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Autore: Mama we re All full of Lies    24/11/2013    0 recensioni
Un amore tra due ragazzi che forse non era sbocciato per entrambi. Un breve viaggio nei loro punti di vista, nel loro dolore, nel momento esatto in cui una relazione finisce, quando resta l'amaro in bocca e quando sopravvive la futile speranza di poter fare un passo indietro e di poter aggiustare le cose.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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   E non c'era niente peggiore di quella serata. Di fare una visita convinto di conoscersi, convinto di avere in pugno la sua stessa salute per scoprire che poi, per caso o per destino, qualcosa di maligno si era annidato dentro di lui. Gerard aveva ventitré anni e ad'un tratto gli restavano solo pochi mesi di vita, sei per essere precisi. D'un tratto si accorse che ai ventiquattro non sarebbe mai arrivato. E perché?, si domandò, perché proprio a lui? Cos'aveva fatto di tanto sbagliato? Forse non avrebbe dovuto buttarsi via nei suoi primi vent'anni di vita e se era cambiato lo dava tutto al matrimonio, al fatto che il suo cuore avesse ripreso a battere nonostante il catrame che avvolgeva lui e gli altri organi e tutti i muscoli del suo fragile corpo. Ed una volta fermati anche quelli, restava ben poco di funzionante in lui.


   Steve, invece, di anni già ne aveva ventiquattro. Una vita piena di eccessi alle spalle, di piaceri carnali, di infedeltà. Ed era stato costretto a sposarsi tre anni prima con una persona con la quale non riusciva nemmeno a fare l'amore. Solo che non aveva mai avuto il coraggio di chiedere il divorzio, né aveva mai notato le sfumature d'affetto che l'altro ogni giorno manifestava con gesti sempre diversi. Anzi, aveva sempre pensato esclusivamente a se stesso e baciava Gerard come se fosse una puttana, e coccolava le altre donne -delle quali non conosceva il nome- come principesse. Non fece eccezione quella sera, ma qualcosa era andato storto e, tornando dall'ospedale, il giovane marito aveva trovato i corpi addormentati nel letto.


   Che fosse per il tumore o per la mancanza di un amore portante, la libertà il rosso l'aveva ottenuta, lasciando al moro una vita spazzatura destinata a durare ben poco ancora, perché sarebbe stato smaltito ed avrebbe fatto parte, un giorno, del bitume dell'asfalto. Senza coraggio i loro sguardi erano inchiodati a terra incapaci di rialzarsi, dando l'idea di protezione ai due giovani. Come se una bolla di sapone potesse effettivamente proteggerli dalla realtà che li circondava, da un presente distorto che da soli avevano creato. Avevano sviluppato il veleno ma non avevano idea di come produrre l'antidoto, né se avrebbe mai funzionato. La mattina dopo una chemioterapia non sarebbe bastata. Si sarebbero con avidità attaccati alle bombole d'ossigeno dando spettacolo dell'egoismo umano, della pazzia, della ragione che via via andava scemando, ed allora Gerard sarebbe morto, si, ma di tristezza.


   E con fare da cerbiatto il rosso piano posò la mano sulla spalla del moro, avvolto dal nero dei vestiti e dei capelli, in quella massa informe di ciuffi che nascondevano il viso e non si capiva dove iniziasse cosa. Un leggero tremito scosse il corpo del più giovane ma non accennò ad alzarsi, fermo in una posizione di staticità, in attesa di diventare una pozza liquida color della pece sciolta ai piedi del letto ancora sfatto, ancora caldo. Adesso forse giungeva la parte peggiore, perché parlare non era un dono, ma una condanna. Con le parole l'uomo aveva imparato ad accoltellare le persone ancor più dei fatti, ma soprattutto un discorso non portava a niente. E prima di poter aggiustare un po' alla meglio anche solo una frase di consolazione e pietà, già i due corpi si allontanavano.


   Mentre una cortina di tensione abbracciava la casa, i due ragazzi privi dell'anima riordinavano le idee, chi con il volto immerso nella carta, chi con qualcosa tra le mani. Anche le coperte del letto furono sistemate, come se potesse cambiare qualcosa, in modo tale da esaltare le sagome dei due ancora impresse sul materasso come metallo rovente sulla pelle. Le ruote del trolley grattavano le mattonelle del corridoio che divideva il moro dalla perdizione e nessuno era lì per fermarlo, non c'era la sua famiglia. Non c'era il ragazzo che aveva sposato ed amato, ma solo un traditore.


   Guardò un'ultima volta quella testa infuocata conscio di aver perso tutto il suo mondo. Quegli occhi grigi ed impenetrabili così sfuggenti e complicati, quel corpo, quel volto che vide riflesso sul vetro della finestra, perché non riuscì a voltarsi. I suoi muscoli sentirono la pesantezza di quel fardello chiamato vita e gli risuonò nella testa la voce profonda dell'altro che lo invitava a restare. Ma quella casa per una persona sola era troppo grande ed il moro sapeva che il rosso ormai si era legato a qualcuno, qualcuno che non era lui. Dolci mani femminili avrebbero sistemato la casa secondo un gusto più raffinato, forme prosperore avrebbero saziato la sete di carne del ventiquattrenne. E le rosee labbra sue avrebbero esplorato quel corpo con più minuzia e maniacale precisione.


   Allora perché quella bocca lo aveva baciato ancora, un'ultima volta? Perché non lo lasciava andare? Immobili, come soggetti di Klimt, o come fredde statue d'inverno bloccate davanti alla casa che portava i loro cognomi ed i loro odori ed i loro sapori, si stavano baciando.





   Per un periodo di tempo imprecisato restarono fermi a compiere quell'unica difficile azione.
   Perché forse non avevano ancora finito di parlare.

 
  
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