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Autore: Laylath    25/11/2013    3 recensioni
Dopo la sconfitta di Farsalo al grande Pompeo Magno non rimane che la fuga.
Davanti alla città di Alessandria, in attesa di essere ricevuto da Tolomeo, ha occasione di riflettere su quanto è successo.
“In fuga da Cesare…in fuga da Roma. Ma come siamo arrivati a questo?” si chiese, quasi si aspettasse che il suo nemico comparisse e gli fornisse qualche risposta.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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La fuga

 
 
Alessandria sorgeva splendida e opulenta nella baia, sconfinato labirinto di edifici maestosi di cui era praticamente impossibile scorgere la fine: un posto che ben meritava la fama di città tra le più vaste del mondo, seconda per numero di abitanti solo a Roma.
Il grande porto occidentale di Eunostos era un viavai incessante di navi che sembravano danzare un variopinto e preciso balletto, evitandosi all’ultimo istante secondo precise e secolari leggi di navigazione. Dall’ isola di Pharos il maestoso faro, che da oltre duecento anni illuminava le acque della città egiziana, sovraintendeva silenziosamente a questo enorme e quotidiano caos.

Pompeo fissò l’animato centro dalla sua galea ed un moto di disgusto lo colse sin nel profondo dell’animo: quella città così manifestamente ricca e vitale sembrava essere completamente estranea e disinteressata ai grandi sconvolgimenti che aveva subito il mondo nell’ultimo anno.
La guerra civile e Farsalo sembravano essere echi di un mondo lontano che gli egiziani avevano preferito ignorare, continuando le loro frenetiche attività cittadine.
Ma come potevano continuare a fare finta di niente anche adesso che lui era lì?
Già, era da cinque giorni che si trovava in mare aperto, appena a qualche centinaio di metri da quelle banchine eppure, per una beffa del destino, il principe Tolomeo non ancora gli dava il permesso di attraccare. Le navi passavano accanto alla sua, come se fosse un’imbarcazione fantasma che non deve essere considerata: sembrava che tutti i marinai avessero il preciso ordine di non avere contatti con quella precisa galea romana.
Maledetti egiziani! Un anno fa quel moccioso che sta sul trono, manipolato dai suoi viscidi consiglieri, non avrebbe esitato un secondo a ricevermi con tutti gli onori dovuti! Non avrebbe osato un simile affronto contro Roma.
Ma questo scatto di rabbioso orgoglio durò solo qualche secondo e l’ira cedette il posto alla stanchezza: ormai era troppo esausto, anche per arrabbiarsi davvero. Il destino l’aveva umiliato così tante volte che una in più non poteva fare la differenza. 
Con rassegnazione si poggiò al parapetto e fissò il mare: era una giornata calma e serena e la nave ondeggiava pigramente al movimento di piccole e tranquille onde. Per un attimo, nonostante l’altezza, gli parve di vedere riflessa nell’acqua la sua immagine chiara e nitida… ma capì subito che si trattava di un Pompeo molto più giovane e diverso: il generale che, circa vent’anni prima, aveva scritto la gloriosa storia di Roma, distruggendo i pirati che infestavano il Mediterraneo e vincendo poi contro Mitridate. Un uomo che si era fatto da solo che, aveva ottenuto tutto il potere possibile succedendo di fatto a Silla: in quei momenti Roma pendeva dalle sue labbra, dalle sue vittorie, dalle sue decisioni.
Un uomo a cui era stato concesso il titolo di Magnus. 
Un piccolo sciabordio della nave e quell’immagine sparì, riportandolo ancora una volta al triste presente: quel glorioso generale era solo un ricordo che piano piano sbiadiva di fronte alla follia degli eventi. 
Non era uno sciocco: sapeva che l’unica cosa che gli restava era un esilio perpetuo. Una fuga che sarebbe durata per il resto della sua vita: ora in Egitto, se quel poppante che stava sul trono si fosse deciso ad accoglierlo, e poi chissà. Tanto lo sapeva, Cesare sarebbe arrivato anche lì.
E lui sì che verrà accolto con tutti gli onori dovuti a un rappresentante di Roma.
E scoprì che, nonostante tutto, non poteva odiare davvero il suo grande nemico.
Per la centesima volta si chiese dove avevano sbagliato… per quale motivo quella che sembrava un’alleanza vincente si era sgretolata.
Forse tutto era cominciato con la morte di Crasso, vecchio e viscido speculatore che non vedeva l’ora di mettere le mani sulle ricchezze che poteva dare la spedizione contro i Parti.
Ma tu mettevi il denaro, povero idiota, i veri condottieri eravamo io e Cesare. Sei costato tantissimo a Roma… anche troppo.
No, Pompeo non aveva mai apprezzato quella figura così ambigua: se non fosse stato per Cesare non avrebbe mai stretto alleanza con uno come lui. Doppiogiochista, sempre operante nell’ombra, era la completa antitesi di chi, come lui, amava agire nella completa trasparenza.
Cesare era riuscito a mantenere l’equilibrio tra due figure così diverse: sapeva trovare il punto d’incontro tra accondiscendenza e ambizione. Pompeo aveva scoperto che quell’uomo gli piaceva più del previsto: sapeva come muoversi, ma lo faceva con aperta onestà, almeno nei suoi confronti.
Se non avessi ascoltato quei maledetti forse a quest’ora sarebbe tutto diverso…

“Marito, avete bisogno di qualcosa?”
La voce gentile di Cornelia lo indusse a sollevare lo sguardo e ad abbandonare per un istante i suoi cupi pensieri.
Sua moglie non era mai stata una bellezza e adesso il lungo viaggio l’aveva ulteriormente provata: i capelli castani, con qualche traccia di bianco, erano sporchi e pettinati con tutta la dignità che poteva consentire una galea in viaggio da settimane; il viso era tirato e stanco e gli occhi gonfi mostravano tutta l’angoscia e la mancanza di sonno degli ultimi giorni.
Vi era rassegnazione in lei, ma anche un’infinita fedeltà nei confronti del marito.
Con un gesto negativo il generale la congedò di nuovo sottocoperta: vederla gli dava profondamente fastidio perché era un ulteriore segno della sua sconfitta. L’aveva trascinata lui nella miseria dell’esilio, eppure lei non gliel’avrebbe mai rinfacciato, silenziosa e mite com’era, allevata allo stoicismo come una vera matrona romana.
E questo stoicismo così sfacciato aveva la facoltà di irritarlo tantissimo.
Ed inevitabilmente arrivò il solito paragone con Giulia… e con lo stesso perverso piacere che si prova a toccare un dente malato, Pompeo ripensò a quella che era stata la sua amata compagna.
Se Cornelia era la notte, la figlia di Cesare era stata il giorno. E che giorno!
Aveva tutta la freschezza e la vivacità della giovinezza: bella, intelligente, negli occhi castani brillava la stessa arguzia e ambizione del padre. L’aveva amato in maniera totalmente sincera, senza nascondersi dietro falsi pudori o situazioni di facciata, come invece ci si sarebbe dovuti aspettare da quel matrimonio combinato, con tanti anni di differenza. Forse, se il parto non avesse ucciso sia lei che il bambino, le cose sarebbero andate diversamente… quella ragazza era stato il maggior collante tra lui e Cesare, parte attiva di quell’alleanza che sembrava dovesse portarli in cima al mondo. 
Ma anche quello faceva parte di un’altra vita: il dolce periodo di Roma era lontano, come una mitica età dell’oro che pareva inverosimile aver davvero vissuto. Il passato più recente parlava di sangue, di guerre fratricide, di pesanti sconfitte e, soprattutto, di estenuanti giorni in mare.
Braccato come i pirati che tempo fa lui stesso aveva sconfitto.
“In fuga da Cesare…in fuga da Roma. Ma come siamo arrivati a questo?” si chiese, quasi si aspettasse che il suo nemico comparisse e gli fornisse qualche risposta.
Perché lui non sapeva più a cosa credere: la Repubblica, il senato, i valori per cui aveva lottato erano stati spazzati via. Le parole di Catone e dei suoi alleati gli sembravano vuote e inutili: vecchi sostenitori di un sistema che ormai non poteva più funzionare… la maggior parte dei quali voleva tenere solo lo status quo che preservava i loro privilegi e le loro ricchezze.
E mi hanno manipolato facendomi diventare il difensore della loro vanagloriosa avarizia e presunta superiorità. Ma ora che ho fallito mi hanno lasciato solo, pronti a trovare un modo per salvare la pelle e il denaro. Sono stato un completo idiota… non credevano davvero in me.
E la realtà a cui si era arrivati era una sola: Roma era in mano a Cesare, la repubblica aveva definitivamente fallito.
Una piccola raffica di onde fece rollare la nave, e lo riportartò al triste presente.
Alzando lo sguardo vide di nuovo il faro.
Le sue mani si strinsero con rabbia al parapetto: se avesse potuto l’avrebbe demolito.



Due giorni dopo, il 29 Settembre, Pompeo venne assassinato con l’inganno per ordine di Tolomeo.
A ucciderlo furono il prefetto  del sovrano egiziano, Achilla, e Lucio Settimio che nel 67 a.C. era stato centurione dello stesso Pompeo nella guerra contro i pirati. Era il giorno del suo cinquantottesimo compleanno; tredici anni prima, il medesimo giorno, celebrava le sue vittorie sui pirati e sull’Oriente. 
Il corpo del generale, privo di testa, fu abbandonato su una spiaggia, nudo. Un fedele liberto riuscì a recuperarlo e a dargli degna sepoltura.
La testa, insieme al sigillo, venne invece offerta a Cesare dal sovrano egiziano.
Plutarco riporta
:
“quando un servo gli presentò la testa mozzata, Cesare si girò via con ripugnanza, come da un assassino; e quando ricevette l'anello con il sigillo di Pompeo su cui era inciso un leone che tiene una spada nelle sue zampe, scoppiò in lacrime." (Plut. 80)
  
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