Fanfic su artisti musicali > Cher Lloyd
Segui la storia  |       
Autore: brokethefixed    24/11/2013    6 recensioni
Per me, lui, era quello che le colonne, sono per un tempio.
I muri, per la casa.
Ed era anche il pezzo che serviva per completare il puzzle, l’unico che può completarlo.
Era l’anima.
Senza la quale, il corpo è solo materia.
Era il sole.
Che solo vedendolo, rallegra le giornate.
E senza sole, vengono considerate ‘brutte giornate’.
Era l’ossigeno.
Del quale non si può fare a meno.
Era la gioia, ed anche la tristezza, era la notte, ed era il giorno, era l’estate ed era l’inverno.
Era tutto, ed anche di più.
Ma soprattutto era il mio migliore amico.
Quella persona che conoscevo da esattamente 15 anni.
Da quando ci eravamo conosciuti per la prima volta all’asilo.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
{ A tutte le persone che nella vita significano molto per me,
                                        senza le quali non sarei niente.}

 
 
CHER’S POV
 
 
Università.
Solo al pensiero di quella parola, Mi sento lo stomaco contorcere. So che non sono pronta. Eppure è solo domani, e passerò tutto il giorno nell’ansia.
 
Domenica mattina. Seduta sul letto della mia camera, avevo scarabocchiato svogliatamente quelle due frasi sul mio diario.
Dopo averlo chiuso,  lo gettai per terra, vicino alla confusione che si trovava sul pavimento, non altro che un insieme di vestiti portati i giorni prima, alcuni paia di scarpe sparsi per la stanza, riviste con le pagine mezze strappate, fogli, …
Non avevo nessuna intenzione di sistemare. Ero apatica.
Lo ero da tre mesi a questa parte, ma oggi lo ero particolarmente. Non avevo voglia di fare niente che non fosse mangiare, dormire, piangere, stare su internet, usare il cellulare e ascoltare la musica.
Figuriamoci come avevo voglia, di svegliarmi alle sei, e iniziare una scuola, nuova, grande, sconosciuta e con nessuno che conosca.

E quella domenica, ero innervosita dall’ansia, che, come avevo scritto pochi minuti prima nel diario, avrebbe accompagnato tutta la mia giornata. Un’ansia mischiata alla paura, ma unite così bene da non riuscir più a distinguere dove inizia l’una e dove finisce l’altra.
 
Avrei iniziato da capo, avrei voltato pagina. Ma non volevo sbagliare, perché non significava solo iniziare in modo sbagliato, ma continuare in modo sbagliato e finire in modo sbagliato.
Avrei tentato come sempre di sistemare tutto, ma avrei peggiorato maggiormente la situazione, rendendola irreparabile.
Irreparabile solo perché io la vedevo così. Solo perché non ne trovavo una via d’uscita.

Ero una persona razionale, ma quello che mi suggeriva la coscienza, raramente lo facevo. 
Forse perché quello che pensavo non lo capivo nemmeno io. 
Ma cosa mi spingeva allora a fare le azioni che compievo?
 
Non c’era niente che mi spingeva. 
Eseguivo solo quello che secondo me non poteva portarmi alcun rischio.
Questo perché avevo paura.
Di tutto.
 
Di trovare un ostacolo, in fondo alla strada che sceglievo e così non procedevo, credendo di non riuscire a superarlo.
Di sbagliare strada, convincendomi di non poter più tornare indietro.
Ero una persona che si arrendeva facilmente. Per paura di lottare.
 
Ma la vita è una grande e lunga battaglia, se non si lotta, non si ottiene niente.
 
 
Avevo paura persino di svegliarmi e pensare di passare una brutta giornata, delle cose negative che potessero  accadere.
E non mi sforzavo mai per provare a migliorarla.
 
Il punto è che avevo paura di soffrire e star male.
 
 
La vita è fatta di alti e bassi.
Quella frase, passava sempre nella mia mente.
Sapevo che era la verità, ma non riuscivo ad accettarlo.
Forse perché avevo paura anche di questo.

Eppure tutto questo era combattuto da una specie di necessità di provare dolore.
Forse il male non si prova, come azione naturale e inevitabile, ma lo si vuole.
Dopotutto il male e il bene sono collegati e si trovano dentro di noi.
Non possiamo farne a meno di entrambi.
E io lo sapevo bene.
 
Tutte le paure, le racchiudevo dietro un sorriso appena accennato e uno sguardo vuoto, assente e sfuggente, non guardavo quasi mai nessuno negli occhi, in quanto avrei fatto trasparire qualcosa e io non volevo e non potevo.
La maschera dietro la quale mi rifugiavo, era come un muro invalicabile.
Spesso faceva pensare che oltre essa non ci sarebbe stato niente.
Spesso parevo insensibile.
Ma non era così.
Provavo ogni tipo di emozione, la maggior parte delle volte confuse, dentro di me niente era ordinato.
Dal fuori invece si. I capelli scuri e lunghi, seppure  fossero ricci, sempre pettinati; il trucco e la manicure impeccabili. I vestiti semplici, ma ben abbinati.
La Cher interiore e la Cher esteriore era come se fossero due persone diverse.
Quest’ultima era lo scudo con la quale si proteggeva l’altra.
Tendevo a essere perfetta, per nascondere i difetti che avevo dentro.
 
 
E poi non parlavo quasi mai, mi limitavo a fare cenni con il capo, avevo paura anche di questo: di dire qualcosa di errato, che avrebbe portato ad allontanarmi dagli altri.
Ero abituata a stare sola e quella parola di quattro lettere non mi spaventava.

C’è differenza tra ‘essere allontanata dagli altri’ ed essere sola. La seconda è la conseguenza della prima, se sei escluso, ti ritrovi solo. Ma puoi farlo anche per scelta di essere solo. Perché si sta meglio da soli che con le persone sbagliate. E poi non c’è cosa peggiore di vedere gli altri che ti allontanano e ti isolano.

Stavo sola per scelta perché non c’era nessuno disposto a capirmi, e ad accettarmi come ero, con tutti i difetti che avevo. E ne avevo tantissimi.
 
Non sono poche, le volte che pensavo che vorrei essere diversa, lo desideravo con tutta me stessa.
Non per cambiare l’aspetto fisico. Non mi piacevo affatto, tanto da non potermi guardare allo specchio, ma per me non contava. Perché cosa significa cambiare l’esterno, sei poi dentro si è sempre gli stessi?
Volevo solo essere più forte.
Saper affrontare la vita.
 
Adesso c’era anche un altro motivo per cui avevo scelto di stare sola.
Perché una volta, e una sola nella mia vita mi ero lasciata andare, avevo trovato quel coraggio che mi mancava e avevo messo da parte i timori.
Ma quella volta era bastata.
E le conseguenze che aveva portato erano state devastanti, come un uragano in un villaggio di case costruite in legno, che arriva all’improvviso.
 
Ci sono quelle persone che il destino, te le fa incontrare.
Succede, magari, in uno dei momenti meno opportuni o quando non hai né età, né esperienza per capirlo.
 
 
La vita ci presenta davanti, tantissime persone.
Ognuna diversa dall’altra.
Con caratteri fisici, idee, pensieri, emozioni, origini, lingue differenti.
 
In qualsiasi luogo: la scuola, il lavoro, un corso sportivo, in un luogo di vacanza, o andando a passeggiare per le vie della città, alla fermata dell’autobus, a una visita medica, ..
Spesso non le notiamo.
Per la fretta, in quanto non si ha tempo per guardare nessuno.
per la confusione, tra moltissime persone, non ci preoccupiamo di osservare gli altri.
 
Oppure perché non prestiamo attenzione.
Troppo impegnati, spesso, a inviare messaggi con il cellulare d’ultima generazione, o stare sui social network.
A vagare con la testa altrove.
O a parlare ed ascoltare qualcuno che è con noi, in quel momento.
 
Anche io ero tra questi.
 
Poi c’è lui, una di quelle persone che le noti e basta.
C’è qualcosa in lui che te lo fa rimanere impresso nella mente.
 
Non riesci a capire cosa sia, l’unica cosa di cui sei certo è che,  non sarà solo “una comparsa”, uno dei tanti individui a cui non dai considerazione.
 
Questo ti spaventa, ti preoccupa, ma allo stesso tempo ti incuriosisce.
 
Così, inizi a parlarci, o inizia lui, senti per la prima volta la sua voce, il modo in cui dice le cose.
Le parole che usa.
 
Cominci a captare qualsiasi gesto, qualsiasi azione, qualsiasi parola, qualsiasi espressione del viso, qualsiasi cosa.
 
Spesso il primo incontro non è il migliore.
Ma, in seguito, tutto cambia.
 
Gli poni domande, per sapere di lui, e gli parli di te.
Cerchi di arrivare a fondo, vorresti conoscere tutto; più scendi, più cominci a sentire che le sue caratteristiche diventano parte di te.
 
Realizzi che non saprai mai tutto, ti sembra un pozzo senza fondo.
E credi che lui abbia saputo tutto di te, ma invece non è così.
Ci sono cose dentro noi stessi che non scopriremo mai, o in parte, dopo un po’ di tempo. Oppure sono gli altri a farcele scoprire.
 
Lui, si infiltra nei tuoi pensieri, senza permesso.
 Lui è diventato parte di te.
 
E, ti ci sei affezionata, forse anche troppo.
Ma lo capisci troppo tardi, lo capisci solo quando ogni giorno sei tormentata dal timore di perderlo, che in ogni secondo possa abbandonarti o possa esserti strappato da te, rapidamente, come una pianta che sradicata bruscamente dalla terra, non ha più vita. Parte delle radici, rimangono nel terreno, sono la parte vitale, quella che porta il nutrimento, e così una parte di me, quella più importante, rimase a lui.
 
Ti ritrovi a soffrire per qualsiasi cosa, persino quando sei con lui. Tuttavia, cerchi di cogliere la bellezza di ogni momento, in tutte le sue piccolezze, un po’ come quando si ha paura di stare per morire.
 
Chiamatele pure preoccupazioni, fissazioni, paranoie, o qualsiasi altra cosa frutto dell’immaginazione…  
Anche io le chiamai così.
 
Però dopo è successo veramente, vieni riportato duramente alla realtà, vieni risvegliato dal sogno.
E che si accetti o no, non si può cambiare. Resta così.
Dopo questo, ti senti vulnerabile, esposto a qualsiasi tipo di pericolo.
 
E adesso, io, mi chiudevo in me stessa, per impedire che accadesse nuovamente.
Non lo avrei potuto sopportare, non avrei resistito.
Anche se, probabilmente, non avrei mai trovato nessuno a cui avrei tenuto così tanto.
 
Per me, lui, era quello che le colonne, sono per un tempio.
I muri, per la casa.
Ed era anche il pezzo che serviva per completare il puzzle, l’unico che può completarlo.
 
Era l’anima.
Senza la quale, il corpo è solo materia.
Era il sole.
Che solo vedendolo, rallegra le giornate.
E senza sole, vengono considerate ‘brutte giornate’.
 
Era l’ossigeno.
Del quale non si può fare a meno.
Era la gioia, ed anche la tristezza, era la notte, ed era il giorno, era l’estate ed era l’inverno.
 
Era tutto, ed anche di più.
 
Ma soprattutto era il mio migliore amico.
Quella persona che conoscevo da esattamente 15 anni.
Da quando ci eravamo conosciuti per la prima volta all’asilo.

 
-Ciao, io sono Harry. –
Alzai la testa, per vedere chi aveva parlato.
Vidi, in piedi davanti a me, un bambino.  Lo squadrai dalla testa ai piedi. Era poco più alto di me, aveva i capelli lisci che gli arrivavano quasi a coprire gli occhi, verdi e grandi. Indossava un maglione blu di lana, con dei pantaloni blu sportivi, e portava delle scarpe da tennis.
 
Passavo i miei giorni in un angolino, da sola.  Non andavo all’asilo volentieri, tantomeno volevo altre scocciature d’intorno a peggiorare quelle ore infernali, in quella stanza con le pareti bianche vuota, insignificante.
Sarei stata moltissime volte meglio a casa, a dormire fino all’ora di pranzo oppure a passare l’intera mattinata a giocare con i miei genitori. Ero attaccatissima a loro.
 
Ogni mattina, qualsiasi persona che mi si avvicinasse la respingevo.  Ma, quella mattina, non respinsi quel bambino.
Non seppi il perché. Fu l’istinto, o forse furono le sue parole diverse dal solito ’vuoi giocare con me?’  degli altri. Odiavo quella domanda. Io non volevo giocare con nessuno.

Quindi decisi di rispondergli , presentandomi.
-Ciao, io.. sono..Cher. -
Tentennai un po’, era strano presentarsi a qualcuno. Non lo avevo mai fatto.
 
Lui non battè ciglio.
Non mi strinse la mano come facevano i grandi.
Rimase in silenzio alcuni secondi, probabilmente incerto su cosa dire, i suoi occhi si soffermarono sulle sue scarpe, bianche e pulite, presumibilmente nuove.

I suoi occhi tornarono a posarsi sui i miei.
-Vuoi giocare con me?-

Ok, avevo parlato troppo presto.
 
Tuttavia, fu di nuovo l’istinto a suggerirmi di fare diversamente.
Forse, ero curiosa di sapere cosa mi avrebbe detto dopo, visto che avevo sempre interrotto tutte le conversazioni precedenti in quel punto.
 
Fui ancora gentile.
Feci di sì con un cenno del capo.
-Giochiamo con le macchinine!-  propose, entusiasta.
-No. Io voglio giocare con le bambole!-
Lo dissi come un’imposizione, senza accorgermene.
Dopotutto, mi riusciva assai difficile essere cortese, quando mi trovavo in posti indesiderati.

-Allora tu non giochi con me. –  ribatté lui, con sorrisetto beffardo. Non era rimasto offeso dalla mia risposta, anzi, appariva divertito.

Ma io no, non mi divertivo affatto.
Stavo per scoppiare a piangere. Tirai in su con il naso, per trattenere le lacrime.

-No tu che ti piaccia o no giocherai a bambole con me! -
Dopo averglielo detto, mi si riempirono gli occhi di lacrime. Abbassai lo sguardo, per evitare che lui se ne accorgesse. Tirai in su con il naso nuovamente.

Poi, rialzai la testa, tesi la mano verso di lui, porgendogli una bambola di pezza, abbastanza grande con i capelli di lana biondi raccolti in due trecce, e gli occhi azzurri fatti con due bottoni. Si chiamava Emily. Era la mia preferita. Me l’aveva regalata la mamma per il mio ultimo compleanno.
La portavo sempre con me.

Lui la prese in mano, lo guardai stupita, non credevo ai miei occhi che avesse cambiato idea, e quindi avesse accettato la mia proposta, o meglio la mia imposizione.
Mi accorsi, anche stavolta, di averlo detto troppo presto, quando lo vidi gettare Emily per terra. E di nuovo con quel sorriso beffardo stampato sul volto.
Io, non ero riuscita a trattenere le lacrime stavolta.  La rabbia che provavo nei suoi confronti, crebbe.
Non sopportavo il fatto di esser trattata male.
Sentendomi impotente, non sapendo che fare, urlai:  - Mammaaaaa! -
Harry stava ridendo.
La maestra dell’asilo corse allarmata verso di me, pensando fossi caduta o mi fossi fatta male.
-Che succede Cher? -
-Harry mi ha tirato la bambola per terra! –
Singhiozzai e mi cinsi alla vita della maestra piangendo.
Harry stava guardando la scena e stava ancora ridendo.
Io lo fulminai con lo sguardo.
La maestra, raccolse la bambola da terra.
-    Guarda, non le è successo niente  – pose Emily sotto i miei occhi. – ora sta' tranquilla, è tutto apposto. – parlò con tono rassicurante.
Mi convinsi che aveva ragione.
 Lui rideva ancora. Non riuscivo a capire a cosa fosse dovuta tale comicità.

 - cattivo! – gridai.
Avrei voluto urlargli un bel vaffanculo. O prenderlo a schiaffi.
Il coraggio non mi sarebbe mancato, solo non mi sembrava il luogo più consono.
 
Sentii nascere dentro di me odio nei suoi confronti.
sarebbe stato meglio se lo avessi evitato come avevo fatto con tutti gli altri..
ma lui mi era sembrato così diverso ..
credevo fosse un amico.
Pazienza, mi ero sbagliata.
Rammentai dentro di me di aver perso tempo in quel modo. E soprattutto con una persona così.

Ad un tratto, Harry si girò verso di me, i suoi occhi verdi incrociarono nuovamente i miei, mi guardò per un po’, e  disse : - scusami Cher. Non lo faccio più –
Sembrava veramente dispiaciuto.
Mi aveva sorpreso. Non me lo aspettavo affatto.

In quel momento fu come se tutto l’odio e la rabbia, provato cinque minuti prima si fosse dissolto nel nulla.
Mi sentii stupida per quello che avevo pensato di lui in precedenza.
Non gli dissi nulla, gli feci solo il segno con il pollice rivolto in alto, che usavamo all’asilo per dire di essere amici.
Lui rifece il segno.
E non mi accorsi che avevo smesso di piangere.
 
Invece, in questo momento, stava accadendo tutto il contrario. Gli occhi si erano ingranditi, e riempiti di lacrime, queste erano fuoriuscite, e scendevano sulle guance, fino sul collo.
Era stato naturale, non potevo impedirlo. Così come non si può impedire di far fuoriuscire il sangue dopo una ferita.
E così come non avevo impedito che lui se ne andasse.

Era la sua vita, erano le sue scelte, che doveva fare lui, non io al posto suo. Aveva scelto quella strada. Non  mi restava che accettarlo.

‘non potevi fare nulla Cher.. non potevi fare nulla Cher.. non potevi fare nulla Cher..’

Me lo ripetevo sempre dentro.  Sapevo che era vero.
Anche se spesso mi sentivo travolgere da una sensazione di infelicità, rimpiangendo di non averlo fermato. Come se avessi avuto la possibilità di fare qualcosa, e invece me ne fossi restata lì, immobile, e mi fossi rassegnata.

O forse non ci avevo riflettuto sopra abbastanza.
O forse era successo tutto così in fretta che non avevo ragionato.
O forse non ci avevo pensato.
O forse, come al solito, non mi ero minimamente impegnata a trovare una soluzione, una via alternativa.

O forse..
o forse..
o forse..

Tutti forse e nessuna certezza. Che fosse una certezza positiva o negativa non mi importava.
Volevo qualcosa di cui essere sicura, come una luce in quella confusione paragonabile a una serata di nebbia.
 La sera buia come sempre, la nebbia offusca, rendendo tutto meno visibile;  la luce, rischiara debolmente, l’essenziale per muoversi.
Così era la mia mente, piena di contrasti, di incertezze e di paure.  Non esistevano differenze fra giusto e sbagliato.
Senza quella luce, restavo ferma.  
Ero apatica.
Eravamo così piccoli quando ci eravamo conosciuti..
Così innocenti e inconsapevoli.. di quello che ci avrebbe riservato il futuro, di come avrebbe potuto unirci e poi allontanarci, come un muro, che dopo essere creato, viene distrutto.
Avevo nostalgia di quei tempi.
Non c’erano la paura, le preoccupazioni, la tristezza, ..
Ero spensierata, dicevo tutto quello che pensavo, e facevo tutto quello che volevo.
Ero sempre felice.
Se piangevo era solo perché mi facevo male fisicamente. Mai, per il vero dolore; quello che ti distrugge prima dentro e poi fuori.
Era così bella la vita.
Ma quella non è la vita. È solo un mondo inesistente tutto rose e fiori creato dalla nostra mente.
 
Il duro impatto con la realtà che ebbi con la crescita, mi mostrò questo.

Comunque, era sempre stata una situazione piuttosto stabile, fino a prima di tre mesi fa.
 
Tutti i timori, erano dovuti a quell’allontanamento forzato. Inutile cercare altri pretesti, l’unica ragione era quella.
 
Era come se non fossi stata più me stessa.
Mi sentivo morire, e allo stesso tempo, morta.
Almeno c’è la consolazione che dopo aver perso tutto ormai non c’è più nulla da perdere.
 
 
 
 
 
 
  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Cher Lloyd / Vai alla pagina dell'autore: brokethefixed