita della stazione, schivando un gruppo di gente in ritardo per la partenza di un treno.
« Carino lo schizzo. » Commentò Nicholas, accendendo la sigaretta non appena ebbero messo piede fuori dalla stazione « Il tuo tratto sta diventando sempre più interessante. E mi piace la sintesi. Quando ti ho conosciuto copiavi e basta, ora i tuoi disegni hanno una vita loro. La disoccupazione ti fa bene. »
Riccardo non poté fare a meno di sorridere. Diversamente da Nicholas lui aveva deciso che l’università non faceva per lui e si era preso un anno sabbatico per suonare la chitarra e dipingere a tempo pieno. E l’amico avrebbe fatto lo stesso, ma il padre aveva stressato tanto che alla fine si era iscritto all’università. Frequentava il primo anno di ingegneria informatica, o perlomeno era iscritto a quel corso, ma ben di rado andava sul serio all’università. Nicholas McEwan era, per quanto non avesse l’abitudine di vantarsene troppo, un genio. Gli avevano calcolato un quoziente intellettivo vicino ai 180, una media ben più alta della norma. Conseguentemente trovava la stragrande maggioranza delle cose di una banalità estenuante. Per questo si era dato all’arte per un po’, frequentando il liceo artistico dove si erano conosciuti.
« Di sicuro ho più tempo per disegnare. Tu non prendi in mano una matita da mesi. »
« Disegnare mi ha annoiato. Sto scrivendo un pezzo. »
Imitò Nicholas prendendo il proprio pacchetto di sigarette e armeggiando un po’ alla ricerca dell’accendino finché non fu l’inglese ad accendergli la sigaretta.
« Che genere? »
« Volevo sperimentare il metal melodico. Sto arrangiando una melodia per la tastiera, poi dovrai provare a suonarmela. »
« E con l’università come la metti? Non hai una sessione d’esami tra poco? »
Il ragazzo annuì un po’ distante, lasciandosi distrarre da un paio di ragazze liceali che, a giudicare dalla lunghezza della gonna, dovevano proprio aver deciso che l’estate stava cominciando. Nicholas le seguì con lo sguardo per un po’, mentre Riccardo si preoccupò di cercare intanto le chiavi della macchina. Rischiava spesso di perdere le cose, soprattutto perché indossava abiti larghi con molte tasche, e sempre tasche grandi. Ogni tanto nel svuotarle prima di infilarle in lavatrice scovava un mondo. Una volta ci aveva trovato dentro una banconota da mille lire che avevano smesso di stampare nel 1981, con la riproduzione di Giuseppe Verdi. Considerando poi che erano ormai quattro anni che in Italia circolavano gli euro, la scoperta era stata ancora più curiosa.  
« Quindi? »
« Magari riprendo a frequentare. » Chissà quante volte gliel’aveva sentito dire. Se non fosse stato uno spreco colossale che uno come lui smettesse di studiare, gliel’avrebbe già consigliato.
Raggiunsero la sua Citroen Saxo blu, un’auto di cui andava piuttosto orgoglioso, anche se aveva ormai sette anni. Nel ’97 quel modello aveva vinto un premio e a Riccardo piaceva ricordarlo a chiunque cercasse di convincerlo che era meglio prendersi un’auto diversa. Magari nuova e senza ammaccature sul fianco. Ma il ragazzo si era affezionato persino alle ammaccature, per certi versi. In fin dei conti era la sua prima auto e la prima non si scorda mai.
Spensero le sigarette prima di entrare, ma Nicholas ne accese una appena si fu allacciato la cintura, aprendo il finestrino. « Andiamo da te? »
« Se vuoi ti accompagno al tuo appartamento, prima. E lasci la roba. »
« No, va bene. È solo una sacca, può stare nel bagagliaio. » Si prese una pausa giusto per espirare il fumo fuori dall’auto. « Ho fame. Sono ancora tarato sul fuso orario di Londra. A quest’ora mia zia ci riempiva di biscotti per il tè. »
« Sei serio? L’ora del tè? Sono proprio inglesi. »
« Io odio il tè. Hai da mangiare al castello? »
Riccardo si lasciò sfuggire una breve risata, mentre assentiva. Il “castello” era la villa in cui abitava e sia Nicholas che Joel non potevano proprio fare a meno di chiamarla così. Era un po’ esagerata per i loro canoni, certo, ma non era un castello. Joel era un amico d’infanzia di Nicholas, dei tempi in cui i loro genitori ancora si frequentavano. Era più giovane di Nick di un paio di anni e frequentava ancora il liceo; sembrava irlandese in ogni fibra del suo corpo, ma era nato e cresciuto in Italia. In realtà si chiamava Michele: Joel era il secondo nome, ereditato dal nonno di Dublino. Riccardo frenò al semaforo e accese la radio, abbassando il volume perché la musica facesse solo da sottofondo. Un pezzo rock degli anni settanta di Alice Cooper.
« Ci sono tutti? » Domandò Nicholas all’improvviso, tanto che quasi gli fece scordare di rimettere in moto quando il semaforo tornò verde.
« Dovrebbero esserci Joel e i miei fratelli. Anche Aaron, sì. »
Non serviva un genio per capire che la vera domanda di Nicholas era: “c’è Aaron?”, solo che si era sentito abbastanza in buona da non essere così esplicito. La pacifica convivenza tra i due era semplicemente fuori questione, anche se non c’erano mai stati motivi per cui dichiararsi guerra. C’è chi parla di amore a prima vista, ma nel loro caso era stato l’opposto. Appena si erano visti avevano capito che non sarebbero mai potuti andare d’accordo, per chissà quale congiunzione astrale. Ed erano decisi a perseverare con testardaggine l’ostilità immotivata.
Per dare prova del proprio disappunto Nicholas sbuffò. Difficilmente si concedeva grandi dimostrazioni di espressività.
« Ci abita. »
« Che se ne torni in Francia a mangiar lumache, quella checca emo isterica. »
Riccardo ogni tanto sospettava che l’amico fosse geloso di Aaron. Il ragazzo era spuntato all’improvviso alla fine dell’estate precedente e si era insediato – questo è il termine che aveva sentito usare da Nick – nella villa a scrocco e senza neanche “degnarsi” di telefonare prima. Dopo essere arrivato aveva fatto in fretta a diventare amico di Joel, nonché accalappiarsi gran parte delle attenzioni che prima erano state riservate all’inglese. E poi non gli andava proprio giù l’accento di Aaron; doveva trattarsi di qualche atavico odio tra inglesi e francesi tornato a galla all’improvviso.
« Non rimarrà qui per sempre. È una situazione provvisoria. »
« Dicevi lo stesso nove mesi fa. »
Naturale che avesse detto lo stesso. E ci credeva anche. Il problema con Aaron però era molto più complesso di quanto potesse sembrare a occhio esterno e per quanto Riccardo tenesse all’amicizia con Nicholas, proprio non potevano parlarne.
Raggiunsero finalmente la villa e premette il comando perché il cancello elettronico si aprisse. Entrò e parcheggiò nel solito posto di sempre. Il motorino di Joel dimostrava quanto aveva immaginato: il ragazzo doveva essere dentro. Come spesso Nicholas non mancava di notare, quando Joel si trovava assieme ad Aaron si trasformavano in un “inquietante mostro a due teste”. Il che sorprendeva molto Riccardo, visto che Aaron non era mai stato un tipo socievole, al contrario della sorella gemella Maddalena. Lei socievole lo era sin troppo.
Uscirono dall’auto e raggiunsero la villa, mentre Riccardo recuperava le chiavi da una delle profondissime tasche dei propri pantaloni. Più si avvicinava alla casa, però, più iniziava ad avvertire una strana sensazione. Riccardo aveva un buon istinto, lo aveva sempre avuto e in questo momento sembrava dirgli a gran voce che davvero c’era qualcosa di sbagliato. Si affrettò nel raggiungere la porta e la spalancò il più rapidamente possibile. Nicholas lo raggiunse con calma.
« …Che hai? »
Non rispose. Entrò nella villa, notando le luci accese. Il solito caos, resti di torta in piattini di plastica sul tavolo da pranzo adibito a campo di battaglia per artisti, tra fogli, matite, pennelli e colori acrilici.
« Aaron? Aaron, sei di sopra? Joel?! Maddie? » Iniziò a chiamare, muovendosi subito verso le scale, per salire al piano di sopra e chiamare ancora. Entrò in ogni stanza, sempre chiamando, ma niente. Poi tornò al piano di sotto, trafelato, rischiando di cadere finché scendeva le scale. Nicholas era ancora nel salone e non sembrava turbato per niente. Eppure era fermo e fissava qualcosa.
« Non li trovo. Dovrebbero essere in casa, loro… » cercò di giustificare la propria ondata di panico, di spiegare razionalmente perché era certo che la cosa fosse allarmante. Ma Nicholas lo spiazzò alzando il dito e puntandolo contro un punto specifico: la televisione.
« Che diavolo…? » Domandò l’inglese.
Riccardo alzò la testa e fissò lo schermo. No, non lo schermo. Quello che rimaneva dello schermo. Era come se si fosse disciolto. Liquido nero gocciolava a terra in una pozza, e le macchie sul pavimento sembravano riportare a tratti le statiche tipiche di uno schermo della televisione che non riesce a connettere ad alcun canale. E i ragazzi… i ragazzi erano spariti.
 
~~~


Salve a tutti! E' la prima volta che pubblico una storia originale online. Diversi anni fa avevo pubblicato qualche fanfiction, ma è passato fin troppo tempo da allora. Volevo dare una piccola guida di lettura: si tratta di una storia a capitoli che comprenderà diversi punti di vista intrecciati con un gran numero di personaggi. Spero non vi confondiate troppo! Ogni tanto proporrò delle one-shot separate dal filone principale che raccontano flashback o simili, collegati ai personaggi principali, ma non alla storia principale. 
Questa è una colonna sonora che ho raggruppato di canzoni che uso per scrivere, se vi può interessare per leggere: 
https://8tracks.com/giovanna-perdomini/invisible-world
E, che dire? Buona lettura e spero che vi piaccia ^^
  
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