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Autore: effewrites    25/11/2013    1 recensioni
[25/11/2013 - Tanti auguri a me, che divento maggiorenne]
Ho la fortuna di vivere in una delle città più ammirate del mondo, e la odio e la amo come si fa con la ragazza del liceo per cui hai perso la testa, ma che quanto ti passa davanti a malapena si accorge della tua esistenza.
[...]
Le dita delle mie mani iniziano a perdere sensibilità a causa del freddo e lei è ancora lì. Diventa una questione quasi personale, e quando sto per chiederle se abbia intenzione di rimanere davanti al negozio per tutta la sera lei si avvicina alla saracinesca e comincia a prenderla a calci.
La ragione mi dice: “Te l’avevo detto che dovevi andare a casa”.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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25th November.
 
 
Sarò del tutto sincero: Londra, a fine novembre, la considero come il bizzarro risultato di un errore spaziotemporale, un periodo vuoto di tempo tra ottobre e dicembre, troppo tardi per l’uno e troppo in anticipo per l’altro. Questo quando le strade sono semivuote, altrimenti si trasforma direttamente nell’anticamera dell’Inferno.
Ho la fortuna di vivere in una delle città più ammirate del mondo, e la odio e la amo come si fa con la ragazza del liceo per cui hai perso la testa, ma che quanto ti passa davanti a malapena si accorge della tua esistenza.
Durante le ultime due settimane novembrine, poi, il rapporto tanto calibrato di amore/odio tende a sfociare in una repulsione viscerale, tale da farmi desiderare di rinchiudermi nel mio appartamentino in affitto, senza contatto alcuno con l’esterno, indossando il mio pigiama più comodo, la barba vecchia di giorni e una trapunta a mo’ di scafandro, per trascorrere le mie giornate in un letargo settimanale fatto di cibo a domicilio e maratone di telefilm in tv. In un mondo libero dalle convenzioni sociali, è così che trascorrerei questa sera del 25 novembre, ma purtroppo per me siamo ancora schiavi delle consuetudini e della quotidianità.
Sono qui, seduto immobile al banco del negozio in cui tecnicamente lavoro e praticamente spreco la mia vita, proteso verso l’uscita per quanto ci si possa protendere quando si sta appollaiati su di uno sgabello tanto scomodo da doverlo annoverare tra le pene dell’Inferno.
Mia unica distrazione e sollievo è la busta riposta sotto il bancone, contenente una copia in versione deluxe del dvd di Star Trek – Into Darkness che ho acquistato stamane — a volte credo che potrei diventare gay per le sopracciglia di Zachary Quinto versione Spock; altre volte mi concentro su Zoe Saldana e i dubbi sulla mia sessualità vengono dissipati.
Per cui la busta è lì, contenente la mia personalissima ricompensa per essere sopravvissuto anche quest’oggi, ultimo lunedì dell’ultima settimana di novembre, alle trappole dell’errore spaziotemporale.
A questo punto potreste chiedervi quale sia il motivo che spinge me, povero pazzo, ad odiare Londra in questo particolare periodo dell’anno.
Ebbene, non lo so.
So che la pioggia scende più fitta e fastidiosa, in questi giorni; che l’aria è più fredda, le giornate più corte, il cielo più grigio e nelle strade i passanti vagano con sguardi confusi perché ieri acquistavano addobbi per Halloween e oggi vengono disorientati dalle luci di Natale che decorano i negozi.
Novembre è una Terra di Mezzo, è la triste promessa che, come disse un vecchio saggio: “L’inverno sta arrivando”. E con l’inverno, la mia misantropia.
 
Quando il mio turno finisce, mi sforzo di mantenere una parvenza di tranquillità emotiva.
È tardi, ormai, e stiamo chiudendo. Recupero il mio giaccone, il dvd e anche una buona parte di ottimismo, e mentre chiacchiero con un collega riguardo argomenti di poco conto mi dirigo verso l’uscita, dove un tipo della sicurezza sta discutendo animatamente con una ragazza.
«Stiamo chiudendo, mi dispiace».
«Le dico che ci vorrà solo un momento!».
«La mia risposta non cambia. Ormai il personale è uscito».
«Ma—».
Il suono della saracinesca che si abbassa alle mie spalle pare il martelletto di un giudice al termine di una sentenza. Niente più opzioni. La seduta è tolta.
Il tipo della sicurezza si allontana, soddisfatto del suo lavoro, e altrettanto dovrei fare io. La ragione mi dice: “Vai a casa, ragazzo mio”, ma invece tiro fuori il cellulare dalla tasca per controllare l’ora ed eliminare i vecchi messaggi salvati e scorrere la galleria ripercorrendo l’ultimo anno della mia vita in foto.
Tutto questo, perché la sconosciuta è ancora lì. Le dita delle mie mani iniziano a perdere sensibilità a causa del freddo e lei è ancora lì. Diventa una questione quasi personale, e quando sto per chiederle se abbia intenzione di rimanere davanti al negozio per tutta la sera lei si avvicina alla saracinesca e comincia a prenderla a calci.
La ragione mi dice: “Te l’avevo detto che dovevi andare a casa”.
«Ehi, calmati tigre!», esclamo. Per tutta risposta la ragazza decide di accompagnare ai calci i pugni ed io mi avvicino, afferrandole un braccio per farla smettere. La ragazza si divincola, finendo per tirarmi una violenta gomitata nelle costole, lasciandomi senza fiato.
«Lasciami!», grida lei, senza accorgersi che l’istinto di conservazione della specie ha già provveduto a farmi allontanare da lei per evitare nuovi attacchi alla mia persona.
«Ma sei completamente fuori di testa?», esclamo, ancora piegato in due per il colpo.
La ragazza tira un altro pugno alla saracinesca, assordandoci con un rombo di tuono metallico, e grida: «È il mio compleanno!».
«Questo non ti autorizza a rompermi una costola!», le rispondo.
Lei allora si ferma e mi guarda. Si rende conto solo ora della mia presenza, di me, dolorante, di tutta la situazione.
«Oddio», dice. «Mi dispiace tanto!»
Mi raddrizzo, perché ho un contegno e una dignità e non ci tengo a buttarli al vento. La ragazza si passa una mano infagottata in un guanto sul viso umido, così capisco che stava piangendo, e non dovrebbe essere così ma questa cosa mi fa sentire come un ladro che ruba caramelle ai bambini. Le ragazze hanno questa diabolica capacità di secernere dagli occhi fluidi demoniaci che fanno sentire qualunque uomo colpevole, a prescindere dalla situazione, per cause di dubbia esistenza.
«Potresti passare domattina a prendere qualunque cosa ti serva così tanto da farti tentare di buttare giù la saracinesca», dico, ma la ragazza non sembra sentirmi, per cui aggiungo: «Tutto okay?».
Lei ride di quella risata amara che secondo me rientra tra i suoni più tristi dell’universo, per cui ne dovrebbe essere eternamente bandita.
«Tutto okay? Tutto okay».
Ma lei non sembra essere sul serio okay, per cui la guardo ed è un invito senza parole, uno di quelli che la gente aspetta per giorni e vite intere. Anche lei deve averlo aspettato a lungo, perché comincia subito a parlare.
«Oggi è il mio compleanno. Quando mi sono svegliata stamattina mi sono resa conto che la sveglia non aveva suonato, di conseguenza ho fatto tardi al lavoro e ho anche dimenticato di portare con me il pranzo. Nessuno dei miei colleghi sapeva che giorno fosse oggi, nessuno mi ha rivolto gli auguri.
«Una delle mie migliori amiche è fuori città, l’altra è a letto con l’influenza, quindi non festeggerò con loro. Dopo il lavoro stavo rientrando a casa ma ha iniziato a piovere. Non avevo l’ombrello. I miei genitori mi hanno chiamata questo pomeriggio, dicendo che non sarebbero potuti venire da me a festeggiare. Erano terribilmente dispiaciuti e io ho risposto loro che non faceva nulla, ma quando hanno riattaccato ho pianto.
«Ho deciso di preparare una torta, ma non so preparare torte per cui ho finito col bruciare un impasto immangiabile già di suo e ho dovuto buttare via tutto.
«Così sono scesa, non riuscivo a stare a casa e ho pensato che forse stando fuori non sarei più stata triste e mi sarei sentita meno sola, e mi son detta: “Potresti comprare quel libro che tanto volevi leggere, sarà il tuo regalo di compleanno per te stessa!”. Ma quando sono arrivata il negozio stava chiudendo».
Vorrei rispondere che ci sono altri negozi che vendono libri, in tutta Londra. Non è la fine del mondo. Ma la ragazza guarda con insistenza il marciapiede e le sue spalle si alzano e si abbassano convulsamente.
È il 25 novembre, davanti a me una ragazza sta piangendo ed è anche per questo che odio Londra, questo enorme formicaio urbano in cui è facile sentirsi soli.
«Ce l’hai una penna?».
La ragazza mi guarda. Ha gli occhi grandi, del tipo che quando ti guardano sembrano sempre aspettare una tua risposta. Alla fine li sposta da me alla sua borsa, vi fruga un po’ dentro e poi ne tira fuori una penna.
La prendo. Intanto ho tirato fuori lo scontrino del dvd di Star Trek dalla busta, e chiedo: «Hai modo di vedere un dvd a casa tua?», e siccome lei annuisce aggiungo: «Come ti chiami?»
«Shelby», dice lei.
Sullo scontrino del dvd scrivo: “Per Shelby. Buon compleanno! Tate”. La ragione, inopportuna, mi dice anche di aggiungere il mio numero di telefono.
Infilo lo scontrino e la penna dentro la busta e glie la porgo.
«Spero ti piacciano i film di fantascienza».
 
Penso di averlo fatto perché odio le giornate di fine novembre. Le odio e loro rendono me odioso, ma Shelby vi è nata e non è giusto che le odi anche lei.
Penso di averlo fatto perché un’anima in meno che si sente sola nella città-errore spaziotemporale potrebbe rendere novembre più sopportabile.
Penso di averlo fatto perché nessuno dovrebbe sentirsi solo nel giorno del suo compleanno.
Quando entro in casa scalcio via le scarpe e accedo la televisione. Me ne vado in cucina, dal frigo tiro fuori una lattina ghiacciata di birra e l’occorrente per un sandwich, sul quale una volta pronto piazzo un fiammifero acceso a mo’ di candelina.
«Buon compleanno anche a te, Tate», dico, proprio mentre il mio telefono comincia a squillare.
Il numero è sconosciuto.
Rispondo.
«Tate? Sono la ragazza del negozio. Sono Shelby».
 
Odio ancora le giornate di fine novembre. In particolare una.
Ma quest’anno un po’ di meno.
  
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