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Autore: ladykiki    01/05/2008    7 recensioni
“Maleducato, spegni quella sigaretta. Subito.” Ordinò con tono austero l’unica forma vivente oltre all’uomo, in quel teatro.
Le labbra del moro si inclinarono in un sorriso sghembo, compiaciuto di essere riuscito a farla parlare. “Solamente se tu canti.”
Una song-fic ispirata a “Milady”, di Roberto Vecchioni, che tratta del loro incontro dopo il ritorno di Sasuke. Niente è come prima, a parte forse, i sentimenti che provano l’uno per l’altra, occultati dai cambiamenti, dal tempo, dai dolori…
//Questa fanfiction si è classificata 1° al concorso "Made in Italy" indetto da V@le\\
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Questa fanfiction ha partecipato e vinto al concorso "Made in Italy" indetto da V@le.
Per me, naturalmente, questa ff entrerà nella storia. Ne sono davvero fiera! *-*
(Non riesco ancora a crederci! T_T)


…Notre chanson d’amour…

(Milady, Roberto Vecchioni.)


[Passano gli anni, passano.
Crescono i bimbi, crescono.
Ritorni come un brivido
su questo palcoscenico,
però ti sento timida, timida…]

Con un gesto stizzito accese la sigaretta che giaceva fra le sue labbra. La fiamma dell’accendino bruciò lentamente la cicca ed un esiguo rivolo di fumo cinereo salì verso la volta immensa del teatro.
L’edificio era talmente esteso e sgombro che i passi –sebbene felpati- di lui, echeggiavano tetramente, risuonando più volte con un tono man mano più lieve e soffocato.
L’uomo si fece largo fra le file vuote di poltrone rosse, passando la mano sulla superficie vellutata di quelle, ed emettendo un vago fruscio.
L’accendino, dopo aver compiuto il proprio compito, era ritornato nella tasca della blusa del proprietario, che si passava freneticamente una mano fra i folti capelli corvini.
Gli occhi scuri di lui erano rivolti assiduamente verso il palcoscenico ampio, celato in parte dal sipario alto e longilineo in velluto, anch’esso color rubino.
“Maleducato, spegni quella sigaretta. Subito.” Ordinò con tono austero l’unica forma vivente oltre all’uomo, in quel teatro.
Le labbra del moro si inclinarono in un sorriso sghembo, compiaciuto di essere riuscito a farla parlare. “Solamente se tu canti.”
La donna scrollò le spalle mostrando lo sdegno in volto; i lunghi capelli di un improbabile color rosa erano raccolti in una crocchia dietro la nuca, gli occhi di un verde –un tempo vivace- spento erano incorniciati da uno spesso strato di matita nera che, inutilmente, cercava di occultare le occhiaie che turbavano un viso diafano, ma comunque ancora attraente.
Afferrò saldamente la ramazza, cominciando a spazzare sulla superficie imbrattata di polvere del palco, muovendo ritmicamente le braccia robuste –troppo per una donna- nel tentativo di nettare il suolo in legno. Le bracciate vigorose esprimevano –sfogavano- un risentimento forte che trapelava esclusivamente dagli occhi vuoti di lei.
“Non canto più, Sasuke.” Disse malinconica “Ho abbandonato il canto molti anni fa, lo sai bene.” Soggiunse meramente.
L’uomo fece spallucce, affondando il mento contro il petto. “E allora balla, recita, Sakura. Siamo solo noi due qui, chi vuoi che ti veda? Chi vuoi che ti giudichi?” Chiese, mentre moriva fra il medio e l’indice l’ennesima sigaretta.
Sakura si bloccò, e una ciocca di capelli birichina, scivolò sulla fronte ampia. Dischiuse le labbra cercando una risposta, ma le parole le perirono mentre si cingevano ad essere pronunciate. Rimase con sguardo inebetito a fissare Sasuke che ravvivava mesto un’altra sigaretta, senza toglierle le iridi scure di dosso.
“Scommetto che hai ancora una bellissima voce…” Persuase il moro con tono mellifluo, tanto che la donna mostrò una smorfia di disgusto.
“Non credo. Non lo pensa nessuno dei due.” Il tono di voce si mitigò lentamente, fino a che le ultime parole divennero impercettibili.
L’uomo senza far troppo caso ai discorsi della donna, cercò con gli occhi d’ebano qualcosa nel teatro –ed in lei- che rammentassero lo splendore degli anni trascorsi, ma nulla.
Le imposte massicce erano sprangate con assi di legno; la platea e il loggione vuoti, usurati dal pulviscolo bigio e fitto, e dal tempo. La volta alta, decorata unicamente da drappeggi floreali, era logora, e la pittura scolorita. Della nobiltà di quel teatro non era rimasto più niente.
Le stelle che illuminavano il palcoscenico con i loro balli, e appassionavano gli spettatori con le loro voci, si erano spente tempo addietro, lasciando un vuoto incolmabile.
Perfino quella che spiccava più di tutti, la più sfavillante delle artiste de le Théatre Ancienne, ora era ridotta a fare le pulizie in quel misero e squallido buco di periferia che era diventato il teatro.
“Io lo penso, invece. Sei tu quella che hai deciso di abbandonare la speranza, i tuoi sogni, le tue ambizioni.” Negli occhi vitrei di Sakura balenò una scintilla di rabbia, mentre lui inspirava dalla sigaretta con scioltezza.
La donna addentò il labbro inferiore, interrompendo il moto della scopa ma strozzando con ferocia il manico di essa.
La speranza, i sogni, le ambizioni. Lei era perfettamente conscia che in quelle vocaboli non c’era il minimo riferimento alla carriera, alla fine –infelice- che aveva fatto le Théatre Ancien; ma a loro. Perché in fin dei conti, la decadenza del teatro era cominciata con un sussurro, apparentemente insignificante, che pronunciava un addio.
L’addio che vent’anni prima, aveva articolato Sasuke Uchiha ad una giovane –ed incantevole- Sakura Haruno; colei che recitava, ballava e cantava –stabilmente- come protagonista sul palcoscenico di quel teatro a quei tempi illustre e conosciuto.

“Io me ne vado, Sakura.”
“Come, scusa?”
“Devo saldare… ‘un debito’, in un’altra città.”
E lei -ingenua, infantile, stolta- aveva sorriso –fiduciosa-.
“Ah sì? Tranquillo, troverò qualcuno che ti rimpiazzi per un po’ nello spettacolo. Mh, per quante serate?”
Lui aveva distolto lo sguardo da lei, conscio che quegli occhi smeraldini –così belli- gli avrebbero solamente fatto perdere di vista il suo obiettivo.
Si era alzato dal letto che condivideva con lei, infilandosi un cappotto scuro.
“Non starle nemmeno a contare le sere, Sakura.”
E Sakura, miserabile illusa, non riusciva ancora a comprendere il significato di quelle amare parole.



La partenza di Sasuke Uchiha, stimato e celebre attore teatrale, aveva dato il via ad una serie di reazioni a catena che avevano annichilito la fama del teatro.
La persona che più ne aveva sofferto era stata la sensibile ragazzina dai capelli rosa, l’ugola d’oro che era in grado di stregare tutti gli spettatori.
Lei, demoralizzata dalla mancanza dell’uomo che amava, aveva affogato la sua vita insulsa –ormai priva di un qualsiasi senso- e i propri dispiaceri nell’alcol.
Aveva bevuto talmente tanto quella ragazza, che si era consumata la voce, e il suo immenso talento era andato così via via sprecato.
In seguito, perfino i sogni, la brama del ritorno dell’amato, si erano spenti, così come la sua luce.
Era il principio dell’inarrestabile sfioritura delle vite degli artisti di quel teatro, e del teatro stesso.

“Sasuke-kun, non puoi andartene…”
Le lacrime- puerili- scorrevano copiose sul volto di Sakura, contratto dal dolore.
“…”
“Io ti amo!”
Una dichiarazione, un pretesto, la supplica di rimanere.
Eppure, Sasuke cinico e freddo, le aveva risposto –quasi divertito-:
“Come sei noiosa…”

[Tu che tenevi tutti i fili del cuore,
con due mani così lievi
che sentivo dolore solo un po'…
Non ti ho più vista piangere.
Non ti ho più vista ridere.
Eri una voce fragile, fragile…

Abbiamo smesso d'inventare parole,
senza mai trovare quella che voleva dire
vivere, vivere]


Così Sakura Haruno era morta lentamente, interiormente ed esteriormente. Era deperita nel corso degli anni e, alle volte, cadeva perfino in uno stato di depressione; che era divenuta per lei il pane quotidiano.
E le lacrime –quelle che lei era solita a far scorrere dagli occhi spessissimo- si erano esaurite rapidamente.
Tutte sprecate contro un guanciale, di notte, assieme alle urla alle imprecazioni che nessuno, tranne lei, poteva udire.
Era stata colpa sua, che non era riuscita a tenerlo stretto a sé.

“Se non sono riuscita a trattenerti, a mostrarti veramente quello che provavo –provo, proverò sempre- per te, allora non riuscirò in nient’altro.
Io… sono una fallita; non è così, Sasuke-kun?”
Ma Sasuke se n’era già andato da un bel pezzo, e Sakura ormai si compiangeva da sola.


Era ormai da un paio di giorni che Sasuke era tornato in città.
Nessuno lo aveva riconosciuto; non perché fosse cambiato, ma perché tutti –tranne lei- lo avevano dimenticato. Il cognome Uchiha si poteva riscontrare unicamente in antichi articoli di giornale, che ormai nessuno si apprestava più a leggere. La notizia che all’epoca aveva suscitato scandalo era andata persa, scordata. Proprio come lui.
Nemmeno uno ricordava l’ultimo superstite della stirpe nobile ed illustre che era quella degli Uchiha.
Eppure, proprio come ora in quel teatro non c’erano smancerie, parole tenere o pensieri osanti, al loro incontro era mancata quell’affetto che forse Sasuke si aspettava.
Tutt’altro, la freddezza che faceva da sovrana attualmente nel Theatre Ancien non aveva nulla a che fare con la mancanza di riscaldamenti. Assolutamente no, per niente.
I ricordi riaffiorarono con veemenza nella mente di Sakura che si sentì pugnalare alle spalle dalla lama affilata di un pugnale sguainato dal suo interlocutore.
“Adesso sono passata io dalla parte del torto?” Il moro inspirò profondamente dalla cicca, poi –sebbene fosse ancora integra- la buttò a terra, calcandola col mocassino nero.
Arricciò il naso –perfetto-, lasciando trapelare una sensazione di disagio: l’atteggiamento di Sakura, così arrogante e rigido, lo aveva colto estremamente di sorpresa.
Non che si aspettasse un accoglienza calorosa, figuriamoci –o forse sì; forse da Lei se lo aspettava-.
Sasuke semplicemente tacque. Con lo sguardo apatico fisso su di lei; immobile come uno specchio d’acqua. Possedeva quasi un aspetto minaccioso.
“Finalmente ti sei degnato di spegnere quello schifo.” La linea rossa delle labbra si curvò in un lieve sorriso, malgrado gli occhi smeraldini osservassero con aria di rimprovero la cicca ammaccata sul pavimento –che avrebbe dovuto pulire lei-.
Lui rise sommessamente, ma quel soffio di ilarità echeggiò nell’edificio, irritando la pazienza di Sakura. “L’altro giorno avevi una sigaretta fra le labbra…” Dichiarò con asprezza. “…e poi mi vieni a chiamare il fumo ‘uno schifo’? Sii più coerente, Sakura.”
Gli occhi di lei si ridussero pericolosamente ad una fessura.
“Ho forse accennato al fatto che io, la mia vita non mi facciano schifo, Sasuke-kun?” Al pronunciare quel vezzeggiativo, Sakura percepì uno strano calore nel petto; quasi come se fossero tornati ai vecchi tempi, dove quel suffisso appresso al suo nome era ormai una banalità.

“Sasuke-kun, come sono andata? Ho cantato bene?!”
“…Ovviamente. Scusa, ma ora devo entrare in scena.”
“Sì sì. In bocca al lupo, Sasuke-kun!”


**

“Sasuke-kun, hai da fare questa sera?”
“…Forse.”
“Passa da me, se ti va. Ok?”
“…Sì.”

[Sono cambiato? Dimmelo;
sei tu diversa? Parlami,
sei sempre stata piccola, piccola:

Io ti perdevo e mi sentivo vincente,
ma non c'è stato mai verso
di cambiarti con niente come te;
non ti ho venduto l'anima,
lasciami in pace, lasciami
come mi sento stupido, stupido…]


“Raccogli quella sigaretta, Sasuke.” La rosa raccolse tutto il suo contegno, dando ordini all’uomo che corrugò la fronte divertito.
“Che te ne frega?” Domandò perplesso. “Ormai non ci verrebbe nemmeno un pazzo, qui.” Sakura inarcò il sopracciglio, mentre con delicatezza posava la scopa a terra.
“Tu sei qui.” Assentì con una nota di enfasi nella voce. “E anche io lo sono. Siamo forse pazzi, Sasuke-kun?” Impassibile, come mai l’uomo se la sarebbe figurata, lanciò un lungo sguardo –vuoto- a Sasuke, che ricambiava l’occhiata intensa senza muoversi minimamente.
Con lentezza esasperante Sakura scese i gradini delle scale, mostrando sotto la veste scura due gambe esili ma voluttuose; sembravano quelle di una fanciulla, e l’eleganza con la quale discendeva i gradini era pari a quella di una graziosa principessa.
Neanche sotto la vista –in fin dei conti bella - di quella Sakura così splendida, Sasuke dette un minimo segno di vita, rimanendo statico –forse pietrificato?-, con i piedi ben fissati al pavimento (uno che pestava la sigaretta che ancora emanava uno sgradevole lezzo), in tutta la sua compostezza, calibrata nell’abito ricercato.
“Pazzi, mh? Non è questo l’aggettivo che avrei utilizzato io, ma credo di sì: c’è un filo di ironica follia qui, nella tua voce, nei tuoi discorsi.”
La donna si avvicinava adagio, mentre l’uomo la scrutava attentamente man mano che si accostava a lui.
Era una bellezza particolare quella di Sakura Haruno.
Non era quella magnificenza assoluta che rammentava; anzi: non assomigliava per niente a quella giovane ed infantile ragazzina.
Aveva un aspetto maturo; forse svilito dal trucco pesante e mal distribuito su quegli occhioni che sarebbero stati così dolci ed fanciulleschi senza tutti quei cosmetici addosso.
Osservò accuratamente le rughe –lievi, ma c’erano- attorno alle labbra carnose e quelle che incorniciavano le palpebre.

“Scema, finiscila di piangere.” “C-come posso, Sasuke-kun? Lo spettacolo è andato malissimo… e-era la mia prima esibizione!”
“Ne verranno altre; e poi non è andata così male. Adesso smettila di frignare, o ti verranno le rughe. Quello sì che sarebbe un problema per una giovane artista come te.”
“C-che fai, Sasuke-kun? Ti preoccupi per me?”
“…”

Sakura Haruno doveva aver pianto moltissimo –troppo- per aver tutte quelle increspature sul viso ed essere comunque ancora abbastanza ‘giovane’.
Per un attimo agli occhi profondi e tetri di Sasuke apparve fragile come un cristallo; così piccola che ebbe il terrore di sfiorarla quando fu ad un passo da lui.
Era da troppo tempo che non sentiva quel profumo –il Suo profumo-; che malgrado tutto, non sapeva assolutamente di alcol e fumo, ma del delicato aroma di gelsomino –come una volta-.
I passi di lei –leggeri come una piuma- si fermarono poco distante da Sasuke che, per la prima volta, non rimase indifferente alla sua vicinanza, sentendo un calore estraneo attanagliargli il corpo.
“La pazza sono io che non ti ho aspettato… è così?” Sussurrò a fior di labbra, con un filo di voce roca.
L’uomo non rispose, mentre contemplando quella avvenenza così stranamente tenera, si sentì un emerito imbecille.
Lo sapeva benissimo anche lui che tanti anni di lontananza non erano serviti a niente: invece che colmare un vuoto, lo avevano dilatato a dismisura; e per poco gli avevano fatto perdere di vista ciò che più contava: il suo amato Théatre Ancien, dove aveva vissuto la sua gloria, dove era stato amato immensamente dal pubblico e dalla giovane stella Sakura.
Per colpa di una vendetta, del desiderio di fama, si era allontanato dalla cosa più importante per lui: l’amore che solo quella sciocca –sciupata, arrogante, fallita- di Sakura gli aveva sempre donato, senza indugi.

[Milady non lasciarmi mai,
senza di te cosa farei,
Milady cipria sotto gli occhi,
Milady persa negli specchi;
Milady non hai voce e canti
in un teatro a fari spenti,
Milady bolla di sapone
e ballerina di balcone:
Milady il cuore è un soldatino
che scrive lettere a nessuno]

Calò il silenzio nell’immensità del teatro. Solo loro due, vicini, file infinite di poltrone in velluto, il palcoscenico con i fari spenti, i loggioni situati in alto sgombri, la volta sciupata. Solo un teatro e i due protagonisti di una storia d’amore –a lieto fine?-.
Ricordava tanto una scena di –tanti- anni prima, sempre in quel teatro –solo un po’ più vivo e luminoso-, e sempre soli.

“ ’Milady non lasciarmi mai, ti voglio sempre come sei…’* ”
“Sasuke-kun, mi stai dedicando una canzone?”
Arrossì una ragazzina dai lunghi capelli color pesca, con due grandi occhi color prati.
“No.”
La risposta secca e coincisa di un giovane imbarazzato, ma comunque distaccato.
“E allora che è, scusa?”
“E’ la prossima canzone: vogliono farcela cantare a noi due per il prossimo spettacolo.”
“Davvero?! Un duetto?! Sasuke-kun, ma è meraviglioso!”
Con enfasi la ragazzina gli cinse il collo amabilmente.
“…”
“Praticamente è la nostra canzone!”
“Come, scusa?!”
E lei emise una risata cristallina, schioccandogli un bacio sulle labbra.


Eppure non fecero mai quel duetto. Non ci fu mai nessuna serata, e la loro canzone non venne mai svelata per intero.
Lui se ne andò prima, distruggendo la vita di Sakura.
“Perché sei tornato, Sasuke?” Le parole scaturirono dalla bocca della donna con una scioltezza inaspettata, mentre si accingeva ad afferrargli le mani grandi. “Sono la tua bambola? Il tuo giocattolo? Pensi di potermi riprendere quando vuoi, forse?” Quelle ultime frasi vennero scandite da una voce spezzata da tumulti che Sasuke pensava non avrebbe udito mai più.
Lei gli strinse le mani con le sue esili, mentre gli occhi smeraldini si perdevano nella profondità dei suoi d’antracite.
Poi fu un attimo: Sasuke liberò le mani dalla stretta di Sakura, inoltrandone una fra le ciocche di capelli rosa che incorniciavano l’orecchio; si accostò ad esso lentamente, e mentre gli unici suoni percepibili erano il battito del loro cuore che pulsava velocemente e i loro fiati che si mescolavano placidi, bisbigliò dolcemente il finale di quella canzone che avrebbero dovuto cantare assieme, quando ancora era tutto perfetto e sfavillante; quando ancora erano giovani ed amare era la cosa più semplice e bella di quel mondo fatto di baci e tenerezze, di appuntamenti al chiaro di luna, di coccole nella comodità di un letto.
Le labbra di lui si dischiusero, pronunciando con voce flebile e mielosa quelle parole che Sakura aveva sempre desiderato di sentire: quelle della loro canzone d’amore.
“Notre chanson d’amour…” Gliela cantò armoniosamente, prima di riempirla di baci sulla curva del collo candido, sul viso incipriato, sulle labbra pennellate di rossetto.

“ ‘Milady strada di Parigi,
Natale con i tre re magi;
Milady ho perso la tua spilla
Milady, Dio, come sei bella…’ *”


La rosa sorrise commossa, mentre avvinghiava le braccia attorno al suo collo come un tempo, ricambiando i baci.
“Ma tu guarda: alla fine io ho spento la sigaretta, ho concluso La canzone, e non ti ho sentito nemmeno cantare…” Borbottò il moro corrugando la fronte, e Sakura emise una risata cristallina –come quella volta-.
“Forse avrai una vita intera per ascoltarmi…”
“Forse…?” Chiese lui perplesso.
“Sì, forse: hai ancora troppe cose da farti perdonare…” Ma l’uomo non fece caso ai suoi discorsi, riprendendo a baciarla con voga, mentre lei si malediceva mentalmente.
Sasuke Uchiha, era sempre stato la sua rovina. Il motivo del suo delirio, della sua depressione perpetua, eppure era peggio di una droga per lei: il fumo, l’alcol in confronto non erano niente.
E malgrado lo volesse prendere a pugnalate nel cuore, per farlo penare come aveva sofferto lei, si lasciò andare a lui, in quel teatro colmo di bei ricordi e di sogni che, rinunciando ai risentimenti, si sarebbero finalmente potuti realizzare.

Fin



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Note autrice:

Sì. Signore e signore di ogni età, io, Ladykiki, sono riuscita a classificarmi prima.
Non riesco ancora a crederci… non credo che ci sia un modo per esprimere la mia felicità, ma sappiate tutti che sono davvero orgogliosa e contenta del risultato che ho ottenuto.
Ho provato una gioia indescrivibile, e la provo tutt’ora ripensando al punteggio che sono riuscita ad ottenere. Specie sapendo che fra le partecipanti c’erano autrici che io stimo davvero moltissimo, e che ammiro profondamente. Insomma… sono felice. TANTO FELICE!!! ç_ç Mh… ok: riacquistiamo un po’ di contegno: allora… volevo precisare che gli asterischi che ho messo in alcuni pezzi di dialogo erano a segnalare che quelle frasi facevano parte della canzone (cosa che penso si possa facilmente intuire).
Spero di non essere cascata in quel disgraziato di OOC… ç_ç
Insomma, se Sakura da irremovibile ed insensibile è diventata ‘magicamente’ buona è mielosa è perché in fin dei conti non riesce a resistere a Sasuke, per quanto ci provi.
Volevo ringraziare tutti, ma proprio tutti quelli che mi sono stati accanto, e dedicare a loro questa fanfiction.
Complimentissimi a tutte le partecipanti,
Un bacio,
Ladykiki
  
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