Anime & Manga > Maria-sama ga miteru
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Autore: Hyarviel    01/05/2008    3 recensioni
Traduzione dall'inglese di una Oneshot, ambientata a anni di distanza dalla fine dell'Anime. il pairing è Yumi/Sachiko.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimenti:

Siete avvisati, ci sarà del sesso, ma non sarà descritto (in accordo alle regole di Fanfiction.net) e credo che dire né "seno", né tanto meno una brevissima scena di nudo gli facciano meritare un rating NC17.

Se qualcuno non è d'accordo, sarò felicissima di cambiarlo. Poi, imprecherò giusto un paio di volte, ma perché non posso evitarmelo.

Le parole in corsivo tra parentesi sono principalmente cose che Sachiko ha scarabocchiato ai margini del blocco dove ha scritto sta roba. Non proprio note dell'autore, e nemmeno cose che non pensava fossero abbastanza importanti da essere incluse nel racconto, ma cose comunque per lei importanti, lo erano.

Ho mantenuto i titoli onorifici nella fic perché diventano importanti verso la fine. Ricordate che il più importante titolo, in Giapponese, è l'assenza di suffissi - denota estrema intimità.

Poi, in giapponese "San" sono due sillabe, non è un errore mio, davvero.


Un paio di note finali:

Il Japan Times è un un editore giapponese reale. Non un giornale, proprio un editore di libri. Non me lo sono inventato, così, perché non ho fantasia, ecco.

Poi, ringrazio la mia editrice Sumiregawa-nene, per aver reso questa fic leggibile e per la fruizione al pubblico. Non ce l'avrei potuta fare senza di lei.


Throwing off the sadness and the pain / in my heart I spread / these wings of courage you’ve given me

Scrollandomi di dosso la tristezza e il dolore / nel mio cuore apro / queste ali di coraggio che mi hai dato


White reflection

Bianco riflesso


Qualcuno una volta mi ha detto che il vero coraggio sta nel fidarsi degli altri. Nell'abbassare le tue difese e permettere che qualcuno colmi quel vuoto del cuore che tutti abbiamo, anche se, facendo ciò, permetti a qualcuno di accedere alla parte più fragile di te. Mentre è lì, può farti qualsiasi cosa. Può cullarti teneramente, certo, farti sentire amata e calma e piena per un po'; ma può anche farti cose veramente orribili.

Penso che la maggior parte di noi abbia maggiore esperienza con la seconda, tra le due, e non sia mai stato abbastanza vicino alla prima.

Sono sicura, anche, che alcune persone vorrebbero usare questa come prova che la vita, in effetti, è soltanto dolore, ma io non la penso così.

Ho passato periodi in cui avevo una paura enorme della vita. Mi isolavo dal mondo in un cantuccio sicuro chiamato alta società.

Il mio primo libro è stato pubblicato di recente. Penso che questo provi che posso scrivere decentemente, ma non voglio scrivere cose di cui non mi importa niente. La narrativa non è il mio forte, penso, perché non mi piace l'idea di seppellirmi in una storia ancora.

Così scrivo cose che rappresentano realmente la mia vita. Questo sposta le mie storie lontano dalla narrativa, lo so, o almeno penso che sia così. Puoi trovare i miei libri nella sezione "narrativa" di una libreria, sì, ma troverai me in quel libro. Non qualche personaggio a caso. Me. Scrivo delle storie che ho vissuto, e delle storie dei miei amici.

Poi ho il sentore che alla luce del mio recente quasi-successo come scrittrice, questa storia debba essere raccontata. Ognuno ha la sua storia della perdita della castità (la maggior parte di voi la chiamerebbero verginità, perché verginità è una parola scomoda, che rende la sua perdita qualcosa da festeggiare - la mia famiglia la chiamava castità, perché era qualcosa da tenere in gran conto), penso che la maggior parte di queste storie siano interessanti. Spero di collezionarne altre. Mi piacerebbe scrivere di quella di Sei, ma penso che nemmeno il Japan Times pubblichi cose così "esplicite".

Yumi mi ha detto che era una presa in giro quando l'ha letta. Ci ha riso sopra, anche, quindi penso che lo fosse.

Comunque non lo è.

E' una storia che merita di essere raccontata. O al limite, scritta.

Quindi è quello che farò.

Vi racconterò della neve.


Eravamo nel mezzo della nostra passeggiata quando per la prima volta ci accorgemmo della neve.

Prima esitante, fluttuava cadendo sul terreno dilatato aperto, venendo a posarsi dove l'avremmo notata: l'erba di fianco a noi, i tronchi marroni scuri degli alberi di fronte e, in particolare (per me, almeno) la punta del naso di Yumi.

All'inizio lei non se n'è accorta, e io ho cercato di non evidenziarlo. C'era qualcosa di...attraente in quel fiocco di neve. Non intendo attraente in allusione a qualcosa di erotico, ma più in un modo che era quasi affettuoso, tenero, allo stesso modo in cui potreste pensare ad un'amica come tenera quando vi fa ridere.

Questo non mi ha fatto ridere, precisamente. Non penso di sapere come si ride, precisamente. Mi è sempre sembrato... una mancanza di classe. No, non è la parola giusta. Di cattivo gusto. Non ho più davvero classe, ora, non da quando ho cominciato a vivere in quella che, rispetto alla mia vecchia dimora, ammonta più o meno a una baracca con il caminetto. Scrivere non permette molto più di questo.


Quello che mi ha fatto è stato farmi sorridere. Yumi dice che quanto a me è una cosa piacevolmente rara, motivo per cui l'ha notato.


Che c'è, Onee-sama?” (E' passato più o meno un anno, ormai, e sono appena riuscita a cancellare questa sua abitudine. Considerando quanto duramente ho lavorato per forzarla a chiamarmi così, penso che sia una buona cosa, ma non penso che sia corretto ora, non più. Suppongo che lo fosse, prima.) mi ha chiesto Yumi, sbirciando l'espressione del mio viso con una di quelle sue facce abitudinarie.

Ho cercato di guardare altrove e far finta di niente, ma l'immagine del fiocco di neve che si posava sul naso di Yumi, l'unica cosa che penso potesse essere più pallida della sua pelle delicata, era troppo perché riuscissi a farlo subito.


Si accorse che le stavo guardando il naso, e ha pensato che avesse qualcosa – credeva, sono sicura, che fosse qualcosa come un pezzetto di fondotinta, così ha cercato di darci un'occhiata, incrociando a fatica gli occhi, determinata a capire cosa fosse, prima di toglierselo. Era una cosa molto femminile, per principio – di guardare prima di lanciarsi, o pensare prima di parlare, insomma – ma fatto da Yumi, aumentava soltanto il suo essere così dolce (oserei dire addirittura carina, ma non penso che potrei scriverlo in una storia senza il bisogno fisico di cancellarlo un secondo dopo) nelle espressioni del viso.

Mentre si concentrava sempre di più, le sue labbra si stringevano in una linea sottile, nello sforzo, e la punta della lingua spuntava leggermente dai lembi del sorriso.


Tutto questo era troppo per me. Mi misi a ridere, sollevando una mano a coprire la bocca più in fretta che mi riusciva, per coprire i denti. Quando faceva cose del genere diventava dolce come una bimba, ma non mi dava affatto fastidio – la cosa di lei che amavo di più era proprio il suo viso. Era l'esatto opposto del mio in molti modi – beh, di me in effetti, non soltanto del mio viso – sempre aperta ed espressiva (e bella, sì. così incredibilmente bella) sembrava impossibile per lei nascondere qualunque espressione dal volto. (Immagino che sia stata questa l'abitudine dalla quale lei ha cercato di allontanarmi)


Onee-sama!” protestò Yumi, strofinò due dita sulla punta del naso e tentò di asciugarle dal fiocco ormai sciolto. Cercai di contenere il mio divertimento, quanto possibile, per paura della sua ira onnipotente, e misi una mano sulla sua spalla.


Mi dispiace, Yumi-san,” dissi meglio che potei, forzando gli angoli della mia bocca a rimanere dritti in linea, senza sorridere. Mi era piuttosto difficile “Era solo...,” l'immagine di lei quasi strabica nel guardarsi il naso, persa nella concentrazione, e la sua lingua poi che spuntava da un angolo della bocca, mi tornò alla mente, chiara come il sole, e cominciai a ridere ancora. Non era una risata forte, o esuberante in qualche modo, ma era comunque una risata, e sembrava quasi che negli gli anni passati dall'estate del mio diploma, (e non ultimo superare una brutta ulcera – dato che mi ci volle molto di più di quanto i dottori si aspettavano) fossero state così rare che mi sembrava una cosa inaspettata e fantastica. Anche ora, ora che ci siamo laureate tutte e due e viviamo le nostre vite, più lontano di quanto avremmo voluto.


O magari è proprio il fatto che le nostre due vite siano separate, a rendere le mie risate così rare.


O-nee-sa-ma!” Ancora, il suo tentativo di riprendermi, sottolineando ogni sillaba. Accoppiato con quell'immagine, che ancora non se ne andava dalla mia mente, ora immobile di fronte a me, non mi fece desistere.

Smettila, non ridere di me!” Ma Yumi stava cominciando a sentire la mia buon senso dell'umorismo, e così quello che avrebbe potuto obbiettivamente essere un severo rimprovero, non diventò molto più di un'espressione di finto sdegno, dal suo bellissimo, stupendo viso.


Un momento dopo, qualcosa di freddo e bagnato toccò il mio naso. Senza nemmeno pensarci aprii gli occhi e cercai di osservare meglio – sentii qualcosa come la punta della lingua di un minuscolo gattino (questa è più o meno la miglior difesa che riesco a sollevare.) Prima che riuscissi a capire cosa stava succedendo mi trovai ad incrociare gli occhi per guardare, e Yumi si mise a ridere. Non appena lo fece, mi ricomposi in fretta, con grande successo, stavolta, ma il danno era fatto, temo, e anche se ricominciammo a camminare, in un paio di secondi Yumi stava già ridendo a crepapelle.

Penso che non sia una cosa difficile per lei. Ha sempre avuto un ottimo senso dell'umorismo. Anche se insegna alle superiori, e non posso immaginarla in nessun altro lavoro, sarebbe una perfetta cabarettista. O perlomeno è quello che penso. Lei dice che non ho visto abbastanza cabaret per poterlo dire, che non reggerebbe il confronto. Probabilmente ha ragione, ma rimango della mia opinione.


Camminammo in silenzio per qualche minuto, senza sentire il bruciante bisogno di dire qualcosa, per un po', questo finché il silenzio non cominciò a darmi fastidio. (Sempre me. mai che succeda a lei, strano, no?) “Yumi-san”, dissi, ancora correttamente, a quel punto, ancora camminando con la schiena dritta e parlando in un Giapponese corretto. (Scrivere un romanzo finì per risolvere questo mio problema abbastanza rapidamente – vedete? Qui si nota particolarmente.) “Raccontami come è andato il tuo primo semestre da insegnante”.


Oh, è stato meraviglioso!” disse raggiante – amava il suo lavoro, e questo dal primo momento in cui aveva messo piede nella scuola in cui ora insegnava. “E' una sensazione che non immagineresti mai, Onee-sama, Davvero – Non credo di aver mai provato qualcosa di simile in vita mia”


Cosa –“ Mi fermai nel sentire qualcosa di umido e freddo sui capelli. Mi ero preparata a chiederle cosa le piacesse di più del suo lavoro. Chiacchiere. A volte mi sembrava che fosse l'unica cosa che le persone potessero – che gli estranei potessero fare. Dal momento stesso che ci eravamo trovate più o meno un chilometro indietro, nel parco, tutto quello che eravamo state capaci di fare era stato chiacchierare inutilmente.


Era passato troppo tempo.


Mi sentivo come se non avessi mai niente da dire, a volte, ma a parte questo, era passato troppo tempo.


Non era forse proprio il motivo per cui allora stavo scrivendo? Così che avrei potuto avere qualcosa di interessante da dire? Una delle cose peggiori di essere ricchi era che mi sembrava sempre di non avere nulla di interessante di cui parlare. Cosa avrei potuto dire? Non sapevo nulla del lavoro di mio padre. Nulla della vita di mia madre. Non sapevo niente del mondo, in senso lato; e questo cosa mi lasciava? Il tempo.


Una delle cose che mi avevano insegnato all'Università, poi, era che: l'Ironia è un piatto che va servito all'improvviso. Un ottimo aperitivo ad un party che nessuno sapeva ci sarebbe stato finché qualcuno non avesse tirato fuori quell'ironia.


Ironia, certo “E la neve sul tuo naso? Quella sensazione si avvicina, magari, a quella di insegnare ai ragazzi?”


Yumi arrossì un poco, e si fermò dov'era, e lentamente le sue labbra si incurvarono ancora. Quel sorriso spettacolare, ma questa volta non c'era traccia di divertimento.


Sei diventata un po' più coraggiosa dall'ultima volta che ci siamo viste” disse lei con una grande tranquillità nella voce, fissandomi negli occhi. Mi fermai anch'io e mi girai per guardarla “penso che sia fantastico”. Qualcosa nel suo tono mi diceva che, comunque, stava un po' mentendo. (Si può davvero mentire un poco? Penso di sì. Penso di aver imparato come mentire in ogni modo il tuo cuore voglia).


La neve stava cominciando ad accerchiarci pesantemente, ora, cominciava a nascondere alla vista sempre più il resto del mondo, via via a bagnarci entrambe, ma non volevo andarmene, ancora. Mi avvicinai e presi la sua mano, ora sorridendo.


Non è vero” dissi prendendo la sua mano tra le mie, strofinandola per scaldarla – lei aveva dimenticato i guanti, ma per la verità li avevo dimenticati anch'io “penso semplicemente di essere diventata più sciocca con il freddo.”


Non penso affatto che sia stupido, Onee-Sama,” disse lei, prendendo la mia mano sinistra nella sua, così che ci scaldassimo a vicenda “Penso solo che tu....”


Lo so cosa voleva dire. Voleva dire che io non avevo bisogno di lei come un tempo. Avevo intenzione di negare. Nessuna di noi lo fece, comunque.


Invece, con la mano che lei non stava tenendo (magari potresti dire la tua mano destra invece di essere così ambigua) sollevai il suo mento verso di me. Mentre lo facevo, un fiocco di neve venne a posarsi sul suo naso, non piccolo, questa volta, ma grosso e soffice. Lo pulii con un dito. “Penso che dovremmo andare a casa” dissi. “Possiamo parlare qui, se vuoi, ma rischiamo di prenderci un gran raffreddore se lo facciamo”.


Lei si limitò ad annuire. Sembrava triste, e credo di sapere perchè – sembrava che la sua vecchia amica, la sua sorella grande, stesse scivolando via da lei, ed eppure, per qualche strana ragione, io non mi sentivo affatto triste, cosa che penso fosse una prova sufficiente che era vero l'opposto. Ci sarebbe stato un tempo in cui il solo suo pensare una cosa del genere mi avrebbe fatta stare male, mi avrebbe costretta, ma era molto tempo fa, e probabilmente questo è il motivo per cui ciò che accadde quel giorno non capitò prima.


E così cominciammo a camminare per il vialetto che avevamo percorso, le mani strette l'una nell'altra. Sorrisi per tutto il tragitto.


(Suppongo che il motivo per cui non sto cercando di tagliare corto con questa storia sia perchè nessuno se la berrebbe. Le persone vogliono che le storie del tipo crescita-e-perdita-della-verginità abbiano uno sviluppo interessante, un'accurata preparazione ed un apice fin migliore, idiozie come queste. Se io avessi voluto venderla in quel modo, avrei dovuto cambiarla, per avere grandi scene in cui io o entrambe saremmo scoppiate in lacrime per il suo sentirsi abbandonata da me, e io che avrei istantaneamente realizzato che ero lesbica e che l'unica via che avevo per confortarla era era di avere una folle, appassionata, notte di sesso con lei. Sesso curativo, lo potrebbero chiamare, medica le ferite della distanza, ed è una puttanata ecco cos'è. Non è sesso, non è un qualche tipo di cerotto, e non succede mai perchè semplicemente non funziona.


Mhm. Non ho mai preso l'abitudine di bestemmiare. La mia parlata, certo, è diventata via via più comune, grezza, negli anni. Yumi ancora mi dice che parlo come una signora, ma non penso che una signora l'avrebbe chiamato “folle, appassionato amore” forse nemmeno “sesso”, e nemmeno avrebbe creduto il “sesso curativo” essere una “puttanata”.

Sarebbero stati, al meglio, divenire intimi e un errore. In genere parlo ancora così, ma mi piace pensare di sapermi lasciare andare, una volta ogni tanto. Inoltre, non penso che pubblicherò mai tutto questo, quindi, chi mai lo verrà a sapere?)



Gli ultimi duecento metri li passammo correndo, perchè nel frattempo, la neve aveva cominciato a cadere così spessa che cominciavamo a bagnarci attraverso i cappotti. L'aria sembrava luccicare debolmente, la luce che ancora filtrava attraverso le nuvole sembrava danzare e spingersi contro ogni fiocco, singolarmente. Quando raggiungemmo la porta di casa, pescai le chiavi velocemente dalla tasca – qualcosa che mi ci era voluto un certo tempo per abituarmi a fare, quando mi trasferii dall'enorme villa in cui vivevo prima – e spinsi con forza la porta perchè si aprisse più in fretta possibile. Entrammo entrambe velocemente e ci togliemmo le scarpe ancora in enorme fretta. Tenendoci ancora per mano, la portai in cucina, dove avrei lasciato la stufa accesa, e fu soltanto lì che ci fermammo e il mio cervello tornò al suo posto per la prima volta da quando avevamo cominciato a correre. Ci accovacciamo all'istante vicino alla piccola stufetta elettrica, stringendoci tremando nei cappotti.

Wow” sussurrò Yumi, qualsiasi cosa avesse sentito un momento prima sembrava aver ceduto, per il momento. “Non mi sarei mai aspettata che cominciasse a venir giù così forte. E' addirittura possibile che nevichi in quel modo?”

Scossi la testa – in realtà, tremavo semplicemente – e la guardai “Penso che se fossimo state anche solo un paio di minuti in ritardo, ci saremmo trovate fuori bloccate dalla neve”.

Capisco” disse lei, sorridendomi. E piombammo nel silenzio.

Il mio soggiorno ha una sola finestra, ma la vista è spettacolare, così non mi ha mai dato fastidio, questa cosa. La mia casa è sulla cima di una collina sulla quale non devo nemmeno fare fatica ad arrivare – è messa vicino ad un fiume – e questa finestra gli è proprio davanti, e potremmo vederlo mentre ancora ci scaldiamo vicino alla stufa.

Guarda dalla finestra” sussurrai a Yumi, già sapendo che era lì, e non ancora scongelata, in ogni caso.

Yumi dette uno sguardo di prova, all'inizio, non ancora pronta a sentire freddo ancora. Da dove noi eravamo rannicchiate, potevamo soltanto vedere il cielo, un vasto panorama di grigio, sbriciolato nella lanugine bianca. Ma poi Yumi si mise in piedi, e il suo viso si tese in avanti, mentre si avvicinava alla finestra. Stetti ferma per un momento, e poi la seguii. Lei si scostò un poco per farmi spazio, ma lo rifiutai, piuttosto mi sistemai accanto a lei, mettendole un braccio attorno al collo per proteggerla, almeno un po', dal freddo.

Se il cielo fosse stato un panorama, la collina e il fiume lì sopra sarebbero stati il capolavoro dell'artista. L'intera zona, per la maggior parte foresta, era completamente coperta di bianco, e il sole che aveva danzato coi suoi raggi tra i fiocchi di neve, ora illuminava i cumuli di neve che crescevano a vista d'occhio, il lago ghiacciato, un grande muro di ghiaccio.

E' così bello, Onee-sama,” sospirò rapita dalla visione “Incredibilmente bello.” Il nome mi fece storcere il naso. Perchè mi chiamava ancora Onee-sama? Non era ovvio per lei? Non era ovvio che non ero più la sua amata sorella maggiore? Che lei era cresciuta e non aveva bisogno di tutto questo, non più?

Perchè la chiamavo ancora Yumi-san?

Yumi-san...” mi fermai, bloccata nei miei pensieri.

Non era ovvio per me che non l'avrei mai voluta così lontana da me? Quelle due sillabe significavano per me un'incolmabile distanza.

E ancora non potevo fare a meno di usarle. Non ero abbastanza coraggiosa. Quella flebile voce dentro la mia testa mi diceva ancora, non lasciare che si avvicini troppo. E' ancora pericolosa per te. Tutti sono pericolosi.

Ti prego” mormorai piano. “Non chiamarmi più in quel modo, Yumi-san.”

Lei prese fiato – un piccolo, suono spaventato – e mi guardò dritta negli occhi, il suo viso dipinto all'improvviso di enorme orrore. Per un momento se ne stette in silenzio, poi, nervosa, “Cosa vorresti dire, Onee-sama?” Che questo fosse un atto voluto di disobbedienza – probabilmente uno dei suoi primi – o semplicemente una svista, non credo che lo saprò mai. Non penso che importi, più che altro. La sua voce era più bassa, più seria.

Cosa davvero intendevo dire?

Volevo dire che lei era cresciuta. Che era mia amica. Che non volevo una sorellina. Volevo Yumi.

No, questo non era giusto. Non volevo che lei continuasse a chiamarmi così perchè mi sentivo insufficiente per lei. Io ero quella che ero andata in un college che la sua famiglia non poteva permettersi. Io ero quella che si era trasferita lontano, nelle profondità di Kyoto, per rinchiudermi lontano dalla vita.

Io ero quella che aveva imparato dalle sue lezioni, le sue preziosissime lezioni su come essere... semplicemente una persona, e non una Signora, e correre. Meritavo di essere la sua sorella maggiore? la sua Onee-sama? Assolutamente no.

Potevo dirglielo, questo?

Assolutamente no.

Così lo lasciai che la cosa scivolasse nel silenzio.

Yumi non lo fece. Yumi disse “No, no. Non puoi metterti a fare così, Onee-sama,” con ancora più tensione di prima, sepossibile. “Non puoi metterti a dire queste cose e poi semplicemente cambiare discorso. Siamo entrambe adulte adesso, Onee-sama, e voglio sapere cosa intendevi dire quando hai detto quelle cose.

Yumi era cresciuta. Io pure, ma lei era cresciuta di più. Era più di una spanna davanti a me in moltissime occasioni.

Cosa intendevo dire?

La guardai negli occhi. I suoi occhi grandi, spalancati, le sue sopracciglia, ora piegate in una smorfia di ansia e frustrazione. I suoi occhi erano grandi e fondi come la neve.

Come la neve.

Guardai ancora fuori dalla finestra. La neve stava cominciando ad attaccare. Se fossi uscita, con tutta la neve che stava cadendo, probabilmente mi sarei bagnata le caviglie. C'era ancora sole, e nonostante questo la neve non accennava a sciogliersi. Nonostante fosse faccia a faccia con il suo peggior avversario, l'unica cosa che poteva distruggerla facilmente, resisteva a fondo. Era forse una metafora di qualcosa nella mia vita? Forse, con qualche fantasiosa interpretazione, sì. Ma non avevo certo intenzione di pensarci.

Nei suoi occhi non vidi altro che totale preoccupazione .

Dall'altro lato, non ho idea di cosa vedesse lei. Guardando il mio riflesso nei suoi occhi, vedevo soltanto la mia faccia, impassibile come sempre.

Lei, apparentemente, vedeva qualcos'altro. La sua espressione si intenerì un po' e mi sorrise, e c'era qualcosa in quel sorriso che non c'era mai stato, prima, qualcosa molto più adulto e molto meno spensierato.
Qualcosa che mi fece sentire il mio stomaco rivoltato come un guanto, tutto il suo contenuto sparpagliato sul pavimento.

Si alzò in punta di piedi e con una mano sottile con grazia lo prese da una ciocca dei miei capelli. Se lo passò sulle dita e vidi le sue mani inumidirsi un poco.

Era solo un fiocco di neve troppo ostinato per sciogliersi,” sorride “un po' come te, no?”

Con questo cosa intendeva dire?

Penso di sapere cosa intendesse.

Sapevo cosa voleva dire.

Non volevo che mi chiamasse Onee-sama. Non volevo nemmeno che mi chiamasse Sachiko-san.

Solo Sachiko.

Solo...

Quando l'avevo vista per la prima volta, quel giorno, mi ero sentita esattamente così. Mi ero sentita più completa di quanto non fossi stata anche solo un ora prima. Avevo corso sotto la neve, stretto la sua mano, camminato, parlato di cose che non erano il tempo atmosferico senza nemmeno sforzarmi un poco.

Avevo sempre pensato che Yumi probabilmente era la mia antitesi. Una persona che mi faceva sentire intera perchè era il mio opposto complementare. Questo non era più vero - noi due eravamo maturate parecchio, certamente in direzioni inverse. Io ero diventata più passionale, meno riservata.
Lei era diventata più controllata, più calma senza dover fare ricorso all'educazione che quella scuola le aveva dato.

E nonostante questo, mi trovai più persa nei suoi occhi, tanto più a lungo guardavo.

Era semplice amicizia? La semplice amicizia arrivava davvero a questi livelli?

L'essere sorelle no, questo era ovvio.

Sorridendomi ancora, abbasso la mano che prima mi aveva accarezzato i capelli, e me la mise attorno al collo, tirandomi vicina a lei. Quindi distolse lo sguardo, riprese a fissare il paesaggio fuori dalla finestra, plastico e raggiante.

E' così bello” sussurrò “Assolutamente fantastico.”

E sapevo che non stava soltanto parlando della vista.

Stava parlando di tutto. Tutto questo. Tutto questo era fantastico.

Rimanemmo così per lungo tempo, davanti alla finestra, a guardare quello che io con affetto chiamavo “il mio giardino sul retro” diventare sempre più bianco e sprofondato nella luce.
Avrei desiderato stare lì più a lungo (immagino che dire “per sempre” in un'occasione come questa suoni eccessivamente lezioso, dunque non lo dirò) ma, mentre la stufa era calda, noi avevamo molto, molto freddo, ed eravamo fradice, soprattutto.

Yumi starnutì, e questo diede il colpo decisivo, quel che si dice “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”.

Tu ti fai una doccia,” dissi “Adesso.”

Lei mi guardò con quello sguardo divertito, adulto, che tuttora non riesco acapire (non ancora, intendo dire. Avevo ancora, dopotutto, la mia casta verginità) e disse, “Perfavore, falla prima tu”.

Sbattei le palpebre “No, no, sei un ospite in casa mia. Sentiti libera di farti la doccia per prima. Comincerò ad asciugare i tuoi vestiti.”

Fece una smorfia, come spesso capitava quando la trovavo a pensare, e dopo qualche secondo acconsentì. “Lascerò i miei vestiti fuori dal bagno, O...Sachico-san”.

Nemmeno questo mi andava bene, ma pazienza. Passi avanti.

piccoli passi, di certo.



Feci tutto pigramente, le mie mani facevano quello che la mia mente avrebbe dovuto fare. Avrei dovuto pensare a come mi guardava. Avrei dovuto pensare a un sacco di cose. Beh, non lo stavo facendo. Ero in uno stato che una volta un mio amico maschio ha definito come lo stato dell'azione, lo stato in cui sei appena prima che quel qualcosa che sai, veramente accada, quando questo qualcosa è estremamente importante. Lo citava di solito come ciò che succede appena prima di fare sesso - “Quando la mia ragazza è nella stanza accanto, cambiandosi i vestiti dopo la scuola, e so che si sta mettendo qualcosa di sexy per il modo in cui mi ha guardato tutto il giorno, ecco quando succede. Se puoi tenerti le mani occupate, tutti i tuoi pensieri svaniscono dalla testa. Magari è un pregustare l'attesa, magari è qualche residuo di istinto animale – preparati, sto arrivando, cose del genere. Qualunque cosa sia è un bel sentimento. Quasi quanto l'atto in sé, per quei pochi minuti di silenzio in una testa altrimenti affollata di pensieri.”

Era un bel sentimento.

Più o meno dieci minuti dopo che era entrata, sentii l'acqua spegnersi. Urlai a Yumi che c'era un asciugamano appeso all'attaccapanni, e che avevo buttato sul letto un paio di pigiami a caso per lei, se li voleva. Non ci fu risposta, ma penso che mi avesse sentita. Avresti potuto sentire il respiro di un topo da qualunque punto della casa, tanto era piccola. (E stranamente acustica. Yumi mi disse “avresti potuto sentire un topo scoreggiare”, ma non penso di essermi ancora abbassata a tanto. Magari presto, ma non ancora, perlomeno”.

La porta del bagno si aprì. Mi impegnai a non guardare in corridoio finchè non avessi sentito la porta della camera da letto chiudersi, semplicemente scaldandomi le mani alla stufa, e permettendo alla mia mente di riprendere a funzionare.

Non si mosse in fretta, tuttavia, finchè non mi resi conto che avevo aspettato lì per circa un minuto. Sentii Yumi fare un respiro profondo, in corridoio.

Guardai da quella parte proprio nel momento in cui lei entrò in salotto.

Era completamente nuda. La sua pelle bianca brillava un po' come la neve, e per un momento mi dimenticai di respirare, tanto mi toglieva il fiato, il suo essere liscia e perfetta. Prese a camminare verso di me, e che aveva la pelle d'oca, e guardai un po' più in basso e colsi un altro segno del fatto che aveva freddo. Erano piccole ma sode e..

Sì, sì c'era freddo.

Mi tirai in piedi e quasi senza fiato dissi “Yumi, cosa stai...”

Si fermò a meno di un metro da me. Potevo sentire il leggero profumo dello shampoo che aveva usato – il mio – e del sapone. Le sue guance erano rosse, e sicuramente quello non era colpa del freddo.

Hai detto” disse lei, la sua voce ancora più profonda, ora più roca, i suoi occhi mi fissavano nello stesso modo in cui avevano fatto prima “che non volevi che ti chiamassi Onee-sama, mai più. Questo... è questo il motivo?”

Mi sembrò quasi arrendevole, per un momento, ma poi guardai la sua faccia e lessi quello che c'era scritto come in un libro aperto.

C'era speranza, c'era paura. Le due strette e unite mano nella mano.

Stava facendo quello che io non avrei mai potuto fare. Si stava aprendo a me e stava correndo un rischio su qualcosa di incredibilmente fragile.

Sapevo esattamente il motivo per cui non volevo che mi chiamasse più così. Sapevo quello che avevo voluto dire.

Era precisamente questo.

(un altra ragione per cui non potrei mai vendere questa storia – è che non c'è nessun “pathos del coming out”. Non ce n'è stato per me. Non sono mai stata con un uomo o una donna prima; Ci ero andata vicina con quegli uomini deplorevoli ai party, e con Suguru, certo, ma mi ero scansata (o loro l'avevano fatto) vicino al momento clou, alla parte importante. Penso che il fatto che sono stata innamorata di Suguru, un tempo, renda chiaro che sono bisessuale, ma un'altra volta, non penso che importi, così non ho sentito il bisogno di parlarne qui, anche se l'idea ammetto che mi è venuta)

Come.. come facciamo?” Chiesi, anche la mia voce era diventata roca. Yumi mi sorrise – mi disse poi, che era stata con una ragazza una volta, al college, nel periodo in cui era stata malissimo – e si avvicinò per colmare il poco spazio tra di noi, prese il mio viso tra le mani, e – alzandosi sulle punte dei piedi – mi spinse verso di se, e mi baciò. Le sue labbra erano morbide, calde, proprio come le ricordavo; meravigliose. La sua lingua giocava nella mia bocca, e lei cominciò a togliermi i vestiti bagnati. Tremavo mentre lo faceva.

Dopo di questo...

Dopo di questo, fummo solo un riflesso bianco come la neve. per un po'.



Una volta finito, chiesi a Yumi se le andava di chiamarmi solo Sachiko. Lei ride e disse che l'avrebbe fatto soltanto se io l'avessi chiamata Yumi. E se, ovviamente, mi andava. Se ero a posto con queste cose, in questo piccolo angolo di pace con lei. Mentre diceva questo io me ne stavo tra le sue braccia, con la testa poggiata sul suo petto.
Questo mi fece ridere, e anche lei rise, come qualcuno che racconta una barzelletta e gli altri ridono, ride anche lui.

Dopotutto, questa casa era così bella in inverno.

  
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